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csepi

Squilibri della bilancia commerciale: il vero tallone d’Achille della MMT?

di Thomas Fazi

Schermata 2021 03 02 alle 12.05.50In un suo paper Imbalances, what imbalances? A dissentig view il prof. Randall Wray sosteneva, correttamente, che gli squilibri finanziari si equilibrano e che il problema è semmai da ricercare nel fatto che questi "squilibri" segnano, piuttosto, dei rapporti di forza di natura asimmetrica. E' anche su questa premessa che bisognerebbe ragionare ogni qualvolta ci approcciamo all'argomento riguardante gli "squilibri commerciali". In tale ottica riceviamo e con piacere pubblichiamo un articolo di Thomas Fazi che, attraverso una puntuale disamina, tenta di fare chiarezza sulla questione partendo dal punto di vista della MMT. Argomento già affrontato su questo sito a più riprese nel corso degli anni passati (si veda l'articolo "La MMT e i vincoli esterni" e la video intervista al prof. Wray "Lo squilibrio della bilancia dei pagamenti", "Deficit commerciale e debito estero", "Il cambio flessibile è sempre conveniente?").

Thomas con questo lavoro si pone in prima battuta in un'ottica 'oggettiva', analizzando gli aspetti sotto la lente tecnico-economica, per arrivare a concludere correttamente, come anche noi sosteniamo da sempre, che in ultima analisi l'aspetto focale da prendere in considerazione è quello strettamente correlato alle dinamiche afferenti la sfera politica.

Dunque un articolo esauriente e interessante di cui ne consigliamo vivamente la lettura. Complimenti![CSEPI]

*****

Quando si parla di teoria monetaria moderna (modern monetary theory, MMT), una delle obiezioni più comuni in cui capita di imbattersi, anche tra chi condivide l’assunto di fondo della teoria – ovverosia che uno Stato che dispone della sovranità monetaria (cioè che emette la propria valuta e non vincola quest’ultima a un tasso di cambio fisso) non è sottoposto a vincoli finanziari di alcun tipo in quanto può letteralmente creare tutta la moneta che vuole –, è che la MMT trascurerebbe, o almeno tenderebbe a sottovalutare, la questione dei saldi commerciali.

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economiaepolitica

L’economia ha bisogno della complessità

Nella factory degli economisti underground.

di Stefano Lucarelli

image 7kpio65Dani says

Sei anni fa Dani Rodrik ha pubblicato per Oxford University Press un saggio che, in modo responsabile, affronta una serie di riflessioni scomode circa lo stato in cui si trova la teoria economica[1]. Smarcandosi dall’idea che la scienza economica sia un campo di confronto fra scuole diverse, Rodrik prende sul serio le manifestazioni di insoddisfazione provenienti soprattutto dagli studenti. L’economista turco – oggi professore alla John Kennedy School of Governance dell’Università di Harvard – presta attenzione in particolare al Report della Post-Crash Economics Society[2] e alla grave accusa in esso contenuta: l’economia, così come è insegnata agli studenti nei corsi universitari diffonde vedute ristrette e lo fa rigettando il pluralismo e trascurando di fatto l’etica, la storia, la politica. Come se gli studenti fossero stati folgorati dallo spirito di Schumpeter, il quale, come è noto, ormai al termine della sua carriera accademica americana, scrisse all’interno della sua History, pubblicata solo dopo la sua morte: “Essi [i miei studenti americani] mancano del senso storico che nessuno studio pratico può dare. Questa è la ragione per cui è molto più facile farne dei teorici che degli economisti.”[3]

Per Rodrik la rappresentazione che i critici fanno della scienza economica sarebbe viziata proprio dal modo in cui l’economia viene insegnata, ma non risponderebbe a quanto accade all’interno della disciplina, nel mondo della ricerca: “Il problema, dal punto di vista degli studenti, è che molto di ciò che si insegna in un corso propedeutico di economia è un inno al mercato.

