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intelligence for the people

Il grottesco teatro dell’assurdo attorno allo sterminio per fame di Gaza

di Roberto Iannuzzi

L’inerzia occidentale stride con la mobilitazione che si ebbe per imporre sanzioni a Mosca anche al prezzo di pesanti perdite economiche per i paesi europei

La “pausa umanitaria” indetta da Israele in alcune zone di Gaza non deve illudere nessuno. Difficilmente le condizioni della popolazione nella Striscia miglioreranno.

La stessa designazione delle aree interessate dalla “pausa” la dice lunga sulla natura del provvedimento.

Le tre aree indicate, al-Mawasi, Deir el-Balah e Gaza City, erano già state definite da Israele come aree umanitarie. All’interno di esse, dunque, le forze armate israeliane non dovrebbero operare. Ma queste zone sono state bombardate come le altre.

Le “pause locali tattiche”, come sono state definite, avranno luogo inoltre solo dalle 10:00 alle 20:00, ora locale. Entro queste fasce orarie, dovrebbe essere permesso l’ingresso di aiuti internazionali che, attraverso “corridoi designati”, dovrebbero raggiungere coloro che sono sfollati in queste zone.

La durata complessiva della pausa umanitaria è incerta, ma fonti ONU parlano di appena una settimana, un lasso di tempo del tutto insufficiente a modificare la disperata situazione sul terreno.

Agli aiuti via terra, che potrebbero non superare il centinaio di camion al giorno (durante il cessate il fuoco di gennaio a Gaza entravano quotidianamente fino a 600 camion), è stato affiancato il lancio di “carichi umanitari” dagli aerei, una misura che ha essenzialmente finalità propagandistiche.

Come ha denunciato il Commissario generale dell’Agenzia ONU per i rifugiati palestinesi (UNRWA), Philippe Lazzarini, gli aiuti lanciati dagli aerei non sono in grado di alleviare la carenza di cibo nella Striscia. Essi sono inefficienti, costosi, e pericolosi perché possono causare incidenti alla popolazione.

Questo sistema inoltre sfavorisce le fasce più deboli, che non sono in grado di accorrere ai punti di caduta per accaparrarsi il poco cibo a disposizione.

Lazzarini ha chiarito che esiste un modo molto semplice ed efficace per porre fine all’emergenza della fame a Gaza: rimuovere l’assedio israeliano, aprire i valichi di confine e garantire sicurezza di movimento agli operatori internazionali.

Gli aiuti aviolanciati appaiono ancor più grotteschi se si pensa che, come ha più volte ribadito l’UNRWA, ci sono 6.000 camion pieni di cibo al confine con Gaza, e che in Egitto l’Agenzia ONU ha riserve in grado di sfamare l’intera popolazione della Striscia per tre mesi.

Israele non permette l’ingresso di questi aiuti, se non con il contagocce.

 

Lo scandalo della Gaza Humanitarian Foundation 

A differenza della Gaza Humanitarian Foundation (GHF) – la controversa organizzazione israelo-americana che da maggio si è incaricata di distribuire gli aiuti estromettendo le Nazioni Unite (chi è interessato alla genesi di questa organizzazione può approfondire a questo link) – l’UNRWA dispone di una rete capillare di distribuzione degli aiuti nella Striscia che conta circa 400 punti di consegna.

La GHF ha invece introdotto un sistema centralizzato che offre solo 4 centri di distribuzione, 3 dei quali situati nel sud, in prossimità della città di Rafah ormai rasa al suolo.

Questi centri sono teatro di incidenti quotidiani nei quali decine di palestinesi alla disperata ricerca di cibo cadono sotto il fuoco delle forze armate israeliane e dei contractor americani che “garantiscono” la sicurezza dei siti della GHF. Secondo stime ONU, oltre 1.000 palestinesi sono rimasti uccisi in questi incidenti dal mese di maggio.

Israele ha estromesso l’UNRWA da Gaza, sostituendola con la GHF, poiché sostiene che gli aiuti dell’ONU venivano trafugati da Hamas. Ma una simile affermazione è stata smentita dall’USAID, fino a poco tempo fa la principale agenzia del governo americano per l’assistenza umanitaria, e perfino da ufficiali delle forze armate israeliane intervistati dal New York Times.

 

Ipocrisia occidentale 

La “pausa umanitaria” annunciata da Israele è dunque essenzialmente una risposta a livello mediatico, e di comunicazione, a una pressione internazionale che rimane allo stesso livello. Misure come l’annuncio del governo francese di voler riconoscere lo Stato palestinese sono infatti puramente simboliche.

Mentre denunciano l’insostenibilità della situazione a Gaza, i paesi europei continuano a vendere armi a Israele e a cooperare militarmente con il governo Netanyahu.

Nessuna misura economica da parte europea è stata presa contro Tel Aviv, sebbene l’Europa sia il primo investitore in Israele ed il principale partner commerciale dello Stato ebraico, e abbia di conseguenza un’enorme varietà di strumenti di pressione a propria disposizione.

L’attuale inerzia occidentale stride con la mobilitazione corale che si ebbe per imporre sanzioni a Mosca, a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina, anche al prezzo di pesanti perdite economiche per i paesi europei.

