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lacausadellecose

Il proletariato e le elezioni del 4 marzo 2018

di Michele Castaldo

Ho definito la giornata del 24 febbraio a Roma un putridume generale di incensatori della democrazia borghese e delle sue istituzioni al servizio del dio capitale di un modo di produzione in crisi; lo ribadisco, come ribadisco che in essa ha fatto eccezione la presenza dei lavoratori della Logistica con una iniziativa coraggiosa. Merito al merito, dunque, e invito alla riflessione, in modo particolare per chi – comunista – cerca di capire il senso di marcia della fase che stiamo attraversando. E la cartina di tornasole ce la offre esattamente la giornata del 24 febbraio a Roma, cioè a 8 giorni dal voto politico per il governo di una nazione occidentale quale sesta, settima, ottava potenza economica del mondo.

E’ vero ed è giusto che da comunisti privilegiamo la lotta al voto, ma un conto sono i nostri desideri, altra cosa è la realtà con la quale confrontarsi per capire in che modo possiamo spendere una nostra parola verso quei settori sociali che consideriamo nostri interlocutori, perché si ricompongano in un polo organizzato contro il modo di produzione capitalistico che ci opprime. A meno di non voler mettere la testa sotto la sabbia per non vedere, abbiamo l’obbligo di guardare la realtà per quella che è: nuda e cruda.

Il parlare chiaro è fatto per gli amici (quelli veri, perché di falsi amici è pieno questo mondo). A mio avviso questa campagna elettorale (dopo quella nordamericana, tedesca e francese) si caratterizza per scenari a cui non eravamo e tuttora non siamo preparati, cioè a scenari confusi e caotici con rimasticatura di vecchie proposte teorico-politiche, di fronte a un quadro economico-sociale completamente cambiato, rispetto al dopoguerra del rimo conflitto mondiale, al dopoguerra del secondo conflitto mondiale, a quello degli anni del boom economico degli anni sessanta e perfino a quelli della fine del secolo scorso. Detto in parole povere, l’Italia, dopo le difficoltà della Grecia, della Spagna, della Turchia rappresenta un punto ulteriore di caduta di una economia che si riflette in crisi politica generale, in cui i vari e diversi settori e classi si muovono in modo scomposto, nevrotico, senza una definita prospettiva, segno di un nervosismo che origina dalle profondità, il cui epicentro è rappresentato da un futuro incerto per l’intero sistema.

Gli esempi li possiamo riscontrare nelle cervellotiche decisioni di Trump, nel traballante governo di unità nazionale in Germania, nella gravissima crisi in Grecia, nel bubbone che può scoppiare in Spagna. In Italia l’emblema della canagliesca stupidità di certi settori del capitalismo in crisi è rappresentata da Matteo Salvini, che giura guerra santa contro l’Islam e i neri, col rosario in mano sul vangelo. In nome del fascismo? Povero cretino, il fascismo faceva la voce grossa perché aveva le mire alte, le coste del nord Africa, non si cacava sotto come il Matteo che teme di essere invaso dagli islamici e volge il pensiero – o forse anche le tasche, chi sa? – alla potente Russia ricca di materie prime. “Prima gli italiani!” lui dice, vorremmo vedere le fabbriche operare solo con gli operai italiani battere la concorrenza delle aziende dell’est europeo e asiatiche. Ma si sa, quando le parole non hanno senso se ne possono dire all’infinito.

E Berlusconi? Altro illuso che pensa che il tempo non passa mai, che si lancia in sperticate proposte al punto che il capo degli industriali, più giovane, ma più saggio, lo guarda con una certa commiserazione. E poi l’estremismo di destra, combattuto tra aspirazioni parlamentaristico-governative e attivismo squadrista che fatica a prendere piede secondo i propri desiderata.

