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Non ce ne andremo. Parlano le donne
di Aseel Jundi
Probabilmente tra qualche giorno del quartiere di Sheikh Jarrah di Gerusalemme Est, dove migliaia di palestinesi vivono in case su cui pendono come macigni gli ordini di demolizione, non si parlerà più. Il ministero degli esteri israeliano ha detto che i “terroristi stanno presentando una controversia immobiliare tra privati per incitare alla violenza a Gerusalemme”. L’articolo che trovate qui sotto, racconta chi sono quei terroristi, anzi quelle terroriste, visto che le donne stavano assumendo ruoli preminenti in questo nuovo episodio di una resistenza che uno degli eserciti più potenti del mondo non riesce a cancellare da oltre settant’anni. Abbiamo scritto “stavano”, perché non saranno le donne, arabe o israeliane, a decidere quel che avverrà nei prossimi giorni. Non sarebbe possibile, perché la guerra, i missili, i razzi, i fiumi di sangue versato si prenderanno ancora una volta l’intera scena. Una scena patriarcale. Il volume di fuoco mediatico sull’opinione che “conta”, quello con il quale Israele vince le sue guerre da decenni, riuscirà a cancellare perfino le granate lanciate dalle forze di occupazione negli “scontri” all’interno della moschea di Al Aqsa, il terzo luogo più santo dell’Islam. Lo Statuto di Roma del 1998, che istituì la Corte Penale Internazionale all’Aia, dichiara che chiunque “diriga intenzionalmente attacchi contro edifici dedicati al culto, all’educazione, all’arte, alla scienza o a scopi umanitari [oppure] a monumenti storici” commette un crimine di guerra. Non è necessario che si riscontrino danni significativi – lo statuto considera un crimine l’attacco in sé, non le conseguenze. Crimini di guerra. A questa notte, la notte di venerdì 14 maggio, sono 103 palestinesi uccisi, tra i quali 27 bambini e adolescenti e 11 donne.
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Letteratura e impegno
A partire da "Contro l'impegno"
di Gilda Policastro
Che cos’è la letteratura? Anzi: che cos’è la letteratura oggi? E, più precisamente, che cosa fa la letteratura oggi? Intanto, chiariamo in che senso “oggi”. Oggi, 2021, ad anno pandemico extended version, un anno in cui abbiamo vissuto sempre più schermati, sulle piattaforme dove abbiamo tenuto lezioni, conferenze, dibattiti, presentato libri, finanche tentato una parvenza di socialità (“non incontro persone da mesi”; “si prenda un tè con un’amica”; “c’è il covid”; “lo faccia su Skype” – da un dialogo con l’analista, che vedo, dalla zona rossa in poi, sempre su Skype). All’inizio dell’anno pandemico gli scrittori denunciavano lo choc di non riuscire più a leggere, e dunque nemmeno a scrivere. La settimana era scandita dai programmi di informazione, con epidemiologi, immunologi e virologi assurti a nuove star televisive: Massimo Galli il martedì da Berlinguer e in contemporanea Ilaria Capua e Barbara Gallavotti da Floris, Antonella Viola il giovedì da Formigli, Roberto Burioni la domenica da Fazio. Alcuni scrittori (ad esempio Aldo Nove) si sono nettamente schierati contro la cosiddetta dittatura sanitaria, trovando inconcepibile l’isolamento cui ci costringeva (e in parte ci costringe tutt’ora) la saturazione degli ospedali e l’assenza di un vaccino per il nuovo virus (ora il vaccino c’è, con tutte le criticità del caso). Giorgio Agamben si è scagliato contro la “nuda vita”, quasi fosse una pretesa antiumana ed egoistica, quella di non volersi ammalare (il problema del virus è il contagio, e la tua libertà di ammalarti finisce dove comincia la mia di non volerlo fare, specie se appartengo alle categorie cosiddette fragili – sì, d’accordo, con Leopardi è fragile tutto il genere umano, ma ci sono momenti in cui il comune destino di fragilità è incombente più del solito, e per alcuni più che per altri).
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Ripartire dall’alto
di Mario Tronti
Venerdì 22 aprile 2016, alla mediateca Gateway di Bologna, si è svolta un’intensa e articolata giornata seminariale con Mario Tronti. Per la prima volta pubblichiamo la trascrizione della sua relazione, rimasta finora inedita. Era da poco uscito Dello spirito libero (il Saggiatore, 2015), libro di straordinaria ricchezza e radicalità, che offre molteplici spunti di discussione, decisive tesi e ipotesi di ricerca teorico-politica. Il seminario ha focalizzato in particolare tre grandi questioni: la critica del moderno, della democrazia e della tecnica. Qui Tronti affonda la lama politica del suo pensiero, ancora una volta senza lacrime per le rose. Perché, come scrive nel libro, «il pensiero è nemico mortale dell’opinione. L’opinione, infatti, lo odia. Arriva, ma lo devi meritare per averlo, uno stato d’eccezione del discorso, dove sovrano è chi pensa. Poi, dopo il lampo abbagliante, devi di nuovo abituarti alla normalità grigia o oscura».
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Per la critica del moderno
Il libro è di frammenti, è molto scomposto nella sua articolazione, quindi ognuno ci trova qual è il suo problema. Credo sia giusto così, perché un libro deve suscitare problemi, non deve tanto risolverli. Deve richiamare i problemi che hanno in corpo e nella testa le persone che leggono, soprattutto le persone impegnate in questa forma anomala di amicizia. Amicizia è un termine ambiguo, è molto esposto alla pappa del cuore.
