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carmilla

Anticapitalismo e antifascismo. Parte I

di Nico Maccentelli

nlsweukgfSecondo Luciano Canfora, tutte le tendenze di sinistra oggi, pur richiamandosi al’antifascismo, “sono scese a patti con il capitalismo” (1.), per esempio contrastandone lo strapotere attraverso l’organizzazione sindacale”. Questo lo vediamo per esempio in quei contesti in cui le socialdemocrazie hanno ancora una funzione contenitiva e antiliberista delle tendenze politiche dominanti del capitalismo.

Ma fondamentalmente sappiamo che questo ottimismo dell’eminente filosofo è sempre meno giustificabile di fronte alla sussunzione di tali politiche dentro la sinistra stessa. Per cui l’anticapitalismo non è più tale in gran parte delle sinistre soprattutto governanti nei paesi atlantisti, ossia del blocco geopolitico in capo agli USA. E l’antifascismo di conseguenza diviene paravento pseudo-ideologico d’innanzi a quelle forze trasversali la società, dominate per lo più da settori di borghesia “perdente” nella redistribuzione sociale della ricchezza e dei poteri, definite “sovraniste” per contendere elettoralmente il governo. Un antifascismo di facciata che si muove al tempo stesso dentro il solco della svolta autoritaria del capitale monopolistico e finanziario, delle multinazionali, che in Occidente sta permeando anche attraverso l’emergenza (di volta in volta sanitaria, bellica, ambientale…) le nazioni della catena imperialista a dominanza USA.

L’antifascismo su questo falso terreno, non certo anticapitalista, ma del tutto strumentale alle politiche dominanti, diviene anche un’arma di distrazione di massa poiché il ruolo che il fascismo italiano del ventennio, o di un Pinochet, o dei colonnelli greci hanno avuto, al netto di tutte le distinzioni degli uni con gli altri e riguardo un sistema dove sulla carta vige la democrazia parlamentare (giusto sulla carta…), ossia di adozione di un regime totalitario contro l’avanzata sociale e di classe e le sue istanze emancipatrici, era ben altra cosa rispetto i fascismi odierni, che hanno ancora questo richiamo ideologico (in Italia Casapound e Forza Nuova). Il ruolo è molto simile a quello attuale dei governi che agiscono per conto dell’atlantismo a dominanza USA.

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lantidiplomatico

L’impresa della Wagenknecht

Michelangelo Severgnini* intervista Ramon Schack

"La BSW, grazie alla sua fenomenale ascesa in un brevissimo lasso di tempo, ha rivitalizzato il dibattito e ridisegnato il panorama politico della Germania".

bundnis sahra wagenknecht.jpegDal giorno della sua fondazione (l’8 gennaio 2024), il partito Bündnis Sahra Wagenknecht (BSW) ha cominciato lentamente a cambiare le carte in tavola all’intero dello scacchiere politico tedesco.

Nato come una costola di Die Linke, storico partito di sinistra, ha ormai più che triplicato, in meno di un anno, le percentuali che quest’ultimo partito ormai raccoglieva in Germania.

Come tutti i partiti europei che propongano un’agenda alternativa alle direttive più o meno ufficiali di Bruxelles, la BSW è stata in questi ultimi mesi accusata di razzismo, populismo e tutto il corollario appresso.

A quanto pare però, i suoi elettori non la pensano così e, nel mentre che l’Europa si fa una ragione sulle ragioni della BSW, gli elettori tedeschi sembrano progressivamente dare la loro preferenza a questa nuova formazione.

Per quanto sia un’alleanza nata intorno alla figura di Sahra Wagenknecht, questo nuovo progetto politico è forse l’unica proposta elettorale al momento in Germania in grado di raccogliere i bisogni delle fasce popolari della popolazione, ma anche di dare una risposta alle paure di una sinistra che esce a pezzi dalla stagione del finto moralismo fatto di Ong ancelle della menzogna e di sostegno militare all’Ucraina. Finto moralismo di cui sia Die Linke che il partito dei Verdi hanno dato ampio sfoggio Inn questi ultimi 3 anni di governo Scholtz.

