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sinistra

Sovrani rispetto a chi e a che cosa?

di Michele Castaldo

DSC01485Inutile ciurlare nel manico, la questione è seria e complicata, molto complicata; il modo peggiore di affrontarla è di usare un metodo tutto politicistico e ideologico, o peggio ancora, cercando di risvegliare le anime del passato, senza capire che l’acqua di un fiume non è mai la stessa.

L’Europa di questi anni, e di quello che il futuro riserva ai suoi abitanti, è tutt’altra cosa rispetto ai vecchi paesi colonialisti del tempo che fu. Vale per l’Europa ed a maggior ragione per la Russia, gli Usa, la Cina, l’India, i paesi latinoamericani e quelli mediorientali. Insomma ne è passata di acqua sotto i ponti dal ‘500, dall’’800 e dallo stesso ‘900.

Veniamo alla materia del contendere, al cosiddetto sovranismo, un termine molto in voga in questi ultimi anni, un contenitore dentro cui ognuno ci mette quel che più gli aggrada. Poi la solita domanda di rito: ma questo sovranismo è di destra o di sinistra? Domanda piuttosto capziosa perché si pretende di definire di sinistra o di destra secondo la classe che ne è espressione: di sinistra se a rivendicarlo è la classe proletaria diretta ovviamente dai comunisti; di destra se è la borghesia a mobilitarsi. Si tratta di un manicheismo teorico-politico un po’ infantile che non aiuta a capire l’evoluzione della storia in questa fase in Europa e nel resto del mondo.

Piuttosto che anteporre le nostre – legittime, ci mancherebbe - aspirazioni ideali, mettiamo i piedi per terra e cerchiamo di analizzare la realtà per quella che è, e a quali scenari andiamo incontro in Europa e non solo.

La storia ci dice che alcune grandi unioni di nazioni – dunque di etnie, di culture ecc. – si sono date solo a seguito di grandi guerre o di lotte di liberazione e guerra civile al proprio interno. Basta pensare agli Usa, all’Urss, o anche in misura ridotta, alla ex Jugoslavia, un paese, quest’ultimo, vero e proprio laboratorio per tutto il nostro ragionamento.

Dunque quello che forgiò un corpo unitario “nazionale” e dunque una “sovranità” fu il sangue dei caduti. Poi però la storia va avanti, procede per vie impervie, segue il suo corso legato a leggi oggettive. Queste leggi scaturiscono dal rapporto degli uomini con i mezzi di produzione, una questione, questa, che dovrebbe fare da battistrada per chiunque intenda capire l’evoluzione storica.

E’ di moda, in questo periodo, sbandierare il vessillo della sovranità nazionale e popolare quale sinonimo di libertà. In Europa c’è una accentuazione maggiore contro le decisioni di poteri forti che “altrove” verrebbero stabilite. Per “altrove” si intende fondamentalmente la Germania, rea di imporre le proprie condizioni nell’Unione europea. I portabandiera di questa volontà sovranista li troviamo sia a destra che a sinistra, il che si presenterebbe come fattore alquanto strano, ma non lo è. Com’è possibile che raggruppamenti di estrema sinistra stiano sulla stessa lunghezza d’onde di fior di campioni di democrazia come Salvini, Orban, Le Pen o le destre di tutta Europa.

Libertà per i popoli d’Europa contro i dictat della Ue! W la sovranità popolare! Basata con i vincoli imposti dai poteri forti! E via di questo passo. Parole d’ordine che vengono brandite come arma potente sia dalla destra che dalla sinistra. E’ proprio il segno dei tempi, pazienza. Cerchiamo comunque, con fatica, di districarci in un simile ginepraio.

Che vuol dire sovranità? Secondo il materialismo storico niente e nessuno è sovrano, perché ogni cosa è tale solo in relazione con un’altra cosa. Dunque una persona è tale solo in rapporto con quello che respira, con quello di cui si alimenta, con le altre specie animali e del rapporto con i propri simili; dunque il lavoro, la casa, le attività culturali, religiose, sportive, artistiche ecc. Se questo vale per la singola persona a maggior ragione vale per un insieme di persone, siano esse una comunità religiosa, un’etnia, una nazionalità, un partito politico, un sindacato ecc. Dunque sovranità e/o autodeterminazione dovrebbe significare volontà, dettata da necessità, di decidere il che fare, ovvero il modo di relazionarsi agli altri. Non dipendendo in tutto e per tutto solo da sé stessi, si entra in rapporto con altre realtà e si cerca di modificare un rapporto da meno favorevole a più favorevole, oppure di imporre la propria volontà per sopraffare l’altro.

