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sinistra

Osservazioni e critiche a “Catastrofe o rivoluzione” di Emiliano Brancaccio

di Gianni De Bellis e Mario Fragnito

unnamedliuds64p29Cerchiamo di fare alcune osservazioni e alcune critiche al lavoro di Emiliano Brancaccio “Catastrofe o rivoluzione”, tenendo conto che, essendo il compagno un accademico, il lavoro è stato scritto, appunto, con “linguaggio accademico”. Ci scusiamo in anticipo della nostra ripetitività, ma è dovuta alle osservazioni da noi fatte punto per punto, e al ribattere di certi concetti da parte di Brancaccio.

Iniziamo dal prologo, in cui Brancaccio, anticipando una sua tesi, dice:

<< la libertà del capitale e la sua tendenza a centralizzarsi in sempre meno mani costituiscono una minaccia per le altre libertà e per le istituzioni liberaldemocratiche del nostro tempo. Dinanzi a una simile prospettiva Keynes non basta, come non basta invocare un reddito. L’unica rivoluzione in grado di scongiurare una catastrofe dei diritti risiede nel recupero e nel rilancio della più forte leva nella storia delle lotte politiche: la pianificazione collettiva >>.

Ora, punto primo:

Marx, in relazione al modo di produzione capitalistico, ha sempre parlato, per quanto ne sappiamo, di “libertà per il borghese (innanzitutto libertà di sfruttare i proletari)” e di “schiavitù del lavoro salariato” per il proletario. Più estesamente: la libertà in ambito borghese è in ultima istanza libertà per il capitale; tutte le altre libertà devono, all’occorrenza, essere ad essa sacrificate, manifestando così la loro falsità, la loro apparenza soltanto, di verità.

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lafionda

Ritorna la critica dell'economia politica

di Carlo Magnani

Emiliano Brancaccio, “Non sarà un pranzo di gala. Crisi, catastrofe, rivoluzione”, Meltemi 2020

RCB S 001405 0036h ksII U31702063286581TtC 526x284Corriere Web SezioniCi sono molte ragioni, specie per chi intende ancora oggi perseguire la via del pensiero critico, per trovare assai utile la lettura dell’ultimo libro dell’economista Emiliano Brancaccio. Il testo è costruito in modo tale da potere essere apprezzato anche da chi non possiede specifiche conoscenze di economia: non si tratta del solito “papers”, come sfotte la categoria Giulio Sapelli, infarcito di inglese e di tabelle micragnose. Siamo convinti che Brancaccio sia anche un ottimo analista economico ma fortunatamente qui non ce lo dimostra, preferendo concentrarsi sui principali nodi di politica economica che attanagliano il presente. Dopo la chiara introduzione del curatore, Giacomo Russo Spena, il lettore incontra tre parti: in primo luogo, una serie di interviste che datano dal 2007 al 2020; poi, i resoconti di confronti che Brancaccio ha intrattenuto in occasioni pubbliche con alcuni autorevoli economisti (spicca su tutti per valore quello con Olivier Blanchard, ex capo economista del Fondo Monetario Internazionale, ma figurano anche dialoghi con Mario Monti e Romano Prodi); ed infine, un terzo momento è costituito da un recente saggio che costituisce una ideale chiusura teorica di tutto il lavoro.

Dovendo sintetizzare in una sola battuta l’intero libro verrebbe da dire: “finalmente ritorna la critica dell’economia politica”, intendendola proprio nel senso più genuinamente marxiano del termine. Si ha l’impressione, ascoltando e leggendo Brancaccio, di ritornare in quei luoghi dove tutto cominciò, di riascoltare quel gergo al contempo scientifico e politico che produsse la critica di classe al capitalismo; di riconnettersi cioè con la consapevolezza teorica che fu alla base di quel vasto mondo che si chiamava movimento operaio.

