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Bonaccia italiana, tempeste mondiali

di Augusto Illuminati

Una strana impressione. Che tutto nella politica italiana, al solito, resti in sostanza fermo, girando in tondo. Che nel contempo il potere personale di Berlusconi (non del centro-destra) sia sempre più isolato e asfittico.

Il primo enunciato risulta di per sé evidente. Stallo dell’attività di governo, ridotto alla produzione di emendamenti su emendamenti per scongiurare i processi del Sultano e in genere la sua processabilità, costretto addirittura a revocare con scippo fraudolento i pochi provvedimenti programmatici ma assoggettabili a referendum (energia atomica e privatizzazione dell’acqua) pur di evitare una verifica elettorale. I molteplici disegni costituzionali e le riforme “epocali” sono fumo negli occhi, stanti i tempi di approvazione. Stallo dell’opposizione, attiva solo sugli scandali sessuali, imbarazzata perfino sulla marcia indietro nucleare, divisa sulla gestione privata della distribuzione dell’acqua per non parlare dell’intervento in Libia.

Il secondo enunciato, che non si traduce in un diretto indebolimento del centro-destra (causa la divisione delle opposizioni e l’inconsistenza in particolare del centro-sinistra) ma certo vi introduce elementi di marasma, deriva dal graduale sganciamento di alcuni fattori che avevano supportato la resistibile ascesa del pagliaccio di Arcore: le velleità finanziarie e i legami internazionali.

La caduta di Geronzi, patrocinata da Tremonti e dalla Lega, non è stata affatto gradita da Berlusconi, che si illudeva –dopo l’estromissione, con gli stessi sponsor, di Profumo– di entrare con posizioni di rilievo in Mediobanca e di acquisire una posizione di controllo nella finanza italiana e internazionale, mandando avanti la figlia Marina. Progetto stoppato a favore di un altro blocco di interessi finanziari e di centro-destra, con segnali palesi di ammonimento politico: le chiavi della successione, ormai fisiologicamente incombente, non le detieni tu ma Tremonti e la Lega. Consolati con il bunga bunga e l’immunità giudiziaria, finché la pomp(ett)a regge e la Corte costituzionale consente. I grandi progetti demagogici generanti popolarità (centrali nucleari e Ponte di Messina) sono impraticabili e il rilancio economico (cioè l’erogazione di regalìe elettorali) si fa fumoso quanto la grande riforma fiscale –entrambe bloccate dalla persistenza della crisi e dal veto europeo alla crescita del debito sovrano. Questo rende molto rischiosa l’arma delle elezioni anticipate e congela la situazione italiana senza rafforzare il ruolo personale del leader, che d’altronde sembra di far di tutto per screditarsi, dalla sparate arroganti alle barzellette sconce (e, gravissimo, ripetitive). L’idea di alterare in senso maggioritario il sistema di voto per il Senato, volto a bloccare il disegno di Casini di rendere tale organo ingovernabile e porsi come spariglio, urta infine contro una bella difficoltà: il giorno dopo che la modifica delle legge elettorale fosse approvata, Casini si apparenterebbe con il centro-sinistra e tale schieramento di emergenza lucrerebbe il premio di maggioranza in entrambe le Camere, spazzando via di colpo Berlusconi, Lega e Pdl.

Le scelte internazionali strategiche, cioè la diplomazia personale di Berlusconi e di Leporello-Frattini, non vanno meglio, dopo che la carta Gheddafi è caduta nel ridicolo. Intendiamoci, Gheddafi resiste benissimo alla drôle de guerre Nato, ma non funziona più da alleato e fornitore privilegiato. Del pari, un rapporto preferenziale con Putin ora contraddice troppo agli interessi americani ed europei. Gli schiaffi francesi e tedeschi sull’immigrazione sono un sintomo chiaro dell’isolamento cui hanno portato l’avventurismo berlusconiano ma in questo caso anche il protezionismo di Tremonti e il provincialismo xenofobo di Bossi. La Confindustria comincia a innervosirsi (le aziende italiane fioriscono solo nell’export), mentre la stagnazione economica, ben visibile nel livello dei consumi, dell’occupazione e dell’indebitamento, tende a divenire endemica. Non saranno il neo-colbertismo e l’umiltà manifatturiera con bassi salari a salvare l’Italia.

L’immobilismo vigente –ovvero la compensazione fra disgregazione politica del Pdl (le grandi manovre di Pisanu e Scajola, l’anti-tremontismo scalpitante, i micro-ricatti di ex-An, filo-Sud e “responsabili”) e acquisto di una maggioranza parlamentare a suon di contanti– porta a un solo risultato: che il Paese scivola sempre più ai margini del G8, tagliato fuori dalle crisi internazionali che stanno accelerando (Siria, Libia, Ue) e messo spalle al muro dall’aumento dei prezzi dell’energia e delle materie prima. Lo stesso afflusso di immigrati, che su una diversa struttura industriale e sociale produrrebbe effetti benefici, è vissuto come una iattura e anzi è la posta in gioco di uno scontro politico fra Lega e Pdl, fra Ministero dell’Interno e istituzioni della Chiesa, fra Italia, Francia ed Europa.

Quest’ultima serie di contraddizioni, oltre a far toccare con mano il fallimento della Bossi-Fini e dei sottintesi immunizzanti del dispositivo Schengen, segnala l’aprirsi di uno spazio nuovo di intervento per i movimenti, che non consiste soltanto nel tradizionale solidarismo con i migranti (un terreno fin qui condiviso con i settori cattolici più avanzati) ma nella presa d’atto del ruolo paradigmatico e centrale che essi svolgono nella composizione del precariato e insieme del nesso oggettivo che si instaura fra sconvolgimento degli assetti mediterranei e contraccolpi europei. Non si tratta solo di “poveri”, ma della versione contemporanea del labouring poor, determinante ed emblematica nel complesso economico che L. Gallino ha battezzato Finanzcapitalismo, nucleo fondamentale della moltitudine postfordista la cui funzione nelle lotte economiche e politiche (lotte ormai poco distinguibili) risulta assai grande su entrambe le sponde del Mediterraneo. Qui è possibile il passaggio dalla fraternità umanitaria a una militanza che rimette in discussione tutta la logica della fortezza Europa nella stessa misura in cui cominciano ad attenuarsi i vincoli fondamentalisti nelle mobilitazioni del Maghreb e del Mashrek cedendo il posto a spinte democratiche all’altezza della crisi e delle malsicure strategie imperiali. La gated community si sgretola ma anche la periferia tumultuante sta cambiando. Processo lungo, che ha già molti martiri –i caduti nella prima fase delle vittoriose rivolte in Tunisia e in Egitto, i dimostranti che continuano a cadere in Siria e Yemen, lo stesso sacrificio di Vik Arrigoni, le migliaia di oscuri annegati sul fondo del Canale di Sicilia e del fiume Evros–, processo in apparenza così distante dalle miserevoli cronache italiane, ma che tuttavia ne costituisce lo sfondo e il piano di contrasto, quello che prima o poi vi farà irruzione scompaginandolo e schiudendo un varco di innovazione.

Che lo sciopero del 6 maggio ne tenga conto!

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