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Raniero Panzieri e la questione del potere
di Franco Ferrari
Il 9 ottobre 1964 muore improvvisamente a Torino, a soli 43 anni, Raniero Panzieri, intellettuale socialista, per diversi anni dirigente politico del PSI e poi dal 1961 promotore dei “Quaderni Rossi”, rivista di teoria e di intervento politico diventata nel tempo oggetto di una sorta di vera e propria venerazione.
Panzieri è stata una figura intellettuale importante, un attento e originale studioso di Marx e un critico acuto di molte delle tesi prevalenti nella sinistra tra la fine degli anni 50 e l’inizio degli anni ’60, con la indubbia capacità di cogliere elementi nuovi presenti in una fase di tumultuoso cambiamento sociale dell’Italia di quel periodo.
L’obbiettivo limitato di queste note non è certo di ricostruirne, neppure sommariamente, la biografia, intensa per quanto breve (per questa si rimanda a Dalmasso 2015), né di esaminarne in dettaglio un pensiero complesso che, come sempre avviene nei pensatori originali, non può essere ridotto a un percorso lineare. La scomparsa improvvisa ha anche lasciato irrisolti molti nodi che poi altri, in direzioni diverse, cercheranno di sviluppare spesso con forzature che probabilmente lo stesso Panzieri non avrebbe accettato. Né si possono facilmente ridurre e semplificare, quasi in forma manualistica, le implicazioni e anche le contraddizioni del suo pensiero. Più modestamente si cercherà di individuare qualche nodo problematico attorno al quale ci si può interrogare anche nel presente, a sessant’anni dalla sua scomparsa.
Il socialismo di sinistra
Il primo punto che si vuole evidenziare è come si collochi Panzieri nella più generale storia del movimento operaio e socialista italiano.
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La grande rimozione
Il comunismo nel Novecento? Una sconfitta, non un fallimento
di Mauro Casadio
Ieri la prima giornata di lavori del Forum “Elogio del comunismo del Novecento”. Oggi si prosegue la mattina con la seconda e terza sessione, poi interruzione per partecipare alla protesta contro il divieto di manifestazione. I lavori riprenderanno domenica mattina con la quarta sessione.
Pubblichiamo il testo dell’introduzione ai lavori del Forum di Mauro Casadio della Rete dei comunisti
In questo nuovo cambio epocale si stanno determinando le condizioni per affrontare in modo più oggettivo la grande rimozione politica fatta, in buona e mala fede, sul movimento di classe e comunista del ‘900; necessità che si impone non solo in termini storici ma anche per le prospettive di una, ora di nuovo, necessaria trasformazione sociale. Come RdC già dagli anni ’90 sentivamo questa esigenza tanto da produrre alcune pubblicazioni, titolate “Il bambino e l’acqua sporca”, per indagare più a fondo quelle esperienze cercando, appunto, di salvare il “bambino”.
Ci fermammo, però, in quella ricerca ed elaborazione sia per nostri limiti soggettivi sia perché, nel contesto dell’affermazione globale del neoliberismo, rischiavamo di oscillare tra suggestioni ipercritiche e continuismo dogmatico vista l’impossibilità di avere verifiche certe nella realtà. Ciò non esclude che avessimo già una idea di ciò che era avvenuto e si era prodotto nelle esperienze comuniste dell’est e dell’ovest dell’Europa in particolare, luogo dal quale era partito il moto rivoluzionario mondiale del Novecento.
Se per la soggettività gli esami non finiscono mai, sul piano dell’oggettività la situazione attuale viene ora in nostro aiuto in quanto la crisi di egemonia dell’imperialismo euroatlantico ci fornisce più strumenti per concepire una nuova possibilità di cambiamento di sistema.
Certo se il capitalismo non fosse ricaduto ancora una volta nelle sue intime contraddizioni di fondo parlare del movimento comunista del ‘900 sarebbe possibile farlo solo in termini di ricerca storica, utilissima ma non di nostra diretta competenza.
La fine della “fine della storia”
Invece la fine della “Fine della Storia” ci permette di tracciare una linea rossa dalla rivoluzione Bolscevica del ’17 utile a interpretare gli andamenti del conflitto di classe internazionale, ma soprattutto definire il ruolo avuto da essa nel processo di emancipazione generale di tutta l’umanità.
