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volerelaluna

Referendum: come disarmare l’astensione

di Alfonso Gianni

Le condizioni in cui una sconfitta può evitare di trasformarsi in un irreversibile disastro sono almeno due. La prima è quella di riconoscerla come tale senza cavillose giustificazioni. La seconda è analizzarne bene le cause, aprire un dibattito su queste, senza avere la fretta di giungere a improvvisate conclusioni. Solo così si può sperare di risalire la china. E non è detto che basti.

Ora proprio il netto insuccesso della prova referendaria di giugno su tematiche della massima importanza come il lavoro e la cittadinanza ci costringe – ed è indispensabile che ciò avvenga – a considerazioni di fondo sullo stato dell’orientamento democratico della società civile, dove è evidente l’azione corrosiva portata dalle destre. Questa risulta particolarmente sottolineata constatando la distanza considerevole che ha separato i Sì al primo dei quattro quesiti sul lavoro (quello relativo alla reintegra nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo anche per chi è stato assunto dopo il 7 marzo 2015) da quello sulla cittadinanza. I numeri parlano chiaro: il primo quesito, il più votato tra quelli sul lavoro, ha raggiunto 13.310.443 voti (comprendendo anche quelli provenienti dall’estero), mentre quello sulla cittadinanza (sempre con i voti esteri) si è fermato a 9.748.806. Nella provincia di Bolzano, ove si è votato di meno che nel resto d’Italia, il No al dimezzamento degli anni d’attesa per conseguire la cittadinanza ha addirittura superato i Sì con il 52% dei voti.

Vi è chi attribuisce la differenza di quasi tre milioni e mezzo di voti interamente ai 5Stelle lasciati liberi da indicazioni di voto, ma probabilmente le ragioni di una simile diversità sono più complesse e profonde. Gli studi offerti da vari centri sondaggistici (mi pare interessante quello fatto sulla città di Torino) aiutano certamente alla comprensione dell’esito del voto, ma dovrebbero e potrebbero essere accompagnati – ecco un’occasione da non perdere – da un lavoro d’inchiesta, che permetterebbe, venendo a contato diretto con la popolazione, di registrarne finalmente l’effettivo punto di vista, anziché dedurlo da presunte corrispondenze meccanicistiche tra voto referendario e scelta politica.

Naturalmente è giusto sottolineare anche alcuni aspetti specifici che hanno influito negativamente sull’andamento del voto. Tra questi va considerata senza dubbio la arbitraria cancellazione del referendum sull’autonomia differenziata operata dalla Consulta sulla base di motivazioni che sfidano prima ancora la logica più che il diritto. La richiesta di abrogazione totale della legge Calderoli avrebbe costituito un traino ideale per portare alle urne i cittadini, favorendo così, anche se certamente di per sé non garantendo, il voto sugli altri quesiti referendari. Certo la controprova non c’è, ma gli indizi a nostra disposizione ci portano a credere che la presenza del quesito contro la legge Calderoli avrebbe potuto raggiungere e superare il quorum per la sua dimostrata capacità di penetrazione anche in ambiti elettorali legati alle destre specialmente nel Mezzogiorno. In ogni caso questa vicenda dimostra la necessità, modificando la legge 352/1970 che la verifica di costituzionalità dei quesiti avvenga prima e non dopo la raccolta delle firme evitando almeno di mortificare la volontà espressa, in questo caso, da quasi un milione e 300mila cittadine e cittadini.

È giusto anche sottoporre a critica il modo con cui soprattutto le forze politiche sostenitrici del Sì hanno condotto la campagna elettorale. L’avere messo a un certo punto in primo piano le possibili conseguenze politiche del voto referendario (tutte peraltro da dimostrare), addirittura evocando lo sfratto al Governo Meloni, ha più che altro nuociuto all’esito della prova favorendo la chiamata all’astensione. Peraltro questa non è neppure stata contrastata a dovere, visto che è stata evocata da figure istituzionali le cui funzioni andrebbero adempiute “con disciplina e onore” (art. 54 Costituzione). Non solo ma la legislazione ancora vigente, derivante dal Testo unico sulle leggi elettorali del 1948, la cui validità sul punto specifico è stata ribadita anche per le campagne referendarie dalla legge 352/1970, ribadisce che atti e parole che inducono all’astensione, a differenza del comune cittadino, sono perseguibili con previsione delle pene comminabili. La Cgil, per bocca del suo segretario generale, ha giustamente ribadito di essersi mantenuta ben lontana da questo scivolamento dell’asse tematico e finalistico che di per sé è da considerarsi estraneo alla stessa ratio del confronto referendario. Ma anche il maggiore sindacato italiano ha delle domande da porsi e delle riflessioni da fare. La novità, giustamente sottolineata, del ricorso all’istituto referendario da parte del sindacato in prima persona, è risultata insufficiente per la rivitalizzazione dell’organizzazione e la sua trasformazione in un sindacato di strada, un obiettivo per il cui raggiungimento è ineludibile l’essere sindacato nel senso più pieno e forte della parola, facendo i conti con le modificazioni intervenute nelle condizioni e nei rapporti di lavoro.

