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kriticaeconomica

La pianificazione economica: storia e attualità di un dibattito

di Riccardo Evangelista*

PIXNIO 265160 1200x630 1 1024x5381) Le origini della controversia

Era il 1920 quando l’economista austriaco Ludwig von Mises dava alle stampe un ambizioso articolo intitolato Il calcolo economico in un’economia socialista. Inizialmente confinato a una discussione teorica nell’area germanofona e ritenuto poco più di una voce fuori dal coro della montante insoddisfazione verso il laissez faire, il saggio godette di una rinnovata fama quando venne tradotto in inglese dal suo allievo di maggior arguzia, Friedrich von Hayek, per essere ripubblicato nel 1935 in un volume collettaneo dal titolo Collectivist Economic Planning.

L’obiettivo esplicito del testo, di cui il saggio d’apertura di Mises costituiva il principale riferimento teorico, era di mettere in guardia la società europea (in particolare gli accademici, secondo gli autori molto sensibili alle mode intellettuali) da un’illusione ritenuta deleteria: che un’economia a totale o prevalente proprietà pubblica dei mezzi di produzione potesse funzionare in maniera razionale, garantendo un utilizzo efficiente delle risorse e maggiore giustizia sociale. Gli argomenti sostanziali della critica alla pianificazione economica rimarranno gli stessi anche negli sviluppi successivi del dibattito, che vedrà come principali protagonisti Lionel Robbins e lo stesso Hayek, contrapposti a Maurice Dobb e Oskar Lange. I primi si adopereranno per riaffermare le virtù irrinunciabili del mercato, i secondi tenteranno una difesa della pianificazione scientificamente rigorosa, pur confutando le tesi liberiste austriache da riferimenti teorici opposti.

Nonostante il dibattito sia stato oggi quasi dimenticato, le ragioni che l’hanno mosso e le questioni che solleva riemergono nell’attualità tra le manifestazioni sintomatiche del neoliberismo.

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micromega

Socialismo. Necessario e impossibile?

di Paolo Favilli

Il problema delle disuguaglianze e il futuro del capitalismo. Una rilettura di Thomas Piketty (“Il capitale nel XXI secolo” e “Capitale e ideologia”) e Joseph E. Stiglitz (“La globalizzazione che funziona” e “Il prezzo della disuguaglianza”)

genere esempioNel giornalismo colto

Esaminare il mutamento di prospettiva intervenuto in lavori dello stesso autore scritti in periodi diversi ci permettere di comprendere meglio i problemi connessi alla questione del «futuro del capitalismo»: ha «i secoli contati» oppure è in atto una transizione verso il post-capitalismo, magari verso qualche forma di socialismo?

Non c’è dubbio che il riferimento alle categorie analitiche marxiane sia essenziale per ragionare sulla questione. In questo intervento mi occuperò della progressiva consapevolezza di tale fatto emersa anche in ambito di una cultura estranea alla critica dell’economia politica.

I monumentali libri di Piketty, divisi da tempi più lunghi rispetto alle date di edizione (le ricerche per il primo cominciano nel 1998), sono la punta teorica più evidente di questo itinerario, ma non sono isolati da una temperie di pensamenti che percorre una parte della cultura lato sensu liberale.

Di particolare interesse, ad esempio, il fatto che già a fine secolo si potesse leggere in un magazine americano di alto livello culturale, il «The New Yorker, frasi come questa: «His books [Il capitale] will be worth reading as long as capitalism endures» [1].

Sostenere che Il capitale meriterà di essere letto finché esisterà il capitalismo, potrebbe sembrare un’affermazione ovvia. In verità non lo è assolutamente neppure oggi, dopo un ventennio di crescita ininterrotta delle pubblicazioni dedicate a Marx ed al suo capolavoro. La frase citata appartiene a John Cassidy ed è del 1997, periodo in cui le magnifiche sorti e progressive di un capitalismo liberato da lacci e lacciuoli condannavano Il capitale alla relegazione perpetua nel cimitero dei libri inusabili, dei libri morti.