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L'Italia ai tempi del Recovery Plan (II)
Dialogo con gli economisti
Risponde Vladimiro Giacché
Con questa approfondita intervista prosegue la riflessione, inaugurata dal colloquio con Andrea Fumagalli e Stefano Lucarelli (www.machina-deriveapprodi.com/post/l-italia-ai-tempi-del-recovery-plan), sulla politica economica di risposta alla crisi drammatizzata dalla pandemia Covid. Ritorno delle istituzioni regolative, Recovery Plan, strategia europea di rilancio dell’accumulazione, contraddizioni del green new deal, sono alcuni degli argomenti proposti a Vladimiro Giacché, filosofo di formazione, autore di saggi filosofici e di economia politica, ma anche di ricerche più strettamente di carattere finanziario, in qualità di professionista del settore bancario e del ruolo di presidente del centro di studi economici Centro Europa Ricerche (Cer, 2013-2020). Tra i suoi libri si citano: Titanic Europa (2012), Costituzione italiana contro trattati europei (2015), La fabbrica del falso (terza ed. 2016), Anschluss. L’annessione. L’unificazione della Germania e il futuro dell’Europa (nuova ed. 2019), Hegel. La dialettica (2020). Ha curato inoltre edizioni degli scritti economici di K. Marx (Il capitalismo e la crisi, 2009) e Lenin (Economia della rivoluzione, 2017).
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Spesso nelle analisi degli ultimi anni si è insistito sul venir meno delle prerogative statuali, la diffusione della pandemia ha determinato un prepotente ritorno dello Stato nei processi regolativi, nella gestione economica, nel sostegno ai redditi. Pensate che questo possa essere un lascito duraturo della pandemia? Se nel dopoguerra prese la forma di Stato sociale e modernizzatore dell’economia e, con l’avvento del paradigma neoliberista, il suo ruolo viene via via ridimensionato a «salvatore d’ultima istanza» di banche e imprese in difficoltà (almeno in Europa e negli States), in che modalità esso si ripresenta oggi?
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I fondamenti filosofici della società virale
Nietzsche e Hayek dal neoliberalismo al Covid-19
di Paolo Ercolani (Università di Urbino)
Pubblicato su “Materialismo Storico. Rivista di filosofia, storia e scienze umane", n° 2/2020, a cura di Stefano G. Azzarà, licenza Creative Commons BY-NC-ND 4.0
L’emergenza sanitaria, seguita alla comparsa del virus denominato Covid- 19, ha prodotto due effetti sostanziali: il primo concerne l’esperienza traumatica, fondamentalmente a livello psicologico, di un fenomeno che ha scardinato le sicurezze dell’uomo odierno rispetto alla sua capacità di padroneggiare (o perlomeno controllare) quell’ecosistema biologico di cui è ospite e non padrone; il secondo riguarda la vera e propria crisi sociale che, in più contesti, ha rivelato fino in fondo le storture del modello neoliberista, ormai dominante nello scenario internazionale almeno a partire dalla data simbolica del 1989.
Nel primo caso, per esprimersi in termini freudiani, possiamo parlare dell’ennesima «ferita narcisistica» subìta da un soggetto, l’uomo, soventemente invaso da un irrealistico delirio di onnipotenza, che in questa situazione di emergenza sanitaria si è tradotto nell’individuazione di «verità» alternative e nella negazione dell’emergenza stessa, a fronte dell’individuazione «paranoica» di complotti e trame segrete1. Nel secondo caso, che poi è quello che qui ci interessa specificamente, possiamo cogliere l’occasione per ricostruire e al tempo stesso mettere in discussione i fondamenti filosofici su cui si fonda il liberismo. Ossia quella teoria che ha plasmato il sistema sociale e valoriale del nostro tempo, imponendo un «ordine» in cui l’umano e il fisiologico sono ridotti a strumento al servizio di scopi che non possono deragliare dal profitto economico e dal progresso tecnologico.
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“Il blocco sociale post-liberale per una società materialista decente”
di Alessandro Visalli
Per la collana “Visioni Eretiche”, diretta da Carlo Formenti, è uscito da qualche mese il libro “Dopo il neoliberalismo. Indagine collettiva sul futuro”[1]. Gli autori sono: lo stesso Formenti, che firma l’introduzione ed un saggio dal titolo “Dal socialismo reale al socialismo possibile. Appunto sul socialismo del XXI secolo”; Carlo Galli, “Un mondo di sovrani”; Pierluigi Fagan, “La difficile transizione adattiva al XXI secolo”; Manolo Monereo, “Plutocrazia contro democrazia”; Piero Pagliani, “La logica della crisi”; Onofrio Romano, “Decrescita verticale. Sul futuro del valore”; Raffaele Sciortino, “Tracce di futuro”; Alessandro Somma, “Per un costituzionalismo resistente alla normalità capitalistica”; Andrea Zhok, “Naturalizzazione dell’uomo e umanizzazione della natura? Prolegomeni ad una nuova alleanza”. Infine, il testo che qui si riproduce nella versione quasi finale, “Il blocco sociale post-liberale per una società materialista decente”, che è firmato da me, Alessandro Visalli.
Si è trattato di un progetto avviato prima della pandemia, al finire del 19, ma che, fatalmente, è stato profondamente coinvolto nella lettura di questa.
I temi che si intrecciano tra gli autori, che si sono scambiati per tempo i propri contributi nel tentativo di fertilizzarli reciprocamente, sono ricondotti da Formenti alla crisi della globalizzazione neoliberale, ben visibile prima della pandemia, e per ora nettamente accelerata dagli effetti di questa e certamente ampliata nei suoi effetti dagli scontri di potenza in costante e davvero preoccupante accelerazione. Gli scopi della mondializzazione sono illuminati dai diversi autori sia da un punto di vista di classe (favorire l’accentramento di potere e ricchezza nelle mani di quella frazione della classe capitalista che detiene il controllo dei fattori mobili), sia dal punto di vista della concentrazione del controllo in aree del mondo e luoghi ‘densi’.
