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Scienza e dibattito sui virus
Non abbiamo titoli per entrare nei dibattiti scientifici. Tuttavia, normalmente dotati di buon senso, interessati alla ricerca della corretta informazione, stanchi di esaltazioni e demonizzazioni, crediamo giusto evidenziare le voci che si levano dal mondo scientifico nell’intento di andare alla radice di un problema: la definizione di virus in questo caso – una cosa non da poco, visto quanto accaduto negli ultimi due anni, ma tranquillamente potremmo dire negli ultimi decenni.
La scienza, come la storia, devono almeno ogni tanto avere il coraggio di mettere in discussione le proprie verità date per scontate, rivedendo se del caso le opinioni correnti: la scienza, quella vera, è sempre progredita così facendo. Il dibattito, a questo scopo, è essenziale. Drammaticamente pericoloso accusare di revisionismo quelli che la pensano diversamente: rivedere le opinioni correnti non può e non deve essere considerata una colpa. Altrimenti il principio della libertà di pensiero si dissolve.
Una delle opinione date per scontate è appunto che i virus siano entità indipendenti, dotate di proprie caratteristiche specifiche. Essi sono concepiti, dagli scienziati che hanno maggiore audience 1, come dei potenziali aggressori del corpo umano, come tali da combattere come può esserlo un nemico che invade uno Stato sovrano.
Una visione bellicista della medicina che è alla base anche delle strategie vaccinali di questi anni: tant’è che alla fine in Italia la loro messa in opera è stata affidata ad un alto ufficiale delle Forze Armate!
Ci sembra giusto dare quindi ampio spazio ad un punto di vista diverso: che ha il pregio tuttavia di non mettere solo in discussione la vulgata corrente, ma di suggerire una sperimentazione scientifica indipendente che la possa verificare, secondo l’impostazione galileiana (di cui troppo spesso la scienza si dimentica), coerente anche con i criteri a suo tempo enunciati da Robert Koch (anch’essi forse troppo spesso accantonati).
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Disagio psichico e democrazia
di Antonio Martone
Il disagio psichico ha raggiunto vette record nel mondo occidentale. Già negli Stati Uniti, punta di diamante del capitalismo consumistico globale e patria del consumismo, è considerata un’ “emergenza”, benché tutto sommato “normalizzata”, l’overdose da pain killer (farmaci antidolorifici su base oppioide). A questo, si aggiunge l’iperconsumo di psicofarmaci. Probabilmente, il fenomeno ancora più rilevante non si è ancora del tutto manifestato: riguarderà le dipendenze tecnologiche, la cui gravità sono le meno misurabili e anche le più sistemiche e, in quanto tale, difficili da affrontare.
Le cause sono tante e quelle politiche, sociali ed economiche sono ovviamente fondamentali. La ECity (città elettronica) globale è costantemente attiva nell’erodere lo spessore delle identità e potenziare la dimensione del precario e del contingente. I processi di sradicamento globali procedono senza sosta nella direzione di un iper-individualismo nel quale i vincenti sono pochi e i perdenti masse sterminate e, a volte, interi paesi. Non credo occorra sottolineare in quale misura la dimensione del precario e del contingente (o dell’eccezione elevata ormai a norma), e la logica della competizione neoliberista, possano incidere sulla coscienza dell’uomo e sui processi di formazione della personalità.
Peraltro, e rimanendo all’interno dei paesi occidentali, sembra che la situazione sia fuori controllo anche per professionisti e benestanti. Non è certo che le persone si rendano conto dello sforzo psicofisico necessario per correre verso standard professionali che permettano di stare sul mercato. La verità è che questa nuova schiavitù sta producendo dei veri e propri disastri psichici.
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«I figli della crisi». Studenti e scuola al tempo della guerra
di Gigi Roggero
Il filo rosso che abbiamo seguito, il punto di vista che abbiamo voluto costruire.
Con la prima presentazione che abbiamo organizzato, (Transizione ecologica e territorio: quale futuro per Modena?, 11 dicembre 2021) volevamo capire come sarebbe cambiato, dopo la pandemia, l’uso capitalistico del nostro territorio, Modena e l’Emilia, attraverso il Pnrr, il piano di investimenti europeo che grossomodo è stato presentato come un nuovo New Deal. Non ci siamo limitati a statistiche sull’occupazione, ma abbiamo cercato di anticipare delle traiettorie, per esempio guardando a quello che gravita intorno alla “transizione ecologica”, vale a dire il passaggio, la ristrutturazione, verso un certo tipo di produzione e ai suoi effetti per il nostro territorio: è da poco l’approvazione di una direttiva dell’Unione Europea che fissa nel 2035 la data dell’ultimo anno in cui verranno prodotti motori a combustione interna, e immaginate cosa può voler dire per una zona come la nostra, denominata Motor Valley, in cui si costruiscono automobili, veicoli e soprattutto componentistica. Ecco, quel sabato avevamo provato a ipotizzare come potrebbe cambiare il nostro territorio soprattutto per chi lo abita, chi ci lavora, chi ci vive.
