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noinonabbiamopatria

Riot, operaio nero e operaio bianco, classe e razzismo

di Noi non abbiamo patria

iamaman 1Nel mese di settembre Calusca City Lights (Archivio Primo Moroni) e radiocane.info hanno realizzato un progetto editoriale presentando una raccolta di testi inediti provenienti dagli Stati Uniti come testimonianze e riflessioni sul movimento di sollevazione che si è dato nel nome di George Floyd del 2020.

La raccolta ha come titolo Riots! George Floyd Rebellion 2020. Fatti, testimonianze e riflessioni edito da Edizioni Colibrì.

Il lavoro è davvero prezioso, perché troppo poco si è riflettuto e troppo spesso male circa gli avvenimenti che dall’omicidio di George Floyd il 25 maggio 2020 hanno infiammato gli Stati Uniti d’America in più di 100 città (nelle maggiori grandi città, nelle aree peri urbane suburbs e fino alle più piccole contee rurali ed exurbs) ed hanno visto il dispiegamento della Guardia Nazionale in più di 30 città, l’uso militare della polizia federale e del DHS, ed una mobilitazione attiva di ampi settori sociali che si sono contro mobilitati a difesa della supremazia bianca, della polizia e delle proprietà private minacciate. I fatti testimoniati e riflettuti proposti da questo lavoro editoriale di raccolta gettano uno squarcio sul “movimento reale che abolisce lo stato di cose presente” che si prospetta per il futuro, che, per quanto ritiene questo blog, esso mette alla prova la teoria rivoluzionaria del passato ereditata dalle varie interpretazioni del “Marx-pensiero” in special modo su razzismo, schiavitù ed il rapporto tra proletariato di colore e bianco.

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cumpanis

L’essenza, per le fondamenta

di Alessandro Testa

Proseguendo la serie di interviste ed approfondimenti apparsi sotto il titolo “L”essenza, per le fondamenta”, pubblichiamo di seguito una breve riflessione del compagno Alessandro Testa su di un tema che ci appare della più grande importanza ed attualità, ovvero l’impatto dei cambiamenti sociali ed economici contemporanei sulla composizione di classe e sulla produzione del valore

IMMAGINE TERZO EDITORIALE TESTASappiamo tutti che una delle basi del comunismo, sin dalle sue origini, é il concetto di “lotta di classe”, un concetto che deriva da tutto un insieme di riflessioni relative alle modalità tipiche della produzione in seno al capitalismo, alla specifica natura della produzione del valore in tale contesto ed infine alle modalità all’organizzazione del lavoro ed ai rapporti sociali ad essa sottesi.

Ci rendiamo senza dubbio conto che una riflessione di tale portata non può essere conclusa – anzi non può probabilmente essere neppure abbozzata – nello spazio necessariamente ristretto di un articolo di rivista, ed auspichiamo perciò che questo spunto possa fungere da stimolo per un dibattito cui invitiamo sin d’ora a prendere parte tutti i compagni che lo desiderino, dato che riteniamo che questo sia un momento ineludibile nell’elaborazione di quell’impalcatura teorica fondamentale per la costruzione di un vero ed efficace partito comunista.

Siamo vieppiù consapevoli del fatto che un’analisi che volesse dirsi veramente scientifica necessiterebbe di una forte ed organica capacità di raccolta e valutazione di dati socioeconomici acquisiti con metodo e criterio. Purtroppo oggi i luoghi di produzione della scienza e della cultura – università, società scientifiche, fondazioni di ricerca eccetera – sono praticamente tutti nelle mani di coloro che hanno sposato senza dubbi e senza ritegno il dogma del pensiero unico liberista, e quindi ci risulta difficile prefigurare una rinascita della ricerca scientifica di stampo marxista in questo settore. Nonostante questo, pur nella consapevolezza della fragilità scientifica e metodologica delle nostre riflessioni, andiamo comunque ad incominciare.

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sollevazione2

Tesi sul cybercapitalismo

di Liberiamo l’Italia

Preceduta dalle conferenze dei Comitati Popolari Territoriali, si è svolta il 13 e 14 novembre 2021 la II. Conferenza nazionale per delegati di Liberiamo l’Italia. Tra i documenti discussi e approvati le Tesi sul cybercapitalismo, approvate all'unanimità

93629813 2091481284330354 2876092414173380608 nIl tornante storico

1. Con il crollo dell’Unione Sovietica l’élite americana (sia neocon che clintoniana) scatenò un’offensiva a tutto campo per trasformare l’indiscussa preminenza degli U.S.A. nei diversi campi — economico, finanziario, militare, scientifico, culturale — in supremazia geopolitica assoluta. L’offensiva si risolse in un fiasco. Invece del nuovo ordine monopolare sorse un disordinato e instabile multilateralismo.