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Teorie nella crisi: pandemia e produzione culturale
di Pietro Saitta
Pubblicato su “Materialismo Storico. Rivista di filosofia, storia e scienze umane", n° 2/2020, a cura di Stefano G. Azzarà, licenza Creative Commons BY-NC-ND 4.0
1. Introduzione: osservazioni di contesto
Per quanto la storia dei disastri – ossia degli eventi indesiderati di larga scala di matrice tecnologica o naturale, ovvero frutto dell’ibridazione delle due dimensioni, in grado di stravolgere il regolare fluire della vita quotidiana delle società colpite – sia, quantomeno a partire dal diciassettesimo secolo, parte integrante di regimi, ambiti e protocolli scientifici altamente specializzati di interpretazione, previsione, misurazione dell’impatto e calcolo probabilistico relativo all’evoluzione dei fenomeni1, la caratteristica di questi eventi è quella di tracimare dai margini delle specializzazioni per farsi discorso. Ossia di divenire oggetto di interessi – accademici o semplicemente colti; ma anche «popolari» – estranei al dominio disciplinare che i sistemi classificatori e le forme pubblico-politiche di cognizione indicano come immediatamente pertinenti (la sismologia, la biologia, la fisica etc.). E di farsi, nel corso di questo processo, «teoria»: ossia un sistema organizzato di idee, relative agli elementi che si ritiene compongano un problema, connesse tra loro in modo da individuare, correttamente o meno, i nessi causali e spiegare il fenomeno sotto scrutinio. O anche – in una forma, per così dire, «ridotta» – farsi congettura, relativa alle principali cause di un fenomeno o ad alcuni suoi aspetti, oppure tesa all’individuazione degli scenari ipotetici generati da un fenomeno principale, la cui utilità consiste essenzialmente nel preparare il soggetto (tanto colui che produce il pensiero quanto chi lo percepisce) al possibile dispiegarsi di un futuro dai caratteri più incerti del solito e nel ridurne l’angoscia.
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Colombia, Uribe e la “rivoluzione molecolare”
di Geraldina Colotti
Trema il narco-governo di Ivan Duque per la pressione del popolo colombiano, che da più di dieci giorni sfida le pallottole della polizia. L’hashtag “S.O.S. Basta Duque! No más represión” sta inondando le reti sociali. La repressione subito battezzata dall’ex presidente Alvaro Uribe con un twitter di incitamento al massacro, ha già causato una trentina di morti, un centinaio di scomparsi e circa un migliaio di feriti, alcuni dei quali gravi: colpiti dalla micidiale tecnica di accecamento, nuova forma di repressione che abbiamo visto in azione in Francia, in Cile e in altre parti dell’America Latina.
Numerose anche le violenze sessuali contro manifestanti prevalentemente giovanissimi, che denunciano il furto di futuro nel paese più diseguale dell’America Latina, che già è il continente con più disuguaglianze al mondo. “Nos están matando”, ci stanno uccidendo, denunciano quei giovani in un altro hashtag che sta arrivando ai media e a tutte le grandi istituzioni internazionali.
E le risposte cominciano a farsi sentire, così come emergono i silenzi complici di quanti, come il segretario generale dell’Osa, Luis Almagro, risulta sempre impegnato a tramare contro il Venezuela e Cuba e a impedire la vittoria dei governi non graditi a Washington nella regione. Sono però arrivate le “preoccupazioni” dell’Onu, della Ue e anche di Amnesty International, che ha sostenuto le denunce dei manifestanti.
In Italia, si è fatta sentire anche Laura Boldrini, parlamentare del PD e presidente del Comitato per i diritti umani nel mondo.
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La retata di Parigi
Andrea Brazzoduro intervista Enzo Traverso
Viste le reazioni scomposte che hanno accompagnato l’indegna retata parigina del 28 aprile 2021 abbiamo chiesto a Enzo Traverso – tra i massimi storici del mondo contemporanea – di ragionare insieme sulla «stagione della conflittualità» tra storia, memoria, politica e giustizia. Tra questi termini il grande convitato di pietra è infatti la storia, cioè il lavoro di comprensione degli eventi del passato. In che senso l’arresto di un pugno di uomini e donne dai capelli bianchi aiuterebbe l’Italia a «fare i conti con la Storia» – se non proprio col Novecento – come hanno scritto alcuni? Da una parte questi ex militanti politici sono trattati come criminali comuni secondo i dettami di un’ideologia presentista tra le più becere e ignoranti. Dall’altra è convocata (impropriamente) tutta la panoplia dei memory studies per imporre una narrazione del trauma, fondata sul paradigma vittimario. In base a che cosa si dice che nella società italiana ci sarebbe una ferita aperta rispetto agli anni Settanta? Come in Francia per l’occupazione dell’Algeria, sembra piuttosto che si tratti di esplicito uso politico della storia, che niente ha a che fare con i processi sociali reali di elaborazione della memoria.
Intorno a questi temi, a partire dalla ‘retata parigina’, abbiamo intervistato Enzo Traverso per tentare di andare oltre il monologo collettivo che imperversa nel dibattito pubblico.