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augustograziani

Sraffa dopo Graziani

di Emiliano Brancaccio

L’interpretazione del sistema sraffiano suggerita da Augusto Graziani  può essere intesa non come un’alternativa ma come un possibile complemento delle analisi tradizionali di tipo classico-keynesiano. La chiave di lettura grazianea sembra particolarmente adatta a descrivere la dura realtà del comando capitalistico contemporaneo e pare suggerire una interpretazione dello schema di Sraffa in chiave “rivoluzionaria”, critica verso le concrete possibilità del riformismo politico

Post 2 lustracion 21. Vorrei accogliere questo affettuoso invito a ricordare Augusto Graziani soffermandomi su un suo contributo all’alta teoria, in verità poco noto, contenente una peculiare chiave di lettura dell’opera di Sraffa. Il recupero di tale piccolo cimelio teoretico non è motivato da una mera istanza commemorativa. L’ambizione, piuttosto, è di incuriosire i ricercatori più giovani. Ficcati nelle angustie antiscientifiche della valutazione bibliometrica e delle sue fanatiche vestali, c’è ragione di sospettare che ben pochi siano gli studiosi in erba capaci oggi di trovare il tempo di leggere Sraffa, o Graziani. Nell’epoca dell’imperativo di pubblicare il trito pur di non perire, bisogna ammettere che tornare alle innovazioni di quei grandi critici renderebbe la vita accademica oltremodo sofferta. Tuttavia, chi tra i più giovani sia afflitto da una sensazione generale di vacuità delle attuali mode di pensiero, proprio nella riscoperta di quelle sconvolgenti eresie italiane del Novecento potrebbe forse trovare nuove energie per cimentarsi nella competizione scientifica. Nel senso di Lakatos, che è l’unica competizione degna di rispetto.

 

2. Nella prefazione alla sua opera principale, Sraffa precisa che in larga parte di essa non viene considerato alcun cambiamento nel volume della produzione o nelle proporzioni in cui i diversi mezzi di produzione sono usati in ciascuna industria. La scala e la composizione della produzione sono cioè date, dal momento che l’indagine «riguarda esclusivamente quelle proprietà di un sistema economico che sono indipendenti da variazioni nel volume della produzione o nelle proporzioni tra i “fattori” impiegati» (Sraffa 1960). Su tale delimitazione del campo d’indagine ci sono stati alcuni fraintendimenti, soprattutto a opera di economisti neoclassici.

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economiaepolitica

Capitale Globale, Sovranità economica e gli insegnamenti di Keynes

di Biagio Bossone

keynes main photoIntroduzione[1]

In un recente commento sul tema della globalizzazione, Razin (2021) conclude osservando che la situazione dell’economia mondiale è tale che un’efficace stabilizzazione delle economie nazionali può essere assicurata soltanto dall’uso di adeguate politiche fiscali. Condividendo le conclusioni di Bartsch et al. (2020), aggiungerei al riguardo che una stabilizzazione efficace richiede anche lo sfruttamento delle complementarità tra strumenti monetari e fiscali, a condizione che la credibilità degli impegni verso obiettivi desiderabili a lungo termine (vale a dire una crescita sana in condizioni di stabilità dei prezzi e sostenibilità del debito pubblico) sia preservata e sostenuta da un quadro istituzionale resiliente – una posizione che io stesso avevo difeso in precedenza (Bossone, 2015).

Tuttavia, come discuterò in seguito, le forze della globalizzazione richiedono a ciascun paese di considerare quanto realmente efficaci possano essere le proprie politiche macro, tenuto conto delle caratteristiche e delle circostanze che contraddistinguono le singole economie. La scelta delle politiche di ciascun paese nell’odierno contesto finanziario globale suggerisce di rivisitare alcuni degli insegnamenti lasciatici da John Maynard Keynes (JMK), in particolare in considerazione della sua profonda conoscenza dei mercati finanziari globali e di come i mercati influenzano le economie dei paesi.

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eticaeconomia

La MMT spiega la crisi dell’Eurozona ed il ruolo della moneta?