2. La grande recessione economica che colpì l’Occidente, innescata dal disastro finanziario americano del 2006-2008, fu un punto di svolta dalle molteplici conseguenze. Indichiamo le principali: (1) il “capitalismo casinò” — contraddistinto dalla centralità della finanzia predatoria: accumulazione di denaro attraverso denaro saltando la fase della produzione di merci e di valore — dimostrava di essere una mina vagante per il sistema capitalistico mondiale; (2) il modello economico neoliberista, quello che aveva consentito la metastasi della iper-finanziarizzazione, esauriva la sua spinta propulsiva ; (3) la globalizzazione liberoscambista a guida americana giungeva al capolinea sostituita da una “regionalizzazione” delle relazioni economiche mondiali e dalla rinascita di politiche protezionistiche; (4) la Cina, uscita dallo sconquasso come principale motore del ciclo economico mondiale, occupava il ruolo di nuovo alfiere della globalizzazione; (5) una profonda scissione maturava in senso alle élite occidentali: la crisi di egemonia delle frazioni mondialiste alimentava il fenomeno del populismo. Così ci spieghiamo la vittoria di Donald Trump negli Stati Uniti, l’avanzata dirompente di nuove forze politiche “sovraniste” in diversi paesi europei (Italia in primis), la Brexit.

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cumpanis

“L’essenza, per le fondamenta” 

Lotta antimperialista e Internazionale comunista

Alessandro Testa intervista Epiro 1940

Con lo pseudonimo Epiro 1940 ha risposto alle domande di "Cumpanis" un noto docente, saggista ed analista geopolitico ed economico italiano

Immagine primo Editoriale Intervista Demostenes Floros 1020x1024D. In questa fase storica, stiamo assistendo all’esplodere di innumerevoli contraddizioni in seno al capitalismo, contraddizioni di quelle che Lenin definì magistralmente “l’imperialismo, fase suprema del capitalismo”. Dal tuo punto di vista, quali sono i punti salienti della situazione odierna per ciò che concerne la situazione politico-economica?

R. In primo luogo, credo sia importante riportare la definizione di Imperialismo che Vladimir Ilic Uljanov, detto Lenin, diede nel 1916: “stadio monopolistico del capitalismo”.

Ad essa, il padre della rivoluzione bolscevica associò cinque tesi:

I. La concentrazione della produzione e del capitale (il secondo è l’aspetto preponderante) con conseguente formazione dei monopoli;

II. La fusione del capitale bancario col capitale industriale (con tendenziale prevalenza del primo sul secondo) e conseguente creazione di una oligarchia finanziaria;

III. Il prevalere dell’esportazione di capitali su quella delle merci;

IV. La nascita di associazioni monopolistiche transnazionali;

V. La ripartizione della terra tra le più grandi potenze capitalistiche (aspetto militare).

A mio avviso, tutti i “cinque i principali contrassegni” suggeriti al tempo da Lenin mantengono tutt’ora la loro validità, anche se andrebbero profondamente aggiornati in base alla realtà attuale.

Desidero suggerire qualche spunto di riflessione in merito alla centralizzazione della produzione e del capitale in questa fase di ripresa del processo di accumulazione dopo le crisi del 2007-09 e 2020, se non altro per le implicazioni politiche che ne conseguono.

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lantidiplomatico

Appello: Unità per il Partito Comunista in Italia

720x410c50Siamo comuniste e comunisti.

Il possente vento reazionario, conservatore, nichilista che si è levato in questi ultimi decenni in Italia non ha mutato la nostra coscienza politica, non ci ha sospinti nella passività e nell’individualismo.

Non ci siamo arrese, non ci siamo arresi.

I grandi valori della lotta contro la guerra, dell’uguaglianza, della solidarietà, l’orrore dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo e sulla donna, tutto ciò che filosoficamente e politicamente è sintetizzabile nella gloriosa parola “comunismo”, segnano e segneranno per il domani la nostra vita, il nostro pensiero, il nostro impegno.