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Donne e uomini coi capelli grigi, tra i 60 e i 78 anni, tradotti in manette, all’alba, nelle camere di sicurezza dell’antiterrorismo. «Ombre rosse» è il nome scelto per la retata con cui, il 28 aprile 2021, sono stati arrestati 7 ex militanti della sinistra rivoluzionaria rifugiati in Francia da anni e accusati dalla giustizia italiana di una serie di delitti che vanno dall’associazione sovversiva all’omicidio commessi, secondo l’accusa, tra il 1972 e il 1982. Si tratta di «chiudere con il Novecento», come scrive «la Repubblica»?
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Ricardo, Marx, Sraffa e i comunisti
di Ascanio Bernardeschi
Nella Sezione "Scuola Quadri" di "Cumpanis" è stato pubblicato, lo scorso 29 aprile, un intervento del professore di Economia e Diritto, e collaboratore del nostro giornale, Federico Fioranelli. Un articolo relativo al pensiero del grande economista comunista Piero Sraffa. In relazione a questo articolo ci ha inviato una propria riflessione il compagno Ascanio Bernardeschi, del giornale comunista on-line "La Città Futura". Bernardeschi è un compagno ed un intellettuale marxista che molto stimiamo e che ringraziamo per la sua attenzione al nostro giornale. Pubblichiamo l'interlocuzione di Bernardeschi, alla quale seguirà una replica del compagno Fioranelli
Il 29 aprile, su Cumpanis, Federico Fioranelli propone un buon sunto del contributo di Piero Sraffa all’economia politica volto a rivalutare la teoria degli economisti classici e in particolare quella di David Ricardo, di cui l’illustre economista era un profondo conoscitore, e a porre le basi per una critica della teoria economica marginalista.
La parte dell’articolo che riferisce i contributi precedenti a Produzione di merci a mezzo di merci espone succintamente alcune critiche assai penetranti di quella teoria la quale, per puri motivi ideologici, rappresentava all’epoca di quelli scritti, che dista quasi un secolo dall’oggi, l’ortodossia sciorinata in tutte le salse ai malcapitati studenti dei corsi di economia politica, o economics, come si ama dire oggi dopo aver sbianchettato la parola “politica”. Purtroppo, nonostante quelle critiche, questa ortodossia sopravvive tuttora. Credo che comunque, averne lucidamente evidenziato le falle, sia stato un grande merito di Sraffa, forse il suo maggiore, nonostante sia poco conosciuto. È cosa assai apprezzabile quindi che sia stato messo a conoscenza del lettore di Cumpanis.
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Note su due libri della Mazzucato
di Bollettino Culturale
Il libro della Mazzucato “Il valore di tutto: chi lo produce e chi lo sottrae nell'economia globale” tratta del valore nell'economia digitale e globale di oggi. In tutto il libro, l'autrice incarna rigorosamente il sospetto più o meno generale che qualcosa non vada bene nel modo in cui il valore è considerato nelle nostre economie. Gli esempi della strana considerazione del valore sono molteplici, ma ne citiamo alcuni per iniziare: quando la spesa per riparare un disastro ecologico è considerata come produzione di valore (cioè aumenta il PIL) o quando gli attori economici che ottengono i maggiori benefici sono, tra gli altri, quelli finanziari, il cui contributo alla creazione di valore - nella crisi, nella bolla immobiliare, o quando scommettono con i loro prodotti finanziari contro il recupero di un paese in crisi, come accadde con la Grecia o la Spagna alcuni anni fa - è abbastanza inspiegabile per la maggior parte delle persone.
Il libro è stato positivamente sorprendente per me. E non tanto per il contenuto ma piuttosto per il tono, la struttura e, credo soprattutto, per la posizione da cui l'autrice enuncia il suo discorso. Mazzucato sembra farlo, in una certa misura, dal centro del sistema: è una star quasi mediatica, i suoi libri sono promossi come best seller e dirige un istituto di politica pubblica e innovazione presso una prestigiosa università londinese, di cui si può citare come dettaglio illustrativo 26 premi Nobel tra ex studenti e professori.
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Una prevenzione infinita
di Alessandro Colombo
Dall’11 settembre 2001, Europa e Stati Uniti sembrano vivere in una condizione di emergenza permanente: dal 2001 al 2010 almeno (con l’inizio del ritiro dall’Iraq) la fase principale della “guerra globale al terrore”, dal 2008 al 2012 la crisi economico-finanziaria e la successiva crisi del debito, dal 2014 a oggi la nuova mobilitazione militare e di polizia contro l’Isis e la galassia jihadista e infine, nell’ultimo anno e mezzo, lo choc della pandemia del Covid-19, con il suo prevedibile seguito di future emergenze politiche, economiche e sociali. Il tutto, per di più, nel contesto di quello che è sempre più comunemente (ed enfaticamente) rappresentato come un indebolimento dell’Occidente liberale nei confronti dei suoi nemici interni ed esterni: la diffusione dei “populismi”, dei “sovranismi” e dei governi “illiberali” in Europa e, con Donald Trump, negli Stati Uniti; la rinnovata assertività della Russia e, soprattutto, la spettacolare crescita della Cina nei rapporti internazionali.
Questa retorica dell’assedio ha già prodotto molteplici conseguenze di carattere politico, istituzionale e persino culturale. Tutte insieme, poi, queste conseguenze hanno finito per alimentare una spirale della mobilitazione difensiva, declinata anche retoricamente nei termini di una “lotta a” sempre nuove minacce, attuata attraverso il continuo rafforzamento dei dispositivi di sorveglianza e giocata secondo un registro quasi ossessivo della prevenzione.
