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rifonda

Leggete Karl Marx!

«Il capitalismo non è eterno. E Marx è ancora necessario»

Conversazione tra Marcello Musto e Immanuel Wallerstein

fotohome2Nasceva duecento anni fa l’autore del «Manifesto del partito comunista»: sul suo pensiero abbiamo interpellato il sociologo Immanuel Wallerstein, che ne rivendica l’attualità. «Non può fare a meno di lui una sinistra globale che voglia rappresentare l’80% più povero degli abitanti della Terra».

Immanuel Wallerstein, Senior Research Scholar alla Yale University (New Haven, USA) è considerato uno dei più grandi sociologi viventi. I suoi scritti sono stati molto influenzati dalle opere di Marx ed egli è uno degli studiosi più adatti con il quale riflettere sul perché il pensiero di Marx sia ritornato, ancora una volta, di attualità.

* * * *

MM: Professor Wallerstein, 30 anni dopo la fine del cosiddetto “socialismo reale”, in quasi tutto il globo tantissimi dibattiti, pubblicazioni e conferenze hanno a tema la persistente capacità da parte di Marx di spiegare le contraddizioni del presente. Lei ritiene che le idee di Marx continueranno ad avere rilevanza per quanti ritengono necessario ripensare un’alternativa al capitalismo?

IW: Esiste una vecchia storia su Marx che dice che ogni qual volta si cerca di buttarlo fuori dalla porta, lui rientra dalla finestra. È quanto sta accadendo anche in questi anni. Marx è ancora fondamentale per quanto scrisse a proposito del capitalismo. Le sue osservazioni furono molto originali e completamente diverse da ciò che affermarono in proposito altri autori. Oggi affrontiamo problemi rispetto ai quali egli ha ancora molto da insegnarci e tanti editorialisti e studiosi – non certo solo io – trovano il pensiero di Marx particolarmente utile in questa fase di crisi economica e sociale. Ecco perché, nonostante quanto era stato predetto nel 1989, assistiamo nuovamente alla sua rinnovata popolarità.

 

MM: La caduta del Muro di Berlino ha liberato Marx dalle catene degli apparati statali dei regimi dell’Est Europa e da un’ideologia sideralmente lontana dalla sua concezione di società. Qual è il motivo centrale che suscita ancora tanta attenzione per l’interpretazione del mondo di Marx?

IW: Io credo che, se chiedessimo a quanti conoscono Marx di riassumere in una sola idea la sua concezione del mondo, la maggior parte di essi risponderebbe “la lotta di classe”. Io leggo Marx alla luce del presente e per me “lotta di classe” significa il perenne conflitto tra quella che io chiamo la “Sinistra Globale” – che ritengo possa ambire a rappresentare l’80% più povero della popolazione mondiale – e la “Destra Globale” – che rappresenta il suo 1% più ricco. Per vincere questo scontro bisogna conquistare il restante 19%; bisogna cercare di portarlo nel proprio campo e sottrarlo a quello dell’avversario.

Viviamo in un’era di crisi strutturale del sistema mondo. Credo che il capitalismo non sopravviverà, anche se nessuno sa con certezza da cosa potrà essere sostituito. Io sono convinto che vi siano due possibilità. Una prima è rappresentata da quello che chiamo lo “Spirito di Davos”. L’obiettivo del Forum Economico Mondiale di Davos è quello di imporre un sistema sociale nel quale permangono le peggiori caratteristiche del capitalismo: le gerarchie sociali, lo sfruttamento e, soprattutto, il dominio incontrastato del mercato con la conseguente polarizzazione della ricchezza. L’alternativa è, invece, un sistema più democratico e più egualitario di quello esistente. Per tornare a Marx, dunque, la lotta di classe costituisce lo strumento fondamentale per influire sulla costruzione di ciò che, in futuro, sostituirà il capitalismo.