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machina

La Modern Monetary Theory

Intervista a Marco Veronese Passarella

0e99dc 8828927c1ecb4f22aa9ac7d2fafc149cmv2Con l’articolo Economia della dismisura di Christian Marazzi, abbiamo avviato il percorso che abbiamo definito «Governo della crisi» (https://www.machina-deriveapprodi.com/post/pensare-il-transito). La seguente intervista, proseguendo nel solco tracciato dal testo di presentazione della rubrica, analizza gli strumenti messi in campo dalle istituzioni finanziarie e tratteggia le caratteristiche del nuovo corso che si sta imponendo, spiegando, in particolare, i capisaldi della Modern Monetary Theory, dottrina economica salita alla ribalta negli ultimi mesi. Marco Veronese Passarella è docente di macroeconomia presso la Leeds University e autore di articoli su riviste scientifiche internazionali, tra le quali il «Cambridge Journal of Economics», il «Journal of Economic Behavior & Organization» e il «Journal of Policy Modelling».

* * * *

La crisi sanitaria ed economica che stiamo vivendo ha determinato la revisione del paradigma neoliberista che ha guidato le politiche fiscali e monetarie negli ultimi decenni. L’iniezione di liquidità senza precedenti promossa dalle banche centrali coniugata con i provvedimenti presi dai governi nei mesi di pandemia, segnalano un cambiamento nella strategia complessiva di governo della crisi. Inoltre, sono gli stessi organi che in questi anni hanno dettato e imposto l’austerity e il contenimento del debito pubblico, oggi richiedono uno scarto: pensiamo, ad esempio, alle dichiarazioni di Kristina Georgieva, direttrice del Fondo Monetario Internazionale, che ha invocato «una nuova Bretton Woods». Pensi che si possa definitivamente affermare che siamo davanti alla fine dell’egemonia neoliberale?

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bollettinoculturale

Una critica alla teoria dell'utilità marginale

di Bollettino Culturale

Marxistische KritikLa teoria del valore è stato un campo di discussione permanente in economia: le due linee principali (teoria del valore-lavoro e teoria dell'utilità marginale) hanno presentato approcci totalmente dissimili alla questione.

La teoria del valore-lavoro, proposta da Adam Smith e continuata da David Ricardo, postula che il valore dei beni dipende dalla quantità di lavoro socialmente necessaria per la loro produzione. L'approfondimento di questa teoria, portato avanti da Karl Marx, ha portato alla formulazione della nozione di plusvalore (un aumento di valore che viene trattenuto dal capitalista a scapito del lavoratore).

Le derivazioni della teoria del valore-lavoro e dei concetti che ne derivano (generazione di plusvalore e sfruttamento della forza lavoro) sono state molto disturbanti per l'attuale ordine sociale. Questa teoria, quindi, ha superato l'ambito della discussione accademica ed è stata ampiamente utilizzata nei dibattiti politici del XIX e XX secolo.

Con l'obiettivo esplicito di cercare un'altra base di sostegno alla teoria del valore, che presentasse meno conflitti sociali, alla fine del XIX secolo un gruppo di economisti iniziò ad abbozzare una proposta alternativa. I lavori di Stanley Jevons, Karl Menger e León Walras, seguiti da quelli di Eugen Böhm-Bawerk, Alfred Marshall e Vilfredo Pareto, hanno gettato le basi per una teoria del valore basata sulle preferenze del consumatore utilizzando i concetti di utilità o ofelimità e concentrandosi sull’analisi del comportamento delle unità aggiuntive, dando origine all'approccio marginalista.

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Ragionando sulla domanda effettiva

di Bollettino Culturale

marx keynes3

Il principio della domanda effettiva in Kalecki

Dalla critica di Marx alla legge di Say e accettando gli aspetti strettamente economici della teoria del valore e della distribuzione classica, Kalecki cerca di sviluppare una nuova teoria del prodotto e dell'accumulazione. Proporre lo sviluppo degli schemi di riproduzione presentati da Marx e un modo per spiegare le crisi come fenomeni che possono avere effetti a lungo termine a livello normale del prodotto.

La proposta di Kalecki è quindi la seguente: basato su una teoria del valore e della distribuzione basata sulla nozione classica di surplus, il meccanismo che descrive la relazione tra risparmio e investimento e fornisce le basi per una teoria del prodotto si basa sul principio della domanda effettiva.

La formulazione kaleckiana del principio della domanda effettiva prende come punto di partenza l'idea che non vi sia alcuna garanzia che la domanda aggregata possa essere sufficiente ad assorbire il prodotto generato dal normale utilizzo dello stock di capitale esistente. Una delle componenti della domanda aggregata, l'investimento, sarà la determinante del livello di risparmio nel sistema. Kalecki esclude da questa analisi la possibilità che si verifichino squilibri in un settore isolato dell'economia a causa di sproporzioni tra i settori produttivi, poiché la sua idea è di lavorare con un'analisi a lungo termine.