Un commento a Bonetti e Paesani

di Angelantonio Viscione

1365403412 mnb srequestmanagerqaaNell’articolo “La MMT dalla teoria alla prova dell’Eurozona”, Alessandro Bonetti e Paolo Paesani ripercorrono sul Menabò i cardini della Teoria della Moneta Moderna per offrire una chiave di lettura ed alcuni spunti di riflessione riguardo la recente storia della crisi dei debiti sovrani dell’Eurozona. Bonetti e Paesani, infatti, nella parte finale del proprio contributo confrontano brevemente l’interpretazione dell’eurocrisi avanzata dai teorici MMT con quelle di altri filoni di ricerca, allo scopo di stimolare un dibattito che immerga la teoria economica nell’esperienza dell’eurocrisi e viceversa. Partendo proprio da dove si conclude il contributo dei due autori, questo articolo evidenzia più da vicino alcuni caratteri peculiari della crisi dei debiti sovrani, per poi offrire un ulteriore spunto di riflessione di tipo teorico.

Innanzitutto, la crisi che ha colpito le economie europee tra il 2008 ed il 2009 ha riguardato i debiti sovrani, generalmente, solo in seguito ai piani di salvataggio adottati dagli Stati dell’Unione monetaria. Lo riconosceva lo stesso ex vice-presidente della Banca centrale europea, Vítor Constâncio, in un ormai celebre discorso tenuto ad Atene nel 2013 in cui sosteneva che, contrariamente ai debiti pubblici, è stato il livello complessivo del debito privato ad aumentare di ben il 27% durante i primi sette anni dell’Ume ed, in modo particolare, in Paesi che successivamente sarebbero stati sotto forte pressione come Grecia (+217%), Irlanda (+101%), Spagna (+75,2%) e Portogallo (+49%), mentre la crescita ripida del debito pubblico sarebbe iniziata solo dopo – e non prima – lo scoppio della crisi finanziaria.

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cumpanis

Sraffa, Marx e la “Critica dell’economia politica”

di Alberto Lombardo

Prosegue, con questo intervento di Alberto Lombardo, il dibattito apertosi su "Cumpanis" sul rapporto tra Sraffa e Marx, a cui hanno dato vita gli studiosi Federico Fioranelli, Ascanio Bernardeschi e Giorgio Gattei

9780333542248 0 0 0 75Il “Capitale – Critica dell’economia politica”

Perché Marx fece seguire il sottotitolo “Critica dell’economia politica” al titolo della sua più celebre opera? Se ci si soffermasse accuratamente su questo particolare, tanto in mostra quanto sfuggito ai più, probabilmente tutta una serie di equivoci si sarebbero evitati.

“Critica” significa che l’ultima cosa che Marx volesse fare era costruire un “sistema” (di hegeliana memoria) che spiegasse i meccanismi dell’economia a partire da leggi preesistenti (nel senso che esistono prima e indipendentemente da) i reali e multiformi e innumerevoli processi che invece si vogliono spiegare. Dove per “spiegare” Marx ci ha insegnato che egli intende: realizzare un’astrazione storicamente determinata” per cogliere, al di là dei dati empirici, le tendenze generali e la connessione logica e storica. Quindi tutto il contrario di quello che la “scienza economica”, in particolare quella odierna, pretende di trovare: sistemi autoconsistenti, che trovano rispondenza nella coerenza matematica dei modelli.

Tra parentesi vogliamo anche criticare la tendenza opposta, che è quella econometrica, in cui spesso si affastellano dati statistici estremamente dettagliati, che spesso mancando di trovare la corrispondenza con le teorie di cui sopra, si affannano a ritagliarne altre che si adattano perfettamente ai propri dati, ma spesso a non molto altro.

Tutte le categorie – e in particolare quelle dell’economia politica, quali il lavoro, il denaro, ecc. – sono frutti dell’astrazione.