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Spunti per una discussione necessaria
dal Forum italiano dei comunisti
Una nuova fase di lavoro
Abbiamo più volte ribadito che l'obiettivo del Forum non è creare un nuovo gruppo politico o mantenere steccati fittizi, ma aprire nell'area comunista un dibattito e un rapporto nuovo che contribuisca a superare lo stato in cui versano gruppi e anche singoli compagni e che fino a oggi ha prodotto solo macerie e mistificazioni.
Nei dieci mesi che ci separano dall'inizio dell'attività del Forum ci siamo concentrati soprattutto nel definire la necessità che si ponga fine a nuove avventure corsare e a un modo romantico e soggettivo di intendere la ripresa di un movimento comunista in Italia. Su questo continueremo a insistere, aprendo interlocuzioni che, seppure difficoltose, sono l'unico strumento che ci può permettere di scavare sui luoghi comuni, le ambiguità e le improvvisazioni che hanno caratterizzato finora l'esperienza comunista. Senza la pretesa di salire in cattedra, ma cercando di arrivare, attraverso l'analisi e la discussione, a un punto di vista comune e a ipotesi di lavoro politico sufficientemente verificate.
Per il futuro non ci aspettiamo dunque svolte organizzative che annuncino la nascita di una nuova verità che dovrebbe riaggregare le esauste schiere di comunisti che per decenni hanno provato a riorganizzarsi. Crediamo, invece, che sia arrivato il momento di aprire una fase in cui le questioni di fondo che riguardano l'avvenire dei comunisti italiani vengano messe al centro di una elaborazione collettiva che ci faccia fare dei passi in avanti.
Imboccare questa strada è arduo e presuppone che di fronte al bilancio negativo si eviti di rinchiudersi in nicchie organizzative o culturali che sono solo dimostrazioni di difficoltà nel rapportarsi alla realtà. Per noi comunisti la teoria è la scienza della trasformazione.
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“Guerra di movimento” e costruzione del partito comunista
di Fosco Giannini
Tra la terza guerra mondiale già in corso, la crisi sistemica dell’Ue, la torsione in senso fortemente reazionario del capitalismo italiano e la totale assenza di un’opposizione politica, sociale e sindacale, cresce in Italia l’esigenza della costruzione di un’avanguardia comunista, di un partito comunista di classe, unitario, di quadri, con una linea di massa.
Riarmare politicamente la “classe” – oggi disarmata, muta, inane –, l’intera “classe politecnica” del lavoro, il movimento operaio complessivo attraverso la messa in campo di un partito comunista, rivoluzionario, d’avanguardia, di lotta, di quadri, con una linea di massa. Questo è l’obiettivo che le forze comuniste che si vanno unendo (Movimento per la Rinascita Comunista, Resistenza Popolare, Patria Socialista, Costituente Comunista) vogliono, in modo risoluto, perseguire – assieme ad altre soggettività comuniste che vorranno condividere il cammino – e hanno “proclamato”, pubblicamente e di fronte ad un vasto “pubblico” di compagne e compagne, di lavoratori e intellettuali, nell’ultima e importante giornata, nel dibattito finale (“Verso la costruzione del partito comunista”) della Festa nazionale del MpRC tenutasi a Castelferretti (Ancona) dal 13 al 15 settembre scorsi.
La messa in campo di una forza comunista e rivoluzionaria è un progetto che fa tremare le vene dei polsi. Ne siamo consapevoli. Ma la determinazione a proseguire l’impegno e la lotta per cogliere questo obiettivo acquisiscono a mano a mano più forza in relazione alla razionalità degli argomenti che sono alla base dello stesso progetto strategico. È una ratio politica e ideologica, un’interpretazione materialistica della fase, internazionale e nazionale, a guidarci, non il cuore, non un’idealità immateriale, non un sogno.
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“Sahra Wagenknecht è l’unica che pone le domande giuste — e offre le risposte giuste”
intervista a Wolfgang Streeck
Il famoso sociologo tedesco discute delle recenti elezioni nella Germania orientale, della necessità di tornare allo Stato-nazione, del comunitarismo di sinistra e delle carenze del populismo di destra. Wolfgang Streeck è un sociologo ed economista politico tedesco, direttore emerito del Max Planck Institute for the Study of Societies di Colonia. Il lavoro di Streeck si concentra sulle tensioni tra capitalismo e democrazia, in particolare su come i sistemi economici influenzano le strutture sociali e politiche. Tra i suoi libri più noti vi è Buying Time: The Delayed Crisis of Democratic Capitalism, dove esplora le conseguenze a lungo termine delle politiche neoliberali. Streeck è ampiamente riconosciuto per i suoi contributi alle discussioni sul futuro del capitalismo nelle economie avanzate.