Utilizzando il principio della domanda effettiva per colmare il divario tra una teoria del valore e della distribuzione e una teoria del prodotto, possiamo vedere due percorsi teorici: uno basato su una critica alla teoria della scuola marginalista, ma utilizzando la sua teoria del valore, che è stato utilizzato da Keynes.

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La storia è una severa maestra

di Roberto Artoni

Un sintetico viaggio nell’ultimo secolo della politica economica italiana, iniziato brillantemente da Giolitti e Nitti e concluso con l’adesione alle politiche neoliberiste, che dopo quasi trent’anni di applicazione mostrano tutta la loro disastrosa inadeguatezza, aggravata dalle incongruenze della costruzione europea. E’ ormai ora di prenderne atto, sia nel nostro paese che nella Ue

28071169 1498666336869799 7332311370127128026 oPuò essere utile rileggere la storia economica italiana in termini delle teorie che hanno guidato le scelte concretamente effettuate dalle autorità di politica economica. Se si vuole, si tratta di elaborare il noto passaggio della Teoria Generale in cui Keynes afferma che “Practical men who believe themselves to be quite exempt from any intellectual influence, are usually the slaves of some defunct economist”. In questa sede i “practical men” sono i responsabili delle scelte e dell’attuazione degli interventi nella sfera economica e sociale. Gli economisti sono gli ispiratori del ceto politico e amministrativo; non sono necessariamente defunti, ma possono essere perfettamente attivi.

 

Nitti e il periodo giolittiano

Conviene partire dal primo decennio del secolo scorso per l’influenza che gli indirizzi seguiti in quegli anni ebbero nei decenni successivi. Ispiratore dell’impostazione di politica economica in numerosi scritti e responsabile dell’attuazione per gli incarichi ministeriali via via ricoperti fu Francesco Saverio Nitti. Alla base della sua visione sta l’enunciazione di tre principi essenziali per il buon funzionamento di una società moderna: responsabilità sociale, giustizia sociale e arbitrato sociale, di cui vedremo poi i contenuti nella descrizione di Einaudi. Questi principi si contrapponevano drasticamente ai caratteri di una società ispirata a criteri liberisti che per Nitti si riassumevano nella responsabilità puramente individuale non integrata da meccanismi di protezione sociale, nella concorrenza sfrenata e nella lotta fra individui e classi sociali [Artoni, R., Nitti in “il contributo italiano alla storia del Pensiero, Treccani, 2012].

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economistidiclasse2

Crisi capitalistica, socializzazione degli investimenti e lotta all’impoverimento

di Riccardo Bellofiore e Laura Pennacchi

Introduzione all’edizione italiana di Ending Poverty. Jobs not Welfare. In: Hyman P. Minsky, Combattere la povertà. Lavoro non assistenza, traduz. di Anna Maria Variato, Ediesse, Roma, 2014, pp. 11-44

HymanMinsky 1Il pensiero di Hyman P. Minsky è tornato d’attualità con l’approssimarsi e poi lo scoppio della crisi finanziaria dell’estate del 2007, la cosiddetta crisi dei subprime, sin dai primi mesi di quell’anno [1]. Era già capitato almeno un paio di volte nel decennio precedente: Paul McCulley di PIMCO aveva evocato un Minsky moment a proposito della crisi russa del 1998 e George Magnus di UBS aveva ripreso il termine nella prima metà del 2007. I più attenti erano stati i bloggisti e gli analisti finanziari. La crisi era giunta come una sorpresa per i più. In realtà, essa covava da tempo, e le sue ragioni tutto avrebbero dovuto apparire meno che misteriose.