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centrostudinazionalelosurdo.png

Comunisti/e: forma-partito, Il rapporto tra democrazia interna e progetto rivoluzionario

di Fosco Giannini*

niduvfNell’affrontare la questione della forma-partito comunista, il primo nodo da sciogliere è proprio quello legato alla “questione del partito”. Assistiamo ormai da decenni, in Italia ma non solo, a un attacco forsennato alla forma-partito in quanto tale. Tant’è che, sulla scorta di questo attacco proveniente dai media mainstream e dunque dalla cultura dominante borghese, non poche formazioni politiche italiane apparse negli ultimi decenni hanno preventivamente rinunciato al termine partito (dalla Lega a Potere al Popolo, passando per il Movimento 5 Stelle) nella speranza che, sbarazzatisi di questo termine reso “inadeguato e pesante” dall’aggressività ideologica del capitale, tutto poteva essere più facile e più vicina la possibilità di stabilire legami più forti con le masse, con l’elettorato, con il popolo, attraverso una visione delle cose che scadeva, appunto, in un populismo più o meno consapevole proprio a partire dalla scelta di rimuovere la parola “partito”, prima tappa, spesso, di uno scivolamento politico verso inclinazioni populiste che tanto hanno caratterizzato la Lega quanto il M5S di Beppe Grillo. Cancellare il termine “partito” ha voluto dire aderire innanzitutto al quel senso comune di massa, per tanta parte costruito ad arte dalla classe dominante attraverso i suoi portavoce mediatici, che vedeva e tuttora vede (certo, anche per colpa delle varie formazioni partitiche e della loro quasi totale genuflessione agli interessi del capitale) nei partiti la sede primaria della corruzione e dell’“occupazione dello Stato”, in una visione, ecco perché populista, svuotata da ogni coscienza di classe e incline ad addossare tutta la colpa dello sfruttamento oggettivo e sempre più pesante dei lavoratori non più alle contraddizioni di classe e all’attacco di classe padronale, ma “al sistema dei partiti”, alla “partitocrazia” e, dunque, alla stessa forma-partito.

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nicomaccentelli

Il nuovo autoritarismo

di Nico Maccentelli

Schermata 2024 10 27 alle 18.01.534.pngIn questi ultimi mesi si è visto di tutto in fatto di violazioni dell’art. 21 sulla libertà d’espressione. Lo sappiamo bene noi a Bologna, quando il sindaco PD, Matteo Lepore, ha esercitato pressioni indebite definibile censura, sulle attività di ben due case di quartiere: Villa Paradiso e la Casa della Pace, con il divieto a proiettare due film definiti “putiniani”. In particolare PD e +Europa sono stati molto attivi in questa attività censoria che va ben oltre la diffamazione, poiché dare del putiniano a destra e a manca a chiunque voglia accedere a fonti informative che non siano quella ufficiali è lo “sport ufficiale” di chi ha sposato la linea guerrafondaia della NATO e della classe dirigente ucraina, che sta usando la popolazione come carne da macello per reggere la pacca fino alle presidenziali USA e oltre, mantenendo un regime banderista, dunque filo-nazista, che ha soppresso i più elememtari diritti politici, religiosi e civili.Ma il grottesco lo ha raggiunto l’on. PD Debora Serracchiani con la sua interrogazione ai ministri Piantedosi e Tajani circa la pubblicazione di manifesti come li vedete nel post della onorevole e che come potete constatare non hanno nulla di filo-putiniano nel loro essere un appello alla pace e a non considerare nemico né un popolo, né una nazione.

Se la Serracchiani avesse un minimo di conoscenza delle cose saprebbe che l’Italia non è in guerra con la Russia. Così come se avesse un minimo di cognizione in fatto di democrazia, si renderebbe conto che in Italia, fino a prova contraria, c’è il diritto di manifestare il proprio pensiero.

