Maschere e simulacri: la politica al suo grado zero
di Elena Basile
Le costituzioni democratiche del dopoguerra si fondavano su un postulato oggi messo in discussione dall’evoluzione sociopolitica dell’Europa: il potere del demos, del popolo, esercitato secondo la rule of law, il suffragio universale, le elezioni e la tutela delle minoranze. In tale cornice, il popolo eleggeva i propri rappresentanti, i quali, sintetizzando istanze, poteri e interessi plurali, avrebbero dovuto realizzare politiche economiche, sociali ed estere coerenti con i principi costituzionali e con gli interessi del Paese, della società civile e dei corpi intermedi.
Tuttavia, questo meccanismo si è inceppato. Oggi, la politica economica e quella estera non sono più appannaggio delle élite elette, ma sono subordinate a poteri extraparlamentari capaci di condizionare integralmente l’orientamento politico europeo. Occorre guardare questa realtà senza reticenze, se si vuole anche solo tentare di modificarla.
I riti della democrazia, anche grazie alla manipolazione propagandistica delle opinioni pubbliche, restano formalmente intatti: le elezioni si svolgono a scadenze regolari, e schieramenti apparentemente opposti si presentano al giudizio degli elettori. Viene così preservata l’illusione che i cittadini eleggano liberamente le élite cui affidare la gestione della cosa pubblica – in primis, la politica economica, sociale ed estera.
Eppure, tutto è cambiato. La propaganda – fenomeno antico – è divenuta, dopo la fine dell’Unione Sovietica, monopolio di un apparato mediatico occidentale strettamente intrecciato, per proprietà e incarichi, alla cosiddetta società dell’1% e alla sua classe di servizio: burocrazia, accademia, management.
Come noto, domina il pensiero unico. La critica agli Stati Uniti, a Israele, al capitalismo finanziario e all’Unione Europea costituisce ormai una linea rossa invalicabile. Il dissenso dalla narrativa NATO è etichettato come antiamericanismo e collocato al di fuori dell’arco costituzionale e del consesso civile. Chi esprime critiche nei confronti di Israele viene spesso accusato di antisemitismo o, peggio, di sostegno al terrorismo, con implicazioni anche giudiziarie. Chi mette in discussione il capitalismo finanziario è subito tacciato di populismo o di ingenuità, come se il capitalismo fosse un’entità ontologica e non più una costruzione storica riformabile o sostituibile. A esso si affianca l’intangibilità della difesa di Israele e del dominio statunitense, entrambi divenuti pilastri ideologici irrinunciabili del discorso pubblico.
Diversi fattori storici hanno condotto a questo stato di cose. La liberalizzazione dei movimenti di capitale ha fatto venir meno la dialettica capitale/lavoro tipica del trentennio keynesiano. A partire dagli anni Ottanta, i ceti capitalistici hanno ottenuto una progressiva detassazione. Lo Stato, non potendo più contare su una fiscalità equa e dovendo comunque garantire un minimo di coesione sociale, ha cominciato a indebitarsi. È così nato un circuito perverso, la “trappola del debito”: gli Stati si indebitano presso i mercati finanziari – controllati dai medesimi ceti capitalistici – per finanziare il Welfare. Ma gli interessi su tale debito sono pagati dal popolo. Il risultato è un’esplosione delle disuguaglianze sociali.
Con il Trattato di Maastricht (1992), questo sistema neoliberale è stato codificato. La burocrazia europea è diventata un ingranaggio funzionale al coordinamento tra gli interessi delle lobby economiche e gli Stati membri. Strumenti come la Troika o i poteri speciali della Commissione Europea hanno progressivamente svuotato le sovranità nazionali, imponendo dall’esterno le linee guida in materia economica e sociale.
Nel frattempo, anche fuori dall’Europa, a partire dalla crisi del 2008, il potere di conglomerati finanziari come BlackRock è divenuto decisivo. La politica economica globale è oggi dettata da grandi lobby, inclusi i settori bellici e i gruppi di pressione legati a Israele.
La politica estera occidentale è subordinata a questi poteri. Il conflitto in Ucraina ha rivelato il vassallaggio degli Stati europei e la fine della finzione sovranazionale dell’UE. L’autonomia strategica europea, già fragile, ha ceduto definitivamente alla subordinazione alla NATO, di cui l’UE appare ormai solo il braccio operativo.
Anche Paesi come Australia, Canada e Giappone sono parte della “guerra permanente” dell’Occidente, determinata da potentati finanziari, complessi industriali-militari, lobby legate a Israele, burocrazie del Pentagono e del Dipartimento di Stato, e dai servizi di intelligence, cui le élite occidentali sembrano completamente asservite.
La difesa del dollaro attraverso la supremazia militare è divenuta l’obiettivo condiviso. Le guerre in Europa e Medio Oriente sono funzionali a contenere i rivali emergenti – Cina in testa – e a rafforzare i profitti dei fondi sovrani. L’economia di guerra, alimentata dal debito e dalla speculazione, serve la logica della finanziarizzazione capitalistica.