 

MM: Le sue riflessioni circa la contesa per ricevere il sostegno politico della classe media ricordano Gramsci e il suo concetto di egemonia. Tuttavia, credo che per le forze di sinistra la questione prioritaria sia come ritornare a parlare alle masse popolari, ovvero quell’80% a cui lei fa riferimento, e come rimotivarle alla lotta politica. Questo è particolarmente urgente nel “Sud globale”, dove è concentrata la maggioranza della popolazione mondiale e dove, negli ultimi tre decenni, a dispetto del drammatico aumento delle diseguaglianze prodotte dal capitalismo, partiti e movimenti progressisti si sono indeboliti. Lì l’opposizione alla globalizzazione neoliberista è spesso guidata dai fondamentalismi religiosi e da partiti xenofobi, un fenomeno in crescita anche in Europa.

La domanda è se Marx può aiutarci in questo nuovo scenario. Libri di recente pubblicazione offrono nuove interpretazioni della sua opera. Essi rivelano un autore che fu capace di esaminare le contraddizioni della società capitalista ben oltre il conflitto tra capitale e lavoro. Marx dedicò molte energie allo studio delle società extra-europee e al ruolo distruttivo del colonialismo nelle periferie del sistema. Allo stesso modo, smentendo le interpretazioni che assimilano la concezione marxiana della società comunista al mero sviluppo delle forze produttive, l’interesse per la questione ecologica presente nell’opera di Marx fu ampio e rilevante. Infine, egli si occupò approfonditamente di numerose tematiche che molti studiosi spesso sottovalutano o ignorano quando parlano di lui. Tra queste figurano le potenzialità emancipatrici della tecnologia, la critica dei nazionalismi, la ricerca di forme di proprietà collettive non controllate dallo Stato, o la centralità politica della libertà individuale nella sfera economica e politica: tutte questioni fondamentali dei nostri giorni.

Accanto a questi “nuovi profili” di Marx – che suggeriscono come il rinnovato interesse per il suo pensiero sia un fenomeno destinato a proseguire nei prossimi anni – potrebbe indicare tre delle idee più conosciute di Marx grazie alle quali questo autore non può essere accantonato?

IW: Innanzitutto, Marx ci ha insegnato meglio di chiunque altro che il capitalismo non corrisponde al modo naturale di organizzare la società. Già in La miseria della filosofia, pubblicato quando aveva solo 29 anni, egli schernì gli economisti che sostenevano che le relazioni capitalistiche si fondavano su “leggi naturali, indipendenti dall’influenza del tempo”. Marx scrisse che gli economisti avevano riconosciuto il ruolo svolto dagli esseri umani nella storia quando avevano analizzato le “istituzioni feudali, nelle quali si trovavano rapporti di produzione del tutto differenti da quelli della società borghese”. Tuttavia, essi mancarono di storicizzare il modo di produzione da loro difeso e presentarono il capitalismo come “naturale ed eterno”. Nel mio libro Il capitalismo storico ho tentato di chiarire che il capitalismo è un sistema sociale storicamente determinato, contrariamente a quanto impropriamente sostenuto da alcuni economisti. Ho più volte affermato che non esiste un capitalismo che non sia capitalismo storico e, a tal proposito, dobbiamo molto a Marx.

In secondo luogo, vorrei sottolineare l’importanza del concetto di “accumulazione originaria”, ossia l’espropriazione della terra dei contadini che fu alla base del capitalismo. Marx capì benissimo che si trattava di un processo fondamentale per la costituzione del dominio della borghesia. È un fenomeno che persiste ancora oggi.

Infine, inviterei a riflettere di nuovo sul tema “proprietà privata e comunismo”. In Unione Sovietica, in particolare durante il periodo staliniano, lo Stato deteneva la proprietà dei mezzi di produzione. Ciò non impedì, però, che le persone fossero sfruttate e oppresse. Tutt’altro. Ipotizzare la costruzione del “socialismo in un unico paese”, come fece Stalin, costituì una novità mai considerata in precedenza, men che mai da Marx. La proprietà pubblica dei beni di produzione rappresenta una delle alternative possibili, ma non è l’unica. Esiste anche l’opzione della proprietà cooperativa. Tuttavia, se vogliamo costruire una società migliore, è necessario sapere chi produce e chi riceve il “plusvalore” – altro pilastro fondamentale della teoria di Marx. È questo il tema centrale. Va completamente mutato quanto si viene a determinare nei rapporti capitalistici di produzione.