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rproject

Ricordo di Domenico Mario Nuti

di Joseph Halevi

nuti 635x580Il 22 dicembre del 2020 è venuto a mancare Domenico Mario Nuti, Professore di economia (in pensione dal 2010) all’Università La Sapienza di Roma. Si tratta di una perdita profonda che lascia un grande vuoto. Ho conosciuto Mario Nuti agli inizi degli anni Settanta in Gran Bretagna, incontrandolo più tardi a Fiesole quando era Professore presso l’Istituto Universitario Europeo. Fu Nuti a caldeggiare come referente ufficiale, assieme a Paolo Sylos Labini, la mia candidatura ed assunzione presso la facoltà di economia dell’Università di Sydney che avvenne alla fine di quella stessa decade. Il mio personale ricordo é di grande stima ed affetto, malgrado la lontananza e la diversità nella natura degli impegni avessero diluito fino ad annullarla la frequentazione reciproca. E’ nello spirito della profonda ammirazione ed affetto che nutro per Mario Nuti che presento le note che seguono.

Nuti nacque ad Arezzo il 16 agosto del 1937 e nel 1962 si laureò in giurisprudenza alla Sapienza, allora ancora chiamata Università degli Studi di Roma. Il resto dell’anno ed il 1963 lo passò a Varsavia come fellow dell’Accademia delle Scienze polacca studiando con Michal Kalecki ed Oskar Lange, due personalità cruciali del pensiero economico in generale e di quello marxista e della pianificazione socialista in particolare. Da Varsavia si trasferì a Cambridge ove nel 1970 ottenne il Ph.D. in economia con Maurice Dobb, un’altra figura di primissimo piano per le teorie economiche di matrice marxiana ed anche per l’elaborazione di criteri di pianificazione in condizioni di emancipazione dal sottosviluppo, e con Nicholas Kaldor, il fondatore della teoria della crescita post-keynesiana.

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kriticaeconomica

Smith e Marx sono davvero così diversi?

di Alessandro Guerriero

Questo articolo vuole evidenziare le similitudini presenti tra l’analisi di Smith e quella di Marx sull’origine del profitto, due autori spesso ritenuti molto distanti tra loro e dunque raramente confrontati

Smith and Marx 1 min 696x365Nei passi delle loro due opere principali, ovvero “La Ricchezza delle Nazioni” di Adam Smith e “Il Capitale” di Karl Marx, è possibile invece trovare delle somiglianze. Questo alla luce del fatto che Marx si basa sulla teoria del valore-lavoro, che è presente già in Smith circa cento anni prima.

Una delle possibili similitudini attiene al profitto: Marx nel primo libro del capitale vuole svelare quello che gli economisti classici (leggi Smith e Ricardo) non avevano spiegato, ossia quale sia l’origine del profitto.

Secondo Marx la risposta si trova nel fatto che in una società capitalistica, poiché i mezzi di produzione sono nelle mani dei capitalisti, il lavoratore deve vendere la propria forza lavoro per avere in cambio un salario. Quest’ultima dunque si trasforma in una merce che si scambia sul mercato (per forza lavoro si intende la capacità astratta di ogni persona nel lavorare).

Semplificando, nella società moderna ogni lavoratore è obbligato a lavorare per avere un salario e quindi vende la sua forza-lavoro, che diventa infine una merce scambiata al suo prezzo naturale, ovvero il salario.

Per esempio, una merce comune potrebbe essere un orologio: generalizzando, l’orologiaio vende la sua merce, ovvero l’orologio, a 100 euro. La stessa cosa fa il lavoratore, che vende la sua merce, ovvero la forza lavoro, ad una cifra pari al suo salario.

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bollettinoculturale

I cicli economici in Minsky

I. La lettura di Keynes di Minsky

di Bollettino Culturale

minskyIntroduzione

Hyman Philip Minsky (1919-1996) è stato uno dei principali specialisti in teoria monetaria e finanziaria nella seconda metà del XX secolo. Ha formulato la sua ipotesi di instabilità finanziaria (d'ora in poi, IIF), mostrando che le economie capitaliste in espansione sono intrinsecamente instabili e inclini alle crisi, quindi, la sua ipotesi contribuisce anche alla spiegazione dei cicli economici.