Siamo compagne e compagni italiani.

Non ci siamo mai pentiti della nostra scelta di vita.

Siamo convinti sostenitori della Rivoluzione d’Ottobre, della sua vittoria sul nazifascismo, di tutti i grandi moti rivoluzionari, antimperialisti e anticolonialisti che dall’Ottobre sono scaturiti; il movimento anti-colonialista in Africa e in Asia, la Rivoluzione Cinese, la Rivoluzione Cubana, la lotta per l’indipendenza del popolo coreano, le conquiste sociali e civili in Occidente su spinta del movimento operaio, la vittoria del popolo e del Partito Comunista del Vietnam, il grande e decisivo ruolo del Partito Comunista del Sud Africa nella lotta vincente contro l’apartheid, di ogni grande lotta di liberazione che il movimento comunista mondiale, nel suo insieme, ha condotto e tuttora, con grande energia, conduce su scala planetaria.

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cumpanis

Il ritorno della politica di classe

di Maxi Nieto

Da “El Viejo Topo”, 23 ottobre 2021. “Cumpanis”, nello spirito di collaborazione e scambio reciproco di articoli e saggi con la prestigiosa rivista spagnola “El Viejo Topo”, pubblica questo interessante Prologo di Maxi Nieto al libro di Jesús Rodríguez Rojo Las tareas pendientes de la clase trabajadora (I compiti futuri della classe operaia). A cura di Liliana Calabrese

piano economico e composizione di classeParlare oggi, a braccetto con Marx, di classi sociali, rivendicandone la centralità per l’analisi sociale contemporanea, costituisce una via privilegiata di accesso alla comprensione teorica del modo di produzione capitalistico come vera totalità strutturale – con una propria logica di funzionamento e leggi oggettive del movimento –, e con esso anche alla precisa conoscenza della sua manifestazione attuale, già pienamente globalizzata. E rappresenta quella via privilegiata di discernimento teorico perché, in tempi di regressione sociale globalizzata e di ricomposizione politica delle forze sociali in conflitto, l’analisi di classe ha oggi più che mai l’inestimabile virtù di delimitare con chiarezza e immediatezza i campi di confronto del mondo nel dibattito che attraversa tutte le scienze sociali interessate all’emancipazione umana, schematicamente, e in definitiva, tra marxismo e post-marxismo, rivela direttamente le implicazioni e le potenzialità politiche di ciascuno.

A differenza di quanto accade con gli approcci sociologici all’uso (a cui partecipano anche i molti vari rappresentanti del post-marxismo che egemonizza il pensiero di sinistra degli ultimi quattro decenni), le classi sociali nella ricerca di Marx non forniscono una mera rappresentazione tassonomica delle stratificazione nelle economie in cui dominano i rapporti di produzione capitalistici, una classificazione che coesisterebbe senza poter rivendicare alcuna preminenza teorico-politica con molte altre linee di frattura e di ordinamento sociale.

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cumpanis

“L’essenza, per le fondamenta”

I diversi destini del PCC e del PCI all’ombra della fine dell’URSS

Intervista a Fulvio Bellini*

Immagine secondo editoriale Intervista BelliniIl 2021 è stato l’anno di due importanti anniversari: quello della nascita dei partiti comunisti cinese e italiano. Molto si è scritto e dibattuto su questi temi. Qual è la tua opinione?

La prima riflessione sembra banale, ma solo apparentemente: salta all’occhio il destino diametralmente opposto che questi due partiti hanno avuto nel medesimo arco di tempo. Entrambe le organizzazioni politiche sono nate tra mille difficoltà, in Italia a causa del subitaneo avvento del ventennio fascista, in Cina a causa dell’inevitabile avversione delle potenze occidentali che là spadroneggiavano, dell’occupazione giapponese e dell’ostilità del Kuomintang di Chiang Kai-shek. Entrambi i partiti hanno avuto ruoli centrali nelle rispettive guerre di liberazione nazionali, e non si può negare che anche nel dopoguerra, in considerazione dei diversi contesti politici internazionali, e di collocazione rispetto ai propri governi, sia il PCC che il PCI hanno svolto ruoli centrali nella storia dei rispettivi paesi.

Ruoli sempre propositivi, comunque tesi al raggiungimento dell’obiettivo supremo che, a mio avviso, un partito socialista deve avere nella sua azione politica: come viene prodotta la ricchezza e come viene distribuita, che in altri termini possiamo definire come la lotta della supremazia tra il potere economico e quello politico.