Se poi prendiamo i contenuti di detto manifesto: «vogliamo la pace, ripudiamo la guerra» (art. 11 della Costituzione Italiana), non pare proprio che tale manifesto inneggi ad alcuna guerra, al contrario, rivendica uno degli articoli fondamentali della nostra Carta Repubblicana.

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sinistra

Il compagno “Osvaldo”*

di Eros Barone

06 giangiacomo e fidel le28099editore feltrinelli incontra castro a cuba foto di inge schoental feltrinelli grazia neri 2 scaled.jpg«Dunque… devo definire me stesso in quanto editore… in rapporto col mestiere che per il novanta per cento del mio tempo faccio da quasi quindici anni. Potrei cominciare dal mestiere… togliendo di mezzo la mia persona; oppure potrei cominciare dalla mia persona, ma in questo caso, purtroppo, non riuscirei a togliere di mezzo il mestiere… Ma non voglio definire l’editore, anzi l’Editore: a mio modo di vedere si tratta di una funzione indefinibile, o meglio definibile in mille modi. Basterebbe, a questo proposito, elencare tutti coloro che, facendo l’editore, hanno costruito una fortuna, ed elencare, d’altra parte, tutti coloro che (sempre facendo l’editore) una fortuna hanno distrutto. … il termine “fortuna” acquista un significato non soltanto economico, ma… “politico”. Lasciamo perdere, dunque, l’editoria fortunata a livello business: i mastodonti che possiedono mezzo milione di titoli, cinquanta staff redazionali, una dozzina di rivistacce per le “serve” intellettuali, o per gli intellettuali serva, le tipografie con le supermacchine degli “aiuti” americani, gli apparati di intimidazione e gli “uffici acquisto premi letterari”… Sarà un difetto, sarà un vizio: ma anche se auspico la fortuna economica della mia casa editrice, non posso fare a meno di ricordare che essa è nata soprattutto… da un’intenzione, addirittura da un bisogno e da un desiderio che esito a definire culturali soltanto perché la parola cultura… mi appare gigantesca, enorme, degna di non essere scomodata di continuo.»

Così, nel 1967, in un articolo scritto per la rivista «King», Giangiacomo Feltrinelli definiva il senso di un’attività politico-culturale che ha inciso, come poche altre, nella storia del nostro Paese. E aggiungeva: «Poiché la micidiale proliferazione della carta stampata rischia di togliere alla funzione di editore qualsiasi senso e destinazione, io ritengo che l’unico modo per ripristinare questa funzione sia una cosa che, contro la moda, non esito a chiamare “moralità”: esistono libri necessari, esistono pubblicazioni necessarie… occorre incontrare e smistare i messaggi giusti, occorre ricevere e trasmettere scritture che siano all’altezza della realtà…».

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Raniero Panzieri e la questione del potere

di Franco Ferrari

kjhvyxmlIl 9 ottobre 1964 muore improvvisamente a Torino, a soli 43 anni, Raniero Panzieri, intellettuale socialista, per diversi anni dirigente politico del PSI e poi dal 1961 promotore dei “Quaderni Rossi”, rivista di teoria e di intervento politico diventata nel tempo oggetto di una sorta di vera e propria venerazione.

Panzieri è stata una figura intellettuale importante, un attento e originale studioso di Marx e un critico acuto di molte delle tesi prevalenti nella sinistra tra la fine degli anni 50 e l’inizio degli anni ’60, con la indubbia capacità di cogliere elementi nuovi presenti in una fase di tumultuoso cambiamento sociale dell’Italia di quel periodo.

L’obbiettivo limitato di queste note non è certo di ricostruirne, neppure sommariamente, la biografia, intensa per quanto breve (per questa si rimanda a Dalmasso 2015), né di esaminarne in dettaglio un pensiero complesso che, come sempre avviene nei pensatori originali, non può essere ridotto a un percorso lineare. La scomparsa improvvisa ha anche lasciato irrisolti molti nodi che poi altri, in direzioni diverse, cercheranno di sviluppare spesso con forzature che probabilmente lo stesso Panzieri non avrebbe accettato. Né si possono facilmente ridurre e semplificare, quasi in forma manualistica, le implicazioni e anche le contraddizioni del suo pensiero. Più modestamente si cercherà di individuare qualche nodo problematico attorno al quale ci si può interrogare anche nel presente, a sessant’anni dalla sua scomparsa.