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cumpanis

Il “lupo marxicano”

di Giorgio Gattei

Giorgio Gattei, docente e storico del pensiero economico ed economista marxista italiano, che ha partecipato al dibattito apertosi nella Sezione Quadri di "Cumpanis" sulla questione Sraffa - Marx, ci invia questo suo prezioso contributo, con Sraffa ancora protagonista

Immagine pierino e il lupoCome fu che Pierino Sraffa chiuse in gabbia il “lupo marxicano”, ma lasciandoci la chiave per ridargli la libertà ("Dianoia", giugno 2018)

Quando nel 1988 ho letto per la prima volta Pierino e il lupo di Gianfranco Pala (dono graditissimo dell’autore) adesso ripubblicato da Franco Angeli, mi sono divertito come non mai: brillante, intelligente, irriverente, prendeva a pretesto l’omonima favola sinfonica (1936) di Serghei Prokofiev (la cui storia è riportata integralmente, a spizzichi, nel corso del libro) per servirsene come il canovaccio per narrare, come recita il sottotitolo, «come fu che Pierino (Sraffa) riuscì a catturare il lupo marxicano salvandolo dai fucili dei cacciatori, epperò facendolo rinchiudere in gabbia».

Tuttavia il libro è prolisso, zeppo di note e di due appendici che fanno quasi un volume a parte, e poi tratta di un argomento, quale la “teoria del valore-lavoro e dintorni”, che oggi pare questione d’archeologia. Ci sono, insomma, troppe parole e troppi animali, col richio che il lettore poco addentro alle segrete cose della “triste scienza” (la political economy di un tempo) finisca per perdersi in tanto zoo. Certamente una ristampa alleggerita di alcune parti polemiche (su temi che allora erano oggetto di feroci dibattiti, ma che adesso non dicono più nulla) avrebbe favorito, ma tant’è: lo si è voluto ripubblicare tale e quale. Trattandosi tuttavia di un libro importante che riporta in scena argomenti cruciali (“critici”, come avrebbe detto il lupo marxicano) che mai andrebbero dimenticati dagli economisti, azzardo un riassunto della trama e ci ricamo un po’ sopra per dar conto anche del seguito della storia di Pierino e del suo lupo, che fortunatamente non si è fermata al 1988, vigilia del più tristo 1989.

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bollettinoculturale

Discussioni circa la teoria della crisi di Itoh

di Bollettino Culturale

unnamed 1k86hLa letteratura marxista dedicata allo studio delle crisi economiche è piuttosto ampia e poco condivisa. I diversi filoni teorici tendono a concentrarsi su un solo aspetto del processo di riproduzione del capitale ed a collocarlo come elemento determinante della crisi. Il sottoconsumismo cerca di spiegare la crisi adducendo l'incapacità della società di consumare tutto ciò che produce; i teorici della sproporzione sottolineano che lo squilibrio tra i vari settori produttivi impedisce la piena realizzazione del valore prodotto; la teoria della carenza di manodopera sostiene che l'aumento dei salari può essere una barriera all'accumulazione, e così via. Tutte queste spiegazioni puntano ad aspetti osservabili dell'apparenza del fenomeno, ma non riescono a identificare i nessi causali sottostanti in modo tale da riunire le contraddizioni del capitalismo in un corpo teorico coerente e consistente.

Lo scopo di questo articolo è analizzare, alla luce della legge generale dell'accumulazione del capitale e di altri sviluppi teorici di Marx, gli argomenti della teoria della crisi basata sulla scarsità di forza lavoro (nota anche come profit squeeze). Makoto Itoh, il principale rappresentante di questo filone teorico, intende dimostrare che l'aumento dei salari, derivante dall'esaurimento dell'esercito industriale di riserva, costituisce una barriera all'accumulazione e, quindi, l'elemento causa della crisi. Questa proposizione contraddice la tesi fondamentale dell'opera di Marx secondo cui il capitalismo produce inevitabilmente una sovrappopolazione relativa che tende a ridurre i salari, anche se presenta, in alcuni periodi, un aumento dei tassi salariali.