In proiezione di cosa esattamente? E qui si apre uno scenario in cui i sovranisti, sia di destra che di sinistra, brancolano nel buio e si afferrano a delle corde che trovano sul loro cammino e che portano tutte nella stessa direzione obbligata.

Stabilito che la rivoluzione industriale ha liquidato i vecchi imperi, costituito nuove nazioni e introdotta la sovranità nazionale di molti paesi e popoli sul piano politico, ha però lasciato dietro di sé, per tutto un periodo, una scia nella quale molti paesi erano succubi del colonialismo prima e dell’imperialismo poi. Dunque mentre i paesi colonialisti e imperialisti godevano della propria sovranità, i secondi l’avrebbero dovuta conquistare. Si svilupparono, di conseguenza, rivolte di popoli contro il colonialismo e l’imperialismo, allo scopo di partecipare in modo sovrano con uno sviluppo autoctono al modo di produzione capitalistico che si andava espandendo. Altrimenti detto: di partecipare a pieno titolo a quella fase di transizione da un’economia commerciale, artigianale e agricola a una industriale.

Che vuol dire esattamente sviluppo autoctono e sovrano del proprio paese? Vuol dire semplicemente accedere alle materie prime a costi più bassi possibili e vendere i propri prodotti a prezzi più remunerativi possibile. Questo in linea generale. Scendendo più nel particolare incontriamo però molti paesi detentori di materie prime che per un rapporto di forza stabilito dai paesi colonialisti erano – e in parte lo sono ancora – costretti a vendere le proprie materie prime a prezzi stabiliti dai paesi più ricchi e maggiormente sviluppati, e comprare da questi ogni tipo di merce alle condizioni da essi dettate. Un rapporto che i comunisti definirono di tipo imperialistico.

Si scatenano le guerre di liberazione, si conquista la “sovranità” nazionale da parte di molti paesi, ma si resta prigionieri delle maglie del mercato capitalistico dove le grandi potenze giocano un ruolo di dominio finanziario e militare. Siamo così al graduale passaggio dal colonialismo all’imperialismo, cioè al tentativo continuo di controllare il trasferimento delle risorse delle materie prime e la vendita dei manufatti. Posta la questione in questi termini la sovranità nazionale è sempre relativa, tanto per i paesi ricchi quanto per i paesi impoveriti dal colonialismo prima e dall’imperialismo poi. L’esempio più classico ci viene dagli Usa e dalla politica protezionista di Trump. Certo che esiste una differenza di non poco conto, tra la sovranità limitata degli Usa, e di gran parte dei paesi europei, con la sovranità limitata dei paesi africani, di parte dell’Asia e dell’America latina. E lo è limitata – la sovranità – per la stessa Cina, l’India o la Russia, perché c’è un rapporto di interdipendenza dovuto alle leggi del mercato, o più semplicemente detto: del modo di produzione capitalistico.

Per forza di cose dunque anche l’Italia ha una sovranità limitata, ma è lo stesso limite di tutti gli altri paesi, cioè di una interrelazione fatta di scambi continui di materie prime, di merci e di strumenti finanziari occorrenti alla bisogna. Si tratta di una giostra sulla quale siedono tutti i paesi. Se le cose stanno così, e così stanno, c’è poco da andare oltre, si tratta di stabilire in che modo il limite della propria sovranità possa essere ridotto, ma non può essere eliminato del tutto.

Ma allora ha ragione Salvini? Si, Salvini ha ragione, anche l’Italia ha una sovranità limitata, si tratta di stabilire da chi o da cosa, di quantificarla, e a quali condizioni potrebbe essere modificata sia con le altre nazioni europee che con il resto del mondo.

Hanno perciò ragione anche tutte quelle organizzazioni di sinistra che si dichiarano sovraniste e chiedono di uscire dall’Euro? Si, hanno ragione anche loro, ma anche nei loro confronti vale il discorso che si fa per Salvini: chi è che opprime e limita la sovranità nazionale, in che modo e a quali condizioni può essere superato quel limite di detta sovranità, altrimenti parliamo di niente.

