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sinistra

Totalitarismo della chiacchiera

di Salvatore Bravo

Il Totalitarismo della chiacchiera-dicitur ha fatto un nuovo balzo in avanti con l’emergenza climatica. Le temperature previste a terra sono diventate temperature generalizzate e terrorizzanti. Si parla del caldo e non di altro. Il Totalitarismo dell’ossessione sforna continuamente i suoi idoli: cibo, sesso, ecologismo, fascismo, femminismo ecc. Sono le potenze totemiche dinanzi alle quali bisogna tacere e mettere in atto la liturgia programmata dal sistema mediatico.

La realtà evapora, si derealizza, al suo posto vi è la sovrastruttura dell’emergenza con la quale necrotizzare ogni pubblica discussione sulla struttura economica e oligarchica per lasciare al popolo i dicitur con il quale sistema addomestica e riduce il popolo in gregge e plebe. I pastori sono gli oligarchi che diseducano al linguaggio e lasciano alla plebe-gregge solo la voce/verso che ripete perennemente le parole codificate in un Olimpo invisibile.

Il popolo, invece, non è somma di individui, ma è costituito da individui e classi sociali che percorre il suo iter di partecipazione e controllo. Con la crescita qualitativa e dialettica il popolo è sempre meno gregge, in quanto non ripete la grammatica dei potenti, non bela, ma usa il logos per comunicare e per mettere in comune significati e concetti critici nei luoghi della politica.

Il nuovo Totalitarismo della chiacchiera neutralizza la parola, la ridimensiona, la riduce a conato economico, alla fine di tale processo di privazione l’essere umano ha solo la voce-verso con la quale ripetere le parole del sistema. Sono parole finalizzate a creare mondi nei quali il popolo-gregge è inquieto e impotente, può solo reagire operando per il proprio presente entrando nel mercato green per alleviare le sofferenze immediate, sapendo che il futuro se c’è, è solo del Potenti del mondo. Sono loro che possono portare l’umanità in un oltre che si attende senza comprendere la destinazione e i fini. Il gregge impotente può solo applaudire alla proliferazione dei diritti, i quali nella loro produzione quantitativa contribuiscono alla divisione e alla confusione. Se tutti hanno diritto a tutto, mentre il futuro declina, non resta un presente conflittuale, in cui i vari soggetti detentori di diritto assoluto trasformano il loro quotidiano in un percorso di guerra e di tensione divisoria: a scuola gli alunni hanno il diritto alla promozione senza impegno, in quanto i docenti sono sottoposti a innumerevoli pressioni; l’affettività libera e responsabile fra adulti diviene diritto narcisistico a forzare ogni limite; il diritto alla cura è trasformato in diritto all’eterna giovinezza ma solo per pochi e privatamente. L’elenco della bulimia dei soli diritti individuali sganciati da ogni razionalità oggettiva potrebbe continuare. Il dovere e il dono sono rimossi dall’immaginario pubblico. Nulla deve contenere il diritto a comprarsi, volere ed essere tutto quello che si desidera. Ogni desiderio è un diritto acquisito con la benedizione della religione del capitale. Il mercato si nutre dei diritti, li amplifica per poter vendere i suoi prodotti.

Si spinge nel mercato il popolo per ridurlo a gregge e nel contempo si scrive il copione che deve recitare e le parole che può pronunciare. Se si esce dai binari del politicamente corretto si è aggrediti con l’ostracismo. Il dialogo nel quale le argomentazioni più razionali e fondate trovano la loro razionale legittimità è stato sostituito dalla violenza continua nella forma della chiacchiera di superficie. Il male è nell’incapacità voluta di andare oltre l’immediato. Si è introdotto il riflesso condizionato di massa. I dicitur trasformano il gregge in una macchina offensiva abilmente manovrata e da utilizzare come macchina da guerra, almeno nelle intenzioni dei potentati.

Capitalismo della sorveglianza a cui è associato il controllo della parola ridotta all’irrilevanza sociale. La fobia per la parola-logos è ben comprensibile, dove vi è parola si disegnano possibilità che sono collettivamente soppesate nella loro qualità logica e dialettica dal basso. Senza parola-logos non vi politica, l’umano non fiorisce a nuova vita in modo maieutico, ma è ridotto a semplice presenza. Si tratta di un gregge costituito dalla semplice giustapposizione di singoli individui prodotti in serie dal capitale.

 

Asservimento atomistico-gregario

Il popolo è stato privato del linguaggio partecipativo e critico con la trasmissione pervasiva. Il nuovo Totalitarismo si fonda sulla trasmissione quest’ultima risponde ad una logica gerarchica e circolare. L’oligarchia del capitale produce i suoi dogmi e la sua estetica mediante slogan e immagini il cui scopo è strappare un facile consenso emozionale. I social e la chiacchiera hanno il compito di trasmettere la cattiva novella utilizzando gli stessi sudditi, i quali hanno il compito di forgiare e cesellare le loro catene divenendo la cinghia di trasmissione del dominio. Si è formato un sistema automatico di asservimento e uso dei nuovi sudditi che si piegano velocemente alla trasmissione dei contenuti informativi artatamente edulcorati. Il successo palese di tale tattica, malgrado resistenze e contraddizioni, è reso possibile in quanto il vuoto metafisico e la razionalità debole hanno corroso la fiducia nella verità storica e metafisica. Se tutto è relativo, se la ragione può nulla, il popolo finisce col non credere nelle proprie potenzialità razionali e progettuali. La crisi della razionalità oggettiva rappresentata dagli oratores degli oligarchi come la liberazione dal giogo della verità ha reso passivo il popolo e, dunque, disponibile ad accettare pigramente il relativismo preconfezionato.