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machina

Introduzione allo studio dell'economia politica

di Andrea Fumagalli

0e99dc 4d6662f7e7db47fe96466da2527f0536mv2Questa settimana ospitiamo un contributo di Andrea Fumagalli, economista ed interlocutore privilegiato della rubrica Transuenze, che anticipa il libro «Valore, moneta, tecnologia» in uscita per la collana Input. Si tratta di un articolo di introduzione allo studio della storia dell'economia politica, propriamente formativo in quanto concepito per coloro che si approcciano allo studio dell'economia. Crediamo che un contributo teorico di questo tipo possa aiutarci ad analizzare le trasformazioni del lavoro e della produzione. 

* * * *

«Con la frantumazione della filosofia morale in quattro branche distinte e autonome (la teologia naturale, l’etica, la giurisprudenza e l’economia politica), preconizzata da Francis Hutchenson e resa canonica dal suo ben più celebre allievo, Adam Smith, prende avvio la strana storia di un’affascinante scommessa intellettuale: la ricerca del senso e del fine del lavoro umano alla luce di una rinnovata ragion pura (la “razionalità economica”), indipendente dalle suggestioni evocate dall’antica condanna biblica, e di una pressante ragion pratica (“l’analisi sociale”) imposta dall’insorgere del capitalismo come modo di produzione storicamente determinato». 

Così, con le efficaci parole di Francesco Campanella [1], si può enunciare la nascita dell’economia politica come disciplina umanistica e sociale a sé stante. Parliamo di disciplina umanistica e sociale, perché l’oggetto di studio è l’analisi dell’evoluzione dei rapporti economici tra gli esseri umani. E in quanto disciplina umanistica, l’analisi economica ha sempre presentato punti di vista e metodologie d’analisi diverse e spesso contrapposte. 

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lafionda

Alcune note a margine sul neoliberismo

Dall’«ordine spontaneo» di Hayek al «triedro del potere» di C. Galli

di Salvatore Bianco

banksy taube2 e1531196598554Avvertiti della lezione socratica, che di ogni cosa incitava a chiarificarne il senso, e al netto del neoliberista di turno che dirà sempre e comunque che il neoliberismo semplicemente non esiste, avviamo queste brevi note col dichiarare in esplicito che si assumerà qui il neoliberalismo quale paradigma economico storicamente determinato. Corre l’obbligo altresì precisare che si utilizzerà la nozione di «paradigma» nell’accezione classica coniata da Thomas Kuhn, sia pure nel contesto ancora limitato delle rotture epistemologiche (La struttura delle rivoluzioni scientifiche,1962), per rimarcare la dimensione non solo teoretica ma preminentemente pratica del nuovo modello economico vincente. In apertura del suo famoso saggio scrive infatti Kuhn che il paradigma è «una costellazione di concetti, percezioni e valori che creano una particolare visione della realtà» per cui rappresenta «gli occhiali attraverso cui vediamo la realtà» e, ovviamente, dei relativi modi di agire.[1]

Attraverso una vera e propria rivoluzione economica e sociale, sia pure apparentemente incruenta, sul finire degli anni Settanta una nuova visone generale del mondo ha cominciato, infatti, ad affacciarsi nelle già travagliate società occidentali. Ha demolito in un decennio, o poco più, lo Stato sociale keynesiano, egemonico nel trentennio precedente, istituendo via via, in forme sempre più compiute, una «sovranità globale di mercato».

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cumpanis

Ricardo, Marx, Sraffa e i comunisti

di Ascanio Bernardeschi

Nella Sezione "Scuola Quadri" di "Cumpanis" è stato pubblicato, lo scorso 29 aprile, un intervento del professore di Economia e Diritto, e collaboratore del nostro giornale, Federico Fioranelli. Un articolo relativo al pensiero del grande economista comunista Piero Sraffa. In relazione a questo articolo ci ha inviato una propria riflessione il compagno Ascanio Bernardeschi, del giornale comunista on-line "La Città Futura". Bernardeschi è un compagno ed un intellettuale marxista che molto stimiamo e che ringraziamo per la sua attenzione al nostro giornale. Pubblichiamo l'interlocuzione di Bernardeschi, alla quale seguirà una replica del compagno Fioranelli

Antonio Gramsci e Piero Sraffa per aticolo di BernardeschiIl 29 aprile, su Cumpanis, Federico Fioranelli propone un buon sunto del contributo di Piero Sraffa all’economia politica volto a rivalutare la teoria degli economisti classici e in particolare quella di David Ricardo, di cui l’illustre economista era un profondo conoscitore, e a porre le basi per una critica della teoria economica marginalista.

