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L’industria sta mutando rapidamente, in Italia, in Europa e nel mondo. Le nuove tecnologie trasformano prodotti e sistemi produttivi, le attività si spostano da Occidente a Oriente, il lavoro muta profondamente, sia nella quantità che nella qualità, la questione ambientale assume un ruolo di assoluta centralità, mentre ritornano sulla scena le politiche industriali dei governi. Il volume di Vincenzo Comito analizza tutte queste trasformazioni (e le conseguenze per il nostro Paese) con riferimento all’alta tecnologia dei semiconduttori, alla transizione dell’automobile verso l’elettrico, ad una produzione di carne sempre più industrializzata.

 

Un libro settoriale e totale

Un libro “settoriale” e agile (una densa e trasversale introduzione, tre asciutti e essenziali capitoli), sorprendentemente “totale”, senza essere mai ideologico, come è nell’inconfondibile storytelling dell’autore, lontano da ogni accademismo e preoccupazione disciplinare. Senza alcuna falsa modestia: «Questo libro – confessa Vincenzo Comito nell’incipit – cerca, con tutte le difficoltà del caso, di analizzare le trasformazioni in atto nel campo industriale, tentando di individuare almeno alcune tra le linee di movimento principali e lo fa guardando in particolare a tre settori oggi tra i più rilevanti».

Quello dei semiconduttori, quelli dell’auto e, infine, quello della carne. Il primo comparto è uno di quelli maggiormente all’avanguardia delle trasformazioni tecnologiche; il secondo è esemplare di un’area di attività considerata sino ad oggi come di tipo più tradizionale, matura, ma che sta subendo anch’esso delle profonde trasformazioni tecnologiche. Il terzo, un campo considerato tradizionalmente estraneo all’industria, sta assumendo progressivamente gran parte dei caratteri di questa.

 

I chip, un quasi dominio asiatico

 Al cuore delle trasformazioni tecnologiche c’è l’industria dei chip che tramite una continua miniaturizzazione degli stessi rende possibile un aumento delle prestazioni e, allo stesso tempo, una riduzione dei consumi di energia e dei costi nel loro complesso. Tale processo comporta investimenti fortemente crescenti (una grande fabbrica per la produzione nel settore può richiedere oggi un investimento di 20 miliardi di dollari), una progressiva concentrazione di imprese, un crescente ed aspro conflitto tra le nazioni per il dominio del settore.

Un conflitto che ha un suo pregnante significato storico, geoeconomico e geopolitico. Se sino a pochi decenni fa gli Stati Uniti, e in misura minore l’Europa, erano al centro dello sviluppo tecnologico-produttivo nel settore e dominavano la scena dei consumi, oggi la Cina, detiene una quota del mercato mondiale pari a circa il 60%, mentre Usa e Unione europea non superano ciascuno il 10% (i produttori più importanti del settore sono da tempo diventati la taiwanese Tsmc e la coreana del Sud Samsung). Il che ha molto a che fare con il fatto che le grandi case produttrici occidentali hanno trasferito gran parte delle produzioni nei Paesi asiatici alla ricerca di più bassi costi del lavoro. Decisione che ha avuto conseguenze non brillanti: gli imprenditori asiatici hanno acquisito familiarità crescente con le tematiche del settore e a poco a poco sono diventati sempre più forti, scalzando le case occidentali dai primi posti della classifica.

 

Il settore dell’auto. L’irruzione dell’elettrico

Anche il vecchio motto che recitava che quello “che va bene per la General Motors va bene per gli Stati Uniti” e quello che “va bene per la Fiat va bene per l’Italia”, non è più vero come in passato. Oggi il settore è, infatti, sceso parecchio nei valori relativi di Borsa (il mercato finanziario è dominato dalle grandi imprese del digitale), pur continuando a rappresentare una parte rilevante delle strutture industriali dei paesi europei (in Germania sono occupati nel settore, direttamente o indirettamente, circa 15 milioni di persone) e del mercato mondiale (l’auto, nel suo complesso, fattura annualmente più di 2.000 miliardi di dollari, quattro volte di più dei telefonini e tre volte di più dei chip).

All’interno, comunque, del trasporto su strada non sono tanto le case tradizionali dell’auto ad attirare oggi l’attenzione dei mercati finanziari, ma i nuovi entranti nell’elettrico come Tesla e gli omologhi cinesi, nonché i produttori di batterie e le imprese che controllano i materiali di base necessari alla produzione delle stesse, mentre avanzano all’attenzione molti protagonisti che dal settore digitale sbarcano anche in quello dei veicoli.

Un settore, insomma, che solo pochi decenni fa veniva considerato tra quelli maturi, vive oggi una straordinaria turbolenza sia di mercato che tecnologica e produttiva in virtù della parallela trasformazione digitale che sta rimodellando strutturalmente i luoghi della produzione e della vendita delle vetture anche all’interno degli Stati Uniti, dell’Europa, dell’Asia. Con la Cina che è diventata il principale mercato e il più grande produttore del mondo, mentre le grandi case occidentali che tendono a trasferire in loco larga parte degli investimenti e della produzione.

In ogni caso, il passaggio all’elettrico, sembra rafforzare il ruolo della Cina e ridurre quello delle case europee più avanzate, in particolare tedesche. L’intera filiera dell’auto elettrica, dall’estrazione dei minerali necessari per le batterie alla produzione delle stesse, a quella delle vetture, a quella infine dello smaltimento e riciclaggio delle batterie usate, è per una parte molto importante in mani cinesi (circa un 70-80% del totale mondiale).

