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La violenza imperialista d’Israele, la sua crisi politica e morale e la lotta di Resistenza del popolo palestinese
di Massimiliano Calvo*
“La realtà ci dice che Israele si sta logorando, che è in atto un costante processo di deterioramento della connessione sociale, che lentamente ma inesorabilmente l’entità sionista occupante si sta disgregando. Hanno trovato sulla loro strada un popolo che è Resistente da sempre, da ancor prima della Nakba del 1948, da fine ‘800 con le occupazioni inglesi e francesi, dalle quali è derivata la mentalità coloniale dei sionisti”
Il 7 ottobre 2023 la Resistenza Palestinese, per la prima volta dalla Nakba del 1948, quando i 2/3 del popolo palestinese fu cacciato e deportato dalla sua terra, ha attaccato l’entità sionista occupante il territorio palestinese. Mai prima di allora i guerriglieri avevano agito se non in risposta ad azioni di uccisioni e repressioni del popolo effettuate dall’esercito occupante.
La Lotta di Liberazione della Palestina prende forme finora sconosciute.
Si tratta di una novità assoluta che ha colto di sorpresa i soldati sionisti ed ha evidenziato alcuni fattori che smascherano la falsità dell’idea di invincibilità dell’esercito sionista, che evidenziano la sua vulnerabilità, che mostrano al mondo la codardia dei suoi soldati e che fotografano nitidamente la similitudine tra esercito sionista e nazisti ucraini quando, in risposta alle azioni di guerriglia della Resistenza Palestinese, assassina e massacra in maniera indiscriminata la popolazione civile, a Gaza come in Cisgiordania, nella totale e complice indifferenza dei governi degli stati dell’Occidente.
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Guerra “NATO” a Gaza: le reazioni di Russia, Cina, e Sud del mondo
di Roberto Iannuzzi
L’appoggio incondizionato a Israele da parte dell’Occidente, e lo schieramento di un’intera flotta nel Mediterraneo orientale, aggravano una polarizzazione internazionale già in atto
Il ministero delle finanze israeliano ha stimato che le operazioni belliche a Gaza hanno un costo di 270 milioni di dollari al giorno. Secondo altre valutazioni, ciò avrà un peso sulle casse dello stato ebraico pari a 48 miliardi nel 2023-2024.
Circa un terzo di questa somma sarà coperto dagli USA. Il presidente americano Biden ha promesso a Tel Aviv un pacchetto di 14,3 miliardi di dollari, che si aggiunge ai 3,8 miliardi che Washington elargisce annualmente a Israele sulla base di un accordo decennale.
Sebbene il pacchetto straordinario potrebbe non essere approvato prima della fine dell’anno a causa delle priorità del Congresso e della sua crescente disfunzionalità, gli Stati Uniti già ora inviano armi di ogni tipo ad Israele.
A differenza del flusso di armamenti USA verso l’Ucraina, quello diretto a Israele è avvolto nella quasi totale segretezza. Secondo alcune parziali rivelazioni, esso include decine di migliaia di proiettili d’artiglieria da 155 mm, migliaia di bombe ad alto potenziale e migliaia di missili Hellfire.
Biden è anche orientato a cancellare ogni restrizione al trasferimento di armi a Tel Aviv dall’arsenale USA presente sul territorio israeliano. Creato negli anni ’80 del secolo scorso per rifornire gli Stati Uniti nell’eventualità di una guerra regionale, il War Reserve Stockpile Allies-Israel (WRSA-I) è il più grande di una rete di depositi di armi che Washington ha disseminato nei paesi alleati in tutto il mondo.
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Le banche tra finanziamento e finanziarizzazione
di Stefano Figuera, Andrea Pacella
1. Introduzione
A quarant’anni dalla pubblicazione del saggio di Augusto Graziani “Moneta senza crisi” che costituì un passaggio fondamentale nell’elaborazione della teoria monetaria della produzione, il contributo teorico dell’economista napoletano continua ad essere un imprescindibile punto di riferimento per la comprensione del funzionamento dell’economia capitalistica in quanto economia monetaria. Di fronte ai rilevanti mutamenti registrati dalla struttura finanziaria, la teoria monetaria della produzione si conferma come un importante strumento di analisi.
Ponendosi in tale prospettiva, il presente contributo si propone di offrire elementi per una lettura dell’evoluzione del ruolo del sistema bancario. Preziosa è, a tal fine, la distinzione tra finanziamento della produzione, finanziamento degli investimenti e finanziamento dell’economia teorizzata da Graziani.
2. Una visione circuitista del finanziamento
Un passaggio nodale della teoria monetaria della produzione è rappresentato dalla separazione tra settore delle banche e settore delle imprese. Da esso deriva la centralità del finanziamento e l’origine endogena della quantità di moneta che circola nel sistema economico.
“Il settore bancario (banca centrale più banche di credito ordinario) produce moneta ma non la utilizza; il settore delle imprese utilizza moneta ma non la produce. Quando si afferma che l’impresa impiega denaro per ricavarne maggior denaro, si intende quindi che l’impresa impiega denaro a prestito dal settore bancario. Ecco perché il primo atto del processo economico è un atto di finanziamento, mediante il quale il sistema delle banche crea mezzi di pagamento (o crea credito, come avrebbero detto Wicksell e Schumpeter) e li dà a prestito al sistema delle imprese, il quale si impegna a restituirli con la maggiorazione dell’interesse pattuito”.
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La fine del Gabinetto di Guerra
Putin e Moltke spaccano gli Stati
di Big Serge
Il secolo che va dalla caduta di Napoleone nel 1815 all’inizio della Prima guerra mondiale nel 1914 è solitamente considerato una sorta di età dell’oro per il militarismo prussiano-tedesco. In questo periodo, l’establishment militare prussiano ottenne una serie di vittorie spettacolari su Austria e Francia, stabilendo un’aura di supremazia militare tedesca e realizzando il sogno di una Germania unificata attraverso la forza delle armi. La Prussia di quest’epoca ha anche prodotto tre delle personalità militari simbolo della storia: Carl von Clausewitz (un teorico), Helmuth von Moltke (un pratico) e Hans Delburk (uno storico).