 

MM: Il 2018 coincide con il bicentenario della nascita di Marx e nuovi libri e film vengono dedicati alla sua vita. Quali sono gli episodi della biografia di Marx che lei considera più significativi?

IW: Marx trascorse una vita molto difficile, in perenne lotta contro una povertà terribile. Fu molto fortunato ad avere incontrato un compagno come Friedrich Engels che lo aiutò a sopravvivere. Marx non ebbe nemmeno una vita affettiva semplice e la sua tenacia nel portare a compimento la missione che aveva assegnato alla propria esistenza – ovvero la comprensione del meccanismo di funzionamento del capitalismo – è davvero ammirabile. Marx non pretese né di spiegare l’antichità, né di definire come avrebbe dovuto essere la futura società socialista. Volle comprendere il suo presente, il sistema capitalistico nel quale egli viveva.

 

MM: Nel corso della sua vita, Marx non fu soltanto lo studioso isolato dal mondo tra i libri del British Museum; fu un rivoluzionario sempre impegnato nelle lotte della sua epoca. Da giovane, a causa della sua militanza politica, egli venne espulso dalla Francia, dal Belgio e dalla Germania e, quando le rivoluzioni del 1848 vennero sconfitte, fu costretto all’esilio in Inghilterra. Egli fondò quotidiani e riviste e appoggiò, in tutti i modi che poté, le lotte del movimento operaio. Inoltre, dal 1864 al 1872 fu il principale animatore dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori, la prima organizzazione transnazionale della classe operaia, e, nel 1871, difese strenuamente la Comune di Parigi, il primo esperimento socialista della storia.

IW: Sì, è vero, è essenziale ricordare la militanza politica di Marx. Come lei ha messo in evidenza nel volume Lavoratori di tutto il mondo unitevi!, Marx ebbe un’influenza straordinaria nell’Internazionale, un’organizzazione composta da lavoratori fisicamente distanti tra loro, in un’epoca in cui non esistevano mezzi che potessero agevolare la comunicazione. Marx fece politica anche attraverso il giornalismo, impiego che svolse per tanta parte della sua vita. Certo, egli lavorò come corrispondente del New-York Tribune prima di tutto per avere un reddito, ma considerò i propri articoli – che raggiunsero un pubblico molto vasto – come parte della sua attività politica. Essere neutrale non aveva alcun senso ai suoi occhi – il che non vuol dire che mancò di rigore nelle sue analisi. Egli fu sempre un giornalista impegnato e critico.

 

MM: Lo scorso anno, in occasione del 100° anniversario della Rivoluzione Russa, alcuni studiosi sono ritornati a discutere sulle distanze esistenti tra Marx e alcuni dei suoi autoproclamatisi epigoni che sono stati al potere nel XX secolo. Qual è la maggiore differenza esistente tra loro e Marx?

IW: Gli scritti di Marx sono illuminanti e molto più sottili e raffinati di molte interpretazioni semplicistiche delle sue idee. È sempre bene ricordare che fu lo stesso Marx, con una famosa boutade, ad affermare dinanzi ad alcune interpretazioni del suo pensiero: “quel che è certo è che io non sono marxista”. Marx, a seguito dei suoi continui studi, non di rado, mutò idee e opinioni. Si concentrò sui problemi che esistevano nella società del suo tempo e, a differenza di tanti che si sono richiamati al suo pensiero, fu profondamente antidogmatico. Questa è una delle ragioni per le quali Marx è una guida ancora così valida e utile.