La parte dell’articolo che riferisce i contributi precedenti a Produzione di merci a mezzo di merci espone succintamente alcune critiche assai penetranti di quella teoria la quale, per puri motivi ideologici, rappresentava all’epoca di quelli scritti, che dista quasi un secolo dall’oggi, l’ortodossia sciorinata in tutte le salse ai malcapitati studenti dei corsi di economia politica, o economics, come si ama dire oggi dopo aver sbianchettato la parola “politica”. Purtroppo, nonostante quelle critiche, questa ortodossia sopravvive tuttora. Credo che comunque, averne lucidamente evidenziato le falle, sia stato un grande merito di Sraffa, forse il suo maggiore, nonostante sia poco conosciuto. È cosa assai apprezzabile quindi che sia stato messo a conoscenza del lettore di Cumpanis.

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bollettinoculturale

Note su due libri della Mazzucato

di Bollettino Culturale

3500Il libro della Mazzucato “Il valore di tutto: chi lo produce e chi lo sottrae nell'economia globale” tratta del valore nell'economia digitale e globale di oggi. In tutto il libro, l'autrice incarna rigorosamente il sospetto più o meno generale che qualcosa non vada bene nel modo in cui il valore è considerato nelle nostre economie. Gli esempi della strana considerazione del valore sono molteplici, ma ne citiamo alcuni per iniziare: quando la spesa per riparare un disastro ecologico è considerata come produzione di valore (cioè aumenta il PIL) o quando gli attori economici che ottengono i maggiori benefici sono, tra gli altri, quelli finanziari, il cui contributo alla creazione di valore - nella crisi, nella bolla immobiliare, o quando scommettono con i loro prodotti finanziari contro il recupero di un paese in crisi, come accadde con la Grecia o la Spagna alcuni anni fa - è abbastanza inspiegabile per la maggior parte delle persone.

Il libro è stato positivamente sorprendente per me. E non tanto per il contenuto ma piuttosto per il tono, la struttura e, credo soprattutto, per la posizione da cui l'autrice enuncia il suo discorso. Mazzucato sembra farlo, in una certa misura, dal centro del sistema: è una star quasi mediatica, i suoi libri sono promossi come best seller e dirige un istituto di politica pubblica e innovazione presso una prestigiosa università londinese, di cui si può citare come dettaglio illustrativo 26 premi Nobel tra ex studenti e professori.

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cumpanis

Il fondamentale contributo di Piero Sraffa al riscatto del pensiero economico classico

di Federico Fioranelli

Ritratto di Piero SraffaPiero Sraffa è un economista che ha lasciato un segno profondo nella storia dell’economia politica. Con i suoi lavori, è riuscito infatti a portare a termine due progetti estremamente ambiziosi: mettere in luce i punti deboli dell’approccio neoclassico all’economia e rafforzare le fondamenta della scuola classica di pensiero economico risolvendo l’unica questione lasciata irrisolta da David Ricardo e Karl Marx.

Nato a Torino il 5 agosto 1898 in una famiglia ebraica benestante, si laurea in giurisprudenza nel novembre 1920 con una tesi su “L’inflazione monetaria in Italia durante e dopo la guerra” con Luigi Einaudi come relatore.