Come si suol dire, questo secolo di vittorie e di eccellenza creò nell’establishment prussiano-tedesco un senso di arroganza e di militarismo che portò il Paese a marciare impetuosamente verso la guerra nell’agosto del 1914, per poi naufragare in una guerra terribile in cui le nuove tecnologie vanificarono il suo approccio idealizzato al warmaking. L’orgoglio, come si dice, precede la caduta.
Si tratta di una storia interessante e soddisfacente, che propone un ciclo di arroganza e caduta piuttosto tradizionale. A dire il vero, c’è un elemento di verità in questa storia, poiché molti elementi della leadership tedesca possedevano un grado di sicurezza eccessivo e indecoroso. Tuttavia, questa non era l’unica emozione. Ci furono anche molti pensatori tedeschi di spicco prima della guerra che professarono paura, ansia e timore assoluto. Avevano idee preziose da insegnare ai loro colleghi – e forse anche a noi.
Torniamo indietro, fino al 1870, alla guerra franco-prussiana.
Questo conflitto è generalmente considerato l’opera magna del titanico comandante prussiano, il feldmaresciallo Helmuth von Moltke.
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Le improbabili genealogie di uno sciopero
Lotte di classe dentro e contro il sindacato
di Felice Mometti
Dopo 46 giorni di sciopero, che nell’ultima fase ha coinvolto 45 mila lavoratori su 146 mila, alla Ford, General Motors e Stellantis – le cosiddette Big Three americane dell’automotive – sono stati rinnovati i contratti per i prossimi i 4 anni e 7 mesi. Se, di primo acchito, si facesse un confronto tra le rivendicazioni iniziali del sindacato United Auto Workers of America (UAW) e i risultati ottenuti, sarebbe a dir poco impietoso. Nella piattaforma sindacale, presentata un paio di mesi prima della scadenza contrattuale, c’erano cinque obiettivi definiti qualificanti e irrinunciabili: un aumento salariale del 40% in quattro anni, una riduzione a 32 ore settimanali pagate 40, l’abolizione dei due macro-livelli salariali e normativi introdotti dopo la crisi del 2008, l’abolizione del regime pensionistico a prestazione variabile in base all’andamento del mercato finanziario, la reintroduzione del Cost of Living Allowance (COLA) per recuperare completamente il potere d’acquisto che verrà eroso dalla futura inflazione.
Nelle 915 pagine del contratto Ford, nelle 458 del contratto General Motors e nelle 313 del contratto Stellantis non ci sono tracce dell’aumento del 40% del salario, della riduzione d’orario a 32 ore, dell’abolizione dei due macro-livelli salariali e normativi e delle pensioni variabili in base al mercato. Ci sono un aumento del salario del 25% in un contratto allungato di 7 mesi, quando l’inflazione negli ultimi 4 anni negli Stati Uniti è stata del 22% e le proposte delle Big Three oscillavano tra il 20-23% in quattro anni; un COLA, quantificato mediante astrusi calcoli, che recupera più o meno il 50% dell’inflazione futura con pagamenti posticipati di due mesi rispetto alla rilevazione statistica e la cancellazione dell’adeguamento, sebbene parziale, del salario negli ultimi sei mesi di valenza contrattuale; una riduzione da otto a tre anni per raggiungere il massimo salariale per i lavoratori del secondo macro-livello.
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Oppressione ed emancipazione della donna
di Alessandra Ciattini*
Il recente e tragico fatto di cronaca, che ha visto l’uccisione di un’altra giovane donna da parte del suo fidanzato, un giovane probabilmente depresso e fortemente disorientato – condizione assai diffusa nella società contemporanea –, ha fatto ritornare alla ribalta l’irrisolto problema dell’oppressione della donna e della sua emancipazione, ma a mio parere è stato mal posto e interpretato – come avviene da molto tempo – in maniera strumentale.
In primo luogo, stupiscono le espressioni del tipo: è possibile che nella modernità postindustriale accadano fatti di questo genere che fanno riaffiorare forme primitive di comportamento legate a un supposto mai scomparso patriarcato? Stupiscono perché non colgono che gli avanzamenti scientifici, tecnologici, sociali, politici avvenuti negli ultimi decenni sono stati dialetticamente accompagnati da forme di profondo imbarbarimento delle relazioni umane, legate soprattutto alla cancellazione di molti diritti conquistati in precedenza dai lavoratori, allo svuotamento dei cosiddetti valori democratici, al drammatico squilibrio tra le varie regioni del mondo, dalla costante violazione dei diritti più elementari, dalla formazione di un’oligarchia internazionale che ci governa e ci plasma a suo piacimento. Insomma da arretramenti sostanziali documentati per esempio dalla volgarità dei falsimedia, dalla perenne presenza della violenza sempre più spietata sia nei prodotti subculturali che nella vita reale, dalla continua riproposizione della mercificazione dell’essere umano e in particolare della donna (si veda l’uso della sessualità nella pubblicità), ai quali questa società offre due sole alternative tra loro collegate: vendere o comprare. E come si sa si vendono e si comprano solo oggetti.
Una prima osservazione: chiamare in causa il patriarcato, che rappresenta solo una forma storica di famiglia, vuol dire eternizzare qualcosa che eterno non è, è decontestualizzare e destorificare, evitando così di mettere in questione la struttura della società attuale.
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Terrorismo e terroristi: il punto
di Michele Castaldo
Articolo pubblicato nel gennaio del 2015 e che ripropongo
Dopo l’ubriacatura della retorica democratica contro il terrorismo cerchiamo di ragionare su quanto è accaduto e sulle prospettive del futuro.