Se Schumpeter sviluppa la sua analisi dei cicli economici basandosi sulle innovazioni nei mercati dei prodotti non finanziari, Minsky, a sua volta, elabora la sua interpretazione dei cicli sulla base delle innovazioni derivanti dalle dinamiche dei fenomeni monetari presenti nelle economie capitaliste finanziariamente sofisticate. Il principio centrale dell'organizzazione della sua teoria si basa sul già citato IIF, su cui si basa il paradigma di Wall Street, il cui significato racchiude la pietra angolare di tutta la sua analisi: il primato e l'assoluta centralità delle relazioni finanziarie sulla comprensione di qualsiasi fenomeno in un'economia capitalista finanziariamente sofisticata.

Minsky ha contribuito a:

a) un'interpretazione “finanziaria” della Teoria Generale e una critica della sua interpretazione convenzionale;

b) un contributo teorico fondamentale, l'ipotesi di instabilità finanziaria e altre sussidiarie, come la sua teoria dell'inflazione;

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blackblog

La tendenza dominante è quella di affrontare le sfide storiche?

di Michael Roberts

apocalisseDi recente, la neo-confermata segretaria al Tesoro degli Stati Uniti, ed ex capo della Fed [N.d.T.: Il Federal Reserve System, conosciuto anche come Federal Reserve ed informalmente come la Fed, è la banca centrale degli Stati Uniti], Janet Yellen, ha esposto in una lettera indirizzata al suo stesso staff quali sono le sfide che il capitalismo statunitense dovrà affrontare. Ciò che ha detto è che « l'attuale crisi è assai diversa da quella del 2008. Ma la sua portata, e le sue dimensioni, se non più grandi, non sono da meno. La pandemia ha provocato la devastazione totale dell'economia. Intere industrie hanno sospeso il loro lavoro. Sedici milioni di americani si trovano ancora a dipendere dall'assicurazione sulla disoccupazione. Gli scaffali dei magazzini dei supermercati si stanno svuotando. » Questo è adesso; ma andando avanti, leggiamo che Yellen dice che ci sono state « quattro crisi storiche: il Covid-19 è una. Ma in aggiunta alla pandemia, il paese sta affrontando anche una crisi climatica, una crisi di razzismo sistemico, e una crisi economica che si prepara da cinquant'anni. »

Yellen non ha specificato quale sarebbe questa crisi cinquantennale. Ma si è dimostrata fiduciosa che l'economia dominante è in grado di trovare la soluzione a tutte queste crisi.

« L'economia non è solo qualcosa che si può trovare sui libri di testo. Non è nemmeno, semplicemente, un insieme di teorie.

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economiaepolitica

Per un’economia della complessità

di Francesco Saraceno

Riceviamo e volentieri pubblichiamo la Prefazione di Francesco Saraceno al libro di Mauro Gallegati, “Il mercato rende liberi”, LUISS, 2021.

morinDove ha sbagliato l’economia “mainstream” nel creare le condizioni per la crisi finanziaria globale del 2007-2008? Per quale motivo le ricette di politica economica che essa ha ispirato a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso hanno progressivamente, in nome dell’efficienza dei mercati, dato un peso preponderante alla finanza a scapito dell’economia reale, trascurato l’analisi della distribuzione delle risorse e dei suoi effetti sull’economia, eliminato la politica macroeconomica dalla cassetta degli attrezzi dei decisori, spinto per una deregolamentazione sempre più estrema e, alla fine, reso l’economia mondiale un gigante dai piedi d’argilla, un castello di carte fatto crollare nell’estate del 2007 dal fallimento di due oscuri fondi d’investimento? Soprattutto, è in grado quella stessa teoria di evolvere in modo da poter evitare gli errori del passato? Il dibattito è aperto e, c’è da sperarlo, non si chiuderà molto presto. C’è da sperarlo perché le ragioni del “fallimento degli economisti” sono molto profonde e una revisione radicale del nostro modo di fare economia, di insegnarla, di utilizzarla per consigliare i policy makers, si impone.