Molti non credono nelle “verità elargite” dal sistema, ma perseguono la menzogna conosciuta, sono fedeli-infedeli. La ragione di tale ambiguità è il vuoto metafisico, se non vi è verità, non ha senso lottare per essa, pertanto una prospettiva è similare a qualsiasi altra. La seduzione nichilistica verso i fedeli-infedeli è sostenuta dal gioco edonistico. Si promette l’Eden, ma ci si accontenta di badare esclusivamente al proprio privato, si ha l’illusione di non essere toccati dalla tempesta della storia.

Il gregge al suo interno è più composito di quanto si possa credere, non sono pochi coloro che, cominciano a pensare e sentire l’insoddisfazione per un sistema che non mantiene mai ciò che promette e che usa la tonalità emotiva dell’inquietudine solipsistica per dominare.

Molti sono irreggimentati, in quanto attendono il Paese della Cuccagna. Si vive, si contano i giorni, ma il Paese della Cuccagna sta mostrando gradualmente la sua distopia: flessibilità e precarietà attendono le nuove generazioni e non solo. La precarietà è preparata con l’innaturalità di un’esistenza vissuta in modo solitario e mutila di ogni appartenenza affettiva, famigliare e culturale. L’uomo senza qualità che l’oligarchia “cura” nei suoi laboratori è l’infelice che potrebbe perdere il dicitur e riacquistare il linguaggio passando per l’esperienza del negativo. La storia non è consegnata al passato come vorrebbero gli oligarchi e gli oratores, i quali mentre proclamano la fine delle ideologie, affermano la loro distopia ideologica. Dichiarare la fine delle ideologie significa professare la fine del pensiero e del logos. Una umanità senza ideologie non è più tale, è solo un gregge al pascolo dei consumi eterodiretto dai cattivi maestri del capitale.

 

Comunicazione umanistica

Il gregge può diventare popolo, può liberarsi dai paludamenti lanosi con cui il sistema lo ha paludato e denudato mediante un nuovo umanesimo che coniughi la critica sociale con la prassi sul fondamento della natura umana ritrovata. La misologia non è il nostro destino. È una congiuntura storica negativa, ma all’interno di essa sono presenti potenzialità che ci potrebbero condurre fuori dalla palude del capitalismo della sorveglianza e della chiacchiera.

Ad ogni uomo e donna di buona volontà e consapevolezza è dato un grande compito. La grandezza di ciascuno non è quantitativa e non è data dalla visibilità, ma dall’impegno quotidiano con il quale si può contribuire, nell’unità, alla sostituzione graduale della logica della trasmissione con la comunicazione umanistica. Quest’ultima è l’unità di fini costituita dal sapere critico e dall’individuazione del nemico politico.

Il dicitur può essere sostituito dalla comunicazione, è un lavoro quotidiano e certosino finalizzato a ridare la parola al popolo: i precari, le classi medie impoverite, i migranti, le nuove generazioni corrose dalla competizione globale e gli uomini e le donne a cui è negata l’affettività e l’identità comunitaria sono i nuovi soggetti di un possibile cambiamento di rotta rispetto al nichilismo della Cuccagna. La comunicazione umanistica può riportare il logos e il dialogo che umanizza dove la misologia pianificata ha introdotto i belati osannanti e umilianti. Un nuovo soggetto politico può nascere dalle spoglie dell’autoritarismo in atto che ha il suo perno nella trasmissione massificanti di contenuti e illusioni. Senza l’esodo dalle parole del sistema, senza la lettura e risemantizzazione della mappa concettuale del sistema-capitale non vi sarà nessun futuro e nessuna dialettica politica, questo è il rischio mortale del nostro tempo storico.

Il primo obiettivo è smascherare la retorica dell’inclusione a cui si abbeverano il femminismo carrierista, le persone omosessuali alla ricerca di una normalità mai vissuta e i precari-migranti. Smascherare l’inclusione per quello che è, ovvero un grande inganno con il quale il sistema illude categorie deboli e le usa per il suo” consenso mediatico”.

Senza diritti sociali non vi è inclusione, parola claustrofobica, ma è il denaro e la condizione di partenza a determinare le possibilità di ciascuno. Il nuovo razzismo mascherato di inclusione ha nella “pecunia” il nuovo paradigma genetico che divide gli esseri umani “in salvati e dannati”. La comunicazione umanistica ha il compio di riportare nel dibattito pubblico categorie interpretative che consentono l’emancipazione e non certo l’“inclusione capitale”.

Bisogna riappropriarsi della parola e delle parole per spezzare le catene del Paese della Cuccagna, in cui i popoli derealizzati e deresponsabilizzati sono il gregge ad un passo dal mattatoio.

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