Fai una donazione

Questo sito è autofinanziato. L'aumento dei costi ci costringe a chiedere un piccolo aiuto ai lettori. CHI NON HA O NON VUOLE USARE UNA CARTA DI CREDITO può comunque cliccare su "donate" e nella pagina successiva è presente (in alto) l'IBAN per un bonifico diretto________________________________

Amount
Print Friendly, PDF & Email

lafionda

Un piccolo omaggio a Mark Fisher

di Paolo Giuliodori

L’11 luglio 1968 nasceva Mark Fisher, scrittore, filosofo e teorico politico. Uno dei pochi autori che ha lucidamente inquadrato i principali fenomeni economico-politici della nostra epoca. Il più famoso dei suoi lavori è “Realismo capitalista”, dove porta alla luce l’onnipresenza dell’ideologia capitalista. Con “realismo capitalista” Fisher intende “la sensazione diffusa che non solo il capitalismo sia l’unico sistema politico ed economico oggi percorribile, ma che sia impossibile anche solo immaginarne un’alternativa coerente”1.

La “cultura” dominante cavalca proprio questa onda, la quasi totalità dei contenuti che ci vengono proposti descrivono e immaginano un mondo consumistico e consumato. Dai notiziari, ai talk-show passando per serie tv, film e libri. Persino, quasi tutti i movimenti contro il capitalismo, si inseriscono in una dialettica sul capitale-lavoro e non vanno oltre, e, come dice Fisher, questa contrapposizione (apparente) è funzionale al sistema stesso.

Siamo immersi nella frenesia (e disperazione) più totale, siamo alienati da un mondo in costante accelerazione. Hartmut Rosa in “Accelerazione e alienazione”2 ce lo spiega: siamo in competizione sotto ogni aspetto, non solo sotto quello economico-professionale, ma anche personale e affettivo. Alla gara ora si è aggiunta anche “l’intelligenza artificiale”, è molto difficile, se non impossibile, stare al suo livello di “produttività”. Più cerchiamo di rimanere al passo, più ci trasformiamo in macchine. Più siamo affannati e di corsa, più perdiamo la capacità di immaginare che è proprio una di quelle caratteristiche che ci rende umani.

Decine di migliaia di anni fa, l’uomo disegnava sulle caverne varie scene di animali selvatici, uomini stilizzati e predatori pericolosi. Queste pitture rupestri avevano certamente una funzione propiziatoria, ma avevano anche una funzione narrativa. Tramite questi disegni l’uomo poteva immaginare e far immaginare ai suoi simili quello che sarebbe successo e come si sarebbero dovuti comportare il giorno dopo se avessero trovato davanti a loro una preda o un predatore. In quell’epoca, l’uomo inizia a immaginare.

Anche lo psicologo Erich Fromm, nel 1968, aveva inquadrato il problema, in “La rivoluzione della speranza”: “Molta gente, probabilmente la maggioranza, reagisce alla frustrazione delle sue speranze, adattandosi all’ottimismo medio che spera nel meglio senza preoccuparsi di ammettere che può realizzarsi non il bene ma anche il peggio. Fino a quando tutti gli altri cantano anche costoro cantano e invece di avvertire la loro disperazione sembrano prendere parte a una specie di concerto pop. Essi riducono le loro richieste a quello che possono ottenere e non sognano più quello che sembra impossibile da raggiungere. Si trovano a loro agio nel gregge e non sentono mai la disperazione perché nessun altro sembra sentirla. Rappresentano un particolare tipo di ottimismo rassegnato che riscontriamo in tanti individui che appartengono alla società occidentale contemporanea – ottimismo che di solito è conscio, al contrario della rassegnazione che è inconscia”3.

Come sottolinea il filosofo Byung-Chul Han, abbiamo bisogno di tornare a raccontare e raccontarci una storia, a ritrovare un senso uscendo dal ciclo distruttivo del produci-consuma, a immaginare (e quindi poi materializzare) un mondo fuori dal dominio dell’ideologia capitalistica. “Raccontare presuppone, di contro, un restare in ascolto e un’attenzione profonda. La comunità narrativa è una comunità i cui partecipanti restano in ascolto. Noi, però, perdiamo a vista d’occhio la pazienza necessaria per restare in ascolto, cioè la pazienza necessaria per raccontare”4.