 

La Grande Recessione

La sequenza degli avvenimenti è stata classica. Lo sgonfiamento della bolla immobiliare nel 2005 ha generato, prima, la crisi del mercato dei subprime, con annessi e connessi: fallimento di hedge fund, blocco di leveraged buy out, crisi di banche di investimento. Poi sono venuti i segnali di illiquidità e di stretta creditizia, che hanno fatto temere che l’illiquidità si mutasse in insolvenza. Il castello delle relazioni di debito-credito è andato in fibrillazione, le banche hanno cessato di farsi credito l’un l’altra e la preferenza per la liquidità e per i titoli di Stato si è innalzata drasticamente, così come il premio per il rischio. Il bisogno di un intervento delle banche centrali quali prestatori di ultima istanza è divenuto parossistico, e la spinta ad una riduzione dei tassi di interesse irresistibile. Una successione nota, ma che ha visto stavolta qualche novità nei protagonisti, gli strumenti finanziari che hanno costruito il castello della speculazione.

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sinistra

La teoria della moneta moderna non aiuta1

di Doug Henwood2

La MMT viene definita dai suoi sostenitori come un nuovo modo radicale di comprendere il denaro e il debito. Ma ci vorrà più di qualche battuta sulla tastiera di un computer per cambiare l'economia

unnamed98732nntyrQuando li sogniamo, quando li sogniamo, quando li sogniamo
Li sogneremo, li sogneremo gratuitamente, soldi gratis
soldi gratis, soldi gratis, soldi gratis, soldi gratis, soldi gratis, soldi gratis

— Patti Smith

Ora che le politiche rese famose da Bernie Sanders, come Medicare for All e il college gratuito, e quelle più recenti come il New Deal verde3, stanno penetrando nel mainstream politico, i sostenitori si trovano sempre più di fronte alla domanda: "come li pagheresti?" Sebbene a "questa domanda" ci siano buone risposte che potrebbero anche essere ridotte ad una lunghezza e ad un vocabolario adatti alla TV, non sempre sono fruibili. Persino i socialisti autodefinitisi sembrano avere difficoltà a pronunciare la parola "tasse". Quanto sarebbe bello se si potesse semplicemente respingere la domanda come una distrazione irrilevante?

Esiste opportunamente una dottrina economica che consente di fare proprio questo: la Modern Monetary Theory (MMT). La neoeletta Alexandria Ocasio-Cortez manifesta almeno una certa curiosità per la MMT, e tale teoria è presente in tutti i gruppi di lettura marxisti e nei capitoli dedicati ai Democratic Socialists of America. Si sta diffondendo persino nelle pubblicazioni aziendali: Joe Weisenthal di Bloomberg è un simpatizzante di tale dottrina. James Wilson del New York Times ha twittato recentemente: "La velocità con cui i giovani attivisti sia di sinistra che di destra stanno migrando verso la MMT avrà un profondo effetto sulla politica americana negli anni 2020- 2030".

Mentre gli adepti affermano strenuamente che la MMT è più fine e più complessa di questo, il suo punto di forza principale è che i governi non devono tassare o prendere in prestito per spendere: possono semplicemente creare denaro dal nulla. Basta pigiare alcuni tasti del computer e tutti ricevono un'assicurazione sanitaria, scompare il debito degli studenti e possiamo anche salvare il clima, senza tutto quel caotico conflitto di classe.

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ilcomunista

Le contraddizioni delle soluzioni “keynesiane” al problema della disoccupazione e la sfida del “piano del lavoro”

di Riccardo Bellofiore

INTRODUZIONE a «Tornare al lavoro. Lavoro di cittadinanza e piena occupazione», a cura di Jacopo Foggi, Castelvecchi, Roma, 2019, pp. 17-27 [con saggi di Riccardo Bellofiore, Sergio Cesaratto, Guglielmo Forges Davanzati, Mathew Forstater, Claudio Gnesutta, Philip Harvey, Enrico Sergio Levrero, William Mitchell, Mario Seccareccia, Pavlina Tcherneva, Randall Wray et al.]

imageik09756grIl libro sui piani di lavoro garantito curato in modo esemplare da Jacopo Foggi per lo CSEPI è un volume importante, tanto per la qualità e la completezza di quello che contiene e che dice, quanto per quello che resta sullo sfondo e rimane ancora da articolare con più precisione e ricchezza, e magari da mettere meglio a fuoco. In queste poche righe di introduzione mi propongo di presentare al lettore, senza alcuna possibile pretesa di completezza, alcune considerazioni evidentemente soggettive, essendo io stesso parte attiva di questo dibattito in corso.