 

Il socialismo di sinistra

Il primo punto che si vuole evidenziare è come si collochi Panzieri nella più generale storia del movimento operaio e socialista italiano.

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La grande rimozione

Il comunismo nel Novecento? Una sconfitta, non un fallimento

di Mauro Casadio

Ieri la prima giornata di lavori del Forum “Elogio del comunismo del Novecento”. Oggi si prosegue la mattina con la seconda e terza sessione, poi interruzione per partecipare alla protesta contro il divieto di manifestazione. I lavori riprenderanno domenica mattina con la quarta sessione.
Pubblichiamo il testo dell’introduzione ai lavori del Forum di Mauro Casadio della Rete dei comunisti

Forum foto.jpgIn questo nuovo cambio epocale si stanno determinando le condizioni per affrontare in modo più oggettivo la grande rimozione politica fatta, in buona e mala fede, sul movimento di classe e comunista del ‘900; necessità che si impone non solo in termini storici ma anche per le prospettive di una, ora di nuovo, necessaria trasformazione sociale. Come RdC già dagli anni ’90 sentivamo questa esigenza tanto da produrre alcune pubblicazioni, titolate “Il bambino e l’acqua sporca”, per indagare più a fondo quelle esperienze cercando, appunto, di salvare il “bambino”.

Ci fermammo, però, in quella ricerca ed elaborazione sia per nostri limiti soggettivi sia perché, nel contesto dell’affermazione globale del neoliberismo, rischiavamo di oscillare tra suggestioni ipercritiche e continuismo dogmatico vista l’impossibilità di avere verifiche certe nella realtà. Ciò non esclude che avessimo già una idea di ciò che era avvenuto e si era prodotto nelle esperienze comuniste dell’est e dell’ovest dell’Europa in particolare, luogo dal quale era partito il moto rivoluzionario mondiale del Novecento.

Se per la soggettività gli esami non finiscono mai, sul piano dell’oggettività la situazione attuale viene ora in nostro aiuto in quanto la crisi di egemonia dell’imperialismo euroatlantico ci fornisce più strumenti per concepire una nuova possibilità di cambiamento di sistema.

Certo se il capitalismo non fosse ricaduto ancora una volta nelle sue intime contraddizioni di fondo parlare del movimento comunista del ‘900 sarebbe possibile farlo solo in termini di ricerca storica, utilissima ma non di nostra diretta competenza.

 

La fine della “fine della storia”

Invece la fine della “Fine della Storia” ci permette di tracciare una linea rossa dalla rivoluzione Bolscevica del ’17 utile a interpretare gli andamenti del conflitto di classe internazionale, ma soprattutto definire il ruolo avuto da essa nel processo di emancipazione generale di tutta l’umanità.

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 sinistra

Spunti per una discussione necessaria

dal Forum italiano dei comunisti

sbfvukd.jpegUna nuova fase di lavoro

Abbiamo più volte ribadito che l'obiettivo del Forum non è creare un nuovo gruppo politico o mantenere steccati fittizi, ma aprire nell'area comunista un dibattito e un rapporto nuovo che contribuisca a superare lo stato in cui versano gruppi e anche singoli compagni e che fino a oggi ha prodotto solo macerie e mistificazioni.

Nei dieci mesi che ci separano dall'inizio dell'attività del Forum ci siamo concentrati soprattutto nel definire la necessità che si ponga fine a nuove avventure corsare e a un modo romantico e soggettivo di intendere la ripresa di un movimento comunista in Italia. Su questo continueremo a insistere, aprendo interlocuzioni che, seppure difficoltose, sono l'unico strumento che ci può permettere di scavare sui luoghi comuni, le ambiguità e le improvvisazioni che hanno caratterizzato finora l'esperienza comunista. Senza la pretesa di salire in cattedra, ma cercando di arrivare, attraverso l'analisi e la discussione, a un punto di vista comune e a ipotesi di lavoro politico sufficientemente verificate.