La svolta che ha decisamente divaricato la storia dei due partiti è avvenuta certamente agli inizi degli anni Novanta, ed è coincisa con la fine dell’epopea dell’Unione Sovietica. Quell’evento ha determinato due conseguenze opposte: ha segnato la fine del Partito comunista italiano come soggetto politico di massa, mentre ha spronato i comunisti cinesi ad imprimere la svolta che ha portato il gigante asiatico ad essere la grande potenza che oggi conosciamo.

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cumpanis

“L’essenza, per le fondamenta”. Intervista a Bruno Casati

Dallo scioglimento del PCI all'attuale crisi del movimento comunista italiano

di Bruno Casati*

“Cumpanis” ha posto a Bruno Casati, come ad ogni altro interlocutore/interlocutrice di questo Speciale, “L’essenza, per le fondamenta”, alcune domande, le cui risposte l’Autore ha preferito sintetizzare in questo unico testo

Immagine primo editoriale Interviste Bruno CasatiNegli anni ’80, e men che meno nel decennio precedente, non si ebbe mai la percezione della gravità che, nel PCI, andava ad assumere un doppio fenomeno. Il primo dato dai riformisti che, ancora con Berlinguer vivente, conquistano la maggioranza nella Direzione e nella Segreteria Nazionale del Partito, tanto che Berlinguer opera la “seconda svolta di Salerno”, con cui recupera il rapporto che si era allentato con la base comunista, forzando le regole del centralismo democratico e solo così aggirando il dissenso della Direzione.

Il secondo fenomeno si configura nel manifestarsi, cautamente all’inizio, di una nuova generazione di comunisti. È la leva dei giovani della FGCI degli anni Sessanta che, nell’80, diventati quarantenni alzano la testa. È la loro la prima generazione che non può, ovviamente, disporre del “cursus honorum” dei precedenti gruppi dirigenti del PCI: i fondatori di Livorno, i quadri della clandestinità, poi della Spagna, della Resistenza, del “partito nuovo” di Togliatti e, infine, della “via italiana al socialismo”.

I giovani della FGCI del Sessanta sono, invece, entrati direttamente negli apparati del partito dopo qualche anno di università, taluni, senza aver mai diretto, tutti, una lotta di fabbrica o di territorio. Però sono molto ambiziosi e si propongono di farsi largo nel partito, ma prima devono liberarsi dei padri. L’operazione rasenta l’impossibile fintanto che resta in campo Berlinguer, che avrà pure perso la maggioranza della Direzione ma resta l’ultimo grande dirigente per il quale si possa parlare di “sacralità del capo”. Pertanto, bisogna liberarsi di Berlinguer e della sua intransigenza che lo aveva portato sia alla critica frontale del craxismo che alla denuncia del malcostume interno al partito. I Riformisti filo craxiani che controllano la Direzione, la CGIL e alcune importanti federazioni come quella di Milano, sono d’accordo con i quarantenni rampanti e si apprestano cinicamente a usarli.

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cumpanis

“L’essenza, per le fondamenta”. Contro la gabbia del “biopotere”

Alessandro Testa intervista Alberto Sgalla

Alberto Sgalla, nato in Ancona il 24.11.1948, dove vive, già docente di discipline giuridiche-economiche in istituiti tecnici e licei a Varese e Ancona, ha pubblicato in rivista saggi di filosofia politica e 4 romanzi (Il colore del vuoto, ed. Transeuropa 2000; Senza commozione, ed. Pequod 2005; Federico Onori, ed. Cattedrale 2009; Café Le Antille, ed. Italic Pequod 2014). Ha militato nel corso degli anni ‘70 nell’area “operaista”, con un’attenzione al pensiero di Hegel e un’ispirazione leninista.

51gxw6CUyOLCi piacerebbe cominciare quest’intervista chiedendoti una riflessione sullo Stato Postmoderno, sulla sua evoluzione come sovrastruttura e sui suoi legami con la maniera specifica con cui si è evoluto il capitalismo.