Il M5S?? Diciamo una parola chiara: si trattava e tuttora si tratta di un movimento composito, espressione di un malcontento di ceti piccolo-borghesi traditi dalla crisi, ma anche di settori di lavoratori che si sono ritenuti ingannati dalla sinistra, quella che oggi si presenta in Liberi e Uguali, di sacche di emarginati affascinati dal ribellismo grillino, nonché di settori della piccola e media azienda in crisi, schiacciata dalla concorrenza dei paesi dell’Est europeo e dalle banche che – mors tua vita mea – hanno tagliato i fondi e li hanno messi in braghe di tela. Ora, su un movimento di siffatta specie era del tutto naturale che si fiondassero personaggi di ventura, amici di cattiva compagnia e compagni di merenda. Ma pensare che i politici siano corrotti e la gran parte della società civile sia sana è da scemi, e in questo tipo di scemenza ci cascano in tanti. Berlusconi – ritenuto un puttaniere – fu eletto a furor di popolo, da quel popolo di entrambi i sessi, che non si scandalizzava, ma che anzi apprezzava e invidiava le sue frequentazioni. Se Di Maio e Di Battista pensano di costruire un partito di soli italiani onesti in un modo di produzione che ha la disonestà nel suo dna, cioè nello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, o son fessi o troppo furbi. A mio avviso questi impettiti giovanotti saranno utilizzati per una schifosa aggressione contro le categorie più deboli in nome degli interessi dell’Italia, cioè del profitto delle imprese, sia che formino un governo, sia che facciano l’opposizione nei confronti di un governo di centro destra o di centro sinistra.

E la sinistra? Quale sinistra? Non esiste una sinistra, perché non esiste un movimento reale del proletariato che la esprima. E quando in certi casi l’ha espressa, lo ha fatto in modo complementare, cioè lottando per chiedere quota parte dell’accumulazione. Il proletariato-classe operaia si è fatto Stato, con lo stesso scopo come sul finire degli anni settanta, oppure sostenendo un governo D’Alema che bombardava la ex Jugoslavia. Il vero punto in questione, che non vogliamo affrontare da comunisti, è questo, perché siamo portati a operare una separazione tra il popolo, la categoria o la classe – per dirla nel linguaggio marxiano – e i gruppi dirigenti dei partiti che esprimono il popolo, la categoria o la classe. Una cultura che viene da molto lontano, che non è materialistica, perché ritiene che la classe – nello specifico il proletariato classe operaia – in quanto classe sfruttata ha le stimmate della verginità rivoluzionaria piuttosto che essere fatta di materiale umano e dunque modellata in merce fra le merci del modo di produzione capitalistico. E’ questa amara verità che il punto di vista “marxista” vuole continuamente rimuovere per bearsi delle proprie idee e sventolarle ai quattro venti.

Torniamo alle elezioni e alla giornata del 24 febbraio.

Ho salutato la presenza coraggiosa in piazza dei lavoratori della Logistica, come un pugno di lavoratori a schiena dritta, ma vedere questa presenza nella totale assenza di pattuglie di lavoratori di tutte le altre categorie, comprese quelle in lotta contro i licenziamenti e la chiusura della propria azienda, ci deve indurre a una seria riflessione.

La caratterizzazione sull’antifascismo della manifestazione governativa e filo governativa di piazza del Popolo a Roma, per un verso, e lo stesso antifascismo di un certo estremismo radicale, altrove, per altri versi, la dice lunga sulle difficoltà di una ripresa generalizzata della lotta proletaria. Forza Nuova, Casa Pound, la Lega di Salvini, Fratelli d’Italia sono l’altra faccia della stessa medaglia dell’italianità di sinistra. E quell’italianità si fonda sullo sfruttamento che viene garantito da leggi dello Stato, con le forze dell’ordine, dell’uso della forza per reprimere e indurre all’obbedienza tutto il proletariato, autoctono e immigrato. E gli immigrati vengono fatti arrivare in Italia per metterli in concorrenza con quelli autoctoni e ridurre così il costo complessivo della forza lavoro per far produrre le nostre merci a prezzi più bassi e renderle più competitive. Tutto questo viene continuamente rimosso, al punto da consegnare nelle mani di tutti i partiti l’arma micidiale della propaganda infamante contro gli immigrati. Rimuovere la ragione strutturale che fa arrivare gli immigrati in Italia per utilizzarli contro tutto il proletariato, immigrato e autoctono, presta il fianco alla campagna d’odio contro gli immigrati e all’isolamento delle loro lotte come quella dei lavoratori della Logistica. E’ il frutto naturale di quella italianità, fatta propria anche dai nostri lavoratori. Perché se è vero che scappano da guerra, miseria e fame è altrettanto vero che vengono prelevati e fatti venire qui per essere utilizzati.