* * * *
Zeit: A cosa sta pensando in questo momento, signor Streeck?
Wolfgang Streeck: Qualcuno come me, che ha lavorato per decenni sull’economia politica, non può fare a meno di notare oggi che la nostra prospettiva sulle società è stata a lungo limitata, perché spesso abbiamo trascurato il fatto che ci occupiamo di società nazionali. La storia del capitalismo democratico, ad esempio, può essere compresa solo esaminando le connessioni tra le singole società nazionali e la società globale.
Zeit: Lei è considerato una delle principali influenze intellettuali della politica di Sahra Wagenknecht. È soddisfatto del successo dell’Alleanza Sahra Wagenknecht (BSW) in Sassonia e Turingia?
Streeck: Oh Dio, raramente mi sento soddisfatto, ma guardo a questo con grande simpatia. La crisi del sistema politico tedesco è innegabile, e non è solo un fenomeno tedesco, ma può essere osservato in tutte le società capitaliste occidentali: il crollo del centro, il declino della socialdemocrazia e l’emergere di nuovi partiti che rappresentano interessi e valori che in precedenza non avevano posto nello spettro politico consolidato.
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Se si va con un ladro…
di Nico Maccentelli
… non ci si può poi stupire se non trovi più il portafoglio. L’intera operazione del Nouveau Front Populaire delle sinistre francesi alle scorse elezioni è stato un potente assist a Macron, che è il nemico principale per le classi subalterne poiché diretta espressione delle oligarchie imperialiste atlantiste.
Questo argomento l’avevo già affrontato qui.
Infatti, scrivevo riguardo:“… al Front Populaire costituitosi in Francia, è ben evidente che il cuore del progetto guerrafondaio della NATO resta tutto ed è quello che per il nemico di classe conta realmente, in mezzo alla fuffa che la guerra stessa e la sua economia farà sparire come neve al sole. Questa è la tonnara di cui parlavo all’inizio. Una tonnara politica dove, spiace dirlo, gli attori finali sono degli utili idioti.”
A questo punto, sarebbe interessante sapere che ne pensa la base sociale che ha votato per il FP, i lavoratori, la gente delle banlieu, le componenti sociali scese in piazza contro Macron e le sue politiche, dagli aumenti del gasolio alle pensioni. Cosa ne pensa chi avrebbe vinto, riguardo la parte finale del copione macroniano: ossia del blocco anticostituzionale messo in atto contro il partito maggioritario della coalizione elettorale vincente? Questa base, composta da milioni di francesi, sarebbe stupita di questo?
In realtà tutto è andato secondo i piani dell’oligarchia imperialista espressa dal governo precedente, che poi è quello attuale degli”affari correnti”, e quindi nulla di cui stupirsi, come mostra di esserlo invece il Marrucci nel suo pippone su Ottolina tv. La scoperta dell’acqua calda. Pippone che tuttavia merita comunque di essere visto poiché fa una cronistoria puntale di tutta la vicenda francese del dopo elezioni europee e, per chi volesse saperne di più, rimando a questo contributo.
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Andare a scuola dalle masse
di Marco Codebò
Emilio Quadrelli. L’altro bolscevismo. Lenin, l’uomo di Kamo. Roma: DeriveApprodi, 2024
Emilio Quadrelli è morto il 13 agosto 2024. Avevamo in programma questo intervento di Marco Codebò sul suo ultimo geniale libro L’altro bolscevismo. Lenin, l’uomo di Kamo, che era stato già recensito da Sandro Moiso, ma che offre molteplici spunti di riflessione su quell’esperienza rivoluzionaria con cui è impossibile non fare i conti. Ho conosciuto Emilio Quadrelli leggendo il suo nome sui muri di Genova, quando le scritte con lo spray rosso ripetevano “Emilio ed Enza liberi”. Enza era Enza Siccardi.