Il mondo democratico inorridisce di fronte all’azione criminale del terrorismo islamista? Non esageriamo. I mezzi di informazione, che in Occidente assolvono al ruolo di strumenti di propaganda contro i popoli del sud del mondo e la loro povertà, gareggiano a chi la spara più grossa sull’episodio di Parigi, cioè sull’uccisione di alcuni giornalisti (satirici) da parte di alcuni militanti dell’estremismo islamico che intendevano in questo modo interpretare il senso di profonda offesa, e perciò di vendetta, della maggioranza degli islamici nei confronti di un giornale satirico di un paese imperialista con le sue vignette contro il loro credo religioso.
Diciamolo in maniera brutale: ma volete che su oltre un miliardo di uomini e donne che credono nell’Islam, in Allah, Maometto, il Corano e cosi via e che si sentono continuamente scherniti da alcuni giornalisti o scrittori occidentali non ne sorgano alcuni disposti al sacrificio pur di cancellare l’onta del continuo disprezzo e della presa in giro? E non vi pare di chiedere troppo alla …divina provvidenza? Si tratta di semplice buon senso che la stragrandissima maggioranza dei commentatori, in Italia e fuori, non ha. Se n’è accorto addirittura l’ex direttore del Financial Times che scrive:
« Anche se il magazine [Charlie Hebdo, ndr] si ferma poco prima degli insulti veri e propri, non è comunque il più convincente campione della libertà di espressione" [...] "Con questo non si vogliono minimamente giustificare gli assassini, è solo per dire che sarebbe utile un po' di buon senso nelle pubblicazioni che pretendono di sostenere la libertà quando invece provocano i musulmani ».
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Pantano
di Enrico Tomaselli
In Ucraina è arrivato anticipatamente l’inverno. Pioggia e neve già rendono impraticabili le strade non asfaltate, e la mobilità dei corazzati è ridotta al minimo. Una tempesta di inaudita potenza ha spazzato il mar Nero, distruggendo reti elettriche un po’ dovunque. 2000 villaggi ucraini sono senza energia elettrica, la Crimea è senza acqua corrente, perché gli impianti di pompaggio non sono alimentati. In alcuni punti della costa, il mare è arretrato anche di 100 metri.
Ovviamente tutto questo si riflette immediatamente sulla linea di combattimento, frenando fortemente l’attività aerea e di artiglieria, il che nell’immediato costituisce un vantaggio per gli ucraini: le condizioni climatiche, infatti, rallentano ulteriormente l’avanzata russa intorno ad Avdeevka, così come la controffensiva sul Dniepr, nel settore di Kherson.
La situazione sul campo è al momento, metaforicamente e praticamente, congelata.
L’arrivo del generale inverno, comunque, può tuttalpiù agevolare le forze ucraine nel passaggio da una postura offensiva a una difensiva. Ma non è sufficiente per nulla di più, e come s’è già visto lo scorso inverno, non fermerà l’esercito russo.
L’inevitabile rallentamento delle operazioni terrestri, però, diventa terreno fertile perché altri livelli del conflitto si manifestino più incisivamente. È infatti evidente che la NATO è ormai entrata in modalità Minsk, ovvero è alla ricerca di una via d’uscita temporanea dal conflitto; una qualche forma di accordo che consenta, appunto, di congelare il conflitto, quel tanto che basta per rimettere in piedi una parvenza di esercito ucraino efficiente, e soprattutto per mettere i paesi europei dell’Alleanza in condizione di affrontare uno scontro diretto con Mosca.
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L’Egitto e il conflitto israelo-palestinese
di Paolo Arigotti
L’ennesimo e sanguinoso capitolo di una conflittualità che si trascina, tra alterne vicende e periodi di stasi, da oltre settant’anni in Medio Oriente coinvolge direttamente l’Egitto, forse una delle poche nazioni dell’area che potrebbe svolgere un’efficace azione di mediazione, in virtù dei buoni rapporti che intrattiene con entrambe le parti.
Il Cairo, sottoscrivendo nel lontano 1978 gli accordi di Camp David, fu il primo stato arabo a siglare la pace e instaurare relazioni diplomatiche con Israele, mai più interrotte da allora. Allo stesso tempo, l’Egitto intrattiene regolari relazioni con le autorità di Gaza, pur non avendo avuto successo i precedenti tentativi di ricompattare il fronte palestinese, per dare un interlocutore unico al suo popolo.
Una dimostrazione del ruolo che l’Egitto può giocare è arrivata negli ultimi giorni: il paese, assieme al Qatar, è stato tra gli artefici della tregua, in vigore dalle ore 7 del 24 novembre, e per la durata di quattro giorni (ora prorogata per altri due), che ha consentito l’afflusso di aiuti umanitari e la liberazione di ostaggi israeliani e detenuti palestinesi (tra i quali figuravano donne e bambini).
Un riconoscimento dell’importanza dell’Egitto nello scacchiere mediorientale è arrivata anche dagli Stati Uniti, i quali se da un lato hanno più volte denunziato le violazioni dei diritti umani perpetrate dal regime di al-Sisi, dall’altro continuano a dispensare generosi aiuti militari; Il Cairo è stata l’ultima tappa del recente tour mediorientale del segretario di Stato Antony Blinken, in occasione del quale è stato chiesto l’appoggio dell’Egitto per scongiurare la prospettiva di un allargamento del conflitto.
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Sulla condizione dei comunisti in Italia: che fare?