Per il futuro non ci aspettiamo dunque svolte organizzative che annuncino la nascita di una nuova verità che dovrebbe riaggregare le esauste schiere di comunisti che per decenni hanno provato a riorganizzarsi. Crediamo, invece, che sia arrivato il momento di aprire una fase in cui le questioni di fondo che riguardano l'avvenire dei comunisti italiani vengano messe al centro di una elaborazione collettiva che ci faccia fare dei passi in avanti.

Imboccare questa strada è arduo e presuppone che di fronte al bilancio negativo si eviti di rinchiudersi in nicchie organizzative o culturali che sono solo dimostrazioni di difficoltà nel rapportarsi alla realtà. Per noi comunisti la teoria è la scienza della trasformazione.

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futurasocieta.png

“Guerra di movimento” e costruzione del partito comunista

di Fosco Giannini

raised fists 8512417 1280Tra la terza guerra mondiale già in corso, la crisi sistemica dell’Ue, la torsione in senso fortemente reazionario del capitalismo italiano e la totale assenza di un’opposizione politica, sociale e sindacale, cresce in Italia l’esigenza della costruzione di un’avanguardia comunista, di un partito comunista di classe, unitario, di quadri, con una linea di massa.

Riarmare politicamente la “classe” – oggi disarmata, muta, inane –, l’intera “classe politecnica” del lavoro, il movimento operaio complessivo attraverso la messa in campo di un partito comunista, rivoluzionario, d’avanguardia, di lotta, di quadri, con una linea di massa. Questo è l’obiettivo che le forze comuniste che si vanno unendo (Movimento per la Rinascita Comunista, Resistenza Popolare, Patria Socialista, Costituente Comunista) vogliono, in modo risoluto, perseguire – assieme ad altre soggettività comuniste che vorranno condividere il cammino – e hanno “proclamato”, pubblicamente e di fronte ad un vasto “pubblico” di compagne e compagne, di lavoratori e intellettuali, nell’ultima e importante giornata, nel dibattito finale (“Verso la costruzione del partito comunista”) della Festa nazionale del MpRC tenutasi a Castelferretti (Ancona) dal 13 al 15 settembre scorsi.

La messa in campo di una forza comunista e rivoluzionaria è un progetto che fa tremare le vene dei polsi. Ne siamo consapevoli. Ma la determinazione a proseguire l’impegno e la lotta per cogliere questo obiettivo acquisiscono a mano a mano più forza in relazione alla razionalità degli argomenti che sono alla base dello stesso progetto strategico. È una ratio politica e ideologica, un’interpretazione materialistica della fase, internazionale e nazionale, a guidarci, non il cuore, non un’idealità immateriale, non un sogno.

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comunismo e comunit

“Sahra Wagenknecht è l’unica che pone le domande giuste — e offre le risposte giuste”

intervista a Wolfgang Streeck

wolfgang streeck buendnis sahra wagenknecht soziologe partei bildIl famoso sociologo tedesco discute delle recenti elezioni nella Germania orientale, della necessità di tornare allo Stato-nazione, del comunitarismo di sinistra e delle carenze del populismo di destra. Wolfgang Streeck è un sociologo ed economista politico tedesco, direttore emerito del Max Planck Institute for the Study of Societies di Colonia. Il lavoro di Streeck si concentra sulle tensioni tra capitalismo e democrazia, in particolare su come i sistemi economici influenzano le strutture sociali e politiche. Tra i suoi libri più noti vi è Buying Time: The Delayed Crisis of Democratic Capitalism, dove esplora le conseguenze a lungo termine delle politiche neoliberali. Streeck è ampiamente riconosciuto per i suoi contributi alle discussioni sul futuro del capitalismo nelle economie avanzate.

