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Perché Pechino mostra le sue armi

di Redazione Contropiano - Michelangelo Cocco

In tanti parlano della Cina da molto lontano. Noi preferiamo ascoltare chi ci vive e lavora, che sicuramente ha il polso della situazione e non risponde alle esigenze del «datore di lavoro» (una qualsiasi testata occidentale). Magari si possono avere presupposti diversi, visioni non collimanti, ma almeno si possono avere informazioni non manipolate.

E’ il caso di questo articolo di Michelangelo Cocco, da Shangai, ex caporedattore de il manifesto, pubblicato sul suo spazio Substack («Rassegna Cina»), che consigliamo caldamente come abbonamento «anti-droga» (i media mainstream, in tempi di guerra, diventano letteralmente spacciatori in senso stretto).

Sulla parata di Pechino si possono elaborare molti giudizi, ma a partire da qui, e non da «intenzioni» attribuite ai leader cinesi (sulla falsariga degli articoli che promettono di spiegarci «cosa c’è nella testa di Putin» o di qualsiasi altro capo di stato classificato come «nemico»).

E che la Cina di oggi sia una potenza economica e tecnologica, quindi anche militarmente «solida», era chiaro anche prima della parata.

Ma evidentemente è sembrato utile ricordarlo ad un Occidente neoliberista in crisi di prospettive e sempre più tentato da soluzioni militaresche senza serie valutazioni strategiche di lunga durata.

 

Solo per fare un esempio molto poco noto qui da noi. Poco più di un anno fa un reparto delle forze speciali dell’Esercito degli Stati Uniti si è stanziato a Kinmen (Quemoy). L’arcipelago, governato da Taiwan ma collocato a tre miglia nautiche dalla costa cinese, sorge di fronte al porto di Xiamen, nella provincia del Fujian.

Provate voi a immaginare come avrebbe reagito Washington a una mossa simile fatta da russi o cinesi, ad un passo dai confini statunitensi, in appoggio a ipotetiche rivendicazioni di sovranità messicana o cubana…

Che la Cina attuale sia consapevole del suo peso e della sua forza è indubbio. E’ l’asse euro-atlantico a dover ridimensionare o abbandonare lo sguardo suprematista che ha mantenuto sul resto del mondo. E siccome sembra che l’unico linguaggio compreso da queste parti sia la potenza, anche questa viene esibita a fini «comunicativi».”Siamo un paese che vuole la pace, ma siamo in grado di farci rispettare“.

E a quanto pare «il messaggio» è arrivato forte e chiaro…

Buona lettura.

 * * * *

Vladimir Putin e Kim Jong-un si sono presentati ieri accanto a Xi Jinping sul palco di piazza Tiananmen per celebrare assieme l’ottantesima “Giornata della vittoria”, con la quale la Cina ricorda la liberazione dall’occupazione giapponese al termine della Seconda guerra mondiale.

Davanti ai tre presidenti ha sfilato un fiume in piena di armamenti: non copie cinesi di modelli russi, come fino a qualche anno fa, ma gli ultimi gioielli del complesso militare-industriale della seconda economia del pianeta.

Prima di passare in rassegna le truppe, il presidente cinese ha pronunciato un breve discorso nel quale ha dichiarato che:

– La guerra di resistenza del popolo cinese contro l’aggressione giapponese ha rappresentato una parte importante della guerra mondiale anti-fascista.

– Il popolo cinese ha sostenuto un enorme sacrificio nazionale, dando un grande contributo per salvare la civilizzazione umana e la pace nel mondo. […]

– L’umanità si trova nuovamente di fronte a una scelta tra pace e guerra, dialogo e scontro, risultati vantaggiosi per tutti o giochi a somma zero.

– Il popolo cinese si schiererà fermamente dalla parte giusta della storia e del progresso umano, aderirà al percorso dello sviluppo pacifico e unirà le proprie forze con il resto del mondo per costruire una comunità dal futuro condiviso per l’umanità. […]

– Il grande rinnovamento della nazione cinese è irresistibile, le nobili cause della pace e dello sviluppo dell’umanità prevarranno.

La pompa e la simbologia che hanno caratterizzato la manifestazione hanno mandato all’Occidente, Stati Uniti in primis, un messaggio di deterrenza e unità. Da un lato, nella “Nuova era” di Xi la Cina è pronta a difendere le sue rivendicazioni in Asia, a cominciare da Taiwan; dall’altro, Russia, Corea del Nord e Cina sapranno a far valere assieme gli interessi di ognuno, la crociata anti-Nato di Mosca, l’uscita dall’isolamento di Pyongyang e la “riunificazione” dell’isola che Pechino considera una sua provincia.