Da un punto di vista storico l’autodeterminazione dei popoli è stata impugnata dalla sinistra contro l’oppressione economica, politica e militare da parte di paesi ricchi e potenti nei confronti di paesi impoveriti, la cui possibilità di uno sviluppo autoctono e dunque la partecipazione con pari dignità di scambio con le altre nazioni era molto limitata. Se prendiamo come punto di riferimento la fine della seconda guerra mondiale e la ripartizione in due sfere d’influenza politica, economica e militare, il blocco atlantico e il blocco sovietico, possiamo notare che quell’equilibrio sancito allora tra i due blocchi, con il crollo dell’URSS è saltato del tutto; e le diverse nazioni europee dell’ex Patto di Varsavia sono state abbagliate e calamitate dal blocco euro-atlantico. Quelle nazioni non erano sovrane prima e non lo sono oggi, pur sviluppando la propria economia e raggiungendo traguardi significativi su questo piano. Per non parlare della ex Iugoslavia, che sottrattasi alle grinfie imperialiste di Italia e Germania attraverso una vera guerra partigiana di liberazione nazionale durante la seconda guerra mondiale, nonostante la sua vocazione indipendentista, è finita, dopo 50 anni, peggio delle altre, disgregandosi in tante minuscole nazionalità. Sono più sovrane? Qual è il rapporto tra Croazia, Slovenia, Serbia, Montenegro, Bosnia Erzgovina, Macedonia, Kossovo con l’Europa e il resto del mondo? E qual è il rapporto tra l’Albania, altro paese liberatosi dal dominio italiano, con il resto del mondo? Qual è il rapporto dei paesi nordafricani o sudamericani con il resto del mondo dopo le guerre anticoloniali? Ma, si obietterà, l’Italia è tutt’altra cosa rispetto agli slavi, agli islamici o ai latinoamericani. Il nostro è un paese potente e ricco, siamo la sesta o settima potenza economica del mondo. Il che è vero, ma allora la sovranità contro chi bisogna conquistarla? Contro i diktat dell’Europa e dell’Euro. E siamo così al punto qualificante della questione: sovranità dall’Euro e dall’Europa per decidere da soli i nostri destini di italiani. In che modo? E qui cominciano i problemi piuttosto seri, quando cioè si tratta di sciogliere la nebulosa e venire al dunque.

Matteo Salvini, personaggio molto diretto e poco diplomatico, ha avuto il coraggio di dire con chiarezza e a più riprese di essere contro le sanzioni alla Russia, perché le aziende del nord-est fanno affari d’oro in questo periodo con quel paese. Viva la faccia! Vien da dire o – come dicevano i latini - ubi bene ibi patria. Ecco le motivazioni di una battaglia contro la Nato, altro che chiacchiere. E’ del tutto evidente che se vuoi continuare a fare affari con una grande nazione come la Russia devi anche farti portatore delle sue necessità, perché in una società fondata sul valore di scambio vige il principio del do ut des. Lo fan tutti, perché non lo dovrebbe fare la Russia? Ma c’è dell’altro e di più perché la Russia è un paese ricchissimo di materie prime, fra queste il petrolio, e così si spiega anche la propaganda di Salvini contro gli islamici – concorrenti diretti della Russia per il petrolio, come la tragedia siriana sta a dimostrare – e il giuramento col rosario in mano sul vangelo, perché il cristianesimo è più vicino come religione alla chiesa ortodossa che all’Islam, oltre al fatto che gli slavi sono bianchi mentre gli islamici sono di colore. Per allacciare rapporti diretti con la Russia bisogna avere le mani libere, cioè prive di vincoli europei, in piena autonomia, in totale sovranità, anzi in concorrenza con essi, perché quando è guerra è guerra. Ed è guerra su tutti i fronti, compreso quello della merce degli immigrati che devono costare molto meno di quello che attualmente costano sia sul piano economico che su quello della sicurezza nelle nostre metropoli. Questa è la questione. Diciamola tutta: la stella Usa – e con essa la Nato – non brilla come 70 anni fa, la sua economia – al di là del momento favorevole contingente – comincia a scricchiolare e le misure protezionistiche di Trump non sono scelte cervellotiche di un folle, ma tentativi dei capitalisti di difendersi dall’aggressione delle merci dei paesi emergenti. Ma come? Gli Usa aggrediti dalle merci dei paesi emergenti? Si, proprio così, sono passati da paese aggressore a paese aggredito; è la legge oggettiva e impersonale del mercato, la quale agisce da apprendista stregone evocando fantasmi che ti si ritorcono contro.