* * * *

Zeit: A cosa sta pensando in questo momento, signor Streeck?

Wolfgang Streeck: Qualcuno come me, che ha lavorato per decenni sull’economia politica, non può fare a meno di notare oggi che la nostra prospettiva sulle società è stata a lungo limitata, perché spesso abbiamo trascurato il fatto che ci occupiamo di società nazionali. La storia del capitalismo democratico, ad esempio, può essere compresa solo esaminando le connessioni tra le singole società nazionali e la società globale.

 

Zeit: Lei è considerato una delle principali influenze intellettuali della politica di Sahra Wagenknecht. È soddisfatto del successo dell’Alleanza Sahra Wagenknecht (BSW) in Sassonia e Turingia?

Streeck: Oh Dio, raramente mi sento soddisfatto, ma guardo a questo con grande simpatia. La crisi del sistema politico tedesco è innegabile, e non è solo un fenomeno tedesco, ma può essere osservato in tutte le società capitaliste occidentali: il crollo del centro, il declino della socialdemocrazia e l’emergere di nuovi partiti che rappresentano interessi e valori che in precedenza non avevano posto nello spettro politico consolidato.

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carmilla

Se si va con un ladro…

di Nico Maccentelli

Schermata 2024 09 02 alle 18.51.27.png… non ci si può poi stupire se non trovi più il portafoglio. L’intera operazione del Nouveau Front Populaire delle sinistre francesi alle scorse elezioni è stato un potente assist a Macron, che è il nemico principale per le classi subalterne poiché diretta espressione delle oligarchie imperialiste atlantiste.

Questo argomento l’avevo già affrontato qui.

Infatti, scrivevo riguardo:“… al Front Populaire costituitosi in Francia, è ben evidente che il cuore del progetto guerrafondaio della NATO resta tutto ed è quello che per il nemico di classe conta realmente, in mezzo alla fuffa che la guerra stessa e la sua economia farà sparire come neve al sole. Questa è la tonnara di cui parlavo all’inizio. Una tonnara politica dove, spiace dirlo, gli attori finali sono degli utili idioti.”

A questo punto, sarebbe interessante sapere che ne pensa la base sociale che ha votato per il FP, i lavoratori, la gente delle banlieu, le componenti sociali scese in piazza contro Macron e le sue politiche, dagli aumenti del gasolio alle pensioni. Cosa ne pensa chi avrebbe vinto, riguardo la parte finale del copione macroniano: ossia del blocco anticostituzionale messo in atto contro il partito maggioritario della coalizione elettorale vincente? Questa base, composta da milioni di francesi, sarebbe stupita di questo?

In realtà tutto è andato secondo i piani dell’oligarchia imperialista espressa dal governo precedente, che poi è quello attuale degli”affari correnti”, e quindi nulla di cui stupirsi, come mostra di esserlo invece il Marrucci nel suo pippone su Ottolina tv. La scoperta dell’acqua calda. Pippone che tuttavia merita comunque di essere visto poiché fa una cronistoria puntale di tutta la vicenda francese del dopo elezioni europee e, per chi volesse saperne di più, rimando a questo contributo.

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Andare a scuola dalle masse

di Marco Codebò

Emilio Quadrelli. L’altro bolscevismo. Lenin, l’uomo di Kamo. Roma: DeriveApprodi, 2024

quadrelli 1.jpgEmilio Quadrelli è morto il 13 agosto 2024. Avevamo in programma questo intervento di Marco Codebò sul suo ultimo geniale libro L’altro bolscevismo. Lenin, l’uomo di Kamo, che era stato già recensito da Sandro Moiso, ma che offre molteplici spunti di riflessione su quell’esperienza rivoluzionaria con cui è impossibile non fare i conti. Ho conosciuto Emilio Quadrelli leggendo il suo nome sui muri di Genova, quando le scritte con lo spray rosso ripetevano “Emilio ed Enza liberi”. Enza era Enza Siccardi.