Quadrelli non era semplicemente stato in carcere, lo aveva vissuto e da quell’esperienza umana e assieme politica e intellettuale ne aveva tratto qualcosa di straordinariamente importante per esistere e per lottare. I suoi libri ora parlano per lui, per il compagno Emilio Quadrelli. [nico gallo]
* * * *
L’altro bolscevismo. Lenin, l’uomo di Kamo, è lo studio di tre congiunture della Storia – la Russia rivoluzionaria fra il 1905 e il 1917, l’Italia degli anni Sessanta e Settanta del Novecento, il nostro presente – viste attraverso la lente del rapporto fra la classe da una parte e l’intellettualità rivoluzionaria, organizzata o no in partito, dall’altra. Cosa interessi Quadrelli quando parla di classe lo si comprende già dalla dedica del libro, indirizzata a “Rossano Cochis, un amico e un fratello…”. Cochis, rapinatore seriale, braccio destro di Renato Vallanzasca, autore di oltre quattrocento rapine, è stato un bandito degli anni Settanta. Quel che conta è che per Quadrelli sia un fratello, termine che suggerisce l’esistenza di un rapporto stretto di uguaglianza e solidarietà fra chi lo usa e la persona che ne è destinataria. Rapporto però, non fondato sulla comune condivisione di un’idea politica. Fratelli e non compagni, ad esempio, si chiamano fra di loro gli operai delle ditte di appalto dello stabilimento Fincantieri di Sestri Ponente a Genova, in gran maggioranza stranieri di religione musulmana.
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Le condizioni della Germania
Thomas Meaney e Joshua Rahtz intervistano Sahra Wagenknecht
L’economia tedesca deve affrontare molteplici crisi convergenti, sia strutturali che congiunturali. L’impennata dei costi energetici dovuta alla guerra con la Russia; lo shock del costo della vita, con un’inflazione elevata, alti tassi d’interesse e salari reali in calo; l’austerità imposta dal freno costituzionale al debito, mentre i concorrenti americani puntano all’espansione fiscale; la transizione verde che colpirà settori chiave come l’industria automobilistica, l’acciaio e la chimica; e la trasformazione della Cina, uno dei più importanti partner commerciali della Germania, in un concorrente in settori come i veicoli elettrici. Può dirci innanzitutto quali sono le regioni più colpite dalla crisi?
C’è in corso una crisi generale, la più grave degli ultimi decenni, e la Germania si trova in una situazione peggiore di qualsiasi altra grande economia. Le più colpite sono le regioni industriali, finora spina dorsale del modello tedesco: la Grande Monaco, il Baden-Württemberg, il Reno-Neckar, la Ruhr. Durante la pandemia, il commercio al dettaglio e i servizi sono stati i più colpiti. Ma ora le nostre imprese del Mittelstand sono sottoposte a una forte pressione. Nel 2022 e 2023, le imprese industriali ad alta intensità energetica hanno subito un calo della produzione del 25%. È un dato senza precedenti. Hanno appena iniziato ad annunciare licenziamenti di massa. Queste piccole e medie imprese a conduzione familiare – molte delle quali specializzate in ingegneria o produttrici di macchine utensili, ricambi auto, apparecchiature elettriche – sono davvero importanti per la Germania. Sono perlopiù gestite dai proprietari o a conduzione familiare, quindi non sono quotate in borsa e spesso hanno un carattere piuttosto robusto.
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Ue e movimento comunista: cosa dovrebbe fare, oggi, il MpRC, se fosse un partito comunista?
di Fosco Giannini*
L’esigenza dell’unità del movimento comunista dell’Ue nella ricerca politico-teorica e nella lotta anticapitalista sovranazionale
Cosa dovrebbe fare, che compiti prioritari avrebbe, dopo queste elezioni europee 2024, il Movimento per la Rinascita Comunista se fosse un partito, un partito comunista e, ancor meglio, un partito comunista d’avanguardia? Cosa dovrebbe fare a partire dall’analisi della situazione concreta relativa all’Ue, così come mirabilmente è stata sviluppata dal compagno Ascanio Bernardeschi su questo stesso giornale, «Futura Società», in un editoriale dal titolo “Un voto che delegittima l’Unione europea”?
