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sinistra

Contro la sinistra neoliberale: il caso Sahra Wagenknecht

Prefazione di Vladimiro Giacché

Sahra Wagenknecht: Contro la sinistra neoliberale, Fazi 2022

1447731070 149.jpg“Sinistra” era un tempo sinonimo di ricerca della giustizia e della sicurezza sociale, di resistenza, di rivolta contro la classe medio-alta e di impegno a favore di coloro che non erano nati in una famiglia agiata e dovevano mantenersi con lavori duri e spesso poco stimolanti. Essere di sinistra voleva dire perseguire l’obiettivo di proteggere queste persone dalla povertà, dall’umiliazione e dallo sfruttamento, dischiudere loro possibilità di formazione e di ascesa sociale, rendere loro la vita più facile, più organizzata e pianificabile.

Chi era di sinistra credeva nella capacita della politica di plasmare la società all’interno di uno Stato nazionale democratico e che questo Stato potesse e dovesse correggere gli esiti del mercato. […] Naturalmente ci sono sempre state grandi differenze anche tra i sostenitori della sinistra. […] Ma nel complesso una cosa era chiara: i partiti di sinistra, che fossero socialdemocratici, socialisti o, in molti paesi dell’Europa occidentale, comunisti, non rappresentavano le élite, ma i più svantaggiati.

Credo che i lettori non faranno fatica a condividere questa descrizione proposta da Sahra Wagenknecht nel primo capitolo del suo libro. Questa descrizione è anche il miglior punto di partenza per introdurre quelle che ritengo siano le tesi principali di questo testo, quelle che lo rendono un libro importante e opportunamente scandaloso.

Un tempo la sinistra era questo, in effetti. E oggi? Oggi le cose sono parecchio cambiate. Se un tempo al centro degli interessi di chi si definiva di sinistra vi erano problemi sociali ed economici, oggi non è più cosi.

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Speciale Assemblea Nazionale Aperta – 11 Maggio 2024

Sintesi delle conclusioni

di Fosco Giannini

photo 2024 05 13 09 42 35 1Il significato di liturgia non è quello che la parola ha assunto nel tempo, e cioè una sorta di atto dovuto e retorico. No: l’antico significato greco di “liturgia” rimanda al concetto di “azione per il popolo”, tributo alla verità. E non è dunque col senso di una vuota magniloquenza, ma con un atto liturgico greco di verità che oggi, a nome del Movimento per la Rinascita Comunista, voglio ringraziare tutte le compagne e i compagni che hanno avuto la forza, la determinazione di intraprendere lunghi, pesanti e costosissimi viaggi – da Lampedusa, Udine, Padova, Reggio Calabria, Cosenza, Ancona, Torino, Catania, Milano e da tanti altri territori – per giungere sino a qui, a Roma, al Teatro Flavio, per la nostra Assemblea Nazionale. Al di là del successo politico della nostra Assemblea, è questo dato di sacrificio e piena adesione dei dirigenti e dei militanti al progetto politico del MpRC che rafforza la nostra speranza e il nostro intento di proseguire l’azione e la lotta per l’unità dei comunisti e il rilancio, in Italia, di un più forte soggetto comunista!

Vi ringraziamo uno a uno, una a una, cari compagni e care compagne del MpRC!

Come ringraziamo i partiti comunisti del mondo, le forze antimperialiste, l’Ambasciatrice dello Stato di Palestina in Italia che hanno inviato i loro preziosi saluti alla nostra Assemblea; l’Ambasciatrice di Cuba, che è intervenuta durante i nostri lavori; l’Ambasciatrice della Bolivia, che ha presenziato al dibattito; le diverse forze palestinesi che hanno inviato alla nostra Assemblea gli auguri di buon lavoro; la compagna Isa Maya, responsabile dei giovani palestinesi di Roma, che parlando col cuore in mano ha fatto alzare in piedi tutta l’Assemblea con le sue parole piene di coraggio, passione e determinazione per la lotta di liberazione del suo popolo, del popolo palestinese!