Siamo entrati in una nuova epoca, che non è definibile se non con il prefisso post- (postindustriale, postmoderna, postfordita, postumana, postverità eccetera), epoca di transizione da un non-più al trionfo dell’indefinito, del senza-identità, segno del caos della crisi, della società dell’incertezza, dove tutto è cedevole, disperso, movimento che non conduce da nessuna parte, se non all’accumulazione di profitti e poteri privati. Occorre comunque dare significato alle trasformazioni e la critica comunista resta la migliore per capire “lo stato di cose presenti”, critica totale, affermativa, vitale.

Con il postmoderno è avvenuta:

– la marxiana sussunzione reale della società al capitale, che ha completamente assorbito la società in sé, la società informatizzata e automatizzata, la società ridotta a mercato e spettacolo; il capitale non ha più un esterno, non ha niente fuori di sé, si presenta come forza produttiva primaria, separata dal lavoro, che sembra destinato ad uscire definitivamente di scena;

– la modificazione della natura dello sfruttamento dalla quantità alla qualità, con processi di creazione del valore che non trovano più al loro centro il lavoro di fabbrica;

– l’incapacità del capitale di pianificare lo sviluppo inteso come movimento dialetticamente compiuto, il capitale appare come vuoto apparato di costrizione, un parassita della cooperazione del lavoro vivo che si autovalorizza;

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carmilla

Ti ricordi del 15 ottobre… Due movimenti e un paese in caduta libera

di Jack Orlando

external content.986tf34rtyÈ il 15 ottobre del 2011. A Roma. Una turba inferocita devasta il centro storico. Il tentativo di convogliare l’opposizione sociale alle misure di austerity sotto un cartello di compatibilità riformista va in fumo, assieme a un blindato dei carabinieri, in frantumi con la celeberrima madonnina di coccio. L’indignazione ha ceduto il passo alla rabbia. E menomale.

È un biennio movimentato, quello del 2010-2011, in mezza Europa.

Nel portare avanti lo scontro c’è una composizione eterogenea di lavoratori, disoccupati, teppisti, occupanti di casa e democratici arrabbiati, ma soprattutto c’è una grossa componente di giovanissimi, a cavallo tra le scuole superiori e l’università, reduci e colpo di coda dell’Onda studentesca che, nel loro piccolo, hanno appreso l’arte dell’esercizio della forza in piazza, sanno come respirare in mezzo ai gas lacrimogeni, sanno avanzare e indietreggiare, erigere una barricata e disselciare un viale. Una componente che vive quel giorno anche come un salto di qualità, un possibile inizio.

Invece il salto è un inciampo. Si cade a terra tra i distinguo e i “però”, tra le dissociazioni e le dietrologie, tra le scuse al capo dello Stato e il paternalismo forcaiolo dei salotti TV.

Un giorno è poca roba nel grande schema delle cose, eppure quel giorno il mondo guarda Piazza San Giovanni, una festa di fuoco e pietre che volano, i giornali sono in fibrillazione, i commentatori tra lo scatenato e l’attonito, la politica dissimula il brivido sulla schiena con una caterva di contumelie e intimidazioni. La Grande Minaccia, il pericolo per la democrazia, è una gioventù che ha scritto sul suo vessillo di guerra “non chiediamo il futuro ci prendiamo il presente!”.

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cumpanis

“L’essenza, per le fondamenta”

Intervista a Carla Filosa

Si sta come/ d’autunno/ sugli alberi/ le foglie

istockphoto 851154908 170667baD. Lo sviluppo di una società socialista presuppone condizioni oggettive e soggettive ben precise. A tuo avviso, queste condizioni sono presenti oggi o sono ancora molto al di là da venire?

R. Ponendo attenzione alle contraddizioni immanenti al processo di accumulazione, si entra nel cuore della crisi attuale, di massa di plusvalore prodotta che non può essere realizzata, cioè trasformata in profitto. Per questo si licenzia senza grossi intralci normativi, riducendo il più possibile i costi relativi al capitale variabile, cercando contemporaneamente di stabilire accordi vantaggiosi per l’acquisto di materie prime a prezzi minori, e se non è possibile mediante la diplomazia, lo spionaggio o i servizi segreti, si destabilizzano paesi con guerre a bassa intensità o per interposta persona a scopo di rapina delle risorse, come possibile. In altri termini lo sfruttamento lavorativo, mai sufficiente per l’accumulazione di plusvalore, dev’essere integrato con la ricerca delle priorità immediate sulla concorrenza internazionale, nella corsa infinita alla supremazia pena la distruzione o vendita necessitata della propria attività produttiva, o in forma mediata, finanziaria. Il ricorrente fenomeno delle controverse dislocazioni produttive mostra inoltre non solo l’attivazione continua del dumping salariale, ma soprattutto la concorrenza tramite l’uso degli stati nell’ottenimento di facilitazioni fiscali, legislazioni depenalizzanti, fruizione di infrastrutture gratuite, appalti per investimenti a basso rischio, ecc.