Dopo aver pronunciato il suo breve discorso, a bordo della sua Hongqi (Bandiera rossa) decappottabile, Xi ha passato in rassegna una varietà impressionante di armamenti. Mai dal 1949 la Repubblica popolare cinese ne aveva portati in piazza tanti, così assortiti e sofisticati.

Per la prima volta Pechino ha fatto sfilare i DF-61, i missili balistici intercontinentali made in China più avanzati e distruttivi, in grado di scaricare testate atomiche multiple da oltre 650 chilotoni a più di 15.000 chilometri di distanza, per la tv di stato un «asso strategico per salvaguardare la sovranità nazionale e difendere la dignità nazionale».

Nello specifico, la quantità di altri nuovi vettori atomici svelati ieri da Pechino non può essere casuale. Negli ultimi giorni, Putin ha proposto un nuovo accordo che subentri allo Start (in scadenza a febbraio), subordinandolo a un’intesa più ampia con gli Usa.

Pechino invece ha risposto a Washington che una riduzione delle sue testate nucleari sarebbe “irragionevole e irrealistica”, perché ne ha molte di meno (circa 600) rispetto a Russia (circa 4.300) e Stati Uniti (circa 3.700).

A Tiananmen hanno inoltre sfilato droni sottomarini extra-large (per prevenire sabotaggi come quello al gasdotto Nord Stream nel Baltico), i nuovi bombardieri strategici H6-J, gli ultimi caccia, i J-20S, e missili da crociera ipersonici a lungo raggio CJ-1000. 

L’imponenza della parata ha colpito Donald Trump, che l’ha commentata in diretta via Truth. «Vi prego di porgere i miei più calorosi saluti a Vladimir Putin e Kim Jong-un, mentre cospirate contro gli Stati Uniti d’America», ha ironizzato Tariff Man. 

«La grande domanda a cui bisogna rispondere è se il presidente Xi della Cina menzionerà il massiccio sostegno e il “sangue” che gli Stati Uniti d’America hanno offerto alla Cina per aiutarla a conquistare la sua LIBERTÀ da un invasore molto ostile», ha aggiunto Trump. 

Senza citare esplicitamente il Giappone alleato, il presidente Usa ha colto il senso dell’iniziativa di Xi (e di Putin), che è quello di reclamare un ruolo da grandi potenze globali al pari degli Usa anche in virtù del contributo di sangue dato dalla Cina (35 milioni di morti) e dall’Unione Sovietica (oltre 20 milioni) alla sconfitta delle potenze dell’Asse (Germania, Italia, Giappone). 

Una storia quasi ignorata in Occidente, che in Cina invece è oggetto di culto, con tanto di musei ad hoc visitati da milioni di persone tutti i fine settimana, e una produzione continua di film, documentari e serie tv sulla resistenza anti-nipponica. 

Ultimamente il governo ha mobilitato contro il “nichilismo storico” gli accademici, che invocano una memoria condivisa “vera, giusta e pluralista”. Secondo gli storici cinesi il contributo dell’Occidente è stato sopravvalutato, mentre è stato dato poco spazio a quello dell’Oriente. 

Come che sia, in questi giorni Dead to Rights, film cinese sul massacro di Nanchino, viene proiettato nelle sale di mezzo mondo, da New York a Budapest, passando per Sydney.

I cinesi hanno potuto seguire in diretta sui social alla Giornata della vittoria, allestita come un enorme set cinematografico, con centinaia di telecamere che hanno ripreso caccia ed elicotteri in volo sulla Città proibita, e un’infinità di marce militari a fare da sottofondo alle spettacolari immagini.

E qui sta la terza chiave di lettura (oltre a quelle sulla deterrenza e sul «revisionismo storico») dell’evento di ieri. L’ultima parata a Tiananmen per la Giornata della vittoria risale al 2015. Dieci anni dopo, Xi Jinping ha potuto mostrare al partito, all’esercito e all’intero paese i risultati spettacolari delle forze armate che ha rivoltato come un calzino con la sua riforma a base di anticorruzione, ammodernamento e riorganizzazione.

Forse ad aver fatto di meglio è stata solo l’aviazione statunitense, che si è fatta grande nello sforzo della Seconda guerra mondiale, come raccontato da John Steinbeck nel reportage di propaganda Bombs Away: The Story of a Bomber Team. Un esercito finalmente moderno, potente e riorganizzato è stato presentato da Xi Jinping come parte integrante di e funzionale alla sua strategia di “grande rinnovamento della nazione cinese”.