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linterferenza

Di bolina, contro un vento gelido e sferzante

di Fabrizio Marchi

image006.gifAbbiamo deciso di dare vita a un giornale che avesse un approccio critico alla realtà nella sua complessità, fuori da liturgie e schemi preconfezionati e consapevoli del fatto che è necessario aggiornare le categorie con le quali si analizza e si interpreta la realtà stessa e probabilmente – senza dimenticare mai le nostre radici – anche crearne delle nuove alla luce di una realtà che, appunto, diventando con il tempo sempre più complessa necessita di strumenti adeguati per essere compresa e possibilmente trasformata.

Senza questo metodo di lavoro si rischia, anzi si arriva inevitabilmente a capovolgere le cose. Si finisce cioè per applicare la realtà, necessariamente deformandola, all’ideologia pur di far quadrare i propri conti, cioè pur di confermare la giustezza e la validità del proprio paradigma ideologico. Questo è ciò che ha determinato e continua a determinare il dogmatismo. Viceversa, il nostro approccio metodologico è sempre stato quello di cercare di entrare in una relazione dialettica con la realtà per comprenderne le dinamiche sociali, economiche, culturali, politiche e ideologiche che la caratterizzano.

E’ applicando tale metodo che siamo arrivati a individuare quella che per noi è l’ideologia attualmente egemone nelle società occidentali, cioè l’ideologia neoliberale di cui ciò che definiamo con il termine di “politicamente corretto” è il mattone o uno dei mattoni fondamentali.

Quali sono i capisaldi di tale ideologia?

  1. Il capitalismo, non più concepito come una forma storica dell’agire umano, è stato elevato a vera e propria condizione ontologica.

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iltascabile

Toni Negri: un’autoanalisi della sinistra italiana

Sul marxismo atipico del teorico e militante

di Mario Farina*

Nanni Balestrini Potere operaio t.m. su tela cm100x1545 1972 1.jpgCi sono due citazioni che mi ronzano in testa da quando, lo scorso 16 dicembre, è mancato Toni Negri:

La posizione di Negri è quella di chi dice “ah, come sono perseguitato! Mi si accusa di essere il capo e il mandante ideologico di tutto quello che è avvenuto in Italia negli anni Settanta: che tremenda ingiustizia!” e, mentre dice questo, in qualche maniera vuol far capire che è proprio così, che è vero. Mentre non è vero. Mi sembra che, nel bene e nel male, ci sia una sopravvalutazione. Negri è, secondo me, più innocente di quel che lui stesso pensa.

L’Autonomia è “un movimento di matrice cattolica (…), la Solidarność italiana, strumento contro la pretesa egemonia dei comunisti sul movimento operaio”.

Nello spazio che separa queste due citazioni si definisce, io credo, la tensione all’interno della quale si colloca la figura di Toni Negri. La seconda è di Negri stesso. La prima, rilasciata sullo sfondo di quel nero totale con cui Zavoli incorniciava i suoi interlocutori, è di Enrico Fenzi: italianista, petrarchista, brigatista rosso. Da queste due citazioni si possono raccogliere le coordinate più generali entro le quali si è mosso forse non Negri stesso, ma senza dubbio la rappresentazione di Negri che la società italiana si è fatta. C’è il carcere, quello di Palmi, dove Fenzi e Negri si sono conosciuti dopo il processo del 7 Aprile, c’è la violenza, da sempre associata alla sua figura, c’è l’ambiguità di chi è stato etichettato come cattivo maestro par excellence. C’è poi il grande tema della collocazione politica nel quadro italiano di quegli anni: “né con la destra, ma nemmeno col Pci” direbbe Bersani (Samuele), e “nella Chiesa, anche un prete che ha peccato potrebbe dare il messaggio giusto”, chioserebbe sempre Bersani (Pier Luigi).

Toni Negri è due cose: un teorico marxista delle scienza politiche e un militante.

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carmilla

Non bisogna mai tornare indietro, nemmeno per prendere la rincorsa

di Sandro Moiso

City Lights e Collettivo Adespota (a cura di), Quando muoiono le insurrezioni. Italia 1922 – Germania 1933 – Spagna 1936-1939, Edizioni Colibrì, Milano 2024, pp. 400, 25 euro

Berlino est 1953.jpgPer battere Franco, occorreva prima battere Companys e Caballero.