 

MM: Per concludere, che messaggio le piacerebbe trasmettere a quanti, nella nuova generazione, non hanno ancora letto Marx?

IW: La prima cosa che vorrei dire ai più giovani è di leggere direttamente gli scritti di Marx. Non leggete su Marx, ma leggete Marx. Solo in pochi – rispetto a tutti quelli che parlano di lui – hanno veramente letto le opere di Marx. È una considerazione che, peraltro, vale anche per Adam Smith. In genere, con la speranza di risparmiare tempo, molte persone preferiscono leggere a proposito dei classici del pensiero politico ed economico e, dunque, finiscono per conoscerli attraverso i resoconti di altri. È solo uno spreco di energie! Bisogna leggere direttamente i giganti del pensiero moderno e Marx è, senza dubbio, uno dei principali studiosi del XIX e XX secolo. Nessuno gli è pari, né per la molteplicità delle tematiche da lui trattate, né per la qualità della sua analisi. Alle giovani generazioni dico che è indispensabile conoscere Marx e che per farlo bisogna leggere, leggere e leggere direttamente i suoi scritti. Leggete Karl Marx!


Immanuel Wallerstein (www.iwallerstein.com) è autore di oltre 30 libri. Le sue pubblicazioni in italiano annoverano numerosi volumi, tra i quali vi sono Il sistema mondiale dell’economia moderna (Volume I: Il Mulino, 1978; Volume II: Il Mulino, 1982), Il capitalismo storico (Einaudi, 1985), Il declino dell’America (Feltrinelli, 2004), Comprendere il mondo. Introduzione all’analisi dei sistemi mondo (Asterios, 2013) e Dopo il liberalismo (Jaca Book, 2017).
Marcello Musto (www.marcellomusto.org) è professore associato di Sociologia Teorica presso la York University (Toronto, Canada). Le sue pubblicazioni comprendono Ripensare Marx e i marxismi (Carocci, 2011) e L’ultimo Marx (Donzelli, 2016). Di prossima uscita si segnalano anche Karl Marx (1857-1883). Biografia Politica (Einaudi, 2018) e l’antologia Karl Marx. Contro l’alienazione (Donzelli, 2018).