Note per una discussione aperta
di Salvatore Tinè
L’intervento del compagno Sorini sulla crisi drammatica del movimento comunista italiano e sulle prospettive di una sua possibile ripresa ha già sollecitato una discussione importante tra comunisti sparsi in varie associazioni o piccole formazioni politiche e impegnati nell’opera di ricostruzione di una loro soggettività politica organizzata, intorno ad alcuni temi fondamentali riguardanti sia l’analisi delle cause profonde del fallimento di Rifondazione comunista nella fase storica successiva al crollo dell’Urss, sia le prospettive di ripresa del nostro movimento in Italia come a scala mondiale posto di fronte all’odierna crisi del sistema capitalismo mondiale e alla conseguente politica di guerra dell’imperialismo che segna il passaggio di fase ancora in atto. Appare evidente, nel contesto di questa crisi, certo la più grave dalla fine della guerra fredda, per molti aspetti analoga a quella degli anni ’30 che avrebbe trascinato l’umanità nella seconda guerra mondiale, l’assenza drammatica, particolarmente in Italia, di un movimento comunista in grado di elaborare su una base analitica sia un orientamento politico strategico che una linea di massa sul terreno della lotta sociale e di classe e su quello, oggi più che mai cruciale e decisivo, della lotta contro il pericolo di guerra e per la pace. E’ in primo luogo tale assenza a spiegare l’estrema difficoltà delle lotte sociali pure importanti e significative che periodicamente scandiscono le dinamiche della crisi capitalistica, a partire da quelle perfino imponenti dei lavoratori francesi contro la controriforma sulle pensioni di Macron, a trovare un adeguato sbocco politico, ad incidere concretamente nelle dinamiche generali della crisi, imprimendo a esse una direzione politica, spostando nel loro complesso i rapporti di forza tra le classi.
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Da una finanziaria all'altra
Riflessioni sulle politiche economiche del “nuovo” governo
di Renato Strumia
Nel settembre 2022 una coalizione di destra-destra ha ricevuto, per la prima volta nel dopoguerra, il mandato di governare il paese, con 12,3 milioni di voti su 51 milioni di elettori.
Una volta ancora il voto ha premiato quello che appariva l’elemento di novità, con l’investitura personale di una leader politica a lungo apparsa “fuori dai giochi” e priva di responsabilità nello sfascio progressivo del sistema paese. Era accaduto prima con Renzi, Di Maio, Salvini e compagnia cantante: meteore transitate veloci nel firmamento della politica, per poi disintegrarsi senza lasciare traccia, se non qualche scoria ancora depositata nel sottosuolo tossico del paese.
La vicenda di ”Giorgia” sembra inscritta nel solito tragitto, che porta i politici a conquistare il potere usando toni incendiari e agitando polemiche violente, per poi rientrare nei ranghi, delimitati dalle compatibilità e dai limiti intrinseci dell’azione di governo. Quello che stupisce, nella nuova formazione al governo, è la velocità e l’intensità di questo processo di allineamento, del tutto prevedibile e scontato.
La continuità delle politiche con la linea Draghi (del cui governo peraltro facevano parte sia Forza Italia che la Lega) è impressionante, su tutte le questioni di fondo. Tuttavia, è interessante rilevare i punti con cui il governo ha cercato di smarcarsi, “vendendo” gli elementi di rottura, prevalentemente identitari e categoriali, come strumento per dare soddisfazione al proprio elettorato di riferimento. Nient’altro che un tranquillizzante: “ora ci siamo noi, cominciamo a dire qualcosa di destra, dateci tempo, prima o poi le faremo anche…”.
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Marx, Bakunin e la questione dell'autoritarismo
di David Adam
La critica di Bakunin alle propensioni “autoritarie” di Marx ha determinato la tendenza a lasciare in ombra la critica di Marx alle intenzioni “autoritarie” di Bakunin. Ciò è dovuto in gran parte al fatto che le correnti principali dell'anarchismo e del marxismo sono state attratte da un mito – quello della statolatria “autoritaria” di Marx – condiviso da entrambe. Pertanto il conflitto nella Prima Internazionale è direttamente attribuito a un disaccordo riguardo i principi antiautoritari e si afferma che l'ostilità di Marx nei confronti di Bakunin ha origine nella sua ripulsa di tali principi, nel suo avanguardismo, ecc. L'anarchismo, non senza ragione, si pone come l’alternativa “libertaria” all'"autoritarismo" del marxismo ufficiale. Perciò nulla di più facile che considerare la celebre diatriba tra i due teorici pionieri di questi movimenti - Bakunin e Marx - come un conflitto tra libertà assoluta e autoritarismo. Questo saggio intende mettere in discussione tale narrazione. Esso non metterà in pratica questo intendimento mediante solenni dichiarazioni intorno all'anarchismo e il marxismo considerati astrattamente, ma semplicemente raccogliendo alcuni fatti sovente trascurati. Le idee di Bakunin intorno all'organizzazione rivoluzionaria costituiscono il cuore di questa indagine.
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Filosofia politica
Inizieremo rivolgendo l'attenzione ad alcune differenze in teoria politica tra Marx e Bakunin che ci permetteranno di comprendere le loro polemiche riguardo il tema dell'organizzazione. Marx criticava in primo luogo e soprattutto ciò che considerava una versione aggiornata della posizione dottrinaria di Proudhon verso la politica – l'idea che ogni potere politico sia antitetico rispetto alla libertà.
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Le ragioni del profitto sulla linea di sangue tra Israele e Gaza
di Andrea Pannone
In questo articolo Andrea Pannone ragiona sulle cause strutturali del conflitto palestinese, guardando alle logiche che muovono gli interessi materiali ed economici delle potenze occidentali, Stati Uniti in primis. L'autore ci spiega come la nuova natura degli Stati nazionali sia inseparabile dagli interessi dei maggiori gruppi economico-finanziari. In questo contesto sono proprio i settori della difesa e militare ad essere maggiormente integrati a questo sistema, che si avvia ad essere uno dei principali settori trainanti dell'economia.