All’Università di Torino stringe un rapporto di amicizia con Antonio Gramsci. Quando quest’ultimo fonda “L’Ordine nuovo”, Sraffa collabora con degli articoli e con alcune traduzioni dal tedesco. In seguito, dopo l’arresto di Gramsci nel 1926, Sraffa si impegna a fare arrivare libri e riviste all’amico in carcere, a ricercare le strade per fargli ottenere la libertà (senza con questo cedere al fascismo, ad esempio con una domanda di grazia) e a tenere i collegamenti con i dirigenti comunisti in esilio.

Nel novembre 1923 viene nominato docente di economia politica e di scienza delle finanze presso l’Università di Perugia.

Nel 1925 Sraffa pubblica “Sulle relazioni fra costo e quantità prodotta”, il suo primo contributo importante di critica distruttiva della scuola neoclassica di Jevons, Menger, Walras e Marshall. In particolare, con questo articolo, vuole mettere in evidenza gli aspetti che mancano di coerenza logica all’interno della teoria marshalliana dell’equilibrio parziale dell’impresa.

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bollettinoculturale

Discussione sulla Modern Monetary Theory: pregi e limiti

di Bollettino Culturale

unnamed90885fyIntroduzione alla MMT

Secondo la Modern Monetary Theory (MMT), le principali difficoltà di bilancio che ogni paese deve affrontare sono, in realtà, poste dai governi stessi che seguono la visione ortodossa della "finanza sana". Cerchiamo di affrontare le principali intuizioni della MMT. Quando si discute della visione della MMT, si parte principalmente dalle idee di Randall Wray, il principale esponente di questa linea di pensiero.

La base teorica della MMT è la Finanza Funzionale di Abba Lerner e la nozione cartalista nozionale della valuta di Knapp. Entrambe le teorie mettono in discussione la visione convenzionale ed egemonica della condotta delle politiche macroeconomiche. In considerazione di ciò, si propone di sollevare le principali critiche della MMT alla visione ortodossa della "finanza sana", difesa dal New Macroeconomic Consensus (NMC). La MMT evidenzia importanti intuizioni che consentono di comprendere la necessità di un regime fiscale più flessibile, che dia spazio ad azioni strategiche di governo, con l'obiettivo principale di mantenere la piena occupazione.

La MMT parte dalla teoria cartalista della moneta, secondo la quale lo Stato ha la prerogativa di emettere la moneta e, attraverso la riscossione delle tasse denominate in quella moneta, imporre le sue richiesta alla società. La moneta fiat è vista come un "simbolo" che rappresenta per il pubblico la capacità di far fronte agli oneri con lo Stato.

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osservatorioglobalizzazione

Blockchain, criptovalute e economia verde: occhio ai facili entusiasmi…

di Costantino Rover

CaptureLa tecnologia della blockchain è una tecnologia fantastica che cambierà il nostro modo di agire, di scambiarci la proprietà delle cose, di scrivere contratti e persino di pensare e di essere.

Sembra una strada spianata verso la libertà digitale di ciascuna persona ed anche la via maestra verso la green economy.

In superficie è una promessa di quelle che rassicurano.

Abbiamo scavato per cercare le auspicate conferme.

Blockchain e Bitcoin sono davvero la rivoluzione verde verso cui siamo convinti di essere in cammino?

Sono compatibili fra di loro, sviluppo economico e finanziario sostenibile, politiche ambientaliste, politiche salariali, blockchain e cryptocurrency?

Questi ultimi anni sono stati caratterizzati dal ripetuto annuncio della rivoluzione della blockchain, dalla comparsa di molteplici cripto valute e dal lancio della campagna per la guerra ai cambiamenti climatici. Ma siamo certi che la blockchain, il Bitcoin più le sue sorelle e il friday for future siano compatibili tra di loro?

Con la blockchain possiamo già da oggi comprare e vendere e persino possedere monete non emesse da banche, non vincolate ad una area geografica, ad uno Stato, un confine o a un mercato specifico.

Con la blockchain potremo anche garantire servizi pubblici o monitorare la supply chain (cioè la filiera completa: dal produttore al consumatore passando attraverso tutta la catena di fornitori, trasportatori…) e persino la qualità di ciò che indossiamo o mangiamo.