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Inutili elezioni

di Militant

Tra una settimana, qualsiasi sarà il risultato elettorale, tornerà in carica l’attuale governo. Non per le anomalie del sistema politico italiano però. Nell’ambito dell’Unione europea, attualmente, sono 17 i governi di “grande coalizione”, che godono cioè dell’appoggio più o meno formalizzato, più o meno mascherato, di “centrosinistra” e “centrodestra” (rigorosamente virgolettati: non esiste alcun centrosinistra o centrodestra, quanto un monocolore euro-liberista dai tratti sempre più marcatamente orwelliani). Alcuni sono espliciti, come in Germania. Altri hanno escogitato formule originali, come il partito-coalizione En Marche di Emmanuel Macron in Francia. Da noi prevale il bizantinismo, che ha portato prima “centrodestra” e “centrosinistra” ad accordarsi formalmente (governo Letta, patto del Nazareno), poi a litigare mediaticamente (lo sfaldamento del Pdl), successivamente a scindersi elettoralmente (il ritorno di Forza Italia e la nascita del “Nuovo centrodestra” di Alfano, nonché Mdp), pur di non modificare la sostanza del compromesso costruito nel 2013. Riposizionamenti elettorali che mascherano l’intento comune: dal 5 marzo si lavorerà alla formazione di un nuovo – ennesimo – governo trasversale. Poco credibili, in questo senso, i propositi del ritorno al voto.

Con questa legge elettorale l’eventuale ripetizione del voto tra sei mesi non farà che replicare l’attuale tripartizione politica, con ulteriore dispersione di legittimità dato il prosciugamento costante degli indefessi elettoralisti. Già adesso si preannuncia la partecipazione elettorale più bassa di sempre. Quale la percentuale tra sei mesi? Insomma, la grande coalizione, che tutti dicono di aborrire, prenderà forma ad aprile, e l’escamotage politico sarà la necessaria riforma proprio della legge elettorale. La stessa votata pochi mesi fa, nonché l’unica che permette il vero obiettivo del duopolio liberista: impedire la possibilità di un governo Cinque stelle. I principali dirigenti di “centrosinistra” e “centrodestra” sono infatti opportunisti, ma non stupidi. Conoscevano perfettamente lo scenario definito dal Rosatellum, e se lo hanno votato con entusiasta convinzione è perché conoscevano, e conoscono, anche il probabilissimo risultato elettorale di domenica: il M5S si confermerà il primo partito. Qualsiasi altra legge che, distorcendo la volontà elettorale, concedesse l’agognata “governabilità” al partito che prende un voto in più dell’avversario, determinerebbe la costruzione di un governo pentastellato. Quale che sia la nostra (pessima) opinione sul M5S, è dal punto di vista delle classi (politiche) dominanti che dovremmo ragionare, e un governo 5 Stelle manderebbe all’opposizione uno schieramento dirigente liberista abituato a governare, non importa se dal governo o dall’opposizione. E’ dunque una lotta per la sopravvivenza quella che stanno ingaggiando i ceti dirigenti liberisti. Impossibile concedere un’altra Roma all’ammucchiata Cinque Stelle. Già l’amministrazione Raggi, mandando in soffitta i sogni olimpici dei palazzinari romani, ha provocato più di qualche coccolone dalle parti del Colosseo. Perché rischiare un’altra volta?

Ma la situazione, come detto all’inizio, è comune al resto dell’Unione europea. La “grande coalizione”, le “larghe intese”, sono l’unico strumento politico per governare la riduzione dello Stato sociale, e più in generale il costante arretramento del ruolo dello Stato – cioè del pubblico – nell’economia europea. Non c’è altro governo possibile, perché le decisioni strategiche vengono fissate altrove (non occorre specificare dove), e ai governi nazionali non resta che ratificare scelte per loro indisponibili. Non è però una riflessione di resa all’esistente, quanto la presa d’atto che lo strumento elettorale, in assenza di una qualche relazione con la mobilitazione sociale, risulta un meccanismo inceppato, disattivato, esautorato di qualsiasi parziale autonomia (se mai ci sia stata una autonomia della competizione elettorale, ovviamente). Nel 2004 José Saramago scrisse il suo celeberrimo Saggio sulla lucidità, seguito ideale del capolavoro Cecità. Si immaginava una crisi di legittimità degli organi costituiti a seguito di un’elezione politica con il 70% di schede bianche. Oggi un 30% di votanti basterebbe e avanzerebbe per legittimare pienamente un nuovo governo. Di qualsiasi colore esso fosse, perché alla fine sarebbe comunque un governo di “larghe intese”, “grandissima coalizione”, “maggioranze trasversali” e “necessaria governabilità”. Ma oggi non ci più dei Saramago a svelarci l’assurdo in cui viviamo. Ci rimangono Vargas Llosa qualsiasi a convincerci dell’inevitabile ragione della stabilità liberista.

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