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Leggendo in queste settimane commenti e articoli dei media mainstream sul nuovo drammatico conflitto tra Israele e palestinesi, è difficile non riconoscere un (più o meno) intenzionale processo di allontanamento dalla comprensione delle sue reali cause, peraltro non dissimili da altri conflitti bellici attualmente in corso su scala planetaria, pur nelle loro specifiche manifestazioni geografiche, storiche e culturali. Il punto è perfettamente sintetizzato da Emiliano Brancaccio in un post su Econopoly: «Più che occuparsi di comprensione dei fatti, i “geopolitici” di grido paiono affaccendati in una discutibile opera di persuasione, che consiste nel suscitare emozioni e riflessioni solo a partire da un punto del tempo scelto arbitrariamente. Essi ci esortano a inorridirci e a prender posizione, per esempio, solo a partire dalle violenze di Hamas del 7 ottobre 2023, mentre suggeriscono di spegnere sensi e cervelli sulla trasformazione israeliana di Gaza in un carcere a cielo aperto, o su altri crimini e misfatti compiuti dai vari attori in gioco e anteriori a quella data. Inoltre, come se non bastasse l’arbitrio del taglio temporale, ci propongono di esaminare i conflitti militari come fossero mera conseguenza di tensioni religiose, etniche, civili, ideali. Quasi mai come l’esito violento di dispute economiche».
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La riforma previdenziale del Governo Meloni
di Emiliano Gentili, Federico Giusti e Stefano Macera
La strategia del Governo sembra puntare a rendere difficile e meno conveniente il pensionamento anticipato. Con il passare degli anni, essendo sempre più residuale la componente di spesa associabile al calcolo retributivo degli importi pensionistici (sistema misto)1, il risparmio per le casse dello Stato è divenuto via via meno consistente.
Tutte le forme di pensionamento anticipato, difatti, comportano una riduzione della pensione in cambio della sua erogazione anticipata per alcuni anni. Se questa, con la scomparsa del calcolo retributivo degli importi, si va riducendo di per sé, la convenienza per lo Stato del pensionamento anticipato viene gradualmente meno.
E così il Governo ha deciso di renderlo meno oneroso per le casse pubbliche, modificandone i parametri d’accesso, calcolando l’importo degli anni di pensione anticipata interamente col sistema contributivo e abbassando, per di più, il limite di importo massimo consentito dell’assegno mensile (sì, perché non si può andare anticipatamente in pensione con importi troppo elevati).
I lavoratori iscritti alla Cassa pensione dipendenti enti locali, alla Cassa pensione sanitari, alla Cassa pensione insegnanti e alla Cassa pensione ufficiali giudiziari, invece, subiranno una modifica peggiorativa delle aliquote di calcolo della componente retributiva della pensione.
A perderci saranno principalmente le pensioni dei dirigenti, ma anche uno stipendio medio-basso come quello dell’impiegato degli enti locali lascerebbe sul campo oltre il 3%, che per redditi di questo tipo non è poco.
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Esoterismo e politica economica
di Roberto Artoni
Le decisioni sono soggette ad ampi margini di discrezionalità per l’inosservabilità di molti parametri che ne dovrebbero essere la base. E’ comunque illusorio definire le scelte con il ricorso a modelli e relative stime econometriche che per la loro molteplicità e indeterminatezza non possono che far emergere nell’adozione di specifiche politiche presupposti collocabili fra l’ideologico e il prescientifico.
* * * *
1 - Le scelte di politica economica sono caratterizzate da un notevole grado di esoterismo: la stragrande parte della popolazione ritiene più o meno consciamente che esista una verità univocamente definita, penetrabile solo da pochi sacerdoti e non acquisibile dai profani.
L’esempio, a mio giudizio tipico, è costituito dalle manovre dei tassi di interesse attuate da Federal Reserve e Banca Centrale Europea al fine di controllare il tasso d’inflazione, riportandolo al valore obiettivo. Conviene premettere che il tasso di interesse manovrato dalle autorità monetarie è costituito dal tasso di rifinanziamento principale, ovverosia dal tasso che le banche devono corrispondere all’ECB quando prendono a prestito a breve termine.
2 - Nell’interpretazione delle manovre di politica monetaria delle banche centrali, è ricorrente nei testi di politica economica la cosiddetta regola di Taylor [Storm 2023], che ha a prima vista un aspetto non accattivante, ma è facilmente intellegibile:
i = p +r* + a(p –p*) +b (y – y*)-
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Che cosa c'entrano i BRICS con la guerra in Ucraina?
di Visconte Grisi
C’è un elemento che non viene adeguatamente considerato quando si parla delle motivazioni profonde della guerra in Ucraina, vale a dire l’importanza assunta dalla questione logistica e, in particolare, dal controllo dei porti e delle vie di comunicazione marittima del Mar Nero nel commercio del grano ucraino e delle materie prime russe. Questa motivazione profonda, che sovente viene nascosta dietro le rivendicazioni territoriali sul Donbass di cui non vengono specificate le ragioni, è venuta chiaramente in luce in seguito a un episodio del conflitto risalente ai primi di agosto e di cui hanno parlato le cronache.(1)
In quella occasione i russi hanno attaccato e “distrutto un grande silos granario e altre attrezzature portuali” situate nei pressi di Odessa a pochi chilometri dal territorio della Romania. L’azione mirava naturalmente a ostacolare l’esportazione dei cereali ucraini e, quindi, ad “eliminare il principale concorrente dal mercato” visto che “Russia e Ucraina sono tra i principali produttori agricoli mondiali”. L’Ucraina ha risposto all’attacco colpendo due navi russe nel porto di Novorossijsk sul Mar Nero, a poca distanza da un “gigantesco hub russo di esportazione di materie prime” comprendenti grano, petrolio, carbone e fertilizzanti. Per di più nello stesso terminal marittimo “arriva il petrolio del Kazakistan con cui l’Italia e l’Occidente hanno aumentato i contratti dopo le sanzioni a Mosca”, senza contare che “dietro l’etichetta del petrolio kazako si nasconde la fornitura di greggio russo”.