Si spiegano in questo quadro alcune proposte di Salvini, come per esempio la costituzione della leva obbligatoria civile e militare, cioè il ritorno a un esercito popolare con Salvini quale novello Mazzini a cui gli avrebbe dovuto fare eco il giovane Gigino Di Maio da Pomigliano d’Arco nei panni del moderno Proudhon. Si sa che in tempo di crisi la fantasia lavora molto.

Dal momento che il capitalismo non vive di lunga programmazione, ci sono capitalisti – come quelli del nord est d’Italia - che tifano per Putin. Ci potrebbero essere anche rapporti diretti fra personale del governo russo e quelli della Lega di Salvini? E’ una domanda alla quale non ci interessa rispondere, perché da sempre gli stati operano pro domo sua in modo lecito e illecito. Dopo l’’89 si scoprì che il Pci italiano veniva finanziato contemporaneamente sia dagli Usa che dall’Urss, di che meravigliarsi dunque?

Fra quanti si attivano in modo diretto e indiretto per l’uscita dell’Italia dall’Euro bisogna fare una certa distinzione proprio perché non stanno tutti sullo stesso piano e non tutti sono in buona fede. Se per esempio possiamo ritenere in buona fede un Luigi Di Maio, vista la giovane età, ma che sa prestare orecchio alle sacrestie, non altrettanto si può dire del più navigato professor Savona, visti i suoi trascorsi sempre in alto loco di interessi economici e politici; insomma uno che ha frequentato le segrete stanze del potere e si sa muovere a livello nazionale e internazionale.

Spiegata la volontà di maggiore sovranità economica, politica, culturale e religiosa di Salvini e di quei settori sociali capitalistici che in lui si rivedono, chiarito che certi personaggi si prestano a giochi complessi di geopolitica, cerchiamo di spiegare la volontà sovranista dei raggruppamenti di estrema sinistra e di filosofi che ad essa tengono bordone. Lo vogliamo fare nel modo più nobile possibile, assumendo come pietra miliare della loro posizione la radice ideale che è stata ben espressa sul piano teorico e politico da Samir Amin e Domenico Losurdo, che può essere racchiusa in questa tesi: l’epoca del moderno capitalismo si è caratterizzata come lotta anticoloniale e antimperialista. Si tratta di proseguire su questa strada e costruire il socialismo paese per paese fino a far sventolare dappertutto il simbolo del lavoro e della democrazia. Solo a quel punto si potrà organizzare il socialismo a livello mondiale.

Questa posizione è stata definita nazionalista da una certa sinistra autodefinitasi “sinistra comunista”. Non c’è di che scandalizzarsi visto che tutte le lotte per l’indipendenza nazionale sono state sempre salutate come lotte rivoluzionarie dal movimento comunista mondiale: dalla Russia alla Cina, da Cuba al Vietnam, dalla Corea al Venezuela ecc. Tutte guerre di liberazione nazionale la cui natura era rivoluzionaria perché intere comunità nazionali si sottraevano alla schiavitù coloniale e cercavano di entrare a pieno titolo nel modo di produzione capitalistico con pari dignità. Dunque furono nazionalisti Lenin, Stalin, Mao, Fidel, Che Ghevara, Ho Ci Min e così via.

Quelle lotte, che a giustissima ragione furono definite rivoluzionarie, non potevano però avere come sbocco la rivoluzione socialista. Non lo diciamo per un problema, per così dire, semantico, ma perché la storia ha dimostrato che il modo di produzione capitalistico non si presentava all’uomo come un modello di rapporti da attuare fra gli uomini, bensì come movimento storico degli uomini con i mezzi di produzione; non solo superando in avanti ogni altro tipo di movimento precedente, ma imponendosi in tutto il mondo. L’errore teorico, perciò, di Samir Amin e Domenico Losurdo consistette nel non capire la struttura impersonale del movimento storico che Marx aveva analizzato nel Capitale, e di fornire così una risposta di prospettiva che si è rivelata sbagliata, perché dalla lotta anticoloniale e antimperialista si cerca di transitare nel moderno capitalismo, centralizzando le risorse per recuperare il ritardo rispetto ai paesi più avanzati, e questo non poteva definirsi socialismo e ancor meno comunismo.