Il problema della disoccupazione in Italia è un problema che affonda le radici nel passato. Anche limitandoci al secondo dopoguerra, non solo esso non è stato mai risolto, ma alla sua risoluzione non hanno affatto contribuito né la apertura al commercio internazionale, né il miracolo economico, né gli abortiti tentativi di programmazione: semmai, l’emigrazione. La svolta degli anni ’80 prima peggiorò le cose, poi provvide una falsa soluzione nella sottoccupazione dovuta alla caduta della produttività e alla precarizzazione. Si può dubitare che sia mai davvero esistita da noi una fase keynesiana (molti guardano con nostalgia malriposta ai cosiddetti trent’anni gloriosi), e il keynesismo criminale stigmatizzato da de Cecco ne fu un povero sostituto. Il che lascia dubitare che sia possibile una soluzione keynesiana oggi, fondata sulla sola espansione della domanda effettiva, che rovesci l’austerità che ci accompagna da decenni. Si può dire che in varia forma la disoccupazione si sia tramandata tanto nello sviluppo quanto nella crisi, come anche che la crisi italiana sia di lunga durata, e risalga in realtà alle occasioni perse di metà anni ’60. È una crisi che ha aspetti strutturali, non solo congiunturali: e la stessa cosa si può dire della problematica della disoccupazione. La crisi recente, successiva alla nuova “grande crisi” esplosa nel 2007-2008 e aggravata dalle dinamiche interne all’area europea, va relativizzata come parte di questo quadro complessivo.

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kriticaeconomica

Alle radici della teoria marginalista. Una nota teorica

di Andrea Galeotti

Parte I

bce1200 1Il recente attacco della Corte Costituzionale Tedesca alla BCE può far “cadere dal pero” solo i più o meno consapevoli sostenitori della neutralità della politica monetaria. Sarebbe precisamente questa neutralità che le recenti misure (PEPP – Pandemic Emergency Purchase Programme) metterebbero, secondo l’accusa, fortemente a rischio. Come recentemente osservato da Brancaccio, il vero problema è che questa neutralità non esiste.

Tale neutralità è esclusivamente e rigorosamente difendibile se – e solo se – si è pronti ad accettare le fondamenta teoriche della macroeconomia neoclassica. Ovvero, la teoria marginalista del valore e della distribuzione.

Lo scopo di questa prima nota è quello di mettere a scrutinio le premesse teoriche necessarie per poter sostenere che esista una naturale tendenza a un equilibrio di piena occupazione. In una seconda nota, mostreremo come queste premesse siano necessarie anche per poter sostenere la stessa neutralità della politica monetaria. Come vedremo, in entrambi i casi, una condizione necessaria è la specificazione del capitale come un fattore di produzione omogeneo espresso in termini di valore. Ovvero, precisamente quella concezione del capitale che le controversie degli anni ’60 e ’70 hanno dimostrato essere teoricamente indifendibile.

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micromega

L’ideologia del capitalismo ideologico. Sull’ultimo libro di Piketty

di Nicolò Bellanca

Schermata 2020 05 22 alle 00.12.01Il precedente volume di Thomas Piketty, Il Capitale nel XXI secolo, aveva una lunghezza di oltre 900 pagine. Quello appena uscito in traduzione italiana, intitolato Capitale e ideologia, consta addirittura di 1.200 pagine.[1] Le biblioteche sono piene di libri ponderosi che tanti citano, ma che quasi nessuno legge integralmente. Le opere di Piketty rischiano di subire lo stesso destino: un’analisi basata sui dati di kindle, documentò che il lettore medio lesse, del libro del 2013, appena 26 pagine.[2] Se però, con determinazione e pazienza, prendiamo in mano questa sua ultima monografia, ci accorgiamo che non è prolissa, poiché ogni suo capitolo, animato da una scrittura densa e nitida, si colloca in un disegno intellettuale unitario. Ancor più, ci accorgiamo che essa merita il tempo della lettura, poiché verte, con argomentazioni sempre pregnanti, su alcuni degli argomenti centrali nelle scienze sociali e nel dibattito pubblico: la natura del sistema economico odierno, i processi di cambiamento storico, le ragioni che giustificano lo status quo nelle comunità umane, la possibilità di realizzare un ordine sociale migliore. Nello spazio di una noterella, non posso affrontare i tanti temi che nel libro s’intrecciano. Procedo piuttosto in maniera schematica: sintetizzo alcune delle principali posizioni dell’autore in sette tesi; dopo l’illustrazione di ciascuna tesi, svolgo qualche commento critico, per concludere con poche considerazioni sull’intero ragionamento.