Ma la sconfitta va persino al di là di questi ambiti, e ci induce a riflettere su l’istituto stesso del referendum abrogativo, cioè dell’unica forma nella quale si esprime pienamente la democrazia diretta come previsto dalla Costituzione. Data la direzione che le classi dirigenti hanno preso – non solo nel nostro paese – di sancire la rottura del rapporto fra capitalismo e democrazia con rovesciamenti istituzionali che la codifichino, è decisivo difendere e ampliare la possibilità che i cittadini con un Sì o con un No producano un effettivo e immediato cambiamento. È dal 2011, dai referendum vincenti sull’acqua e sul nucleare (i cui esiti sono stati a lungo boicottati e che ora le destre cercano di capovolgere) che il quorum non viene raggiunto. Per di più entro un quadro di astensionismo crescente anche nelle consultazioni politiche: nelle ultime europee ha votato la minoranza degli aventi diritto. Il referendum di giugno ha cozzato contro un muro di silenzio elevato in nome dell’astensione che è stata contrabbandata come un diritto al pari di quello del voto. Non lo è. Perché il secondo è un dovere civico. Non vi è da stupirsi visto che la scelta dell’astensione è stata fatta in passato anche dalle forze del centrosinistra, e suoi esponenti autorevoli posti in collocazioni apicali delle istituzioni, come Giorgio Napolitano, avevano concesso all’astensione l’imprimatur della legittimità.

Quindi la recente prova ribadisce che il principale nemico del referendum abrogativo è l’astensione. Ovvero il referendum è costretto a una gara impari in partenza, anche perché alla crescente astensione – che molti definiscono cronica – si aggiunge quella scelta e organizzata nelle specifiche prove. Lo riconosceva anche un organo consultivo del Consiglio d’Europa, la Commissione di Venezia, fin dal 2006, quando scriveva che il rifugiarsi nell’astensione «non è sensato per la democrazia». Se si vuole salvare il referendum e non assistere immobili al suo boicottaggio, serve una riforma – necessariamente costituzionale trattandosi di modificare il comma 4 dell’art. 75 Costituzione – dell’istituto referendario che non può che prendere di mira il ricorso all’astensione. Non penso sia opportuna la cancellazione totale di ogni quorum, che indebolirebbe proprio la forza di espressione della sovranità popolare, che è l’anima del referendum e che si esprime anche attraverso la partecipazione di una consistente massa critica di cittadini. Né bisogna inventarsi parziali quanto opinabili riduzioni dell’attuale quorum. Non trovo convincente il cosiddetto “quorum mobile” per cui gli aventi diritto al voto coinciderebbero con i votanti nelle ultime elezioni politiche, perché stabilirebbe un nesso assai poco virtuoso fra voto sulla rappresentanza politica e quello su specifiche questioni dotate di una potenziale trasversalità, oltre a dare per strutturale l’aumento dell’astensione nelle votazioni politiche.

Si può invece capovolgere il criterio su cui viene calcolato il quorum, ricorrendo semplicemente a una soglia di voti positivi a favore della proposta referendaria. Il meccanismo è semplice, basta partire dall’attuale situazione. Secondo l’art. 75 Costituzione «la proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto al voto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi». Bene. Partiamo dal caso limite. Se nella votazione ha partecipato il 50% più uno degli aventi diritto, la soglia di sicurezza per la vittoria del Sì, cioè della proposta referendaria, è costituita dal superamento della metà di quel voto, cioè il raggiungimento del 25% più uno degli aventi diritto. Se si toglie, come propongo, il quorum rappresentato dalla maggioranza della partecipazione al voto degli aventi diritto, resterebbe quest’ultima soglia, quella del 25% più uno l’unica da raggiungere e meglio ancora superare, per dichiarare valida la consultazione e approvata la proposta referendaria. A questo punto il ricorso all’astensione diventerebbe un puro suicidio perché anche se raggiungesse il 75% meno uno perderebbe comunque. Quindi il Sì e il No si troverebbero a fronteggiarsi in aperta e democratica contesa, riportando il referendum abrogativo nell’ambito in cui i padri costituenti, dopo non semplice discussione, l’hanno collocato: quella della decisione sulla sopravvivenza o meno di una legge o di parti di essa in base a una richiesta – filtrata attraverso il parere della Corte di cassazione e, preventivamente alla raccolta delle firme, della Consulta – che darebbe vigore e sostanza alla sovranità popolare.