Per sconfiggere il fascismo, bisognava prima schiacciare la borghesia e i suoi alleati stalinisti e socialisti. Bisognava distruggere da cima a fondo lo Stato capitalista e instaurare un potere operaio che sorgesse dai comitati di base dei lavoratori […]. L’unità antifascista non è stata altro che la sottomissione alla borghesia. (Manifesto dell’Union Communiste, Barcellona, giugno 1937)

Il titolo di questa recensione, ripreso da Andrea Pazienza, serve a rendere bene l’idea del contenuto del testo appena pubblicato dalle Edizioni Colibrì e della necessaria e irrinunciabile radicalità dell’opposizione di classe al capitalismo, alle sue guerre e ai suoi sgherri fascisti, in divisa o meno che questi siano. Ma anche a ricordare, a un mese dalla sua scomparsa, Stefano Milanesi, militante NoTav e rivoluzionario, al quale questo libro sarebbe probabilmente piaciuto.

In un’epoca di ritornante e ammorbante dibattito politico e mediatico sul pericolo rappresentato dal fascismo per l’ordine democratico e il buon vivere civile, in entrambi i casi “borghesi”, la lettura dei testi contenuti nella raccolta curata dalla Calusca City Lights e dal Collettivo Adespota si rivela assolutamente necessaria, se non indispensabile ed essenziale.

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poliscritture

Anni ’70. Sconfitti sì, pentiti no

di Ennio Abate

curciounioneHo letto negli ultimi giorni varie reazioni alla presa di posizione della filosofa Donatella Di Cesare in occasione della morte di Barbara Balzerani.I E mi sono chiesto perché noi ex della nuova sinistra torniamo sull’argomento del lottarmatismo degli anni ’70, anche quando siamo fuori gioco rispetto all’attuale svolgimento della lotta politica.

E mi chiedo anche perché i commenti su quelle vicende non riescono ad andare, ancora oggi, oltre la demonizzazione dei brigatisti e l’assoluzione dei governanti d’allora. Mi ha colpito anche che quanti hanno difeso almeno il diritto d’opinione della Di Cesare diano per scontato il giudizio negativo sul lottarmatismo (o terrorismo) ma tacciano su come lo Stato lo abbia vinto e abbia vinto anche le formazioni politiche della nuova sinistra (Avanguardia Operaia, Lotta Continua, Pdup, MLS) che il lottarmartismo criticarono. E, cioè, non accennino più ai danni subiti dalla democrazia italiana proprio da quella vittoria dello Stato.ii Ancora nel 2024, dunque, il dibattito non può uscire dall’oscillazione: compagni criminali o compagni che sbagliarono. (E a sbagliare oggi sarebbe la Donatella Di Cesare).

Non è in questione la competenza di chi ha preso posizione sulla vicenda, di letture fatte o non fatte, di conoscenza della letteratura sul fenomeno. Ce n’è stata tanta. E l’abbiamo tutti più o meno macinata. Il blocco più che cognitivo mi pare emotivo.

Siamo tuttora bloccati di fronte a un tabù. Troppo influenzati o sottomessi alla interpretazione autoritaria dei vincitori.

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Elezioni europee. Non ricadere, ancora una volta, nella trappola dell’elettoralismo

a cura della segreteria nazionale MpRC

european parliament strasbourg hemicycle diliff.jpgLa confusione politica di aggregati elettorali estemporanei e l’arroccamento identitario sono le due opposte sfaccettature di una sinistra frammentata e in grave difficoltà, che perde contatto con i luoghi del conflitto di classe e investe le sue energie in un elettoralismo che diventa un circolo vizioso di insuccessi e perdita di credibilità.

Si avvicina la data delle elezioni europee, il passaggio è importante perché l’Unione europea (Ue), da molti anni in qua, ha un ruolo sempre più preponderante e sempre più impositivo su buona parte delle politiche nazionali.

Intendiamoci, non è vero che gli Stati nazionali non possono più avere voce in capitolo; abbiamo visto che, su alcuni passaggi, Stati con un minore peso sul piano economico e di popolazione hanno bloccato decisioni importanti e non ne hanno avuto conseguenze poi così gravi.