Ha scritto Ascanio: “L’Unione europea, fin dal trattato di Maastricht e dai suoi precedenti, si è caratterizzata come un tentativo di integrazione economica sulla base di un modello liberista e imperialista. È stata, per esempio, funzionale al colonialismo in Africa e, dopo la fine del campo socialista europeo, all’omologazione dei modelli sociali nei Paesi ex alleati dell’Urss, intossicando il continente di nazionalismo, razzismo e neofascismo, aderendo inoltre a tutte le guerre della Nato.
Le sofferenze sociali derivanti dalla crisi del capitalismo, l’assenza di ogni ipotesi alternativa alle politiche liberiste che hanno devastato i diritti sociali e richiesto un viraggio progressivo verso l’autoritarismo e la riduzione degli spazi democratici, hanno determinato un malcontento popolare che, in assenza – salvo pochissime eccezioni – di una sinistra forte e incisiva hanno avvantaggiato la lievitazione della falsa alternativa di destra”.E più avanti: “Per fortuna, nelle recenti elezioni europee non tutto il malcontento ha guardato a destra. Intanto c’è il dato importante, e non a caso trascurato dai media, dell’astensionismo (…) un dato così eclatante significa l’ennesima delegittimazione delle istituzioni dell’Unione europea. Ennesima, perché ogni qual volta i popoli sono stati chiamati a esprimere in appositi referendum (mai in Italia) l’approvazione o meno della Costituzione europea, quest’ultima è stata sonoramente bocciata, tanto che l’establishment ha ovviato cambiandole nome. Ora si chiama Trattato”.
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La questione palestinese oggi e la crisi della sinistra occidentale
Presentazione dell'articolo di Abdaljawad Omar "la questione di Hamas e la sinistra"
di Algamica*
“La sinistra deve affrontare questo fatto fondamentale. Non si può rivendicare solidarietà con la Palestina e respingere, trascurare o escludere Hamas.” – Adbaljawad Omar, 31 maggio 2024 – Mondoweiss.net
Presentiamo un articolo di Abdaljawad Omar, giovane dottorando e docente part-time presso il Dipartimento di Filosofia e studi culturali dell'Università di Birzeit in Cisgiordania, pubblicato da Mondoweiss il 31 maggio scorso.
Non ci nascondiamo che l'argomento chiama in causa l’intero movimento storico della sinistra occidentale in quanto riflesso agente delle necessità di una classe sociale – il proletariato – determinato dalle leggi impersonali dell’accumulazione. Il giovane intellettuale palestinese di West Bank prende spunto da un acceso dibattito che sta avvenendo in maniera sempre più articolata proprio nei paesi dove la mobilitazione a sostegno della Palestina ha dimensioni di massa. Intellettuali della sinistra e organizzazioni della sinistra, chi più e chi meno, rimproverano alle mobilitazioni in occidente di sostenere sì giustamente la resistenza palestinese ma di fatto celebrando il 7 ottobre e l’azione politica di un movimento “socialmente regressivo”, Hamas. In sostanza abbiamo a che fare con una variegata impostazione della sinistra occidentale le cui posizioni possono essere sintetizzate con “la resistenza palestinese, senza se e senza… Hamas”.
Non ci nascondiamo che in questo articolo Omar, così come quelli cui egli riferisce di Jodi Dean e di Andreas Malm e che hanno dato scandalo tra componenti della sinistra radicale occidentale il tema non è limitato a una impostazione politica pratica dell’oggi palestinese, ma ci costringe a prendere il toro per le corna, ossia la relazione della produzione del valore e del colonialismo degli occidentali che ha determinato il movimento di una classe sociale e della sua rappresentazione politica all’interno del moto determinato della storia.
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Contro la sinistra neoliberale: il caso Sahra Wagenknecht
Prefazione di Vladimiro Giacché
Sahra Wagenknecht: Contro la sinistra neoliberale, Fazi 2022
“Sinistra” era un tempo sinonimo di ricerca della giustizia e della sicurezza sociale, di resistenza, di rivolta contro la classe medio-alta e di impegno a favore di coloro che non erano nati in una famiglia agiata e dovevano mantenersi con lavori duri e spesso poco stimolanti. Essere di sinistra voleva dire perseguire l’obiettivo di proteggere queste persone dalla povertà, dall’umiliazione e dallo sfruttamento, dischiudere loro possibilità di formazione e di ascesa sociale, rendere loro la vita più facile, più organizzata e pianificabile.