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Adalberto
Wednesday, 25 June 2025 19:45
Alfonso, Alfonso una riflessione molto semplice: non credi che il fatto che quelli che hanno promosso i referendum siano gli stessi che non hanno mosso un dito quando la cosiddetta sinistra ha introdotto il precariato abbia tolto ogni credibilità all'iniziativa referendaria? Non ha un peso che la "sinistra" politica e sindacale abbia fatto propria l'ideologia e la pratica neoliberale, fino a considerare un losco agente del capitale finanziario anglosassone come Draghi una specie di salvatore della patria?
E che dire del 5° quesito, come si fa a stupirsi che sia stato ancor meno votato degli altri? Ma se le nostre città sono diventate città straniere, se è in corso una vera e propria sostituzione etnica strisciante, esattamente come vogliono i filantrocapitalisti alla Soros! Questa "sinistra" è il principale nemico delle classi lavoratrici e dell'Italia come entità nazionale, altro che azione corrosiva delle destre!
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alfonso gianni
Wednesday, 02 July 2025 15:42
Non vedo alcuna sostituzione etnica alle porte. Questi sono gli argomenti di una destra reazionaria e razzista
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Alfred
Sunday, 22 June 2025 15:22
Bisognerebbe che la gente diffidasse, del Potere. Quando i potenti dicono di Non fare qualcosa, soprattutto praticare un diritto, significa che quella cosa li mette in crisi. Non andare a votare soprattutto in un referendum e' una cosa idiota, ma idiota e suicidario e' non andare a votare in qualsiasi circostanza. Ci siamo dimenticati che poter votare tutti e non per censo e' cosa recente, una meta' del cielo si e' dimenticata che per lei e' anche piu recente. In una nazione come la democratica svizzera che le donne possano votare e' ancora piu recente, solo dal 1971 le donne svizzere possono votare.
Che ve ne frega?
A me frega e vi spiego che anche nelle mie fasi anarchiche Non rinuncere Mai a un diritto strappato con le ungghie e con i denti da chi e' venuto prima di me, di noi. Non basta che chi ha il Potere mi dica che i giochi sono fatti ed e' inutile, vado a votare sempre, per il loro sangue, la loro menoria e in faccia al Potere.
Se non convinto o incazzato posso annullare la scheda, scrivere andate a cagare, fare un disegno esplicativo. Ma Mai perdere un diritto, non solo a votare, ma ad avere sanita' pubblica acqua pubblica ecc... eppure anche li le promozioni del privato e' meglio e ti spella vivo non mancano. Qualsiasi diritto va conservato sino a quando non riusciremo a spuntarne di migliori e universali con le lotte, con le rivoluzioni. Questo dovrebbe muoverci non gli inviti ad andare al mare degli interessi dei politici di turno e indipendentemente dai contenuti per cui siamo chiamati a votare. Se non conserveremo noi il diritto di votare nessuno lo fara' al nostro posto e non ne guadagneremo di migliori, li perderemo, punto.
Quindi, quando vi chiedono perche' andare a votare spiegate che sono esistiti tempi in cui non si poteva e non erano certo migliori di questi. Non andare al voto significa perdere il diritto generale non manifestando nessuna opinione per il caso particolare e obbedendo a quella retorica che vorrebbe far votare solo gli istruiti e i preparati (secondo loro e i loro criteri). Un arto del nostro corpo se non usato e movimentato si atrofizza e muore senza che questo ci regali nuovi arti e abilita'.
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Sergio
Saturday, 21 June 2025 17:06
Giusta l'analisi chi individua le cause dei fallimenti referendari, ma la soluzione proposta, ovvero una riforma del quorum, è del tutto illusoria. Sarebbe infatti una riforma costituzionale, con tutto quello che comporta. Qualcuno pensa di trovare oggi e in futuro una maggioranza parlamentare qualificata disposta a votare questa riforma? Ma anche una maggioranza semplice è oggi impensabile.
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alfonso gianni
Wednesday, 02 July 2025 15:47
Caro Sergio, le tue considerazioni sono certamente esatte. La mia proposta di riforma del referendum dovrebbe necessariamente passare per una riorma dell'articolo 75 della Costituzione. Ma così è anche per le altre proposte che ho richiamato e che sono ogetto di dibattito. Non mi illudo perciò di vederla approvata, ma voglio semplicemente introdurre nella discussione un elemento di dibattito. Poi, a meno che non ci rassegniamo ad essere governati dalle destre per l'eternità, può anche esere che questo dibattito possa produrre qualche cosa di concreto. Grazie per il commento in ogni caso
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