Lo stesso presidente americano Donald Trump ha espresso “preoccupazione” per la situazione umanitaria a Gaza solo su sollecitazione del premier britannico Keir Starmer, dopo che pochi giorni prima aveva affermato che Israele avrebbe dovuto “finire il lavoro” a Gaza sbarazzandosi di Hamas.

Nessuna ritorsione economica o sospensione dell’invio di armi americane è stata ventilata dalla Casa Bianca.

Lo scorso 19 luglio, il capo del Mossad israeliano David Barnea si era invece recato a Washington per promuovere i piani di pulizia etnica del governo Netanyahu riguardanti la Striscia di Gaza.

Barnea ha citato tre paesi che sarebbero disposti a considerare l’idea di accogliere un gran numero di palestinesi: Etiopia, Indonesia e Libia.

Egli ha chiesto agli USA di aiutare Israele a persuadere questi paesi offrendo loro “incentivi”. Mesi fa era emersa la notizia che Trump stava negoziando con la Libia un trasferimento di palestinesi. Washington aveva smentito.

 

Un collasso pianificato 

Secondo quanto riferisce l’ONU, a Gaza oltre 1 milione di bambini è a rischio di malnutrizione. Le morti per fame crescono di giorno in giorno. Anche coloro che sopravvivono rischiano danni permanenti.

Sempre secondo l’ONU, più di 2 milioni di persone a Gaza sono stati ammassati in meno di 45 km quadrati, mentre l’88% della Striscia è ormai sottoposto a ordini di evacuazione e fa parte delle zone militari dove opera solo l’esercito israeliano.

In circa 22 mesi di guerra, Israele ha ripetutamente obbligato la maggioranza della popolazione palestinese a sfollare dalle proprie abitazioni o dai propri rifugi di fortuna, ha distrutto l’economia e le infrastrutture civili della Striscia, ha decimato il sistema sanitario, ha bloccato l’ingresso del cibo e degli aiuti umanitari essenziali, puntando di fatto a provocare il collasso della società palestinese.

Lo storico Alex de Waal, direttore esecutivo della World Peace Foundation presso la Tufts University ed esperto conoscitore della storia mondiale delle carestie, ha affermato senza mezzi termini che la fame a Gaza è frutto di una campagna meticolosamente pianificata da Israele.

I principali esperti mondiali di campagne genocidarie, molti dei quali ebrei, hanno ripetutamente affermato che Israele sta commettendo un genocidio a Gaza. L’ultimo in ordine di tempo a ribadire questa diagnosi è stato Omer Bartov, storico israelo-americano e professore di studi sull’Olocausto e sui genocidi, dalle pagine del New York Times.

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Comments

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Alfred
Monday, 04 August 2025 11:15
L’ultimo in ordine di tempo a ribadire questa diagnosi è stato Omer Bartov, storico israelo-americano e professore di studi sull’Olocausto e sui genocidi, dalle pagine del New York Times.

Farebbero bene a svegliarsi non a passare esistenze a discettare su cavilli nella definizione di genocidio o di sterminio generale o di farabutti allo sbaraglio.
Fanno pena certe comunita' che passano il tempo a rimuovere il terrore di quello che sta accadendo. Hanno investito troppa narrativa sulle persecuzioni subite dagli avi, in alcuni casi costruito intere vite nel narrarli senza mai prendere atto che lo stato che pretende di parlare a nome delle comunita' ebraiche (anche quando Non vogliono, come nel caso dei neturei karta che rigetta il progetto sionista in toto) sono decenni che falcia palestinesi al posto del grano. Sono decenni che chi vuole vedere,come Finkelstein (che non va a raccontare della sua famiglia durante il nazismo, ma vede chiaramente cosa fa israele e per questo non puo' metterci piede), vede e racconta e condanna e prevedeva e prevede quello che sta accadendo. Adesso molte piu persone di area ebraica si stanno rendendo conto che se lasciano a bibi e ai suoi accoliti la rappresentanza finiranno male, molto male, tutti. Israele compreso e lo dice benissimo proprio Bartov.
Perche' a non rendersi conto che il sionismo ha sviluppato (aveva nel suo seno da sempre) una visione coloniale, suprematista e genocidiaria sono solo quelli che vogliono continuare a raccontarsela, senza capire che potrebbero finire i loro giorni nell'essere capro espiatorio come sono sempre stati nel mondo cristiano. Questa volta lo saranno nel mondo intero perche' quello che accade a Gaza se venduto come ebreo e non come destra sionista che non rappresenta in toto gli ebrei li rendera' odiati nel mondo. Li rende gia oggi odiati in misure che ne' chi li odia ne' chi e' odiato riesce a valutare. Si valutera' nel tempo. Se questo ringalluzisce certo sionismo che ...quindi e' vero che devono avere il loro stato... che dire, piu idioti non si potrebbe. 10 milioni di persone autoghettizzate in un piccolo territorio (perche' se il loro sponsor sara' in difficolta' resteranno nel piccolo) a difendersi da un mondo ostile intorno. Non avranno neanche necessita' di colpirli, bastano gli embarghi, morianno nel loro brodo sempre piu ristretto.
Certo agire torna indietro gravato di interessi. No, non mi fa piacere vedere questa realta' e i suoi possibili sviluppi, mi piace vedere armonia tra le genti, ma odio il prosciutto negli occhi.
PS grazie per l'articolo
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