Questo per quanto concerne la produzione. Per quanto invece riguarda la distribuzione del valore e plusvalore prodotto, a sfruttamento compiuto, i problemi delle proporzioni tra diversi rami produttivi e delle capacità di consumo delle società cui ci si rivolge (nazionali o estere) consistono nella distribuzione antagonistica, propria del capitale, per cui questa avviene in modo sperequato tra una grande massa di persone e una più ristretta di ceti abbienti.

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cumpanis

“L’essenza, per le fondamenta”

Alessandro Testa intervista Alessandro Volponi

Immagine secondo editoriale 1Alessandro Volponi, laureato in filosofia e giurisprudenza, ha insegnato per qualche decennio storia e filosofia nel liceo classico di Fermo; durante gli anni ‘70, militando nel P.C.I., ha ricoperto ruoli istituzionali come consigliere e assessore comunale e in seguito, negli anni ‘90, consigliere e assessore provinciale con Rifondazione. Collabora con diverse riviste, tra cui “Cumpanis”, nonché con l’Istituto per la Storia del Movimento di Liberazione. È membro del direttivo della sezione provinciale dell’A.N.P.I. 

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Le teorie degli economisti classici, “eretici” e marxisti, al di là delle inevitabili e ben conosciute differenze, manifestano talora inaspettati e sorprendenti punti di convergenza; potresti dirci cosa ne pensi?

Se c’è un “eretico” divenuto nel tempo un classico, quello è certamente John Maynard Keynes, protagonista inconsapevole del più straordinario caso di convergenza tra economisti dal background così diverso quale quello dell’accademico inglese e quello di Michal Kalecki. 

Lord Keynes rifiuta persino di leggere Marx, malgrado l’insistenza dell’amico Sraffa, arriva a rivalutare Malthus per affermare la centralità del problema della domanda effettiva, scopre delle verità contro-intuitive come il fatto che è falso che la flessibilità dei salari renda impossibile la disoccupazione e finalmente sconcerta il mondo proponendo il deficit di bilancio come rimedio alla crisi; Kalecki, scrivendo in polacco tre anni prima della Teoria generale e poi ancora un anno prima, formula nel modo più preciso ed essenziale i temi sostanziali della “rivoluzione keynesiana”. 

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cumpanis

L’attualità e la necessità storica del partito comunista

Intervista a Marco Rizzo

Intervista de “La Pravda”, organo del Partito Comunista della Federazione Russa, al segretario generale del Partito Comunista Marco Rizzo

immagine sez.Interviste RizzoMarco Rizzo, nato a Torino il 12 ottobre 1959, figlio di un operaio della FIAT, si dedica alla politica fin da giovane e si iscrive al PCI nel 1981. Fa parte dei circoli culturali marxisti che venivano definiti “filosovietici” da chi stava mutando genericamente l’anima di quel partito. In quel frangente entra in contatto con grandi dirigenti comunisti, intellettuali e partigiani come Arnaldo Bera, Aldo Bernardini, Armando Cossutta, Raffaele De Grada, Gianni Dolino, Ludovico Geymonat, Lucio Libertini, Sergio Ricaldone, Pino Sacchi, Alessandro Vaia, che segneranno la sua vita politica di militante e dirigente. Tra gli ideatori di Rifondazione Comunista, dopo lo scioglimento del PCI, arriva a ricoprire l’incarico di segretario di Torino e poi di Coordinatore Nazionale. Fondatore insieme a Cossutta e Diliberto del Partito dei Comunisti Italiani. Deputato Europeo e tre volte Deputato Nazionale. Infine, fonda nel 2009 Comunisti Sinistra Popolare, che si trasforma in Partito Comunista col I° Congresso del 2014, seguito poi dal II Congresso del 2017 e il III Congresso del 2020, in cui viene eletto è confermato Segretario Generale. Ha tre figli, laureato in scienze politiche, giornalista e amante della storia e del cinema.