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Politicamente corretto
Un'ideologia autoritaria e violenta
di Carlo Formenti
Nel momento in cui la pandemia sta provocando centinaia di migliaia di morti e milioni di disoccupati e nuovi poveri, per tacere della sospensione della democrazia decretata dalla nomina di Mario Draghi a proconsole della provincia italiana da parte delle oligarchie occidentali che preparano una nuova guerra mondiale per uscire dalla crisi, la sinistra non trova niente di meglio che eleggere a proprio eroe un giullare di regime come il rapper e influencer Fedez, o spendersi per l’approvazione di una legge (presentata dal Pd Alessandro Zan) che andrebbe a rafforzare la rete di lacci e laccioli con cui l’ideologia del politicamente corretto imbriglia la libertà di espressione. Opporsi volta per volta alle mosse di questa politica che conduce a piccoli passi verso l’instaurazione di un regime al cospetto del quale i cosiddetti “totalitarismi”, contro i quali veniamo quotidianamente sollecitati a protestare, ci sembreranno modelli di libertà, non basta più: è il momento di lanciare una controffensiva sistematica e, visto che le forze politiche che dovrebbero condurla sul terreno politico e istituzionale sono al momento deboli, soverchiate dal rumore mediatico, il fronte principale su cui combattere è quello della lotta ideale, a partire dalla decodificazione dei legami che unificano le varie manifestazioni di questa offensiva “libertaria”, dietro alla quale si celano in realtà precisi interessi di classe ed esplicite mire autoritarie.
Occorre aiutare chi tende a formarsi un’opinione su questa o quella singola questione a cogliere il quadro d’assieme, a capire le dimensioni e la pericolosità di un’operazione di indottrinamento di massa in corso a livello mondiale (sia chiaro che non alludo a un oscuro “complotto”: a creare le condizioni che consentono a interessi, aspirazioni, ideologie e progetti politici di convergere, fino a generare uno “spirito del tempo”, sono precisi processi di trasformazione materiale).
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Superior stabat lupus
di Il Pedante
Non smette mai di sorprendere il modo in cui le scienze naturali, dacché le si è imbracciate per imporre i provvedimenti più radicali mai osati in tempo di pace, stanno fornendo non solo il combustibile del rogo su cui bruciano intere pagine della nostra carta costituzionale, ma anche i loro stessi statuti, le basi cognitive che le rende praticabili. È, quello tra scienze e politica, l'abbraccio reciprocamente mortale di due naufraghi che si avvinghiano, si intralciano e si trascinano insieme negli abissi, come dimostra l'ultimo anno trascorso nel segno della «crisi pandemica».
Consideriamo le chiusure, i coprifuoco e le restrizioni. Ne è valsa la pena? Ci stanno proteggendo dai danni della nuova malattia? Non potendosi fare una contro-osservazione in laboratorio sarebbe impossibile dare una risposta apodittica, ma è onesto riconoscere che le prove analogiche accumulatesi dall'esordio dell'emergenza sono molto lontane dal promuoverli in modo statisticamente solido. Sui mezzi di informazione si è parlato del paradosso svedese, di praticare un lockdown leggero senza perciò patire conseguenze peggiori di altri Paesi che hanno chiuso con più rigore. Ma senza piluccare nei casi particolari, la generale assenza di correlazioni significative tra intensità delle restrizioni e impatto clinico della malattia non è un segreto: ribadita fin dall'inizio da numerosi studi (qui l'ultimo in ordine di tempo), è approdata anche in televisione. È toccato pochi giorni fa al giornalista Federico Rampini rivelare in prima serata che «quei Paesi che sono praticamente usciti indenni, con dei numeri della mortalità microscopici, non hanno usato lockdown a tappeto».
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Un mondo di mondi
La storia globale e i problemi del nostro tempo
Intervista di Alberto Deambrogio a Giorgio Riolo
Il libro che tu e Massimiliano Lepratti avete scritto si può per molti versi considerare “inattuale”. In un tempo come il nostro, caratterizzato da forti tensioni populiste, sovraniste e per altri versi piegato a un presente eterno da gestire tecnocraticamente, voi fate una scelta nettamente eccentrica, che si annuncia fin dal doppio esergo affidato ad Edgar Morin e Fernand Braudel: sguardo critico, globale, sistemico, attento alla complessità degli intrecci. Vuoi spiegarci perché è utile oggi ripercorrere la storia dell’umanità attraverso una precisa scelta metodologica e storiografica, che riprenda il lascito di intellettuali come appunto Braudel o Wallerstein, Arrighi, Frank, Amin, Wolf?
Questo libro nasce dal desiderio di dare un contributo alla cultura critica e alternativa al corso dominante nel mondo contemporaneo. Tanto più necessaria oggi. Nella buona divulgazione della storia, in primo luogo, e, in secondo luogo, nel contrastare le concezioni dominanti nel nostro tempo. Essendo culture e subculture fortemente impegnate a mostrare che questo è “il migliore dei mondi possibili”, che “c’è stata storia, ma ora non più” (Marx). Il presente come ultimo stadio dell’evoluzione umana e pertanto reso eterno. Insomma, un libro che mira a contrastare la filosofia complessiva del neoliberismo e della globalizzazione capitalistica.
È un tentativo nella direzione della critica radicale dell’eurocentrismo, dell’occidentalocentrismo, del pregiudizio della “superiorità bianca”, anche a sinistra, dell’economicismo e del determinismo.