La guerra quindi può ostacolare, ma non riesce a fermare il commercio internazionale conseguente al formarsi del mercato mondiale. La stessa cosa si può dire per la guerra economica scatenata dagli Stati Uniti contro la Cina iniziata già ai tempi di Obama, portata poi a livelli più alti da Trump attraverso l’imposizione di dazi doganali e il blocco dei prodotti delle principali società tecnologiche cinesi come Huawei, politica poi proseguita da Biden, in particolare sulla questione dei chips o semiconduttori.(2)
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European Digital Id Wallet
di Glauco Benigni
Per darci “sicurezza, fiducia e garanzie” la UE vuole in ostaggio il nostro “gemello digitale”
Da qualche anno, ma sempre con maggiore insistenza, in Europa si parla di un “Portafoglio digitale personale”. Cioè di una App tipo Green Pass, anzi una evoluzione della stessa tecnologia, che secondo molti può rappresentare una forma di controllo estrema e molto raffinata. Di che si tratta ?
Ce lo ho spiegò già nel settembre 2020 la Signora Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, nel suo discorso sullo stato dell’Unione, con queste parole:
“Ogni volta che un’App o un sito web ci chiede di creare una nuova identità digitale o di accedere facilmente tramite una grande piattaforma, non abbiamo idea di cosa succede ai nostri dati in realtà. Per questo motivo la Commissione proporrà una sicura identità europea. Qualcosa di cui ci fidiamo e che ogni cittadino possa utilizzare ovunque in Europa per fare qualsiasi cosa, dal pagare le tasse all’affitto di una bicicletta. Una tecnologia in cui possiamo controllare noi stessi, quali dati vengono utilizzati e come.”
Da queste parole sembrerebbe di capire che la Commissione Europea si sia stancata del fatto che i satelliti dei “5 Eyes” (le Nazioni anglofone) e i Social network raccolgono dati, li inoltrino ai loro Servizi Segreti e li vendano anche alle Aziende multinazionali, tipo pubblicitari e farmaceutiche … e quindi si sia detta … “No, basta ! Visto che del GDPR (il Regolamento europeo per la protezione della privacy) se ne fregano, allora i dati li raccogliamo anche noi.”
Attualmente ogni Stato membro della UE può sviluppare sistemi di “identificazione elettronica”, ma tali sistemi non sono ancora interoperabili con gli altri Stati. La nuova proposta sanerà tale carenza e in dettaglio:
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Esiste davvero la velocità della luce?
Considerazioni sulla capacità della fisica di distinguere tra parole e cose
di Franco Piperno
Un testo di Franco Piperno, pensato originariamente per la Scuola di Dottorato «Archimede» e per il Dottorato in Filosofia dell'Unical.
«Riuscire a districare il reale dal linguistico, le cose dalle parole è un obiettivo importante per possedere a pieno i fondamenti logici della teoria relativistica e potere eventualmente superarne i limiti e le contraddizioni. Purtroppo questa attenzione critica agli aspetti semantici della teoria – quelli che la mettono in comunicazione con il senso comune — difetta in generale tanto nei testi quanto nelle lezioni e nei seminari universitari. Da questo punto di vista, sembra essenziale che per quanto riguarda i fondamentali della disciplina, non ci si limiti ai manuali ma si favorisca la lettura degli scritti originari, quelli che hanno determinato le rotture epistemologiche nella storia della fisica».
* * * *
Introduzione - Velocità versus tempo. Dal tempo assoluto di Newton alla velocità assoluta di Einstein
I) Introduzione.
Il concetto di simultaneità costituisce la chiave di volta della relatività speciale. I famosi effetti di contrazione delle lunghezze e dilatazione dei tempi riposano interamente sulla relatività della simultaneità.
All’età di sedici anni, Einstein, come racconta nelle sue Note autobiografiche, aveva avvertito una certa inquietudine davanti al ruolo che svolge la velocità della luce nell’elettromagnetismo; ma solo cinque anni più tardi aveva trovato un modo di trattare la questione ricorrendo al concetto di simultaneità.
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Capitalismo woke
di Matteo Bortolon
Carl Rhodes: Capitalismo woke. Come la moralità aziendale minaccia la democrazia, Fazi, 2023
Il capitalismo è diventato di “sinistra”? Quello che parrebbe un paradosso, più che una provocazione, è un quesito al centro di un testo, (C. Rhodes, Capitalismo woke, Fazi 2023) di estrema attualità, e forse persino anticipatore per quanto riguarda il dibattito italiano ed europeo. Si dedica a un fenomeno tipicamente statunitense, che ancora pare non abbia lambito significativamente il Vecchio Continente, e cioè l’attitudine delle aziende a sostenere cause progressiste quali l’ambiente, le cause LGBT, l’antirazzismo, i diritti delle donne e simili.
Il libro in poco più di 300 pagine svolte il tema in 13 capitoli, leggibili quasi indipendentemente dal resto; il primo di essi enuncia la questione in termini generali, e ciascuno dei seguenti lo specifica e arricchisce in base a esempi specifici.
L’elemento di riferimento centrale è il termine woke, di cui l’autore fornisce una essenziale ma completa illustrazione: come si descrive nel terzo capitolo (Il capovolgimento dell’essere woke), la parola (che letteralmente significa “risvegliato” o per estensione semantica “consapevole”) nel suo senso politico deriva la sua accezione da un discorso di Martin Luther King e dal milieu del movimento per i diritti dei neri negli Usa, ma è stata resa celebre al di là di tale ambiente dalla cantante soul Erykah Nadu nel 2008, finché il movimento Black Lives Matter l’ha consacrata nel 2013 come parola chiave del progressismo contemporaneo.
Successivamente woke da termine molto connotato in una radicalità sociale (antirazzismo ma anche anticapitalismo, antimperialismo ecc.) ha avuto uno slittamento semantico per designare una attenzione un po’ ipocrita e ostentativa a cause progressiste di moda quali il razzismo, il cambiamento climatico, la parità femminile, e simili.