La sinistra, quella cosiddetta extraparlamentare, radicale o conflittuale, che diserta la manifestazione di questo pugno di lavoratori è intrisa di spirito di setta, si caratterizza come forza in concorrenza non sempre leale, rimuove completamente la questione degli immigrati, mentre ammicca a statalismi protettivi per le nuove generazioni di lavoratori autoctoni.

Ripeto, quello che pesa più di ogni altra cosa è l’isolamento totale in cui si è svolta la manifestazione dei lavoratori della Logistica, un fattore, questo, da tener ben presente nelle valutazione della prospettiva che ci poniamo.

Voglio ribadire in questa sede una tesi che da tempo vado ripetendo: la nostra forza più che nelle capacità del soggetto su cui puntiamo, consiste nelle difficoltà del modo di produzione che vanno aumentando giorno per giorno e mese dopo mese. Questo vuol dire che è la crisi che fa scattare quel famoso riflesso agente in settori di categorie e classi sociali. Bisogna essere perciò pronti a raccogliere i segnali. Esattamente com’è accaduto tra i lavoratori della Logistica e il Si cobas, la cui sintesi è racchiusa in quella famosa espressione di Aldo Milani di qualche anno fa: “sono stati i lavoratori che ci hanno cercati”. Ecco, posta in termini teorici, politici e pratici la questione. Senza la pretesa di “estendere il fronte di lotta”, “allargare ad altre categorie”, “unificare e generalizzare le lotte” e innanzitutto – lo dico a chiare lettere – senza pensare di rieditare il percorso della migliore Cgil, perché esso fu possibile in una fase determinata da una crescita esponenziale dell’accumulazione del modo di produzione capitalistico, quando gli operai avevano la percezione di poter chiedere, lottavano e ottenevano. All’orizzonte non c’è la stessa prospettiva. Dunque non una nuova IWW (Industrial Workers of the World), che furono sconfitti, negli Usa, non solo dalla repressione dello Stato, ma dall’integrazione della maggioranza del proletariato che si sentì complementare nel modo di produzione capitalistico. E neppure si prospetta come ipotesi una nuova Cio (Congress of Industrial Organizations) che fu inglobata nell’unificazione con la Afl (-Cio), proprio perché furono integrati tutti i settori della classe operaia. A maggior ragione non sono riproponibili ipotesi come la Cgil, la IG Metal o la Cgt, grandi organizzazioni operaie di un ciclo che non si potrà più ripetere. Vorrei in questa sede ricordare – per chi ancora si richiama alla rivoluzione russa – che mentre nel 1905 furono i metallurgici a scendere in pizza e subire un massacro da parte della polizia zarista, nel marzo 1917 furono le donne e i lavoratori tessili, mentre i metallurgici erano frenati dall’esperienza di 12 anni prima.

Quello che si prospetta nei prossimi anni in modo particolare in Occidente – a meno di auspicabili sorprese – è uno sfilacciamento del vecchio tessuto della classe operaia, tra l’altro già sotto i nostri occhi, per un verso, e di improvvise vampate di lotta delle categorie più deboli, come i lavoratori della Logistica o di chiusura di impianti come di recente in tutta Europa per le delocalizzazioni. Dunque si produrranno degli organismi non destinati a stabilizzarsi e a crescere in modo esponenziale, come si è portati a credere. Sono molto più probabili formazioni ibride politico-sindacali piuttosto che un sindacato cinghia di trasmissione del partito politico come il tempo che fu. Per questa ragione non bisogna sovraccaricare la lotta dei lavoratori della Logistica (o di altre categorie) di significati superiori alle reali possibilità e capacità.