Certamente l’Ue ha tutto il potere che appare perché le classi dominanti e i loro rappresentanti politici accettano, o meglio condividono, le scelte che, sui vari terreni, economico, sociale, militare ecc. la Commissione (cioè il “governo” della Ue) e la Bce assumono, anche se a volte queste scelte favoriscono di più alcuni Stati rispetto ad altri – ovviamente si parla di Francia e Germania –, ma complessivamente le scelte che assume l’Ue tutelano e garantiscono le classi dominanti di tutti i paesi europei a danno dei lavoratori e dei ceti popolari (e anche dei ceti medi).

Riguardo allo spazio di autonomia che gli Stati possono avere, se vogliono, nell’Ue citiamo un esempio significativo: il governo Sanchez ha fatto delle leggi sul mercato del lavoro che vanno in senso opposto alla liberalizzazione selvaggia che, su questo tema, l’Ue ha promosso praticamente da sempre, a cominciare dalla Bolkestein.

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carmilla

Scambiare lucciole neocapitaliste per lanterne socialiste

Ovvero, il capitalismo con caratteristiche cinesi

di Nico Maccentelli

I0000FvBu0V1mb7A.jpgQueste che seguono non hanno la velleità di costituire un saggio organico sulla Cina, ma semplicemente sono alcune note sparse, riflessioni nella fase in cui siamo giunti di sviluppo economico egemone di questo paese nel mondo e, nel contempo, di conflitto tra potenze capitalistiche, nell’era in cui assistiamo alla brutale e inesorabile decadenza dell’Occidente imperialista a guida USA. La Cina è una questione che dalla sinistra marxista non viene affrontata, a mio parere, con un approccio analitico che non sia di adesione acritica al nuovo papà ritrovato o, al contrario di critica libertaria che spesso si associa alla vulgata democraticista borghese della sinistra liberale. Quello che mi interessa, scevro da approcci dogmatici, è quello di parlare della Cina per comprendere quale socialismo in specifico sia realizzabile nei paesi come il nostro e, in generale, cosa sia oggi il socialismo possibile, a fronte dei fallimenti delle esperienze novecentesche. Senza trionfalismi e con tutto l’interesse dovuto a quelle esperienze che oggi lo proseguono sperimentando nella transizione problematiche nuove (mi riferisco per esempio a Cuba e al bolivarismo, che quivi non tratterò, ma che meritano un’analisi approfondita). L’argomento Cina l’ho già trattato su Carmilla qui, qui e qui, nonché in altri articoli anche del mio blog. Buona lettura.

* * * *

«Una seconda forma di questo socialismo, meno sistematica ma più pratica, ha cercato di distogliere la classe operaia da ogni moto rivoluzionario, dimostrando che ciò che le può giovare non è questo o quel cambiamento politico, ma soltanto un cambiamento delle condizioni materiali di vita, dei rapporti economici.

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Comunisti: lo spettro della frammentazione continua e l’esigenza dell’unità

di Fosco Giannini*

merthyr tydfil red flag graffiti.jpgDi fronte allo scenario della polverizzazione del movimento comunista in Italia, ridotto a “isole” che non riescono, per mancanza di forze o per disabitudine a relazionarsi al di fuori della propria bolla, a uscire dalla loro “comfort zone”, l’impegno per l’unità è cruciale, e può trovare fondamenta solo nella presenza concreta nei luoghi di conflitto sociale e in una ritrovata compattezza culturale, politica e ideologica, nutrita da una ricerca teorica aperta e antidogmatica. Solo così si possono gettare le basi per la costruzione del tanto mancante partito comunista in Italia.

Uno spettro s’aggira tra il movimento comunista italiano: lo spettro della frammentazione compulsiva, della moltiplicazione parossistica. Sembra che non passi giorno senza che un’impercettibile parte comunista si stacchi da un’altra piccola parte e si organizzi come fronte, associazione, gruppo, sito comunista on-line. Il movimento comunista italiano, in preda a una crisi profonda e che può contare tra i sei e i settemila iscritti complessivi dei tre partiti più conosciuti (Prc, Pc, Pci), sembra poi “soffriggere” nella sua continua riapparizione, seppur molecolare, nelle città e nei paesi e, di questo passo, persino nei condomini. Persino il dissanguamento prolungato, e in corso ormai da tempo, di militanti e dirigenti che ha segnato di sé, estenuandolo, il Pc (di Rizzo, si dice) non ha trovato una strada univoca per “uscire” e riorganizzarsi, ma, a sua volta, si è ripresentato e si va ripresentando in tante forme diverse e autonome l’una dall’altra, in tanti, diversi e, uno dall’altro “indipendenti”, territori. In un quadro complessivo di feudalizzazione totale del movimento comunista italiano.