Con il secondo incontro (Dentro e contro il «modello Emilia», 5 marzo 2022) siamo passati invece dal presente alla storia del “modello emiliano”, delineando quali sono stati i processi che hanno portato Modena e l’Emilia a quello che sono oggi. Nel ripercorrere i punti nodali dal dopoguerra, passando ovviamente per gli anni Sessanta e Settanta, abbiamo riletto quelle traiettorie alla luce delle lotte operaie e studentesche, in particolare quelle impulsate dall’operaismo e dagli operaisti locali poi divenuti Potere Operaio, che hanno interessato la nostra città e tutta la provincia in un modo inedito.
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Rivoluzione e Partito comunista
di Renato Caputo (Collettivo La Città Futura)
Perché non si può realizzare il fine senza il mezzo indispensabile alla sua realizzazione, né il mezzo è effettivamente tale senza il fine al quale è necessario
Come è nota la scienza politica moderna si fonda sul pensiero di Machiavelli, al centro del quale vi è la radicata convinzione che un grande obiettivo divenga praticabile – non rimanendo una mera utopia – solo nel momento in cui si individuano e si mettano a frutto i mezzi indispensabili alla realizzazione di tale grande ideale. Nella nostra epoca quest’ultimo, naturalmente, non consiste più nella fondazione di un moderno e unitario Stato nazionale – grande obiettivo e ideale storico dell’epoca di Machiavelli – ma nella realizzazione di uno Stato socialista quale necessaria e indispensabile fase storica di transizione da una società capitalista e/o imperialista a una società comunista. Per poter seriamente e conseguentemente operate in funzione di questo grande ideale e renderlo praticabile necessariamente abbiamo oggi bisogno – come peraltro ci insegna già Gramsci – di un mezzo indispensabile, cioè di quello che il più significativo marxista e comunista italiano definiva il “moderno principe”. In effetti, come argomenta già Gramsci, suffragando la propria tesi con una grande raccolta di dati e di esempi storici, nella nostra epoca il soggetto rivoluzionario non può più essere un grande personaggio storico universale, come il Principe, ma un soggetto collettivo, cioè il partito politico effettivamente rivoluzionario, il partito comunista.
Non a caso la prima grande battaglia politica condotta da Marx e da Engels è stata volta a trasformare la Lega dei giusti nella Lega dei comunisti e la loro prima grande opera teorica della maturità ha portato alla realizzazione di un efficacissimo strumento, indispensabile al passaggio dal socialismo utopistico al socialismo scientifico, cioè la realizzazione di un grande Manifesto del partito comunista.
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La crisi, la finanza creativa e le leggi della fisica
di Noi non abbiamo patria
È sempre una questione di fisica e di strumenti di misura. Se poi lo strumento della misura, un elemento prodotto dall’uomo, che deve cercare di perfezionare per necessità, si distingue tra i popoli in diverse unità di misura, non muta la sostanza e non muta il rapporto con le leggi della fisica: lo strumento della misura deve poter rappresentare grandezze che esistono in natura secondo il suo ordine di spazio e di tempo. Tanto più l’azione dell’uomo lo costringe a comparare lo spazio ed il tempo in estensione, lo strumento di misura deve affinarsi, puó entrare in crisi, ma non puó sovvertire le leggi della fisica. Semmai l’uomo è costretto a specializzare le operazioni di calcolo attraverso sistemi numerici più complessi, ma sempre essi stessi sono rappresentativi della fisica come essenza della natura in termini di spazio e di tempo.
Oro, moneta e denaro, Bretton Woods, parità oro dollaro, sganciamento del dollaro dall’oro, e ora deglobalizzazione, dedollarizzazione dell’economia non sono nient’altro un momento della crisi tra quantità fisiche da comparare e lo strumento della misura. A tirare le fila della deglobalizzazione e dedollarizzazione dell’Economia, come ho sempre sostenuto, non sono i paesi nemici e concorrenti del dollaro, bensì gli Stati Uniti d’America stessi, rimettendo al centro il possesso delle materie prime sopra il dollaro, l’imperialismo neocoloniale milatare e della finanza sopra l’imperialismo basato solo sulla finanza e il monopolio.