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D. Pandemia, crisi economica globale, collasso del lavoro e delle prospettive per il “futuro”. In Italia, in Europa e nel mondo, da questo stato delle cose la coscienza e lotta di classe ne escono rafforzate, indebolite o del tutto sconfitte? A che punto siamo e cosa ci aspetta?

R. La lotta di classe è il motore della storia. Essa sta continuando in Italia, in Europa e in tutto il mondo. Il punto che caratterizza fondamentalmente oggi la situazione politica tra i vari paesi è il rapporto tra la politica da un lato e l’economia e la finanza dall’altro.

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cumpanis

Unire i comunisti, incendiare l’autunno!

di Fosco Giannini

Immagine per secondo editorialeGli USA di Joe Biden stracciano violentemente, irridendola, la bandiera della lotta imperialista alla Donald Trump, tutta guerre doganali e neo-protezionismo, e fanno di nuovo garrire nel vento planetario quella della minaccia militare, dell’aggressione diretta alla Russia e alla Cina, della messa in campo delle truppe USA-NATO-Ucraina per la conquista del Donbass e della Crimea, con i marines collocati direttamente sul fronte russo, per una guerra “regionale” come premessa inevitabile e preventivata alla guerra mondiale.

Qualcuno può credere davvero, infatti, che un’eventuale e sempre più cercata, da Biden, guerra Ucraina-Russia, con gli USA e la NATO a dirigere le operazioni a Kiev, circoscriverebbe il fuoco in Crimea, nel Donbass, con una Cina, sul fronte antimperialista, silente e un Giappone, sul fronte filoamericano, dormiente?

Di nuovo risuonano ora, drammaticamente, come ai tempi delle guerre in Vietnam, in Jugoslavia, in Iraq, in Libia, in Siria, in Afghanistan, le parole dense di denuncia e apprensione che pronunciò il presidente Dwight Eisenhower, nel suo discorso di saluto alla nazione il 17 gennaio 1961, quando, attraverso le radio e le televisioni, si rivolse al popolo americano e ai popoli del mondo avvertendoli del pericolo immane, per la pace mondiale, rappresentato dal “complesso militare-industriale” americano e dalla sua fame di guerra.

Con l’espressione complesso militare-industriale-politico, coniata proprio in quello storico discorso di commiato, Eisenhower si riferiva all’intreccio inestricabile di affari e interessi tra i gruppi del capitalismo industriale militare americano, gli Stati ove queste industrie erano e sono tuttora collocate, le più alte gerarchie delle Forze Armate americane e gli influentissimi rappresentanti politici di questo fronte all’interno del Congresso, del Parlamento americano.

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cumpanis

“L’essenza, per le fondamenta”. Intervista ad Ascanio Bernardeschi

a cura di Alessandro Testa

Il problema vero è il partito: senza un partito effettivamente internazionalista e rivoluzionario, i comunisti sono tali solo idealmente, in quanto manca lo strumento per “abolire lo stato di cose presente”

Immagine Primo EditorialeAscanio Bernardeschi si è a Siena con la tesi "La teoria della crisi economica nel sistema di analisi di Marx”. La tesi venne premiata dalla rivista del Pc "Politica ed economia". Militante della Fgci e poi Pci dal 1963 fino allo scioglimento del partito. Ha aderito subito a Rifondazione di cui è stato segretario di circolo, membro della Segreteria provinciale e del Comitato politico regionale; è stato anche Consigliere provinciale per due legislature. Ha scritto per diverse riviste sia stampate che online ed è attualmente responsabile Economia e Lavoro del giornale comunista La Città Futura.

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È cosa nota che il modello di produzione capitalistico passa per crisi ricorrenti, che sono un inevitabile prodotto delle sue contraddizioni interne. Per prima cosa, ci farebbe piacere discutere con te della natura della crisi globale che l’occidente sta vivendo oggi, a partire da elementi storico-economici che mettano in luce le basi teoriche di quello che sta succedendo.

Occorre prima di tutto sgombrare il campo dalla diffusa opinione secondo cui questa crisi sia provocata dalla pandemia, come pure da quella che la crisi del 2007/8 fosse provocata dalla cattiva finanza; certamente il coronavirus oggi e i mutui subprime precedentemente hanno fatto da detonatore, rendendo la crisi ancora più devastante, ma le cause vengono da molto più lontano e hanno a che vedere con il processo di accumulazione capitalistica.