Comprendiamo anche la preoccupazione politica di una certa impostazione teorica che vede il modo di produzione capitalistico estesosi in tutto il mondo e perciò troppo potente da sconfiggere con la rivoluzione proletaria mondiale e si ripiega sulla possibilità della rivoluzione nazione per nazione fino a ricongiungersi poi con un unico programma socialista mondializzato. E dobbiamo riconoscere che ben prima di Samir e Losurdo un certo Palmiro Togliatti teorizzò le vie nazionali al socialismo. E fu bollato, per questa ragione, come revisionista. In realtà si trattava, da parte del dirigente del Pci, di una presa d’atto di impotenza del proletariato mondiale di fronte a un movimento storico in ottima salute che si espandeva. Ma è purtroppo risaputo che la sinistra è poco avvezza a valutare i fattori oggettivi e più stimolata alla ricerca del reo, del traditore, del voltagabbana e così via.

Tornando alle organizzazioni di sinistra che propongono l’uscita dall’Euro, queste sposano in pieno la tesi di Samir Amin e Losurdo applicandola a uno stadio di sviluppo e ad un paese – l’Italia in questo caso – lontani mille miglia da una fase storica come quella caratterizzata dalle lotte anticoloniali e antimperialiste. Per dirla a chiare lettere, certe formazioni politiche piuttosto che leggere in questa fase l’impotenza del modo di produzione capitalistico a rilanciarsi come movimento storico, leggono ancora l’impotenza del proletariato – vera oggi ma non come ieri – e ripiegano su una tesi che è stata superata dai fatti.

L’uscita dall’Euro perciò viene proposta come conquista di sovranità nei confronti dell’Europa a guida tedesca. A questo punto, se poteva avere una qualche valenza politica la lotta di resistenza contro la presenza delle truppe tedesche in Italia, truppe alleate di un regime infame come il fascismo che si era macchiato di aggressioni ai paesi nordafricani oltre che delle leggi razziali, non sono chiare le motivazioni di una posizione anti tedesca di ritorno sotto mentite spoglie. Il sospetto che si guardi alla Russia di Putin per ragioni diverse, ma confluenti, è più che lecito. Se è così, lo si dica chiaramente, come lo dice Salvini senza nascondersi. In questo caso una maggiore sovranità dovrebbe significare uscita dalla Nato e dall’Euro per un verso e ricerca di un nuovo patto di alleanza con un paese che ha avuto un trascorso rivoluzionario come il 1917, ricco di materie prime e un mercato di sbocco per le nostre merci, in concorrenza tanto con la Germania quanto con la Francia e il resto dei paesi europei. Dunque non unità del proletariato d’Europa e neppure unità democratica dei popoli – come spesso propagandisticamente si dice – ma piena autonomia nazionale per contrattare con un paese potente come la Russia senza i vincoli dell’Euro e della UE.

Qual è il piatto forte di queste organizzazioni? La parola d’ordine: Fuori l’Italia dalla Nato! Fuori la Nato dall’Italia! Magari le parole potessero influenzare l’azione delle masse e spingerle alla mobilitazione. Purtroppo non è così, perché è l’azione delle masse a determinare parole d’ordine, cioè l’espressione di necessità mature da cogliere.

La domanda d’obbligo che si pone è: ma veramente queste organizzazioni credono che i russi siano privi di vincoli economici e così ingenui da regalare le materie prime e accogliere le merci italiane al primo furbo che bussa al Cremlino? Ecco la questione sulla quale si dovrebbe aprire una discussione. O si comprende che è il modo di produzione capitalistico a imporre i vincoli ben oltre la volontà dei tedeschi, degli americani, dei russi, dei cinesi, degli indiani e così via, oppure pensiamo di essere tanto bravi di dirigere l’economia capitalistica secondo i nostri desiderata, e allora vuol dire che stiamo fuori dal mondo; inganniamo noi stessi e chi ci porge l’orecchio. Perché – tra l’altro - la Russia per poter aiutare i nuovi alleati, con rapporti commerciali a condizioni più favorevoli, dovrebbe torchiare il proprio proletariato con le conseguenze che si possono immaginare. Se quel paese si appresta a varare un prolungamento dell’età lavorativa, per entrambi i sessi, vuol dire che proprio bene in salute non sta. A chi ha poca memoria vorremmo ricordare che nel 1983/4 quando erano in sciopero i minatori inglesi, Artur Scargil – segretario del Num – si recò in Russia implorando quel governo di non inviare il carbone in Inghilterra, perché in quel modo si sabotava la lotta degli operai delle miniere. A quell’implorazione non fu dato seguito.