Corriere della Sera - DOMENICA 8 APRILE 2018
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Luciano Pietropaolo
Sunday, 08 July 2018 17:23
E’ stupefacente come acutezza e ottusità coesistano allegramente in questa intervista (ma prevale la seconda), sia dal lato dell’intervistatore sia dal lato dell’intervistato. Si capisce subito che al di là dell’omaggio a Marx, alla sua attualità ecc. il leit motiv è la cieca quanto immotivata avversione verso il comunismo novecentesco, figlio bastardo e degenere di tanto padre. Tutto il “marxismo” anglosassone, per quanto io ne sappia, è accecato da questa fobia.
Ma andiamo con ordine e cominciamo dalle tesi condivisibili: Wallerstein ha scritto un libro “il capitalismo storico” dove sostiene che il capitalismo è un sistema sociale storicamente determinato, non naturale ed eterno come impropriamente sostenuto dagli economisti borghesi. “Ho più volte affermato che non esiste un capitalismo che non sia capitalismo storico e, a tal proposito, dobbiamo molto a Marx”. Bene! Sintetizzo infine che per lui come per Marx la lotta di classe è “il motore della storia”.
Ma quando si tratta di configurare la lotta di classe oggi (operazione non solo teoretica ma soprattutto politico-strategica) enuncia una tesi incredibilmente rozza e ridicola per il suo semplicismo: l’80% della popolazione mondiale (i “poveri”) deve cercare di portare dalla sua parte la classe- cuscinetto (il 19%) per potersi contrapporre vittoriosamente all’1% dei super ricchi! Sembra un sondaggio Gallup, eppure sono in molti a propalare questa tesi, e molti la semplificano ancora di più contrapponendo tout court il 99% all’1%. Fosse così, la rivoluzione sarebbe già cosa fatta da un pezzo, invece…
Invece bisogna considerare più scientificamente che il capitalismo ha uno sviluppo non lineare e non omogeneo come si pensava nell’800 e questa “legge” dello sviluppo capitalistico fu enunciata da Stalin sulla base dell’esperienza storica successiva al tempo di Marx. Il sottosviluppo di certe aree del mondo è funzionale allo sviluppo di altre aree, ossia di altri paesi, perciò quelle percentuali (80%, 19%, 1%) perdono di significato e invece lo riacquista il concetto di stato-nazione-popolo, entità geograficamente circoscritta e storicamente configurata. E’ in tale contesto, storico-geografico e non sociologico, che si sviluppano le rivoluzioni. C’è da domandarsi chi è più dogmatico, Lenin e Stalin che andarono contro le “previsioni” di Marx o coloro che a queste previsioni restano simbolicamente abbarbicati, conferendo ad esse un valore assoluto che certamente Marx non avrebbe assegnato e cancellano dalla Storia le rivoluzioni fuori programma disprezzandole con la motivazione che “lo Stato deteneva la proprietà dei mezzi di produzione ma ciò non impediva che le persone fossero sfruttate e oppresse”. La solita narrazione…bisognerebbe informare Wallerstein che la “gente” in quei paesi rimpiange il socialismo reale, avendo sperimentato il capitalismo di rapina che si è dispiegato dopo la caduta del muro.
Infine, sulla base del fatto acclarato che Marx fu, tra le tante cose, soprattutto un rivoluzionario pragmatico, radicale e tetragono ad ogni forma di opportunismo, poniamoci la domanda ipotetica ma concretissima: se fosse stato presente in Russia o in Germania o in Italia negli anni tra il 1917 e il 1922 con chi si sarebbe schierato, con Lenin o con Kerensky, con la Luxemburg o con Noske, con Gramsci o con Turati? E dopo il fallimento della rivoluzione in Europa, cosa avrebbe consigliato a Lenin, di andare avanti con la rivoluzione socialista o di chiedere scusa a Kerensky e di restituirgli il potere?
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daniela
Wednesday, 09 May 2018 08:02
ragazzi, leggete wallerstein! a partire dall'articolo, dove dice lui stesso di leggere marx e che il capitalismo sarà superato da un altro sistema-mondo (sempre che sopravviviamo alla crisi ecologica). i commenti che avete fatto sono veramente indegni della vostra capacità di comprensione
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Eros Barone
Saturday, 21 April 2018 19:45