Chi era di sinistra credeva nella capacita della politica di plasmare la società all’interno di uno Stato nazionale democratico e che questo Stato potesse e dovesse correggere gli esiti del mercato. […] Naturalmente ci sono sempre state grandi differenze anche tra i sostenitori della sinistra. […] Ma nel complesso una cosa era chiara: i partiti di sinistra, che fossero socialdemocratici, socialisti o, in molti paesi dell’Europa occidentale, comunisti, non rappresentavano le élite, ma i più svantaggiati.
Credo che i lettori non faranno fatica a condividere questa descrizione proposta da Sahra Wagenknecht nel primo capitolo del suo libro. Questa descrizione è anche il miglior punto di partenza per introdurre quelle che ritengo siano le tesi principali di questo testo, quelle che lo rendono un libro importante e opportunamente scandaloso.
Un tempo la sinistra era questo, in effetti. E oggi? Oggi le cose sono parecchio cambiate. Se un tempo al centro degli interessi di chi si definiva di sinistra vi erano problemi sociali ed economici, oggi non è più cosi.
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Speciale Assemblea Nazionale Aperta – 11 Maggio 2024
Sintesi delle conclusioni
di Fosco Giannini
Il significato di liturgia non è quello che la parola ha assunto nel tempo, e cioè una sorta di atto dovuto e retorico. No: l’antico significato greco di “liturgia” rimanda al concetto di “azione per il popolo”, tributo alla verità. E non è dunque col senso di una vuota magniloquenza, ma con un atto liturgico greco di verità che oggi, a nome del Movimento per la Rinascita Comunista, voglio ringraziare tutte le compagne e i compagni che hanno avuto la forza, la determinazione di intraprendere lunghi, pesanti e costosissimi viaggi – da Lampedusa, Udine, Padova, Reggio Calabria, Cosenza, Ancona, Torino, Catania, Milano e da tanti altri territori – per giungere sino a qui, a Roma, al Teatro Flavio, per la nostra Assemblea Nazionale. Al di là del successo politico della nostra Assemblea, è questo dato di sacrificio e piena adesione dei dirigenti e dei militanti al progetto politico del MpRC che rafforza la nostra speranza e il nostro intento di proseguire l’azione e la lotta per l’unità dei comunisti e il rilancio, in Italia, di un più forte soggetto comunista!
Vi ringraziamo uno a uno, una a una, cari compagni e care compagne del MpRC!
Come ringraziamo i partiti comunisti del mondo, le forze antimperialiste, l’Ambasciatrice dello Stato di Palestina in Italia che hanno inviato i loro preziosi saluti alla nostra Assemblea; l’Ambasciatrice di Cuba, che è intervenuta durante i nostri lavori; l’Ambasciatrice della Bolivia, che ha presenziato al dibattito; le diverse forze palestinesi che hanno inviato alla nostra Assemblea gli auguri di buon lavoro; la compagna Isa Maya, responsabile dei giovani palestinesi di Roma, che parlando col cuore in mano ha fatto alzare in piedi tutta l’Assemblea con le sue parole piene di coraggio, passione e determinazione per la lotta di liberazione del suo popolo, del popolo palestinese!
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Di bolina, contro un vento gelido e sferzante
di Fabrizio Marchi
Abbiamo deciso di dare vita a un giornale che avesse un approccio critico alla realtà nella sua complessità, fuori da liturgie e schemi preconfezionati e consapevoli del fatto che è necessario aggiornare le categorie con le quali si analizza e si interpreta la realtà stessa e probabilmente – senza dimenticare mai le nostre radici – anche crearne delle nuove alla luce di una realtà che, appunto, diventando con il tempo sempre più complessa necessita di strumenti adeguati per essere compresa e possibilmente trasformata.
Senza questo metodo di lavoro si rischia, anzi si arriva inevitabilmente a capovolgere le cose. Si finisce cioè per applicare la realtà, necessariamente deformandola, all’ideologia pur di far quadrare i propri conti, cioè pur di confermare la giustezza e la validità del proprio paradigma ideologico. Questo è ciò che ha determinato e continua a determinare il dogmatismo. Viceversa, il nostro approccio metodologico è sempre stato quello di cercare di entrare in una relazione dialettica con la realtà per comprenderne le dinamiche sociali, economiche, culturali, politiche e ideologiche che la caratterizzano.