Ascolto di cosa? Cosa dovremmo ascoltare? Prima di tutto la disperazione e la rassegnazione di cui parla Fromm, il nostro stato d’animo che cerca di emergere ma che cerchiamo, investendo molte energie, continuamente di seppellire svolgendo attività per lo più insensate. Ascoltare questa disperazione vuol dire guarire, liberare energie, trovare una profonda fonte di ispirazione. “Quest’uomo, se si vuole salvare, se vuole cominciare a guarire, e ad aiutare anche le persone che ha accanto a uscire dal buco nero in cui si sono ficcate per disperazione, deve rinunciare al suo occhio unilaterale, monomaniaco, produttivistico, ego-centrico e predatorio, per aprirsi a uno sguardo appunto più globale sull’esistenza, uno sguardo cioè che sappia tenere presente nelle scelte e nelle priorità, il tutto della vita, non solo gli aspetti economico-produttivi, ma anche quelli affettivi e relazionali, l’esigenza di senso e di silenzio, il bisogno di carezze e di preghiere. Solo un uomo e una donna che accettino di allargare alla complessità del tutto (personale e planetario) l’orizzonte del proprio pensiero, e cioè solo un uomo e una donna maggiormente unificati dentro di sé, potranno globalizzare anche il mondo, senza farsi e senza fare troppo male”5.

Siamo a un punto di rottura, ognuno di noi è chiamato ad ascoltarsi, a liberarsi dai condizionamenti, ad agire ispirato da un pensiero nuovo e autentico. Questo è quello che sto cercando di portare avanti con molta umiltà grazie a realtà come la Fondazione Darsi Pace ed il Movimento L’Indispensabile, ossia immaginare e favorire la nascita di una Nuova Umanità6. Mi piace immaginare che se Fisher avesse conosciuto i gruppi Darsi Pace non si sarebbe ucciso, ma avrebbe iniziato, con gioia, a percorrere quella strada che ha sempre indicato nei suoi scritti.


Bibliografia
  1. Mark Fisher, “Realismo capitalista”, Nero, p. 26; ↩︎
  2. Hartmut Rosa, “Accelerazione e alienazione”, Einaudi; ↩︎
  3. Erich Fromm, “La rivoluzione della speranza”, Mimesis, p. 27; ↩︎
  4. Byung-Chul Han, “La crisi della narrazione”, Einaudi, p. 11; ↩︎
  5. Marco Guzzi, “La nuova umanità”, Paoline, p. 25; ↩︎
  6. Carta della Nuova Umanità, https://cartadellanuovaumanita.it/. ↩︎
Pin It

Comments

Search Reset
0
Michele Castaldo
Friday, 18 July 2025 17:59
Carissimo compagno Paolo,
non me ne volere, ma Mark Fisher, nel suo REALISMO CAPITALISTA titola il primo capitolo:
"E' più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo".
Ora al capitalismo si può fare ogni critica valoriale che si vuole, e Mark Fisher la fa eccome se la fa, ma finisce col non cogliere il fattore centrale della questione, ovvero che si tratta di un moto storico e in quanto moto NON E' ETERNO ed è destinato ad esaurirsi e si sta esaurendo.
Sicché il messaggio che ne derivava dalla sua analisi era la logica che ne traeva, cioè suicidarsi.
Ora, di fronte a quanto sta avvenendo in medio Oriente nei confronti dei palestinesi stando alla tesi di Fisher, le masse arabo-islamiche che circondano lo Stato sionista di Israele dovrebbero organizzare un suicidio collettivo di milioni di persone, altro che "solo" del genocidio del popolo palestinese.
E invece in tutta l'Africa e in parte d'Asia c'è una Resistenza (una Resistenza Vera, non quella americana sul finire della Seconda guerra mondiale).
Come la mettiamo caro Paolo?
Michele Castaldo
Like Like Reply | Reply with quote | Quote

Add comment

Submit