I media mainstream hanno commentato l’evento di Tiananmen generalmente attribuendogli una connotazione di carattere aggressivo. Si tratta da un lato di un riflesso pavloviano, che giudica con sospetto tutto ciò che arriva dalla Cina. Ma è vero anche che vedere sfilare tutte assieme tante “bombe atomiche” (ovvero i missili atti a contenerle) non è propriamente rassicurante.

La Cina ha dunque cambiato rotta o resta, come si descrive, una potenza “pacifica”?

Quello che è chiaro è che così come il XIX congresso del partito (18-24 ottobre 2017) ha rivelato le nuove ambizioni economiche del paese, così la parata di ieri ha mostrato le sue nuove ambizioni militari, che restano comunque quelle di un paese che non ha mai finora combattuto una vera e propria guerra, dunque eventualmente da verificare sul campo di battaglia. 

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Comments

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Franco Trondoli
Thursday, 11 September 2025 23:15
I migliori complimenti a
Michele Castaldo.
Più chiaro e sintetico di così..non si può.
La differenza dell'idea di libertà come volontà e/o necessità. A favore di quest'ultima naturalmente.
In fondo è molto semplice;
ma anche da insigni studiosi e commentatori non viene capita.
Peccato.
Cordiali Saluti
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Franco Trondoli
Friday, 12 September 2025 11:40
"insigni studiosi"...!!
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Michele Castaldo
Wednesday, 10 September 2025 17:33
Carissimi amici di Contropiano,
il problema - tanto per la Cina quanto per ogni altro paese potentato al mondo - consiste nel saper distinguere la volontà dalle necessità storiche cui ogni paese è sottoposto.
Noi tutti - scuola maxiana o marxista - ci siamo fin troppo abituati a leggere la storia sulla base della volontà di potere piuttosto che sulla base delle necessità dello sviluppo dell'accumulazione (capitalistica).
Ora non fu per volontà ma per necessità che gli europei per risparmiare sui costi di produzione e trasporto intrapresero nel 1492 la via del mare in alternativa a quella terrestre e furono benedetti dal Padreterno e accompagnati sulle coste sud americane da cui tutto ha avuto un seguito straordinario ai danni dei malcapitati "indiani".
Oggi per la Cina, come per tutte le altre grandi potenze, si pone un problema drammatico: calo demografico, calo della produzione di valore, ingolfamento di mezzi di produzione e merci.
Xi Jinping nella sua dichiarazione - qui giustamente menzionata per punti - a un certo punto dice: "le nobili cause della pace e dello sviluppo fra i popoli prevarranno".
Ora il punto in questione non è se essere ottimisti (o buonisti) o pessimisti (cattivisti) quanto piuttosto QUANTO LE NECESSITA' DELLE LEGGI IMPERSONALI DEL CAPITALE PREVARRANNO SULLA VOLONTÀ DEI POPOLI.
Noi comunisti ci siamo formati sulla forza della VOLONTÀ ideale al punto che pensavamo di poter dirigere la storia. Poi - però - abbiamo dovuto fare i conti con la realtà, ovvero con le leggi del modo di produzione capitalistico che hanno indotto tutti i paesi a subordinarsi, al punto che lo stesso Lenin - grandioso rivoluzionario - fu costretto ad ammettere: "eravamo su un binario unico e obbligato della storia".
Pochi hanno veramente studiato la Rivoluzione russa, ed altrettanto quella cinese e tanti parlano usando il metodo IDEOLOGICO, ovvero applicando la forza delle proprie idee (o di dirigenti ideologizzati in un certo modo) di volontà alla forza delle leggi delle necessità che muovono la volontà e sviluppano la storia.
Molti della mia generazione (1945) eravamo innamorati di Mao, del Libretto rosso e del Maoismo. Poi arrivo' Deng Xiao ping non calato dall'alto dei cieli sulla grigia terra, ma espressione di una NECESSITÀ storica e mise da parte la volontà rivoluzionaria di Mao e del Maoismo. E nel 1989 lo potei toccare con mano, andando in Cina, il "comunismo" post maoista.
Pertanto l'uomo - come specie - non è in grado [fino ad oggi questo dice la storia] di sostituire un modo di produzione incentrato sullo SCAMBIO senza la necessità e la capacità di superarlo.
È questa la questione. Un invito, perciò, a non cullare illusioni.
Il modo di produzione capitalistico deve implodere - e sta implodendo - e SOLO dalla sua implosione, che metterebbe in discussione lo scambio, sarà possibile - dunque sulla base di nuove NECESSITÀ storiche, organizzare il Comunismo.
Michele Castaldo
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