Bisogna dire che, contrariamente a quanto è avvenuto in passato, la crisi del 2007 ha avviato un salutare processo di ripensamento. Vista la dimensione della crisi e la manifesta incapacità della teoria dominante di coglierne i meccanismi (la stragrande maggioranza dei modelli utilizzati da banche centrali e ministeri dell’Economia non prevedeva la possibilità di crisi finanziarie!) era difficile fare altrimenti.

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marxismoggi

Per una politica economica critica: il capitalismo contemporaneo secondo Emiliano Brancaccio

di Vincenzo Bello

capitalism is crisis 1La questione dei vaccini, dalla loro produzione esigua ai ritardi nella distribuzione da parte delle multinazionali e, prima ancora, la pandemia del Covid-19 con la sua gestione, politica ed economica, hanno messo in evidenza le contraddizioni del mondo capitalistico, in particolare quella tra profitto e diritto alla salute, ovvero tra interessi del capitale e democrazia. D’altronde non ci si può aspettare nulla di diverso da un sistema basato sulla pura logica di mercato in cui la determinazione delle quote di vaccini e il loro prezzo viene regolato sulla base della concorrenza e delle forze di mercato. In questo solco si inserisce anche l’affermazione di Letizia Moratti, che vorrebbe distribuire il vaccino in proporzione al PIL. È la ricchezza il criterio che stabilisce la distribuzione dei vaccini.

Non sarebbe possibile e necessaria una produzione pubblica del vaccino? Il diritto alla salute è o non è più importante del profitto privato? Esiste davvero un trade off tra salute e produzione, il cosiddetto trade off pandemico? E se sì, come può essere superato[1]?

Sono domande tutt’altro che retoriche, perché ci costringono a prendere atto della fase attuale del capitalismo storico e ci pongono dinanzi alla necessità di uscirne.

Il capitalismo costituisce l’oggetto di studio dell’economista Emiliano Brancaccio, marxista, quindi eretico secondo l'orizzonte del pensiero dominante. I suoi scritti rispondono all’urgente bisogno di analizzare le contraddizioni delle teorie mainstream dell’economia e, a partire dalla critica a queste ultime, elaborare visioni alternative.

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lafionda

Crisi, catastrofe e rivoluzione

di Alberto Gabriele

rivoluzione 900x445 11. Catastrofe o rivoluzione è l’ultimo di una serie di contributi pubblicati nell’ultimo libro di Emiliano Brancaccio[1] . Si tratta di un saggio breve ma denso di eccezionale valore, caratterizzato da un grande suo coraggio intellettuale, morale, politico e ideologico volto a combattere l’appecoronamento generalizzato su posizioni piccolo-borghesi e disfattiste, e nel riaffermare in modo moderno le ragioni del socialismo. Questo lavoro cade come un macigno possente nella morta gora del deprimente Rome Consensus, affollato di economisti e pseudo-economisti borghesi e giornalisti prezzolati atterriti da qualsiasi ipotesi di tassazione della ricchezza loro e (soprattutto) dei loro padroni, che ripetono incessantemente e panglossianamente nel mezzo dell’attuale catastrofe un’apologia del capitalismo basata su ipotesi e teorie ormai ridicolizzate dalla storia dopo essere state falsificate dalla logica, che andavano di moda negli USA alcune decine di anni fa (la Trumpnomics, a confronto, appare moderna e avanzata come lo era l’esistenzialismo rispetto alla tomistica). Speriamo che faccia un bel botto e generi una grande onda intellettuale rinnovatrice.

 

2. La tesi di fondo di Brancaccio sostiene che le contraddizioni sistemiche del capitalismo “selvaggio” siano irredimibili, e che l’attuale sistema dominate debba essere sostituito dalla pianificazione collettiva (p.185). Nella migliore tradizione marxista la pianificazione rappresenta la forma più alta attraverso la quale la classe lavoratrice organizza razionalmente e collettivamente il proprio futuro, per massimizzare il benessere e la libertà di tutti (anche intesa come libertà individuale).