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linterferenza

La “sinistra” alla moda

di Danilo Ruggieri

143030352 afd30187 f06d 40ff 8ffc 2c0dafdcba83.jpgAndare controcorrente è uno dei pregi di Sarah Wagenknecht. La ormai ex leader della Linke tedesca, dopo una lunga battaglia interna, alcuni mesi fa ha rotto gli indugi e ha abbandonato insieme ad altri il partito, colpevole di una svolta liberale e cosmopolita, non più attenta alle lotte sociali, tradizionale patrimonio della storica sinistra tedesca operaista e socialdemocratica. Questa rottura è stata preceduta dalla pubblicazione in Germania nel 2021 di un suo libro (“Contro la sinistra neoliberale”) che ha fatto molto discutere e che è stato pubblicato nel maggio 2022 dai tipi di Fazi in Italia.

Va subito detto che da quando è stato scritto il libro di acqua sotto i ponti ne è passata veramente tanta.

A soli tre anni dalla sua pubblicazione uno sconvolgimento sistemico degli equilibri geopolitici ha ridisegnato le mappe dello scontro internazionale. L’inizio dell’operazione militare speciale russa in Ucraina in difesa delle popolazioni russofone del Donbass, l’estensione del conflitto alla NATO che dirige e sovraintende lo sforzo bellico ucraino, la distruzione delle linee strategiche di approvvigionamento del gas tra Russia ed Europa e la guerra di sterminio israeliana a Gaza di questi mesi con scenari di allargamento mediorientale, segnano un cambio epocale della prospettiva politica, anche interna, di quei movimenti “antisistema” che si muovono nel continente europeo. Il libro fa i conti solo in parte con gli effetti nefasti della crisi pandemica scoppiata nel 2020 e rientrata in sordina in corrispondenza con le note vicende del febbraio 2022. I tratti generali dell’analisi politica e sociale che l’autrice fa della situazione tedesca, e che si potrebbero estendere all’ Europa occidentale, vengono confermati, anzi rafforzati, osservando le posizioni assunte dalla larga parte dei ceti politici che dirigono la sinistra “progressista” liberale e “radicale”.

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La centralità del lavoro e del conflitto nella costruzione del MpRC

di Fosco Giannini*

pugni bandiera rossa.jpgPer presentare il nostro progetto politico, pubblichiamo la relazione, approvata allunanimità, con cui il coordinatore nazionale ha introdotto la riunione del Coordinamento Nazionale del Movimento per la Rinascita Comunista, lo scorso 14 gennaio.

Abbiamo costituito, in tante e tanti di tutta Italia, il Movimento per la Rinascita Comunista (MpRC) lo scorso 11 novembre a Roma, non casualmente, presso la sala “Intifada”. E oggi siamo chiamati, moralmente e politicamente, in questo nostro primo Coordinamento Nazionale, ad aprire i lavori rimarcando di nuovo la nostra piena e attiva solidarietà al popolo palestinese e la nostra totale e severa condanna delle politiche sanguinarie e fasciste portate avanti dal governo e dall’esercito di Israele. 

Abbiamo lanciato sulle nostre pagine Facebook e in Rete (e cogliamo l’occasione per ringraziare il compagno Massimo Cazzanelli, responsabile del Dipartimento Comunicazione e tutti i compagni del Dipartimento per il grande lavoro che stanno facendo) un appello e una raccolta di firme a sostegno della giusta iniziativa della Repubblica del Sudafrica, subito appoggiata dalla Repubblica di Cuba, che chiede che Israele sia condannata per genocidio presso il Tribunale dell’Aya. Aderite a questo nostro Appello, compagne e compagni, e fate aderire, poiché l’orrore che Netanyahu sta disseminando a Gaza, con la ferina complicità degli Usa e dell’Ue, non deve essere nemmeno per un minuto dimenticato, ma “fissato” nella storia e in essa per sempre tramandato.