E’ applicando tale metodo che siamo arrivati a individuare quella che per noi è l’ideologia attualmente egemone nelle società occidentali, cioè l’ideologia neoliberale di cui ciò che definiamo con il termine di “politicamente corretto” è il mattone o uno dei mattoni fondamentali.
Quali sono i capisaldi di tale ideologia?
- Il capitalismo, non più concepito come una forma storica dell’agire umano, è stato elevato a vera e propria condizione ontologica.
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Toni Negri: un’autoanalisi della sinistra italiana
Sul marxismo atipico del teorico e militante
di Mario Farina*
Ci sono due citazioni che mi ronzano in testa da quando, lo scorso 16 dicembre, è mancato Toni Negri:
La posizione di Negri è quella di chi dice “ah, come sono perseguitato! Mi si accusa di essere il capo e il mandante ideologico di tutto quello che è avvenuto in Italia negli anni Settanta: che tremenda ingiustizia!” e, mentre dice questo, in qualche maniera vuol far capire che è proprio così, che è vero. Mentre non è vero. Mi sembra che, nel bene e nel male, ci sia una sopravvalutazione. Negri è, secondo me, più innocente di quel che lui stesso pensa.
L’Autonomia è “un movimento di matrice cattolica (…), la Solidarność italiana, strumento contro la pretesa egemonia dei comunisti sul movimento operaio”.
Nello spazio che separa queste due citazioni si definisce, io credo, la tensione all’interno della quale si colloca la figura di Toni Negri. La seconda è di Negri stesso. La prima, rilasciata sullo sfondo di quel nero totale con cui Zavoli incorniciava i suoi interlocutori, è di Enrico Fenzi: italianista, petrarchista, brigatista rosso. Da queste due citazioni si possono raccogliere le coordinate più generali entro le quali si è mosso forse non Negri stesso, ma senza dubbio la rappresentazione di Negri che la società italiana si è fatta. C’è il carcere, quello di Palmi, dove Fenzi e Negri si sono conosciuti dopo il processo del 7 Aprile, c’è la violenza, da sempre associata alla sua figura, c’è l’ambiguità di chi è stato etichettato come cattivo maestro par excellence. C’è poi il grande tema della collocazione politica nel quadro italiano di quegli anni: “né con la destra, ma nemmeno col Pci” direbbe Bersani (Samuele), e “nella Chiesa, anche un prete che ha peccato potrebbe dare il messaggio giusto”, chioserebbe sempre Bersani (Pier Luigi).
Toni Negri è due cose: un teorico marxista delle scienza politiche e un militante.
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Non bisogna mai tornare indietro, nemmeno per prendere la rincorsa
di Sandro Moiso
City Lights e Collettivo Adespota (a cura di), Quando muoiono le insurrezioni. Italia 1922 – Germania 1933 – Spagna 1936-1939, Edizioni Colibrì, Milano 2024, pp. 400, 25 euro
Per battere Franco, occorreva prima battere Companys e Caballero.
Per sconfiggere il fascismo, bisognava prima schiacciare la borghesia e i suoi alleati stalinisti e socialisti. Bisognava distruggere da cima a fondo lo Stato capitalista e instaurare un potere operaio che sorgesse dai comitati di base dei lavoratori […]. L’unità antifascista non è stata altro che la sottomissione alla borghesia. (Manifesto dell’Union Communiste, Barcellona, giugno 1937)
Il titolo di questa recensione, ripreso da Andrea Pazienza, serve a rendere bene l’idea del contenuto del testo appena pubblicato dalle Edizioni Colibrì e della necessaria e irrinunciabile radicalità dell’opposizione di classe al capitalismo, alle sue guerre e ai suoi sgherri fascisti, in divisa o meno che questi siano. Ma anche a ricordare, a un mese dalla sua scomparsa, Stefano Milanesi, militante NoTav e rivoluzionario, al quale questo libro sarebbe probabilmente piaciuto.
In un’epoca di ritornante e ammorbante dibattito politico e mediatico sul pericolo rappresentato dal fascismo per l’ordine democratico e il buon vivere civile, in entrambi i casi “borghesi”, la lettura dei testi contenuti nella raccolta curata dalla Calusca City Lights e dal Collettivo Adespota si rivela assolutamente necessaria, se non indispensabile ed essenziale.
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