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coku

MMT: il mito della riserva federale

di Leo Essen

mmt in practiceI

Gli Stati Uniti d’America, dice Stephanie Kelton (Il Mito del Deficit), sono ricchi di risorse reali – tecnologie avanzate, forza-lavoro istruita, macchinari, suoli fertili e un’abbondanza di risorse naturali. Abbiamo la benedizione di avere tutto ciò che conta in quantità sufficienti - dice. Possiamo costruire un’economia che offra a tutti la possibilità di vivere una vita degna, non dobbiamo fare altro che orientare il bilancio pubblico in funzione delle risorse reali.

Senza soldi queste risorse rimangono inutilizzate – ferme. Senza una domanda sufficiente i lavoratori rimangono disoccupati e i macchinari si arrugginiscono nei capannoni e i laureati vanno a fare gli spazzini. Poiché solo lo Stato può immettere moneta in circolazione, tocca allo Stato fare la prima mossa.

Ma quanti soldi può far girare lo Stato? C’è forse un limite, o può operare incondizionatamente?

Un limite c’è, dice Stephanie Kelton, e si chiama inflazione. Come si insegna agli studenti del primo anno di economia, dice, l’eccesso di spesa pubblica si manifesta come inflazione. Un deficit è la prova di una spesa eccessiva solamente se innesca spinte inflazionistiche.

Il bilancio dello Stato non funziona come il bilancio di una famiglia. Esso è solo uno strumento per regolare la quantità di moneta in circolazione. E la prova che questo bilancio è stato gestito male è la disoccupazione.

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bollettinoculturale

"Il Capitale del XXI secolo di Piketty: una critica

di Bollettino Culturale

the piketty ism a childhood illness for the 21st century a37“Il capitale nel XXI secolo” è uno dei libri più importanti dell’economista francese Thomas Piketty. La maggior parte dei commenti al libro di Piketty finiscono per associarlo, in qualche modo, con l'altro Capitale, di Karl Marx, trovando commentatori che pensano che sia una continuazione o un "aggiornamento" delle proposizioni marxiane. Questa associazione è del tutto sbagliata, anche se, in alcuni momenti, è stata incoraggiata dallo stesso autore (come sembra indicare il titolo stesso). La sua accettazione presuppone la completa cancellazione della teoria sociale di Marx. La critica contenuta nei brevi commenti che seguono si muoverà intorno a questo punto per cercare di evidenziare alcuni dei principali risultati di Piketty, nonché i limiti fondamentali della teoria contenuta nel suo libro, in ciò che dice rispetto alla sua capacità di spiegare la società capitalista contemporanea.

Lo studio di Piketty sull'evoluzione della disuguaglianza patrimoniale (poiché si riferisce alla disuguaglianza dal punto di vista della proprietà dei "beni" in generale) è il più grande mai realizzato, utilizzando un enorme database. I risultati empirici di questo studio sono il principale risultato scientifico raggiunto da Piketty e dal suo team e rappresentano l'aspetto più positivo del loro lavoro.

Proprio per questo motivo, questa è stata la parte del libro che ha ricevuto le recensioni più negative dagli economisti “ortodossi” e dai portavoce dei padroni in generale, assieme alla sua proposta di “imposta sul capitale” e sulle successioni.