 

Il settore agroalimentare, la carne

 Può apparire bizzarro – osserva a un certo punto l’autore – inserire il settore agricolo in un volume intitolato a come sta cambiando l’industria. Ma bizzarro non è. Nel settore si assiste da tempo a un’invasione di prodotti e tecnologie industriali; a un collegamento sempre più stretto con le grandi imprese agroindustriali e i suoi canali distributivi; all’inserimento come input produttivi di concimi, sementi, antiparassitari, di macchinari agricoli; all’introduzione di robot e droni nelle varie fasi dei processi produttivi; all’utilizzo crescente di metodologie industriali nei grandi domini agricoli dei vari continenti.

Ma oggi la novità più rilevante si sta ‘consumando’ nel settore delle carne e dei suoi derivati (i macelli nell’Ottocento sono gli antesignani delle catene di montaggio auto), nonché in quelle della frutta e verdura e, in prospettiva, anche dei cereali. La produzione avviene, insomma, sempre più direttamente in fabbrica, turbando il nostro antico immaginario che considera la terra come elemento produttivo di base. Anche in questo settore – chiosa Vincenzo Comito – i problemi ambientali e la necessità di nutrire un numero crescente di persone stanno rivoluzionando il nostro modo di produrre, di consumare, di vivere.

Tuttavia, se oggi l’agricoltura è virtualmente in grado di produrre quanto necessario per sfamare l’umanità (grazie ai grandi progressi ottenuti nelle tecnologie genetiche, nelle tecniche di irrigazione, fertilizzanti, disinfestanti, nonché nel miglioramento delle tecnologie organizzative), ragioni economiche, sociali e politiche impediscono che tutti gli abitanti della terra abbiano un accesso adeguato al cibo. Ma le “conseguente indesiderate” dell’industrializzazione dell’agricoltura non si fermano qui e persino nei Paese poveri a dominare è la pratica della monocoltura che esigendo grandi consumi di risorse idriche e di input chimici riduce progressivamente, in una sorta di circolo vizioso, la sovranità e la sicurezza alimentare di tali Paesi e genera problemi ambientali crescenti.

I dati e le previsioni ricordate nel volume sono inequivocabili quanto inquietanti. Nel 2050 la popolazione mondiale potrebbe raggiungere i 10 miliardi e sarà necessario produrre all’incirca il 50% in più di alimenti rispetto ad oggi. Il problema sarà allora non soltanto quello di un forte aumento quantitativo della produzione, ma di come raggiungerla senza che cresca in maniera insostenibile il suo impatto sull’inquinamento dell’ambiente, sul consumo di acqua, sulla deforestazione. Il 40% delle terre del pianeta sono ormai degradate e non basta più mettere sul banco degli imputati il modello di agricoltura intensiva drogata con gli input chimici. È necessario intervenire subito per ristabilire la condizione dei suoli e proteggere gli spazi naturali.

Ma, osserva Comito, «quasi niente si muove; abbiamo visto quanta attenzione al tema dell’inquinamento (…) nel settore dei veicoli». Viceversa «praticamente inesistenti sono le azioni di mitigazione delle emissioni e del consumo nel settore agricolo in generale e in quello della carne in particolare. Anche gli ultimi incontri dell’Onu, il Cop26 di Glasgow, del novembre 2021 e il Cop27 in Egitto del novembre 2022, non hanno portato avanzamenti in proposito». Un giudizio critico e articolato che poco concede all’ambientalismo da salotto, al naturismo bucolico: Per Comito «le grandi trasformazioni in atto nel mondo della produzione e della distribuzione della carne vanno inserite, da una parte, nella crisi del modello tradizionale di sviluppo agricolo» e, dall’altra, «collegate ai rilevanti mutamenti in atto nei mercati di riferimento e nel mondo delle tecnologie, nonché alle reazioni del mondo delle imprese a tali mutamenti». Le preoccupazioni ambientali non vanno, insomma, mai separate, per l’autore, «dalla lotta per un modello economico e sociale del mondo meno squilibrato e diseguale». Una lotta che chiama in causa “la capacità del potere pubblico di governare adeguatamente i grandi gruppi tecnologici”.

 

Una miniera di fatti e di dati

 Anche in questo ultimo libro Vincenzo Comito conferma, dunque, la sua autentica e ancestrale passione per i fatti e per i dati, dietro la quale forse timidamente nasconde la connessa e temuta passione per una rappresentazione totale di come va il mondo. E siccome chi scrive è personalmente persuaso che il mondo va esattamente nella direzione da Lui indicata, auspico che la sua prossima fatica intellettuale abbia espressamente ad oggetto quella enorme fabbrica digitalizzata in cui noi tutti ormai, spesso inconsapevolmente, viviamo tutto l’anno, ogni giorno dell’anno, ad ogni ora del giorno.

Quella società fabbrica al centro di un altro libro totale anch’esso in libreria in queste settimane (Lelio Demichelis, La società fabbrica. Digitalizzazione delle masse e human engineering, Luissi University Press, marzo 2023). Un libro molto diverso da quello qui recensito, ma egualmente totale come quello di Vincenzo Comito. Vi leggo, voglio leggerci, un segno dei tempi. Un segno di un trasversale bisogno dei pensieri critici di esserci, di non rassegnarsi alla onirica rappresentazione che dà di sé il dominante modello di sviluppo, di produzione, di consumo.


(Il volume di Vincenzo Comito può essere acquistato anche presso l’editore senza pagare le spese di spedizione utilizzando il seguente codice: FUT16.)

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