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Il virus dell'Occidente
Recensione di Elena Fabrizio
Stefano G. Azzarà, Il virus dell’Occidente. Universalismo astratto e sovranismo particolarista di fronte allo stato d’eccezione, Mimesis 2020, pp. 425 - ISBN 978-88-5757-155-3
Dopo più di un anno dalla diffusione della pandemia del Covid-19, e dopo aver preso atto delle modalità con le quali l’Occidente ha reagito alla situazione di emergenza, il dibattito mediatico e politico continua a ripetere che niente sarà più come prima; se nell’immediatezza questo riferimento reattivo al passato era ben lontano dal rappresentare una presa di coscienza dei problemi strutturali della democrazia liberale e capitalistica, a tutt’oggi, a fronte della pesante crisi economica e sociale, quei problemi continuano ad essere ignorati dall’agenda politica. Scritto a ridosso della prima fase della crisi pandemica, con questo libro Azzarà riflette sulla questione filosofica fondamentale che essa ha inevitabilmente posto per offrire una chiave di lettura capace di decifrare, in quel richiamo ad un passato che non deve ritornare, la realtà di un’egemonia liberale che rilancia se stessa affinché «non cambi nulla nell’essenziale».
La questione filosofica è molto ben sintetizzata dalla metafora che dà titolo al libro, e con la quale si indica l’operazione di mistificazione e arrogante presunzione che intellettuali, politici, filosofi, politologi hanno messo immediatamente in scena nella costruzione di un nemico virale che cercherebbe di contaminare un organismo che presenta se stesso nella sua astratta purezza (la democrazia liberale e la centralità del mercato) per esimerlo da ogni forma di autocritica. Invece di cogliere l’occasione per prendere coscienza dei problemi della società capitalistica e delle ragioni della aggressività con cui la pandemia si è diffusa, di guardare all’esperienza cinese che è riuscita a reagire all’emergenza grazie ad uno Stato capace di governare l’economia e la produzione per il benessere generale, di provare a immaginare un modello sociale alternativo, l’Occidente è rimasto congelato nella fase storica di regressione fondamentalista riapertasi dopo la fine della Guerra fredda.
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Perché il Piano per la Ripresa potrebbe non essere sufficiente per un autentico rilancio del Mezzogiorno
di Nicola Dimitri
1. «Crede, e spera, nella Madonna, il fabbricante di Madonne?»[1]
Con queste parole Carlo Emilio Gadda si domandava se è sempre sovrapponibile, nell’artista che compie un’opera, l’aspetto del credere con quello dell’eseguire. Altrimenti detto, Gadda si chiedeva se tra lo stato emotivo interno, che spinge un soggetto a immaginare di compiere un’attività (in questo caso, preordinata alla realizzazione di un’opera d’arte), e l’atto esterno, che consiste nell’eseguire e osservare il comando necessario per realizzare l’opera, vi fosse sempre intimità, inevitabile coincidenza.
Per impiegare ancora i termini di Gadda: «Qual è il grado di adesione interna, di accensione intima nei confronti del tema, che induce ad opera l’artista, che gli guida la mano sulla tela?»
Ebbene, quello di Gadda era sicuramente un interrogativo retorico. Infatti, non sempre la mano che esprime l’atto e che permette di realizzare un’opera, è fedele testimone dello stato emotivo interno che pure induce a realizzare l’opera, così come infine sarà.
In effetti, ciò che ha a che fare con l’eseguire non sempre corrisponde a quel che riguarda il credere.
Già Ludwig Wittgenstein, benché in altri contesti, ci avvertiva del rapporto rivale e per certi versi dicotomico che può emergere tra il credere e l’eseguire, sottolineando, ad esempio, che l’essere persuasi di seguire una regola non equivale certo ad eseguire una regola.
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Ergastolo ostativo. C’è chi dice no
Alba Vastano intervista Cesare Antetomaso
Intervista a Cesare Antetomaso, avvocato penalista, portavoce sezione romana Associazione ‘Giuristi democratici’ “…il tempo è più che mai maturo anche per rivendicare con forza l’abolizione dell’ergastolo, pena in insanabile contraddizione con i princìpi del nostro ordinamento e già espunta dai sistemi penali di larga parte degli Stati civili, poiché incompatibile con la finalità di recupero del detenuto e negatoria del diritto alla speranza, anche nei casi in cui la detenuta o il detenuto abbia già scontato numerosi anni di carcere e dato prova della capacità e volontà di reinserimento sociale”
L’argomento è di quelli tosti. Si tratta di ‘ergastolo ostativo’, quell’istituto che, a differenza del comune ergastolo, non consente benefici penitenziari. Negati quindi benefici come: i permessi premio, la liberazione condizionale, il lavoro esterno, la semilibertà e qualsiasi misura alternativa alla detenzione. Non è un assoluto, in quanto i detenuti potrebbero beneficiarne a condizione che, ai sensi dell’art. 58-ter o.p., collaborino con la giustizia. La Corte costituzionale con un comunicato emesso il 15 aprile u.s. dichiara che l’ergastolo ostativo è anticostituzionale e rimanda la questione alle delibere in merito del Parlamento.
Intanto la questione in essere pone degli interrogativi. Ergastolo ostativo sì o no? Il dilemma assume toni alti quando ci si riferisce ai detenuti con le limitazioni previste dall’art. 4 bis che ha introdotto il concetto estremo del ‘fine pena mai’. Si condanna il detenuto alla pena perpetua, in netto contrasto con l’art.27 della Carta costituzionale che disciplina la funzione rieducativa della pena.