Quadrelli non era semplicemente stato in carcere, lo aveva vissuto e da quell’esperienza umana e assieme politica e intellettuale ne aveva tratto qualcosa di straordinariamente importante per esistere e per lottare. I suoi libri ora parlano per lui, per il compagno Emilio Quadrelli. [nico gallo]

* * * *

L’altro bolscevismo. Lenin, l’uomo di Kamo, è lo studio di tre congiunture della Storia – la Russia rivoluzionaria fra il 1905 e il 1917, l’Italia degli anni Sessanta e Settanta del Novecento, il nostro presente – viste attraverso la lente del rapporto fra la classe da una parte e l’intellettualità rivoluzionaria, organizzata o no in partito, dall’altra. Cosa interessi Quadrelli quando parla di classe lo si comprende già dalla dedica del libro, indirizzata a “Rossano Cochis, un amico e un fratello…”. Cochis, rapinatore seriale, braccio destro di Renato Vallanzasca, autore di oltre quattrocento rapine, è stato un bandito degli anni Settanta. Quel che conta è che per Quadrelli sia un fratello, termine che suggerisce l’esistenza di un rapporto stretto di uguaglianza e solidarietà fra chi lo usa e la persona che ne è destinataria. Rapporto però, non fondato sulla comune condivisione di un’idea politica. Fratelli e non compagni, ad esempio, si chiamano fra di loro gli operai delle ditte di appalto dello stabilimento Fincantieri di Sestri Ponente a Genova, in gran maggioranza stranieri di religione musulmana.

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italiaeilmondo

Le condizioni della Germania

Thomas Meaney e Joshua Rahtz intervistano Sahra Wagenknecht

233019429 0a189085 5683 4ba9 bdf9 2c4a07c89955.jpgL’economia tedesca deve affrontare molteplici crisi convergenti, sia strutturali che congiunturali. L’impennata dei costi energetici dovuta alla guerra con la Russia; lo shock del costo della vita, con un’inflazione elevata, alti tassi d’interesse e salari reali in calo; l’austerità imposta dal freno costituzionale al debito, mentre i concorrenti americani puntano all’espansione fiscale; la transizione verde che colpirà settori chiave come l’industria automobilistica, l’acciaio e la chimica; e la trasformazione della Cina, uno dei più importanti partner commerciali della Germania, in un concorrente in settori come i veicoli elettrici. Può dirci innanzitutto quali sono le regioni più colpite dalla crisi?

C’è in corso una crisi generale, la più grave degli ultimi decenni, e la Germania si trova in una situazione peggiore di qualsiasi altra grande economia. Le più colpite sono le regioni industriali, finora spina dorsale del modello tedesco: la Grande Monaco, il Baden-Württemberg, il Reno-Neckar, la Ruhr. Durante la pandemia, il commercio al dettaglio e i servizi sono stati i più colpiti. Ma ora le nostre imprese del Mittelstand sono sottoposte a una forte pressione. Nel 2022 e 2023, le imprese industriali ad alta intensità energetica hanno subito un calo della produzione del 25%. È un dato senza precedenti. Hanno appena iniziato ad annunciare licenziamenti di massa. Queste piccole e medie imprese a conduzione familiare – molte delle quali specializzate in ingegneria o produttrici di macchine utensili, ricambi auto, apparecchiature elettriche – sono davvero importanti per la Germania. Sono perlopiù gestite dai proprietari o a conduzione familiare, quindi non sono quotate in borsa e spesso hanno un carattere piuttosto robusto.

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Ue e movimento comunista: cosa dovrebbe fare, oggi, il MpRC, se fosse un partito comunista?

di Fosco Giannini*

L’esigenza dell’unità del movimento comunista dell’Ue nella ricerca politico-teorica e nella lotta anticapitalista sovranazionale

worker 156806 1280Cosa dovrebbe fare, che compiti prioritari avrebbe, dopo queste elezioni europee 2024, il Movimento per la Rinascita Comunista se fosse un partito, un partito comunista e, ancor meglio, un partito comunista d’avanguardia? Cosa dovrebbe fare a partire dall’analisi della situazione concreta relativa all’Ue, così come mirabilmente è stata sviluppata dal compagno Ascanio Bernardeschi su questo stesso giornale, «Futura Società», in un editoriale dal titolo “Un voto che delegittima l’Unione europea”?