 

Tesi 1. Le vicende storiche ben documentate sono in grado di spiegarci come funziona il mondo.

Già nel libro del 2013, Piketty è apparso un ricercatore empirico estremamente preparato, con la propensione, tuttavia, a lasciare sottosviluppata la spiegazione teorica dei fenomeni: le sue due famose “leggi del capitalismo” consistono l’una in una tautologia e l’altra in una formula che non riceve alcuna fondazione, se non il riscontro statistico.[3]

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economiaepolitica

A proposito di Smith, Ricardo, Marx e anche Sraffa

Commento pirotecnico al libro di Riccardo Bellofiore

di Giorgio Gattei

9788855190473 0 170 0 751. Ho religiosamente compitato la collazione (rimaneggiata) di scritti che Riccardo Bellofiore ha testé dato alle stampe (R. Bellofiore, Smith Ricardo Marx Sraffa. Il lavoro nella riflessione economico-politica, Rosenberg & Sellier, Torino, 2020) e qui mi provo a recensirla. Per me è stato come compiere un viaggio a ritroso nella mia stessa vicenda intellettuale davanti alla evidenza di un identico sentire (Riccardo, come al solito, non concorderà, ma a me non importa affatto se lui non percepisce, perché io invece sì). E dire che non ci siamo mai frequentati veramente (lui a Torino e a Bergamo, io stabilmente a Bologna), sebbene entrambi avessimo da sempre condiviso l’idea generale che non c’è modo di capire l’economia politica se non se ne ripassa la storia. È stata questa la grande lezione che ha dato ad entrambi Claudio Napoleoni in quelle Considerazioni sulla storia del pensiero economico, dapprima uscite sulla “Rivista trimestrale” e poi raccolte nel 1970 sotto il titolo di Smith Ricardo Marx, che hanno segnato una intera generazione di giovanotti, allora aggressivi e irriverenti, che ambivano a farsi economisti. Poi tanti di loro si sono persi anche solo per «tirare quattro paghe per il lesso» (Giosuè Carducci, Davanti San Guido), ma non Riccardo che ha proprio voluto intitolare questa sua ultima pubblicazione a Smith Ricardo Marx+ Sraffa dove il quarto nome, che nel titolo di Napoleoni non c’era, non è affatto peregrino se proprio Napoleoni è stato il miglior divulgatore in Italia dell’unico libro di alta teoria che sia uscito nella seconda metà del Novecento: quella mitica Produzione di merci a mezzo di merci, per l’appunto, di Piero Sraffa.

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bollettinoculturale

Sulla stagnazione e la crisi del 2007

di Bollettino Culturale

crescita 1200 690x362Diversi punti di vista sulla stagnazione

La scuola stagnazionista della Monthly Review, ora proseguita con il contributo di Fred Magdoff e John Bellamy Foster, fa riferimento alle analisi suggerite da Paul Baran e Paul Sweezy negli anni '60. È proprio a loro che Foster e Magdoff si rivolgono per spiegare la simbiosi tra stagnazione e finanziarizzazione dell'economia, il punto focale delle loro analisi sulla crisi del 2007. In Sweezy la tendenza al sottoconsumo e, quindi, alla stagnazione come "la norma verso cui tende la produzione capitalista" derivava dal presupposto che gli investimenti e il consumo capitalistici sarebbero cresciuti in proporzione al reddito e che, pertanto, la quota dei salari avrebbe dovuto diminuire.

Poiché ha anche ipotizzato che la percentuale del consumo capitalista in termini di reddito sarebbe diminuita, Sweezy ha dedotto un aumento della percentuale di investimenti in reddito. Supponendo che la produzione di mezzi di consumo fosse proporzionale alla crescita degli investimenti, Sweezy dedusse che l'offerta di mezzi di consumo sarebbe cresciuta prima della domanda di mezzi di consumo, causando un eccesso cronico di capacità. Questa è la teoria del sottoconsumo e della stagnazione di Sweezy. L'errore teorico, come sottolineato da Shaikh, consiste nel considerare il dipartimento I come un input del dipartimento II e, pertanto, l'economia capitalista punta alla produzione di beni di consumo.