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lordinenuovo

Keynesismo e Marxismo a confronto su disoccupazione e crisi

di Domenico Moro

disoccupati 741x600La crisi del Covid-19 ci pone davanti ad un aumento della disoccupazione di massa. Secondo l’Istat nel III trimestre del 2020, rispetto allo stesso periodo del 2019, gli occupati sono diminuiti di 622mila unità (-2,6%), fra questi i dipendenti sono diminuiti di 403mila unità e gli indipendenti di 218mila unità. I disoccupati[1] sono invece aumentati di 202mila unità (+8,6%) raggiungendo la cifra di 2milioni 486mila. Anche gli inattivi – cioè quelli che comprendono i cosiddetti “scoraggiati” che neanche provano a cercare lavoro – sono cresciuti di 265mila unità (+2%)[2]. Bisogna, inoltre, aggiungere che l’aumento dei disoccupati e degli inattivi avviene in un contesto di blocco dei licenziamenti. Ad essere state colpite dall’aumento della disoccupazione sono state, fino ad ora, le figure precarie dei lavoratori a tempo determinato. Secondo alcune stime[3], l’eliminazione del blocco dei licenziamenti potrebbe generare un milione di disoccupati in più, portando il loro numero totale a oltre 3,5 milioni, una cifra impressionante, che metterebbe a dura prova non solo la tenuta del welfare ma anche la tenuta sociale e politica del sistema.

Comunque, la situazione occupazionale italiana era tutt’altro che rosea anche prima del Covid-19. L’economia italiana è stata una delle più lente nella Ue a recuperare dalla crisi precedente. Nel 2019, il numero degli occupati (22milioni 687mila) era ancora leggermente inferiore al picco pre-crisi, registrato nel 2008 (22milioni 698mila)[4]. Anche nel confronto con il resto della Ue la situazione italiana è tra le peggiori: il tasso di occupazione (15-64 anni) in Italia nel 2019 era del 59%, mentre era del 68,4% nella Ue a 27 e del 68% nell’area euro, con la Germania al 76,7%, la Francia al 65,5%, e la Spagna al 63,3%[5].

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la citta futura

Non sarà un pranzo di gala. Come uscire dalla catastrofe del capitalismo

di Ascanio Bernardeschi

L’ultimo libro di Emiliano Brancaccio illustra che la legge generale di riproduzione e tendenza del capitalismo lo rende una minaccia perfino per la democrazia liberale. L’alternativa è la pianificazione collettiva come propulsore della libera individualità sociale

4adf58fb300074ff8a293c2e3ed27c3f XLEmiliano Brancaccio, Non sarà un pranzo di gala. Crisi, catastrofe, rivoluzione, a cura di Giacomo Russo Spena, ed. Meltemi, 2020.

È uscito a metà novembre un libro dell’economista Emiliano Brancaccio che dovrebbe essere letto e può essere letto agevolmente anche da chi non ha dimestichezza con l’economia, perché lascia fuori dal campo i tecnicismi per dirci l’essenziale di questa crisi e perché ci indica una risposta radicale necessaria per superare il capitalismo e non per salvarlo.

Brancaccio, docente di politica economica all’Università del Sannio, è considerato un economista eretico. È autore di numerosi saggi pubblicati da riviste internazionali e ha promosso il Monito degli economisti contro le politiche europee di austerity.

Il libro si compone di tre parti.

Nella prima vengono riproposti otto suoi articoli o interviste sulla crisi e sulle misure necessarie per affrontarla. Leggendoli si apprende quanto l’autore fosse stato preveggente a pronosticare – già l’anno precedente – la crisi del 2008 e poi a criticare gli indirizzi di politica economica vanamente seguiti per uscirne. Ma già in questi brevi articoli emergono alcune riflessione che Brancaccio svilupperà nel prosieguo del libro: sulla centralizzazione del capitale e la polarizzazione delle classi, sui ritardi della sinistra nel comprendere i cambiamenti del capitalismo, sull’insufficienza delle politiche keynesiane nell’attuale fase e sugli spazi che le politiche di austerità aprono alla destra reazionaria (Sostenere l’austerity e poi dichiararsi antifascisti? Un’ipocrisia). La serie si conclude con un’intervista pubblicata nel giugno scorso da “Jacobin” in cui si invoca un “comunismo scientifico”, cioè il superamento dei diritti e dei brevetti, che limitano la circolazione libera e l’utilizzo comune dei progressi scientifici, come sta avvenendo, per esempio, per i vaccini anti-Covid.