Per quanto concerne la questione della miseria, ovvero, in termini marxisti, la diminuzione del valore della forza-lavoro, i revisionisti obiettano che ciò non accade nei paesi dove esiste un "benessere diffuso", nei paesi dove, a detta loro, non agirebbe la legge della pauperizzazione. Essi però dimenticano di considerare un fattore economico decisivo ai fini della valutazione della merce lavoro: l'esportazione dei capitali nelle zone arretrate. L'esportazione dei capitali è il tentativo, da parte del capitalismo, di sfuggire alle conseguenze a cui esso andrebbe incontro impiegando tutto il capitale nella madrepatria. Se ciò avvenisse - si tratta di un'ipotesi limite -, la riproduzione del capitale sarebbe interrotta da una crisi micidiale. Quindi, l'esportazione del capitale evita tale crisi ed indebolisce il valore della forza-lavoro con l'estrazione di un sovrapprofitto dalle zone arretrate. In questo modo si verifica una specie di equilibrio, per cui si evita che la eccedenza di capitali provochi la crisi e, nello stesso tempo, il sovrapprofitto regola la composizione del capitale nella misura più adeguata a mantenere basso il mercato della forza-lavoro. Fermo restando che l'immigrazione straniera è un fattore che determina un crescente squilibrio in tale mercato, il fenomeno della pauperizzazione dei lavoratori non solo sussiste, ma si aggrava. Vediamo in che termini. E' quella che Engels definisce come "incertezza dell'esistenza" per i lavoratori, associandola al concetto di "miseria". Del resto, Engels, rifiutando categoricamente la "legge della miseria crescente", parla, esattamente come Marx, di "aumento della massa della miseria", concetto che i revisionisti e i 'miserabilisti' spacciano, stravolgendolo, come "aumento della miseria delle masse". Sennonché il concetto di pauperizzazione acquista il suo significato dialettico, allorché il rapporto che esprime diventa un rapporto di fenomeni economici con una "società" generale. A questo punto, non basta più individuare i dati del consumo delle masse, ma occorre affrontare lo stesso concetto di "consumo" in tutti i suoi aspetti sociali. Affrontata perciò secondo la teoria marxista, la questione si capovolge. L'aumento assoluto del consumo delle masse lavoratrici diventa un sintomo di aumento della "massa della miseria", poiché manifesta lo sviluppo della produzione capitalistica e la conseguente concentrazione dei mezzi di produzione. Aumenta la massa della ricchezza (cioè i mezzi di produzione) concentrata nei monopoli e aumenta, con la proletarizzazione, la "massa della miseria", cioè il numero di coloro che non detengono le fonti della ricchezza (ossia, ancora una volta, i mezzi di produzione). Non solo aumenta - con la diminuzione degli strati intermedi detentori e proprietari dei mezzi di produzione - il numero dei nullatenenti, ma la condizione sociale di questi, il loro 'status' di non-proprietari in rapporto al vertiginoso aumento della massa della ricchezza peggiora notevolmente. Per il marxismo, infatti, la miseria è sempre un rapporto sociale, da misurare rispetto al volume della ricchezza sociale. Se poi si analizza la qualità "sociale" del consumo stesso dei lavoratori, si troverà che gran parte di questo è inutile e artificiale, determinato non da esigenze sociali ma da esigenze della produzione capitalistica (ad esempio, cellulari, TV, Internet, film, automobili, divertimenti americanizzati di massa ecc.). Questo tipo di consumo socialmente degradante è un aspetto qualitativo dell'aumento della "massa della miseria". Per non parlare, poi, degli enormi investimenti improduttivi ai fini del consumo sociale: produzione bellica, guerre, burocrazia, pubblicità, chiese ecc. Coloro che non hanno mai compreso il pensiero di Marx ritengono che miseria crescente e rivoluzione siano legate fra di loro, talché, aumentando la massa dei 'miserabili', questa si solleva e si verifica la rivoluzione; se, invece, tale massa non aumenta, allora Marx si è completamente sbagliato e la rivoluzione non si verifica più. Queste caratteristiche possono essere presenti nei paesi arretrati, ma certamente non vi sono nella rivoluzione socialista così come è concepita da Marx nei paesi avanzati, dove le leggi economiche del capitalismo operano aumentando la "massa della miseria sociale" e riducendo (sempre in senso relativo) la "miseria delle masse".
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michele castaldo
Thursday, 19 April 2018 12:11
Non conosco questo famoso studioso di Marx, ma le cose che scrive dimostrano che non ci ha capito molto: che la sinistra globale - pari all'80% - debba conquistare l'altro 19% della popolazione mondiale, cioè anche la gran parte della destra globale, dimostra il suo totale idealismo metafisico. Il modo di produzione capitalistico non è un modello a cui l'80% non crede e l'altra percentuale crede. No, il capitalismo è un movimento storico - stando al geniale Marx - e come tale ha avuto un suo inizio, un portentoso sviluppo e avrà una fine certa. Sicché l'alternativa non è e non può essere un capitalismo più democratico come invocato da Wallerstein e suoi consimili. Davos fa rima con Caos e questo può produrre solo una crisi più generalizzata del sistema, cioè del modo di produzione capitalistico.