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Lo scorpione israeliano pungerà la rana statunitense?
di Alastair Crooke
Netanyahu sta preparando la scena per intrappolare l'amministrazione Biden, facendo in modo che gli Stati Uniti abbiano poca scelta se non quella di unirsi a Israele
L’allegoria è quella dello scorpione che ha bisogno della rana per poter attraversare un fiume in piena, facendosi trasportare sulla schiena della rana. La rana diffida dello scorpione, ma accetta con riluttanza. Durante la traversata, lo scorpione punge fatalmente la rana mentre nuota con lui sulla schiena. Entrambi muoiono.
Si tratta di un racconto dell’antichità che intende illustrare la natura della tragedia. La tragedia greca è quella in cui la crisi al centro di ogni “tragedia” non nasce per puro caso. In senso greco, la tragedia è quella in cui qualcosa accade perché deve accadere, per la natura stessa dei partecipanti, perché gli attori coinvolti lo fanno accadere. E non hanno altra scelta se non quella di farlo accadere, perché questa è la loro natura.
È una storia che è stata raccontata da un ex diplomatico israeliano di alto livello, esperto di politica statunitense. La sua versione della favola della rana vede i leader israeliani impegnati a scrollarsi disperatamente di dosso la responsabilità per la disfatta del 7 ottobre, con un Gabinetto che tenta in tutti i modi di trasformare (psicologicamente) la crisi da disastro colpevolizzabile a epica opportunità da presentare al pubblico israeliano.
La chimera che viene presentata è che, tornando indietro alla vecchia ideologia sionista, Israele possa trasformare la catastrofe di Gaza – come ha sostenuto a lungo il ministro delle Finanze Smotrich – in una soluzione che, una volta, per tutte “risolva unilateralmente la contraddizione intrinseca tra le aspirazioni ebraiche e palestinesi – ponendo fine all’illusione che sia possibile qualsiasi tipo di compromesso, riconciliazione o spartizione“.
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Giorgio Agamben
di Carlo Crosato
Fin dalle sue primissime battute, la filosofia di Giorgio Agamben si è impegnata in una profonda critica del pensiero occidentale, studiando la natura nichilistica della sua metafisica, e le sue implicazioni politiche. Strutturandosi attorno a una innovativa ontologia politica, l’oggetto di maggiore interesse è del pensiero agambeniano è l’umano occidentale, la sua azione, la conoscenza, il linguaggio. La combinazione di ontologia politica e critica dell’antropologia occidentale è giunta a produrre, con la serie Homo sacer, una filosofia politica fortemente coinvolta nel rapporto fra la politica e la vita: una biopolitica, in cui è in gioco la stessa definizione della natura umana.
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Giorgio Agamben nasce a Roma nel 1942. Si laurea in giurisprudenza nel 1965 discutendo una tesi sul concetto di persona nella filosofia di Simone Weil. Il suo vero primo incontro con la filosofia, tuttavia, avviene nel 1966 e nel 1968, quando è invitato a partecipare a due seminari tenuti a Le Thor da Martin Heidegger, su Eraclito e Hegel. Sono altrettanto fondamentali lo studio di Walter Benjamin e il metodo di Aby Warburg, con cui il trentaduenne Agamben entra in contatto a Londra presso la biblioteca del Warburg Institute, dove lavora al suo secondo libro, Stanze. Se Heidegger influenza Agamben nello studio critico della metafisica occidentale, e Benjamin è descritto da Agamben come l’antidoto per la filosofia di Heidegger, rappresentando un’ispirazione per la riflessione sul tempo e sulla salvezza, l’ammirazione agambeniana per il metodo di Warburg segna il suo intero lavoro filosofico imprimendogli un carattere fortemente multidisciplinare.
Negli anni londinesi e parigini, l’influenza del metodo di Warburg porta Agamben a preconizzare una «scienza generale dell’umano»: una scienza che, mettendo in dialogo le più diverse discipline, producesse una diagnosi dell’umano occidentale.
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"Il patriarcato è superato, la guerra tra i sessi è in atto"
Giulia Bertotto intervista Andrea Zhok
Andrea Zhok, professore di Filosofia Morale presso l’Università degli Studi di Milano, collabora con numerose testate giornalistiche e riviste. Tra le sue opere ricordiamo le più recenti: “Critica della Ragione Liberale” 2020, “Oltre Destra e Sinistra: la questione della natura umana”, quest’ultima opera è stata data alle stampe dalla coraggiosa casa editrice Il Cerchio, che ha pubblicato anche “La Profana Inquisizione e il regno dell’Anomia. Sul senso storico del Politicamente Corretto e della Cultura Woke” (2023).
In quest’ultimo, agile ma densissimo saggio, dotato di straordinaria forza critica, spiega come il potere della censura, una volta detenuto dalle istituzioni ecclesiastiche, sia oggi appannaggio di quel movimento liberal soprattutto americano, che condiziona anche il nostro sistema categoriale e valoriale.
Questo “atteggiamento di ispezione poliziesca del linguaggio” spiega, nasce in ambito accademico per non offendere alcuna minoranza oppressa, e si fonda su un importante scollamento intellettuale dal registro e dal linguaggio popolare. Ma si badi bene -non è solo una questione formale- perché le parole sono ontologicamente caricate e perché ai trasgressori del comandamento politicamente corretto viene resa inagibile la partecipazione al dibattito pubblico su temi fondanti come “l’educazione, la famiglia, la struttura della società, la procreazione, l’affettiva, la natura e la storia umane”. Così ben presto la difesa delle categorie lese diventa strumento di diffamazione contro chiunque intenda argomentare il dogma della vittima.
Nella società della Profana Inquisizione “Non esiste propriamente alcun valore, ma un unico disvalore: la violazione dello spazio altrui”.