Più onesto fu Lenin dicendo dobbiamo sviluppare il capitalismo, anzi andò oltre dicendo all’americana, mentre guardava a un’America che cresceva, e come cresceva.

Oggi – da comunisti – dovremmo dire che per crescere come nazione nell’agguerrita concorrenza delle merci il proletariato deve essere sempre di più sfruttato e martoriato sia con i vincoli della UE che fuori da essa e per questa ragione è sbagliato sventolare lo stesso vessillo sovranista-nazionalista che sventola l’estrema destra in Italia e fuori di essa. L’Italia è un paese imperialista a tutti gli effetti, economico, politico e militare, con truppe fuori dei propri confini a protezione della rapina imperialista in mezzo mondo. La maggiore sovranità di Salvini è una maggiore sovranità imperialista, è un passo in avanti rispetto alla Lega bossiana che rivendicava maggiore autonomia rispetto al potere centralista di Roma. Per essere chiari, non è la Croazia che si separa dalla Iugoslavia, ma il tentativo giocato a tutto campo di un fascismo di ritorno in una fase di crisi generale del modo di produzione capitalistico, dunque in concorrenza con gli altri paesi europei, Francia e Germania in primis.

Mentre per le nazionalità della ex Iugoslavia poteva valere l’illusione – fomentata e sostenuta dalle potenze occidentali – di uno sviluppo autoctono fuori dalla confederazione, dando così fuoco alle polveri delle ambizioni capitalistico-borghesi di intere comunità slave, per Salvini e le destre di tutta Europa l’accresciuta concorrenza delle merci spinge per un’azione autonoma, indipendente, dunque sovrana, più che unitaria di scontro con il resto d’Europa. Nessuna meraviglia se all’amo del sovranismo di destra abboccano anche gli operai, e non solo del nord est. Sta succedendo in tutto l’Occidente, perché dovrebbe fare eccezione l’Italia?

Per queste ragioni va fatta una battaglia politica nei confronti di chi semina ulteriori illusioni fra i lavoratori e le nuove leve di proletari, che nel caos generale – un caos destinato ad aumentare – possono essere attratti da una parola d’ordine sovranista e ritrovarsi a fianco del nazionalismo leghista e di destra senza capire perché.

Lo diciamo senza nasconderci dietro il dito: dalla nostra c’è solo l’approfondirsi della crisi, e mentre Salvini e i salviniani gongolano per i consensi che riescono a mietere, la storia gli si ritorcerà contro, basta guardare alla Libia di questi giorni, perché non potranno ripetere i “fasti” dell’Italia colonialista. La storia non si ripete, e quando lo fa è farsa.

Da comunisti materialisti abbiamo l’obbligo di indicare nell’accresciuta concorrenza delle merci, di un modo di produzione in crisi, il vero nemico dei lavoratori. Questo vuol dire che più aumenta la concorrenza più gli operai sono chiamati – come parte complementare – a sostenere la comunità nazionale di cui fanno parte. Non a caso in Italia in questi giorni si sprecano le minacce addirittura di scendere in piazza da parte degli industriali, insieme agli operai, contro il governo se non partono le grandi opere e non si definisce il destino produttivo dell’Ilva e così via.

E’ dura, anzi durissima per i comunisti materialisti tenere la barra dritta, ma questo è.