Ciò che non è più sostenibile negli Stati Uniti a causa del debito e della crisi del dollaro, viene oggi realizzato a Bruxelles. La Commissione Europea, guidata da Ursula von der Leyen con il sostegno di una maggioranza trasversale, ha varato un piano da 800 miliardi per la spesa militare. Non si tratta di vero debito comune, ma di emissioni garantite dal bilancio UE, a cui gli Stati membri potranno attingere secondo le loro capacità fiscali per raggiungere, entro il 2035, il 5% del PIL in spesa per la difesa, in deroga ai vincoli di stabilità.
Colpisce come un’organizzazione da sempre lenta e burocratica si sia improvvisamente trasformata in un efficiente apparato militarista, con un piano ambizioso approvato senza resistenze. Quando lo Stato profondo e i fondi finanziari decidono, tutto diventa possibile.
Intanto i cittadini subiscono un crescendo di restrizioni e micro-vessazioni. In Francia, ad esempio, è stato recentemente vietato di fumare all’aperto, sulle spiagge, nelle terrazze dei locali, entro venti metri dalle scuole. Una misura che richiama una visione talebana della salute pubblica. La libertà individuale viene compressa in nome di un paternalismo sanitario incoerente: se si vieta il fumo, perché non l’alcool, il cioccolato, i grassi?
Durante la gestione del Covid, l’Europa ha sperimentato con successo il livello di sottomissione civile a norme spesso arbitrarie. Ora, nulla vieta di pensare che entro pochi anni si possa reintrodurre la coscrizione obbligatoria, in vista di nuove guerre globali. Se i fondi vogliono, lo Stato profondo esegue. Le resistenze civili, anche se diffuse, restano irrilevanti.
Viviamo in oligarchie tendenti all’autoritarismo. La politica ha perso autonomia, subordinata agli interessi degli oligarchi. Il privato ha soppiantato la sfera pubblica: lo Stato, in Occidente, è ormai un comitato d’affari della classe dominante.
In Cina e Russia manca la nostra modernità liberale. Il pensiero di Locke, la centralità dell’individuo e la tutela delle minoranze hanno avuto scarso impatto storico. Sono regimi a maggioranza dominante, con scarsa divisione dei poteri e limitata libertà di stampa. Eppure, in quei sistemi la politica resta autonoma, dotata di visione e responsabilità. Le classi dirigenti perseguono obiettivi collettivi – riduzione della povertà, sviluppo infrastrutturale, investimenti in ricerca – con strategie di lungo periodo. In politica estera si privilegiano la stabilità e la diplomazia.
I BRICS rappresentano una coalizione di Paesi uniti nel rifiuto dell’arbitrio della potenza egemone. L’Occidente, in declino, ha perso ogni autorevolezza morale, applica doppi standard, viola il diritto internazionale e appare come una bestia braccata, capace solo di nuovi crimini.
Il genocidio del popolo palestinese mostra al Sud globale il volto autentico delle cosiddette democrazie occidentali.
Se la politica, nelle società occidentali, non può più sottrarsi al controllo dei potentati economici che finanziano e manipolano i leader eletti, allora siamo fuori dal perimetro della democrazia. Riconoscere questa verità è il primo passo per comprendere come organizzare, all’interno di oligarchie plutocratiche, nuove forme di resistenza civile.
Comments
in status quo, bellizist manner the whole analysis by Ecc Dottssa Elena Basile
Russia e Cina sono arrivate alla forma di merce per altre vie proprie..ma lì sono anche loro. In sostanza l'individuo non conta un tubo di niente sia in "Occidente" che in "Oriente".
Cordiali Saluti
Le istituzioni liberalparlamentari non derivano certo da quelle dell'antica polis, ma dai parlamenti tardomedievali espressione della nascente borghesia. La divisione dei poteri e la rule of Law non hanno, o hanno solo secondariamente, lo scopo di tutelare le libertà individuali, sì quello di depotenziare l'autorità della politica sottomettendola ai diktat del capitale. Le stesse istituzioni 'democratiche' servono a sottomettere la classe politica al vaglio di periodiche elezioni in cui quasi sempre trionfa chi si lega alla grande finanza ottenendone decisivi contributi pecuniari (come Trump ammette candidamente di aver fatto coi giudei).
Come osservava Spengler l'alternativa è sempre e solo fra la dittatura aperta di élites politico-militari e la dittatura occulta di Mammona. Mano a mano che gli Stati Uniti (e quindi i loro satelliti) approfondiscono il loro portato di decadenza culturale, razziale e generalmente antropologica (il momento fondante della quale è stato il Sessantotto) risolvendosi in aggregati atomistici d'individui intenti a fregarsi l'un l'altro, gli equilibri sociali che moderavano e occultavano la cruda realtà retrostante al mito dorato della "democrazia parlamentare" saltano uno dietro l'altro e si rende prominente il "funesto vero" leopardiano. La nottola di Minerva si alza in volo al calar della sera.