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Numeri e forme
di Nicola Pinzani*
Il rapporto profondo tra algebra e geometria ne Il Teorema di Pitagora di Paolo Zellini
L’area del quadrato costruito sull’ipotenusa è uguale alla somma delle aree dei quadrati costruiti sui cateti. Rappresentato dalla celeberrima raffigurazione di quadrati, cateti e ipotenuse, il teorema fluttua come una sentenza sui quaderni e sulle lavagne di tutto il mondo. È diventato simbolo di un metodo, di un canone che dà importanza all’insegnamento dei fondamenti di una comprensione intuitiva dello spazio. Una parte esoterica dell’apprendimento, condivisione di antichi saperi silenziosi, ora praticamente muti nella loro stasi formale. Questa singolarità lapidaria diventa pretesto, più che vero protagonista, di un discorso che, nell’ultimo libro di Paolo Zellini, Il Teorema di Pitagora (Adelphi, 2023), attraversa millenni di storia del pensiero geometrico.
Non è facile accontentare lettori bulimici di dati, storie e fatti; i teoremi non se ne nutrono e non ne vengono nutriti, e raramente diventano argomento esplicito di discussione. Queste ambigue pietre miliari del pensiero non si possono comprendere esclusivamente nella loro veste formale, ma devono essere inserite e interpretate all’interno di canoni che appartengono all’arcaicità, a dimensioni che in virtù della loro estraneità temporale coinvolgono l’intera forma del pensiero.
Zellini è professore ordinario di analisi numerica all’Università di Roma Tor Vergata. La sua carriera accademica si muove all’interno dei confini dell’algebra lineare e dell’ottimizzazione numerica: discipline che sembrano stridere con l’afflato letterario della sua scrittura. È solo un pregiudizio, così come è un pregiudizio quello che porta molti scienziati a credere che solamente la matematica cosiddetta “pura” possa, con parsimonia, adornarsi di strappi nel tessuto formale, fenditure attraverso le quali intravedere una luce diversa dal caustico bagliore del formalismo.
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Il “Karl Korsch” di Giorgio Amico
Sulle opportunità di un nuovo dibattito "korschiano"
di Afshin Kaveh
Giorgio Amico: Karl Korsch. Dal consiliarismo al marxismo critico, Massari Editore, 2023
Giurista, filosofo, rivoluzionario di professione, ministro, cospiratore, soldato valoroso, pacifista coerente, Karl Korsch è stato tutto questo e molto di più. Amico personale di Amadeo Bordiga e di Bertold Brecht, ispiratore della Scuola di Francoforte, compagno di studi di Kurt Lewin, avversario di Stalin - Korsch ha segnato in molti modi la storia del Novecento.
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I
Nulla da togliere alle personalità che, più di cinquant’anni fa, hanno ruotato attorno alla presentazione e discussione critica delle prime edizioni italiane delle opere di Karl Korsch – tra gli altri, Colletti, Rusconi, Perlini e Vacca –, ma è sempre stata evidente la mancanza di uno studio serio che, tirando le somme, riuscisse a collocare Korsch nel suo contesto storico, di modo poi da poterlo proiettare e restituire a noi. Che quei contributi accumulati e invecchiati di cinque decenni, tra articoli in dotti volumi, introduzioni, prefazioni, saggi originali e brevi studi particolari, non soddisfino pienamente l’esigenza di cedere al signor Korsch il posto e lo spazio che merita nel contesto della critica radicale, non è di certo data dal tempo, il quale scorrendo come base naturale ha fatto decadere nel dimenticatoio la grande maggioranza di quegli scritti, se non proprio tutti. Il vero problema è stato il vuoto costituito dalla mancanza nel contesto nostrano di un interesse e di un dibattito serio su Korsch da una parte, e dall’assenza di un’opera realmente complessiva ed esauriente sulla sua vita e sul suo pensiero dall’altra.
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Nel mondo “democratico” uno Stato sempre più autoritario
di Ascanio Bernardeschi
La pulsione presidenzialistica di questo governo non è sorprendente perché rientra nel disegno di portare a termine il processo di attuazione del “piano di rinascita democratica” di Licio Gelli. Tutte le altre indicazioni sono state realizzate nel tempo dai governi sia di centrodestra che di centrosinistra: il concentramento in mani sicure dei grandi media, il sistema elettorale maggioritario, l’eliminazione o lo snaturamento dei grandi partiti di massa, la deriva corporativa dei maggiori sindacati, lo stesso cambiamento della natura della Repubblica, ridotto a uno Stato minimo di tipo ottocentesco che rinuncia a intervenire nel governo dell’economia, o meglio torna a essere il comitato d’affari della borghesia intervenendo sì, ma solo per redistribuire la ricchezza e il potere a favore del capitale. Insomma si è avuto lo stravolgimento della nostra costituzione materiale e di buona parte di quella formale. La legge viene scritta in funzione del “diritto” del Governo a governare e non, come invece dovrebbe, della garanzia contro lo strapotere del Governo. Le opposizioni vengono marginalizzate insieme al ruolo del Parlamento. Pertanto si tratta di un progetto pericoloso e da contrastare con ogni mezzo perché comporta l’ulteriore abbattimento dei già ridottissimi spazi di partecipazione delle classi lavoratrici e una nuova compressione della stessa democrazia.
Prima di analizzare il le cause strutturali di queste trasformazioni sovrastrutturali è opportuno dare un’occhiata al senso della proposta del Governo Meloni. Intanto un elemento non secondario di gravità è sul piano del metodo che segna una torsione di tipo autoritario: la Costituzione, cioè il patto fondativo della nostra Repubblica fra diverse forze antifasciste, verrebbe a essere cambiato profondamente non attraverso un nuovo patto ma su proposta di un governo installatosi a seguito di una legge elettorale che gli ha conferito una larga maggioranza parlamentare pur non godendo esso della maggioranza assoluta dei consensi.
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