La questione è dirimente nell’opinione comune, ma anche fra giuristi è contrastante. Il magistrato Gian Carlo Caselli dichiara che definire incostituzionale l’ergastolo ostativo significherebbe indebolire le misure antimafia e conferma il suo pensiero in merito in una sua recente dichiarazione:
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Il Recovery Plan, il Sud e le promesse mancate
di Francesco Zezza
Tra il 15 ed il 25 Aprile 2021, il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha presentato alle Camere il Documento di Economia e Finanza per il 2021 (DEF) e la versione (aggiornata) del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) – parte del programma Next Generation EU (NGEU), il pacchetto di sostegno all’economia da 750 miliardi di euro proposto dalla Commissione Europea per rispondere alla crisi pandemica.
La Legge di Bilancio per il 2021 introduce un nuovo scostamento del deficit pubblico, pari a 30 miliardi di euro per il 2021, 6.5 per il 2022 e 4.5 per il 2023.
Il PNRR fornirà ulteriori investimenti pubblici per 191,5 miliardi – che saranno finanziati attraverso il Recovery and Resilience Facility (RRF), lo strumento chiave dell’NGEU – e un consistente pacchetto di riforme, che interesseranno principalmente i settori della pubblica amministrazione, della giustizia, della semplificazione normativa e della concorrenza.
Nelle parole del Governo, il Piano “[è un] intervento epocale, che intende riparare i danni economici e sociali della crisi pandemica, contribuire a risolvere le debolezze strutturali dell’economia italiana, e accompagnare il Paese su un percorso di transizione ecologica e ambientale. Il Piano ha come principali beneficiari le donne, i giovani e il Mezzogiorno e contribuisce in modo sostanziale a favorire l’inclusione sociale e a ridurre i divari territoriali.”
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Noi e il nostro Covid
Che cosa si deve sapere, ma la TV non dice
a cura di Comitato per la salute*
Siamo in guerra contro un virus? Indossiamo l’uniforme-mascherina, veniamo arruolati per i “vaccini”, osserviamo il coprifuoco e i razionamenti di beni e servizi, denunciamo i traditori che non si adeguano alla fine degli incontri e degli spostamenti, del lavoro per moltissimi? È questo il modo di mantenere la salute?
Questo opuscolo vuole divulgare le conoscenze sul virus Sars-Cov-2 e la malattia Covid-19 che causa, dopo un anno di “pandemia” in cui è evidente la volontà di mantenere una situazione emergenziale per motivi che nulla hanno a che fare con la tutela sanitaria.
La Covid-19 è una malattia curabile senza ricovero ospedaliero se presa in tempo. I medici di Ippocrate hanno curato il 100% dei loro pazienti a casa (http://www.ippocrateorg.org; vedi anche https://www.facebook.com/groups/terapiadomiciliarecovid19). Le medicine necessarie sono diverse per ogni fase della malattia ma si tratta comunque di farmaci non particolarmente sofisticati né costosi, come il plasma di chi ha superato la malattia (plasma iperimmune) e l’idrossiclorochina, un derivato del chinino. Questo farmaco è stato ingiustamente accusato dalle autorità sanitarie di effetti collaterali peggiori della malattia che può curare e sconsigliato o addirittura proibito da AIFA, EMA, OMS (poi tornate sui loro passi), mentre secondo Harvey Risch, professore di epidemiologia a Yale, l’uso di idrossiclorochina avrebbe potuto evitare almeno metà delle morti negli USA.
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Il capitalismo della sorveglianza
di Antonio Noviello
Dalla rivista D-M-D' N°16
Abstract: in questo breve saggio parleremo del libro Il capitalismo della sorveglianza della professoressa Shoshana Zuboff[2], ricercatrice alla Harward Business School. Il libro presenta il sottotitolo: il futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri. La scrittrice si pone l’obiettivo di indagare in profondità lo scenario del nuovo ordine economico, derivante dallo sfruttamento dei dati prodotti consapevolmente e inconsapevolmente dalle pratiche umane associate alle nuove tecnologie. In effetti, nonostante l’enfasi nel definire un nuovo ordine economico del capitalismo, osserveremo come nelle pratiche di produzione e di sfruttamento massivo della tecnologia e dei dati e delle indubbie diseguaglianze e concentrazioni di potere, otterremo nient’altro che il capitalismo di sempre, ossia quello dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, dell’atomizzazione dell’individuo e della appropriazione e concentrazione massima di plusvalore prodotto.
* * * *
Benvenuto alla macchina
Benvenuto figliolo
Benvenuto alla macchina
Dove sei stato?
Va tutto bene sappiamo dove sei stato
Sei stato nella conduttura, riempiendola in tempo
Fornito di giocattoli ed “esplorazioni per ragazzi”
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Walter Siti, la letteratura fa bene quando fa male
di Paolo Landi
Avvicinarsi all'immensità di un tema come il Bene e il Male in letteratura rende subito chiaro a Walter Siti che poteva farlo solo affidandosi alla sua curiosità o alle sue incazzature, o al suo scoraggiamento. Avendo dedicato proprio alla letteratura la sua vita, prima studiandola alla Scuola Normale, poi insegnandola all'Università, poi pubblicando romanzi, non poteva scrivere questo avvincente saggio (Contro l'impegno – Riflessioni sul Bene in letteratura, Rizzoli 2021) altro che componendo un mosaico con la tecnica dell'accostamento di fiction, saggi, programmi tv, incursioni nel linguaggio dei social, su testi che lo hanno di volta in volta incuriosito, innervosito, demoralizzato. Ma la pazienza e la lucidità con cui demolisce alcuni libri spesso primi in classifica, per poterci rivelare le loro "virtù" all'incontrario e trasformando quindi la forza del cestino in una formidabile occasione di conoscenza, è quella del grande critico: mentre evita i trabocchetti della superiorità morale, si interroga sul cambiamento delle modalità di lettura e di giudizio di scritti che, in nessun caso, dovrebbero mai essere cestinati, né mutilati "ma soltanto spiegati".