Alta deve dunque rimanere la nostra attenzione e la nostra iniziativa a fianco del martoriato ed eroico popolo palestinese, come alta deve essere la nostra attenzione sui fatti del Mar Rosso e i bombardamenti anglo-americani sullo Yemen, che rafforzano il rischio di un allargamento della guerra in tutto il Medio Oriente.

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marx xxi

Come è possibile sciogliere in questa fase il nodo della questione comunista in Italia?

di Roberto Gabriele – Paolo Pioppi

Riceviamo e pubblichiamo

unnamedndhioaugLe note che seguono servono a rinvigorire la discussione iniziata il 19 novembre col primo Forum. Ci auguriamo che l’interesse dei compagni sia rimasto vivo e per questo ci aspettiamo altri interventi sull’argomento prima che inizi la preparazione del secondo Forum su “I comunisti e la situazione internazionale” che si terrà alla fine di gennaio e della cui preparazione vi daremo conto.

* * * *

L’interrogativo va posto in modo assolutamente onesto e oggettivo non solo valutando i risultati dei ‘comunismi’ che si sono espressi nel nostro paese dopo lo scioglimento del PCI, che sono quelli che conosciamo, ma partendo dal dato degli effetti nella società italiana, e in particolare sui ceti di riferimento del partito comunista. Questo non vuol dire abbandonarsi a un pessimismo senza sbocchi, ma prendere atto della realtà e partire da questa per capire il Che fare?

In una società come quella italiana, in cui l’egemonia del PCI sul movimento dei lavoratori e sui ceti democratici e di sinistra è stata costante per decenni, la mutazione genetica del partito ha prodotto effetti devastanti. Per milioni di uomini e donne che avevano il partito come riferimento, la denuncia degli ‘errori e degli orrori’ del comunismo, l’azione propagandistica della borghesia e dei suoi organi di informazione, il venir meno del ruolo di difesa sociale del sindacato di classe, hanno fatto sì che la parola ‘comunista’ sia diventata qualcosa di estraneo. Se non si fanno i conti con questa realtà, che pesa come un macigno, si riesce solo a smuovere i cocci dei fallimenti registrati finora, ma non si fanno passi in avanti.

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perunsocialismodelXXI

Antonio Negri, un uomo che voleva assaltare il cielo alzandosi sulle punte dei piedi

di Carlo Formenti

Processo 7 aprile.jpegNel momento in cui l'intero patrimonio di idee, teorie, tradizioni e pratiche politiche del marxismo sembra evaporare nei Paesi Occidentali, mentre rinasce in forme inedite in Asia e America Latina, due eventi distanziati di pochi mesi l'uno dall'altro accentuano la sensazione di vivere la fine di un ciclo storico: mi riferisco alle morti dei due "grandi vecchi" dell'operaismo italiano, il novantaduenne Mario Tronti, deceduto lo scorso agosto, e il novantenne Toni Negri, spentosi poche settimane fa. Commentando la prima su queste pagine (https://socialismodelsecoloxxi.blogspot.com/2023/08/che-cosa-ho-imparato-da-mario-tronti.html) titolavo "Che cosa ho imparato da Mario Tronti", per commentare la seconda ho scelto, per ragioni che chiarirò più avanti, di titolare "Un uomo che voleva assaltare il cielo alzandosi sulla punta dei piedi". Qui non troverete parola in merito al disgustoso luogo comune su Negri "cattivo maestro", che i media di regime hanno prevedibilmente rilanciato, perché le critiche che potrei fare alle sue scelte degli anni Settanta sono marginali rispetto a quelle che intendo rivolgergli qui, riferite piuttosto al suo ruolo - per citare un azzeccato titolo del "Manifesto" - di "attivo maestro". Non troverete nemmeno i ricordi di un rapporto di amicizia ormai lontano nel tempo (negli ultimi decenni ci siamo incontrati in rarissime occasioni). Non troverete nemmeno valutazioni relative alla sua opera strettamente filosofica, compito che delego agli accademici. Qui discuterò solo del Negri teorico del conflitto sociopolitico e dell'influenza che ha esercitato sulle sinistre radicali post comuniste.

