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gliocchidellaguerra

In Siria missili contro Putin

di Davide Malacaria

putinassad.HIRES 1024x775Quel che è avvenuto stanotte, nell’oscura notte siriana, è qualcosa di epocale. I missili lanciati sulla base aerea di Al-Shayrat non rappresentano solo il primo passo di un eventuale intervento militare americano contro Damasco.

Non sembra solo ripetersi il copione noto delle guerre neocon, quelle che si sono succedute dopo l’11 settembre 2001, da quando cioè tale ambito ha sequestrato e condizionato in maniera decisiva la politica estera degli Stati Uniti d’America (Afghanistan, Iraq, Egitto, Libia, Siria etc).

Quanto avvenuto stanotte è altro e ben più tragico. Perché la base bersaglio dei missili americani era usata anche dai russi, giunti in Siria a sostegno di Assad due anni fa.

Trump ha affermato che l’obiettivo è stato prescelto perché da lì sono partiti gli aerei che avrebbero sganciato gli ordigni chimici su Idlib.

Al di là della veridicità o meno dell’affermazione del presidente americano, non suffragata da alcuna prova (vedi Piccolenote), quel che resta è che i missili lanciati dalla Us navy erano diretti contro una base usata dai militari di Mosca.

Non è chiaro se essi siano stati avvertiti preventivamente dell’attacco Usa, dal momento che le affermazioni in proposito di russi e americani sono  contraddittorie. Resta che, a livello simbolico, l’obiettivo dei missili Usa era la presenza della Russia in Siria.

Si è ripetuto quanto avvenuto il 17 marzo scorso, quando a bombardare postazioni dell’esercito di Damasco prossime alla presenza russa, era stata l’aviazione di Tel Aviv, diretta, come da dichiarazioni postume rese delle autorità israeliane, a inseguire obiettivi hezbollah nel Paese confinante.

Il giorno dopo Putin aveva protestato vibratamente, convocando addirittura l’ambasciatore israeliano a Mosca, e la cosa era finita lì.

Stavolta è ben più grave, perché è chiaro che il raid americano non è isolato e il messaggio che reca è inequivocabile. L’interferenza russa nei progetti neocon, volti al regime-change in Siria e a ridisegnare il Medio Oriente, non è più accettabile.

Lo aveva detto esplicitamente Henry Kissinger in un recente intervento alla Trilateral riportato da Paolo Mastrolilli sulla Stampa del 27 marzo. Pur rigettando la criminalizzazione di Putin, l’ex segretario di Stato americano aveva affermato senza mezzi termini: “la Russia non ha diritto a stare in Medio Oriente”.

Kissinger non esprimeva una sua opinione ma rendeva nota la determinazione presa ai più alti livelli del potere internazionale, ai quali partecipano i neocon americani: le interferenze russe nei progetti neocon riguardanti il Medio Oriente sono inaccettabili.

Una determinazione talmente irrevocabile che pur di ottenere tale obiettivo tali ambiti sono disposti a scatenare una guerra globale.

Già, perché dal dopoguerra, e soprattutto da quando i due Stati sono diventati potenze nucleari, non è mai accaduto che gli Stati Uniti abbiano attaccato direttamente la Russia o viceversa.

Resta che Putin non può accettare una resa incondizionata sul punto. Non solo per la perdita di influenza internazionale che ciò arrecherebbe alla Russia, ma anche perché indebolirebbe non poco la sua immagine agli occhi dei propri connazionali.

Occorre capire se c’è ancora spazio per una trattativa tra il presidente russo e l’Occidente. Putin tiene aperta la possibilità, come anche parte dell’amministrazione americana, altrimenti sarebbe stata annullata la visita del Segretario di Stato americano Rex Tillerson in Russia, prevista per il 10 e l’11 aprile.

Il punto è che in America, come altrove in Occidente, la lotta politica, dopo la consunzione delle forze progressiste, si è ristretta a un confronto tra una destra pragmatica e una esoterica, disposta quest’ultima a precipitare il mondo in un confronto globale pur di raggiungere i propri obiettivi. Lo spazio di manovra concesso a un’eventuale negoziato tra l’Occidente e Putin dipenderà dall’esito di tale scontro.

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