Comments

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michele castaldo
Friday, 21 September 2018 09:58
No, caro Luciano, l'indifferentismo è lontano da me anni luce, se la cosa ti dovesse incuriosire ti dico che sono stato parte attiva per oltre cinquant'anni nei movimenti proletari e più volte arrestato sempre per "aver diretto e organizzato manifestazioni contro i poteri dello stato" (recitava l'ultimo mandato di cattura nel 1981).
L'errore che si commette in questa fase - in modo particolare - è di ritenere l'uscita dall'Euro come una opzione progressista quando non addirittura rivoluzionaria. Non si prende per niente in esame il fatto che il proletariato occidentale, dentro la UE o fuori di essa, è chiamato a subire una oppressione e uno sfruttamento molto maggiore degli anni che ci hanno preceduti perché è aumentata la concorrenza delle merci su tutto il pianeta e il proletariato è merce fra le merci, secondo la corretta definizione di Marx.
Il dramma, un dramma vero, è che le formazioni di sinistra che propongono l'uscita dalla UE e dall'Euro parlano di tutto, meno del fattore dei fattori, cioè della concorrenza delle merci che si riversa di conseguenza nelle varie sezioni del proletariato. Chiamare perciò il proletariato a difendere come paese gli interessi nazionali vuol dire nei fatti, che prescindono dalle intenzioni, subordinare la condizione operaia agli interessi generali della nazione. I comunisti pensavano e pensano un'altra cosa. E fra due mali scelgono di separare le proprie responsabilità da proposte e scelte politiche che non aiutano l'indipendenza del proletariato ma che anzi la danneggiano. Se c'è lotta - lotta vera, non chiacchiere e proposte stravaganti - per i propri interessi di classe si sta con la lotta, se si tratta di proposte che illudono e ingannano il proletariato, come quella dell'Eurostop al seguito di un sovranismo nazionale, i comunisti dicono con fermezza di no.
Chi vivrà vedrà.
Quanto all'indifferentismo bordighiano o bordighista durante la resistenza, ti pregherei di non avventurarti in simili sentieri, perché se dovessimo giudicare la storia dai risultati, beh, quelli sono sotto gli occhi.
Ho notato - e ti ringrazio - che leggi le mie note, bene: io penso che il modo di produzione capitalistico si stia avviando verso un generale CAOS e che l'uomo non è in grado di fermarlo e correggerlo. Quelli che fanno proposte per migliorare il capitalismo non hanno capito la natura di questo movimento storico. Esso è impersonale, necessitato e storicamente determinato. Ieri - tra la fine dell' '800 e i primi del '900 si avviava verso il suo apogeo e commettemmo l'errore di vederne prossima la sua fine, oggi - che quel movimento storico ha imboccato la via di una crisi generale, molte correnti "marxiste" sono arrivate sfiduciate e lo ritengono eterno. Che delusione.
Cordialmente
Michele Castaldo
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Luciano Pietropaolo
Thursday, 20 September 2018 22:33
Il pensiero astratto, anche se in buona fede, è la cosa più perniciosa per un poltico, tanto più se rivoluzionario.
"Non abbiamo una località dove dirigerci, ma dobbiamo difendere gli interessi del proletariato mondiale, soprattutto di quello immigrato..." Con ciò hai eninciato un nobile ideale, non un obiettivo politico da conseguire: parli come il papa! Quindi non dire che bisogna tenere la barra dritta dal momento che non hai alcun obiettivo concreto da raggiungere. Se il paragone col papa ti infastidisce, posso dire che ragioni come un vecchio bordighista, che nel 1943 tra Stalin e Hitler mostrava una serafica indifferenza, perché "in Unione Sovietica non c'era affatto il SOCIALISMO !" Infatti in un altro tuo commento ti riferisci alla guerra di Resistenza come una lotta tra briganti, quindi forse era meglio stare alla finstra anziché andare in montagna! Tempo fa avevo sentito un sedicente comunista affermare che in Sira lui non tifava per Assad, ma stava dalla parte "del proletariato siriano" E' evidente che uno così la Siria non sa nemmeno localizzarla sulla carta..per me quello è tutto fuorché un comunista.
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michele castaldo
Wednesday, 19 September 2018 17:40
Caro Luciano,
tenere la barra dritta sugli interessi dei lavoratori che nel nazionalismo - tanto di destra quanto di sinistra - sono complementari e perciò subordinati a quelli dei capitalisti. Mentre nella concezione del materialismo storico, e dunque comunista, gli interessi del proletariato - nella crisi generale del modo di produzione capitalistico - devono separarsi e puntare più alla collaborazione fra oppressi piuttosto che alla competizione fra nazioni. Bruxelles non è destinazione perché non abbiamo una località dove dirigerci, ma interessi da difendere, quelli del proletariato e in modo particolare del proletariato immigrato che viene utilizzato contro quello indigeno.
Chi pensa a una competizione nazionalista armoniosa non conosce le leggi del modo di produzione capitalistico e rimarrà - come tanti nel passato - vittima d'esse. Chi vivrà vedrà.
Michele Castaldo
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Luciano Pietropaolo
Wednesday, 19 September 2018 13:08
Tenere la brra dritta, giusto! Ma verso dove? Verso Bruxelles? Lo dica esplicitamente...
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