Per concludere, nessuno è in grado di stabilire se all’immediato altre categorie – in modo particolare di lavoratori autoctoni come quelli dei servizi – si mobiliteranno proprio come quelli della Logistica, ma abbiamo la certezza che i segnali che provengono per esempio da Amazon vanno tutti nella stessa direzione: velocizzare al massimo il circuito della distribuzione delle merci per accelerare al massimo grado quel processo infernale di D M D’ (denaro merce denaro maggiorato). Pur se all’immediato la richiesta del braccialetto elettronico al polso dei lavoratori è sembrato più un sasso nello stagno per carpire le reazioni di lavoratori, partiti politici e sindacati, è una questione destinata a essere riproposta. Il fatto che non ci siano state reazioni, al momento, da parte dei lavoratori, non è molto incoraggiante. C’è sempre l’illusione che la “Costituzione lo vieta”, “la legge non lo consente”, “la Cgil è contraria” “la sinistra non può arrivare a tanto” e via di questo passo. Insomma detto in maniera brutale: settant’anni di sviluppo economico e democrazia parlamentare hanno educato le grandi masse “popolari”, anche proletarie, a non pensare al peggio, ad avere fiducia nel capitalismo perché non c’è nessun’altra prospettiva all’orizzonte. Una sorta di neofobia, paura del nuovo perché … “non c’è”.

Ripeto: la manifestazione di Roma del 24 febbraio è stato un fatto importante, un segnale ai partiti che si apprestano a governare, ma è stata anche un pugno nell’occhio a quel putridume della sinistra tutta, comprese quelle di nuova generazione alla ricerca di lenticchie da raggranellare dal quadro istituzionale. Mentre il suo isolamento deve frenare facili entusiasmi.

Capisco che può dare fastidio ai compagni un certo determinismo o un certo meccanicismo, ma la lotta di classe – piaccia o meno – agisce per fattori determinati e in modo meccanico di cui noi siamo degli anelli, consapevoli o meno, poco conta.

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clau
Monday, 05 March 2018 11:22
Ciò che a mio parere è venuto a mancare è la consapevolezza della concezione marxiana di società divisa in classi antagoniste, che grazie alla fase di sviluppo economico/produttivo del secondo dopoguerra e soprattutto all’opera di rinnegamento dell’opportunismo socialdemocratico e staliniano è stata sostituita dal più bieco individualismo e dall’idolatria della “democrazia “ borghese, che hanno fatto terra bruciata della solidarietà proletaria, sfociata nello sviluppo della guerra tra poveri, di cui quella tra autoctoni ed immigrati è solo la punta dell’iceberg, in quanto quella tra anziani e giovani, uomini e donne, tra operai dei diversi settori, delle diverse fabbriche o delle diverse nazioni, non sono certo da meno.
Di fronte a tale situazione di deserto politico classista, il compito delle avanguardie, dei comunisti , non è tanto quello di sviluppare lotta immediata in campo economico/sociale, lotte che rimangono comunque confinate all’interno dell’attuale sistema basato sullo sfruttamento della forza-lavoro e la competitività, ma quello di propagandare l’ABC del comunismo, perché solo se si riaffermerà ed estenderà la concezione classista, sarà possibile sviluppare ed estendere la lotta proletaria antisistema, e si potrà cominciare ad ambire al superamento dell’attuale modello sociale fatto di prevaricazioni e d’ingiustizie.
In quanto alle elezioni i ieri 4 marzo, sono state, come tutte le altre che le hanno precedute, il solito rito per far decidere all’intera popolazione, cioè a grandi, medi e piccoli borghesi , unitamente ai proletari, chi otterrà l’incarico d’imporre nuovi sacrifici alle classi subordinate per mantenere elevati profitti al grande capitale. Che quindi abbiano vinto i 5stelle anziché il centrodestra o il centrosinistra, Potere al popolo o i fascisti, ha ben poca importanza, perché in una società capitalistica altamente sviluppata, le redini del comando non sono nei palazzi della politica ma in quelle della grande finanza, che in ultima istanza decide se lasciar sopravvivere i governi, o farli saltare come birilli. Quindi, coloro che saranno designati a governare il paese, non devono farsi e diffondere menzognere illusioni, dovrebbero cercare di risolvere grandissimi problemi, come quelli dell’occupazione, del debito pubblico (terzo nel mondo occidentale in rapporto al Pil), la crisi delle banche, dell’economia nazionale che non cresce o cresce molto meno che negli altri paesi, la povertà che cresce a vista d’occhio, e così via. Tutti problemi praticamente irrisolvibili all’interno i questo sistema, in avanzato stato di crisi e di decadenza, nonostante che le tecnologie siano in forsennato sviluppo, tanto da essere esse stesse fattore di aggravamento della crisi del sistema e non di soluzione, un sistema che va superato al più presto, affinché non possa ultimare la distruzione del pianeta, come sta ogni giorno di più facendo.
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