L'incipit folgorante di questo libro è "l'onesta parafrasi di una delle poesie più mature del maggior poeta lirico italiano di tutti i tempi" che, riportata così, senza virgolette e senza spoiler, provoca uno choc a noi lettori, in via di assuefazione al politically correct del #metoo.
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Templi moderni: il grande reset e la nuova gnosi
di Andrea Valdroni
Lo Gnosticismo è quindi mortalmente auto-limitante, ma un movimento gnostico è in grado di causare un’enorme distruzione materiale e sociale prima di perire ignominiosamente a causa della sua stessa depravazione spirituale
Thomas F Bertonnau, Voegelin on Gnosticism – A Revisitation
A più di un anno dalla sua iniziale comparsa in Cina, l’origine del Covid 19 è ancora avvolta nel mistero.
Liang Wannian, lo scienziato a capo del contingente cinese del team di ricercatori istituito congiuntamente da Cina e OMS per far luce sull’origine del virus, commentando i risultati del suo gruppo così riassume lo scorso marzo lo stato delle conoscenze: “nessuno ha ancora individuato il progenitore diretto del virus… e dunque la pandemia rimane un mistero irrisolto.
Ad oggi, la scienza semplicemente non ha risposte, tuttavia ciò non impedisce a Mario Draghi, in occasione della sua prima apparizione al G7 in veste di Primo Ministro, di dichiarare perentoriamente che è necessario “curare il clima per combattere il Covid”.
Curiosa affermazione: se non sono note né l’origine del virus né le tappe attraverso le quali questo è entrato in contatto con l’uomo, non si capisce su quali basi il premier italiano si senta autorizzato a mettere in relazione “la lotta al Covid” con un altro fenomeno come il “cambiamento climatico”, anch’esso ancora oggetto di acceso dibattito scientifico, a dispetto della propaganda mediatica a senso unico.
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La nottola ancora sonnecchia
di Augusto Illuminati (Università di Urbino)
Pubblicato su “Materialismo Storico. Rivista di filosofia, storia e scienze umane", n° 2/2020, a cura di Stefano G. Azzarà, licenza Creative Commons BY-NC-ND 4.0
La pandemia ha sconvolto non solo i modi di vita e l’economia su scala globale, ma in qualche modo anche le nostre categorie interpretative. Di qui tanto l’urgenza quanto la difficoltà di una convincente ristrutturazione teorica. Le sole cose che però possiamo chiaramente definire sono l’entità della crisi della produzione e dei consumi, cui cerca di porre rimedio un riscoperto interventismo statale apertamente in deficit, e il delinearsi di una contraddizione fra il lavoro di cura e la difesa dei profitti industriali e commerciali spinta fino al limite del negazionismo. Intendendo per “cura” il terreno conflittuale del Welfare e della riproduzione sociale (dalla sanità all’allevamento ed educazione degli umani) e non alla manutenzione selettiva della forza-lavoro, come nella Sorge heideggeriana o nelle dottrine e pratiche neoliberali.
* * * *
La nottola non si è ancora levata in volo perché il crepuscolo è lontano, perché stiamo proprio all’inizio di un ciclo, neppure in una fase di interregno fra due assetti di realtà – uno agonico e l’altro a grandi linee già definibile. Scriveva nel 1820 un cane morto che la filosofia giunge sempre in ritardo, apprende il proprio tempo nel pensiero dopo che la realtà è bell’e fatta. Forse si sottovaluta la forza del momento in cui l’ideale si oppone al reale e propende un po’ troppo per il riconoscimento più che per la modificazione del mondo, ma insomma resta pur sempre una messa in guardia contro le fughe in avanti, le sintesi frettolose che anticipano lo svolgimento storico mentre le contraddizioni sono ancora tutte aperte e indecidibili.
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Ritorno a Francoforte
di Giorgio Fazio
È recentemente uscito per Castelvecchi “Ritorno a Francoforte. Le avventure della nuova teoria critica”. Ne pubblichiamo qui l’introduzione per gentile concessione dell’autore e dell’editore, che ringraziamo
La teoria critica della Scuola di Francoforte è oggi al centro di una nuova attenzione. In un passaggio storico che vede il moltiplicarsi di crisi che vanificano aspettative di benessere, provocano sentimenti di disorientamento e di impotenza, generano bisogni di sicurezza che alimentano pulsioni identitarie e autoritarie, si torna a leggere i testi di questa corrente di pensiero novecentesca, trovandovi strumenti per capire la nostra contemporaneità. Si ha l’impressione, anzi, che alcune diagnosi “francofortesi” siano diventate più vere oggi rispetto a qualche decennio fa, quando ancora sembrava potessero perpetuarsi gli equilibri sociali del capitalismo democratico del dopoguerra, prima che prendesse avvio la stagione del neoliberismo.
Quando si parla di teoria critica della Scuola di Francoforte si fa riferimento innanzitutto al gruppo di ricerca interdisciplinare raccoltosi attorno alla figura di Max Horkheimer nei primi anni Trenta del XX secolo. La sede istituzionale di questo circolo fu l’Istituto per la ricerca sociale, l’organo in cui vennero pubblicati i risultati delle sue ricerche la Zeitschrift für Sozialforschung. Entrambi furono luoghi di indagini innovative sulla società, a cui presero parte, in modo diverso, figure del calibro di Theodor Wiesegrund Adorno, Walter Benjamin, Erich Fromm, Otto Kirchheimer, Leo Löwenthal, Herbert Marcuse, Franz Neumann, Friedrich Pollock e altri.
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