Parto con una affermazione provocatoria: contrariamente a quanto da lui rivendicato (1), penso che Toni Negri non sia stato un comunista (nel senso storicamente riconosciuto del termine).

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effimera

Toni Negri | Toni Negri vincente

di Sergio Fontegher Bologna

Operai e Stato 1200x600.jpgMi riesce difficile scrivere un necrologio. Forse perché ne ho scritto troppi in questo horribilis 2023. Troppi, da quello per Danilo Montaldi su “Primo maggio”, 1975. O forse perché Toni continua a vivere. L’energia che ha sprigionato e si è accumulata ha prodotto una forza inerziale che chissà quando si spegnerà.

Ogni volta che muore un compagno si apre un nuovo capitolo di “politica della memoria”, strumento indispensabile per proteggere la continuità. La prima cosa che mi viene da dire è: liberiamo la figura di Toni Negri dalla divisa di carcerato del 7 aprile! Anche se si continua a evocarla per cancellare la maschera del “cattivo maestro” (lui era orgoglioso di essere chiamato così), o per demolire il teorema Calogero, è pur sempre un modo subalterno di parlare di lui, è il terreno su cui ci fa scendere l’avversario e lì saremo sempre perdenti, sempre in difesa. Lo ha capito Cacciari, che ha parlato, da par suo, degli scritti di Negri, evitando di cadere nel troppo frequentato genere “devozionale”.

Vale la pena invece scoprire il lato vittorioso dell’azione militante di Toni Negri. Dobbiamo ricordare che l’operaismo per un periodo ha visto avverarsi le proprie previsioni, ha assaporato, almeno per qualche anno, la vittoria. Toni Negri ha avuto la fortuna di vedersi incarnare la sua immagine della “moltitudine”: una forza non massificata ma composta di innumerevoli individualità che un giorno convergono in un unico grido, che è di protesta ma anche di programma, convergono in un’unica volontà di vita contro un modo di produzione che ormai è capace solo di morte e distruzione. Toni ha avuto la soddisfazione di vederla passare sotto le sue finestre, la moltitudine, durante le grandi manifestazioni francesi della primavera 2023.

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contropiano2

Due o tre cose che vanno dette su Toni Negri

di Francesco Piccioni

negri processoE’ tradizione soprattutto mediterranea, almeno a far data dall’Eneide, quella del parce sepulto, ossia l’invito a non parlar male dei defunti, anche se hanno avuto delle colpe.

L’invito è rispettabile sotto molti aspetti, ma non può essere esteso oltre misura, fino a cancellare ogni critica per quanto fatto o detto o scritto dal dipartito. Altrimenti ogni progresso storico specifico sarebbe congelato come le lapidi di un cimitero.

Nel caso di Toni Negri, in questi giorni, abbiamo visto molte “dimenticanze” da parte dei vecchi o seminuovi protagonisti della stagione dei “movimenti”, i soliti insulti da parte della destra trinariciuta, qualche ricordo non demonizzante anche su alcuni media mainstream.

Ci sta. I ricordi di gioventù sono sempre più dolci che non i sentimenti in tempo reale. E l’odio da parte del nemico spinge a mettere da parte le critiche, a suggerire “compattezza” anche quando questa non c’è stata, neanche in pieno conflitto.

Ma onestà intellettuale vuole che il parce sepulto, nel suo caso, non sia applicabile almeno per quanto riguarda le due principali influenze che a Negri vengono riconosciute: quella sul pensiero politico e sulle pratiche politiche “di movimento”.

Perché la sua influenza è stata – sì – decisamente importante, ma altrettanto decisamente negativa.

E mi sembra necessario che quel poco o tanto di nuova mobilitazione antagonista sia perlomeno informata sugli aspetti più critici, in modo da decidere liberamente su come e se farci i conti. Non c’è infatti nulla di meno rivoluzionario dell’accodarsi a una “narrazione” edulcorata, priva di rilievi critici, accomodante… Inevitabilmente fasulla.