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tempofertile

Circa Emiliano Brancaccio, “Catastrofe o rivoluzione”

di Alessandro Visalli

298y87tg6L’economista Emiliano Brancaccio è sicuramente un punto di riferimento nel panorama dell’economia critica italiana ed un militante impegnato nel campo della sinistra radicale. Il testo che qui si commenta è stato pubblicato[1] dalla rivista “Il ponte” e nel libro “Non sarà un pranzo di gala[2]. Si tratta di un testo sicuramente ambizioso e notevolmente denso, nel quale l’economista dell’Unisannio compie lo sforzo di sistemare la linea dei suoi studi recenti[3] e dargli uno sbocco politico più esplicito. Già in “L’austerità è di destra[4], nel 2012, la tesi che in questo testo assume ruolo di gran lunga centrale, quella della tendenza alla concentrazione dei capitali, era presente con esplicito riferimento al classico marxista di Rudolph Hilferding[5], come una robusta critica dell’Unione Europea a guida tedesca e della logica dell’austerità. In quel testo Brancaccio prendeva anche posizione con decisione contro il “liberoscambismo di sinistra”, in parte a suo parere risalente allo stesso Marx del 1848[6], e contro quella che giustamente chiamava la “sudditanza verso il dogma liberista della totale apertura dei mercati”[7], contestando nell’ordine la tesi che l’apertura favorirebbe i paesi poveri (mentre ne aumenta la dipendenza) e quella che sarebbe garanzia di pace. Quale conclusione proponeva controllo del movimento dei capitali, standard europei sul lavoro e pianificazione per porre sotto controllo i meccanismi di formazione dei prezzi e di allocazione delle risorse e degli investimenti. Quindi la creazione da parte dello Stato di nuova occupazione “di prima istanza”. Tutte azioni per attuare le quali, scriveva, c’è bisogno di una “chiara esplicitazione di una strategia di uscita dal conclamato fallimento dell’Europa di Maastricht”[8].

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lafionda

Oggi la BCE sta finalmente facendo il suo dovere. Ma per quanto?

di Stephanie Kelton

Prefazione all’edizione italiana de Il mito del deficit. La teoria monetaria moderna per un’economia al servizio del popolo di Stephanie Kelton (Fazi Editore, 2020)

mitodeficitiCare lettrici e cari lettori italiani,

In questo libro utilizzo le lenti della teoria monetaria moderna (Modern Monetary Theory, MMT) per mostrare che, contrariamente a quanto gli economisti mainstream e i politici ci raccontano da decenni, i governi che emettono la propria valuta (che detengono, cioè, la sovranità monetaria) non possono mai “finire i soldi”, né possono diventare insolventi (fare default) sui titoli di debito emessi nella loro stessa valuta. A dire il vero non hanno neanche bisogno di emettere titoli di Stato per finanziare i propri deficit di bilancio. Né hanno bisogno di ricorrere alla tassazione per finanziare le proprie spese. Questo perché, in quanto emittenti di valuta, a differenza delle famiglie e delle imprese, che sono dei semplici utilizzatori di valuta, gli Stati che dispongono della sovranità monetaria possono semplicemente creare “dal nulla” tutto il denaro di cui hanno bisogno. Questi governi, dal punto di vista tecnico, hanno una capacità di spesa illimitata nella propria valuta: possono cioè acquistare senza limiti tutti i beni e servizi disponibili nella valuta nazionale. (Come spiego nel libro, questo non implica che i governi che emettono la propria valuta debbano spendere o incorrere in deficit senza limiti; esistono dei limiti, solo che non sono di natura finanziaria).

Comprendere questa semplice verità equivale a fare un vero e proprio salto di paradigma, perché significa che la maggior parte dei paesi – e in particolare le nazioni industrializzate tecnicamente avanzate e altamente sviluppate che spendono, tassano e prendono in prestito nelle proprie valute inconvertibili (e adottano un regime di cambio fluttuante) – possono “permettersi” (letteralmente) di fare molto di più per incrementare il benessere dei propri cittadini e più in generale per perseguire qualunque obiettivo politico scelgano di prefissarsi (penso per esempio alla mitigazione del cambiamento climatico) di quanto comunemente si creda.