Ha scritto Ascanio: “L’Unione europea, fin dal trattato di Maastricht e dai suoi precedenti, si è caratterizzata come un tentativo di integrazione economica sulla base di un modello liberista e imperialista. È stata, per esempio, funzionale al colonialismo in Africa e, dopo la fine del campo socialista europeo, all’omologazione dei modelli sociali nei Paesi ex alleati dell’Urss, intossicando il continente di nazionalismo, razzismo e neofascismo, aderendo inoltre a tutte le guerre della Nato.

Le sofferenze sociali derivanti dalla crisi del capitalismo, l’assenza di ogni ipotesi alternativa alle politiche liberiste che hanno devastato i diritti sociali e richiesto un viraggio progressivo verso l’autoritarismo e la riduzione degli spazi democratici, hanno determinato un malcontento popolare che, in assenza – salvo pochissime eccezioni – di una sinistra forte e incisiva hanno avvantaggiato la lievitazione della falsa alternativa di destra”.E più avanti: “Per fortuna, nelle recenti elezioni europee non tutto il malcontento ha guardato a destra. Intanto c’è il dato importante, e non a caso trascurato dai media, dell’astensionismo (…) un dato così eclatante significa l’ennesima delegittimazione delle istituzioni dell’Unione europea. Ennesima, perché ogni qual volta i popoli sono stati chiamati a esprimere in appositi referendum (mai in Italia) l’approvazione o meno della Costituzione europea, quest’ultima è stata sonoramente bocciata, tanto che l’establishment ha ovviato cambiandole nome. Ora si chiama Trattato”.

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sinistra

La questione palestinese oggi e la crisi della sinistra occidentale

Presentazione dell'articolo di Abdaljawad Omar "la questione di Hamas e la sinistra"

di Algamica*

iweubvj.pngLa sinistra deve affrontare questo fatto fondamentale. Non si può rivendicare solidarietà con la Palestina e respingere, trascurare o escludere Hamas.” – Adbaljawad Omar, 31 maggio 2024 – Mondoweiss.net

Presentiamo un articolo di Abdaljawad Omar, giovane dottorando e docente part-time presso il Dipartimento di Filosofia e studi culturali dell'Università di Birzeit in Cisgiordania, pubblicato da Mondoweiss il 31 maggio scorso.

Non ci nascondiamo che l'argomento chiama in causa l’intero movimento storico della sinistra occidentale in quanto riflesso agente delle necessità di una classe sociale – il proletariato – determinato dalle leggi impersonali dell’accumulazione. Il giovane intellettuale palestinese di West Bank prende spunto da un acceso dibattito che sta avvenendo in maniera sempre più articolata proprio nei paesi dove la mobilitazione a sostegno della Palestina ha dimensioni di massa. Intellettuali della sinistra e organizzazioni della sinistra, chi più e chi meno, rimproverano alle mobilitazioni in occidente di sostenere sì giustamente la resistenza palestinese ma di fatto celebrando il 7 ottobre e l’azione politica di un movimento “socialmente regressivo”, Hamas. In sostanza abbiamo a che fare con una variegata impostazione della sinistra occidentale le cui posizioni possono essere sintetizzate con “la resistenza palestinese, senza se e senza… Hamas”.

Non ci nascondiamo che in questo articolo Omar, così come quelli cui egli riferisce di Jodi Dean e di Andreas Malm e che hanno dato scandalo tra componenti della sinistra radicale occidentale il tema non è limitato a una impostazione politica pratica dell’oggi palestinese, ma ci costringe a prendere il toro per le corna, ossia la relazione della produzione del valore e del colonialismo degli occidentali che ha determinato il movimento di una classe sociale e della sua rappresentazione politica all’interno del moto determinato della storia.