Per Baran e Sweezy la tendenza della moderna economia capitalistica alla stagnazione è legata all'emergere di monopoli e oligopoli. Nel loro libro del 1968, Monopoly Capital, Sweezy e Baran sostengono che gli oligopoli hanno vietato la concorrenza sui prezzi. Di conseguenza, la teoria generale dei prezzi appropriata per questa economia divenne "la teoria tradizionale dei prezzi del monopolio classico e neoclassico", ora elevata al livello di un caso generale e non più speciale.

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bollettinoculturale

Introduzione al confronto con gli economisti austriaci

di Bollettino Culturale

images 164fetUn vantaggio nel discutere con gli economisti austriaci è che, a differenza dei neoclassici moderni, sostengono che è necessaria una teoria del valore e che, inoltre, le domande fondamentali non vengono risolte facendo appello a formulazioni matematiche, come nel caso del soliti manuali microeconomici. Per questo motivo, la controversia ruota attorno a principi concettuali fondamentali.

L'idea prevalente degli economisti austriaci è che il valore derivi dall'utilità che il consumatore attribuisce al bene che acquista. Pertanto, l'accento è posto sul rapporto dell'individuo con i suoi bisogni e il bene. "Il valore dei beni si basa sul rapporto dei beni con i nostri bisogni, non sui beni stessi", scrive Menger. Di conseguenza, il valore "è il significato che beni specifici o quantità parziali di beni acquisiscono per noi, quando siamo consapevoli di dipendere da essi per la soddisfazione dei nostri bisogni.”

La valutazione del consumatore consiste nel preferire un particolare incremento di un bene rispetto a incrementi di altri beni (un modo per evitare l'obiezione nota come "il paradosso del diamante e dell'acqua"). L'individuo stabilisce una scala o una classifica delle preferenze e i prezzi sono il riflesso di questa scala.

Pertanto, e sempre secondo gli austriaci, il valore non può essere prodotto. Respingono la tesi secondo cui il capitale genera valore e che l'interesse è spiegato dalla produttività marginale del capitale o che il salario è uguale alla produttività marginale del lavoro. Come spiega Böhm Bawerk, la produzione genera solo beni che hanno valore in base alla valutazione che ne fanno i consumatori.

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asimmetrie

La monetizzazione del disavanzo nella letteratura macroeconomica recente (pre e post-Covid)

di Fulvio Corsi*

dollari volanti1200Cenni sul funzionamento dell’attuale sistema monetario

Già prima dell’arrivo del COVID-19 le principali economie europee, nonostante gli enormi interventi di politica monetaria (tassi zero o negativi e QE), si trovavano in una grave condizione di stagnazione associata ad un pericoloso rischio di deflazione. L’arrivo dello shock COVID-19 ha enormemente aggravato la già delicata situazione trascinando le economie di tutto il mondo in un profonda recessione con una ancora più accentuata dinamica deflazionistica. E’ evidente a tutti gli osservatori che imponenti misure di sostegno e stimolo all’economia sono urgentemente necessarie. Purtroppo però, soprattutto in Europa, le tradizionali misure di stimolo dell’economia erano già risultate largamente insufficienti persino nel periodo di stagnazione pre-Covid. Risulta quindi difficile pensare che questo tipo di misure possano consentire di affrontare adeguatamente la fase, molto più critica, di recessione economica post-Covid.

Ma perché le tradizionali leve di intervento macroeconomico risultano attualmente inadeguate? La ragione è da ricercarsi nel modo in cui il sistema crea endogenamente i mezzi di pagamento necessari per consentire gli scambi economici. Anche volendo partire dalla teoria quantitativa della moneta cara ai neoclassici e monetaristi, MV=PY, è evidente che a parità di velocità della moneta V, che dipende dalle abitudini di pagamento e che in periodi di crisi tende semmai a ridursi, è possibile avere un aumento del reddito nominale PY (reddito reale Y per livello dei prezzi P) solo a patto che la quantità di moneta M utilizzata per transazioni legate al PIL aumenti.