Quanto a Marcello Musto gli andrebbe spiegato che le masse non "vanno motivate" ma sostenute nella loro lotta e tirare in ballo Gramsci non ci aiuta per niente perché non sarà la forza della ragione a mobilitare le masse ma solo e soltanto i fattori oggettivi e materiali, cioè le necessità che il capitalismo stesso si sta occupando di sollecitarle alle mobilitazioni. Da comunisti dovremmo sostenerle senza indugi piuttosto che desiderare che si mobilitino secondo i nostri desideri.
Quanto alla Russia e allo stalinismo Wallerstein proprio su questo terreno dimostra di non voler capire la questione di fondo: il modo di produzione capitalistico nasce in Occidente e si impone al resto del mondo. La Russia per poter colmare il ritardo storico dovette centralizzare al massimo grado il suo sviluppo e "scegliere" se sostenere lo sviluppo democratico dell'agricoltura o quello industriale a detrimento dell'arricchimento dei contadini. Wallerstein saprà certamente - visto che è un grande studioso - che fino al 1905 lo sviluppo industriale in Russia era importato attraverso capitali e capitalisti europei, tanto è vero che la marcia della domenica di sangue era motivata contro lo sfruttamento operato dagli industriali stranieri; insomma si chiedeva l'intervento dello zar in difesa dei lavoratori. Chi attacca lo stalinismo come modello sociale a sé stante, senza citare le implicazioni che il rapporto con l'Occidente imponeva mostra di non capire cosa vuol dire movimento storico, e in modo particolare del modo di produzione capitalistico dove gli uomini obbediscono a ruoli e leggi piuttosto che ai loro voleri. E' questa l'ABC del Capitale di Marx, che fin nella Prefazione al Primo libro del Capitale mette in guardia il lettore scrivendo: .
Vorrei essere chiaro: Marx è un uomo, straordinario studioso e pensatore, ma un uomo, come tale è un laboratorio che assorbe dall'esterno, elabora e rimette in circolo. Giustissimo perciò leggere e studiare per davvero Marx per capire in profondità cosa è realmente il modo di produzione capitalistico, senza la pretesa di trovare in lui le risposte alle domande che oggi si pongono, ma il metodo di indagine. Non possiamo continuare a essere pigri e opportunisti sperando di trovare in Marx la famosa leva per sollevare il mondo. Non ci sono proposte alternative al capitalismo, c'è la necessità di assecondare la sua decadenza attraverso la lotta e la mobilitazione, cioè la forza, la forza e ancora la forza, e le idee non possono essere forza in assenza di forza.
Michele Castaldo
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Eros Barone
Wednesday, 18 April 2018 21:26
Sì, cari Wallerstein e Musto, leggete Karl Marx! E' necessario, anzi indispensabile, se vi sfugge un piccolo particolare, e cioè che prendere coscienza della situazione mondiale e farsi carico, da un punto di vista di classe, di un’azione conseguente sul terreno politico, organizzativo, teorico e ideologico significa non confondere il contrasto tra poveri e ricchi ("la 'Sinistra Globale' che deve ambire a rappresentare l’80% più povero della popolazione mondiale") con la vera scissione che divide oggettivamente la società in due grandi campi contrapposti: la scissione tra sfruttatori e sfruttati (laddove vale la pena di precisare, sgombrando il terreno dagli equivoci delle concezioni miserabilistiche, cui indulgono intervistato e intervistatore, che si può essere sfruttatori ed essere poveri e si può essere sfruttati ed essere ricchi).
Pertanto, una volta elaborata scientificamente (cosa, questa, che una 'sinistra globale' non ha mai fatto e non potrà mai fare), la coscienza di classe si riassume nella proposizione chiave: “Proletari di tutto il mondo, unitevi!”, giacché l’idea fondamentale che sta al centro del pensiero marxista e comunista è che l’ultima classe che può rivestire un ruolo decisivo nello sviluppo storico è quella che potenzialmente è in grado di porre fine alle lotte di classe. Quanto poi al logoro 'topos' di Marx che non era marxista, è questo lo 'shibboleth' inconfondibile dei revisionisti e degli opportunisti.
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