“L’eredità dell’America come potenza dominante mondiale nell’industria dei semiconduttori è incisa nel nome del suo hub tecnologico più famoso, la Silicon Valley. Nel corso dei decenni, tuttavia, l’arte di realizzare microchip con wafer di silicio è diventata un’impresa davvero globale.
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Lo spettro del conflitto termonucleare globale durante la Guerra fredda
di Roberto Paura*
Una rassegna storica e tecnica delle previsioni, le strategie e le minacce degli anni in cui l’impensabile è stato pensato
Nel luglio 1985, in risposta a un colpo di stato promosso dai sovietici a Belgrado, le forze americane invadono la Jugoslavia. In Unione Sovietica il Politburo – che vede la sua sfera d’influenza scricchiolare dopo che la Corea del Nord e il Vietnam hanno intrapreso processi di liberalizzazione e i paesi del Patto di Varsavia sono squassati da movimenti di protesta – decide di rispondere mobilitando l’Armata Rossa e invadendo l’Europa attraverso la Germania ovest, la Norvegia e la Turchia. Ben presto, tuttavia, la forza d’invasione convenzionale si scontra con una dura opposizione e i sovietici non riescono a spingersi oltre l’occupazione dei Paesi Bassi. Frustrata dallo stallo, Mosca lancia un attacco nucleare su Birmingham, a cui gli americani rispondono distruggendo Minsk. Poco dopo, un colpo di stato da parte dei nazionalisti ucraini rovescia il governo sovietico e mette fine alla guerra.
Nel 1988 invece, per prevenire il dispiegamento di una rete intelligenti di satelliti anti-missili balistici in orbita da parte degli Stati Uniti, l’Unione Sovietica fa esplodere sei bombe atomiche sopra i cieli americani, mettendone a tappeto le apparecchiature elettroniche. Prima che il suo aereo precipiti, il presidente statunitense riesce a dare l’ordine di una rappresaglia massiccia che distrugge le principali città sovietiche, inclusa Mosca. L’URSS reagisce con un altro lancio di missili balistici che spazza via le principali città della costa est, tra cui Washington e New York. Al termine di questo devastante scambio, durato appena 36 minuti, le vittime si contano in decine di milioni, mentre i paesi europei decidono di dichiarare la neutralità sulla base di un accordo segreto precedentemente siglato da Francia, Regno Unito e Germania ovest: la loro scelta mette fine all’escalation nucleare.
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Proletari e dominio di classe
di Carlo Di Mascio
Nikolai Alexandrovic,
si trova da me il compagno Ivan Afanasevic Cekunov, un contadino assai interessante, che propaganda a modo suo i principi del comunismo. Egli ha perso gli occhiali e ha pagato 15 mila rubli per una porcheria! Non lo si potrebbe aiutare a trovare dei buoni occhiali? Vi prego molto di aiutarlo e di pregare il vostro segretario di comunicarmi se ci siete riuscito.
Lenin, Al compagno Semascko
I
Lenin, in modo estremamente chiaro, affermava che in una società fondata sulla lotta di classe, in cui esistono dominanti e dominati, non può esistere una scienza imparziale, per cui anche la filosofia, che mira a giustificare e a ricucire il vecchio con il nuovo in funzione di un ordine minacciato1, destinata cioè a servire o a sfruttare le pratiche scientifiche, come sottolineava Althusser, non può in definitiva che rappresentare istanze di parte2. Si tratta quindi di schierarsi, di prendere posizione a favore o contro qualcosa o qualcuno, si tratta in buona sostanza di demistificare chi pretende di costruire ideologicamente la realtà per un obiettivo di classe, soprattutto quando questo obiettivo è finalizzato a controllare la conflittualità sociale e ad implementare massivamente il rapporto tra chi sfrutta e chi è sfruttato.
Il dominio di classe, dunque, quando si sente minacciato si difende, e per farlo ricorre ad ogni accorgimento, sapendo che tutto deve in ogni caso svolgersi all’interno dell’organizzazione del capitale che non è altro che organizzazione della società, sicché il suo sistema ideologico, filosofico e burocratico-giudiziario, non rappresenta altro che la condizione essenziale della dialettica dello sviluppo capitalistico-borghese, la quale si dipana violentemente tra imposizione al lavoro e riproduzione sociale del rapporto di sfruttamento.
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Morto un Draghi, se ne farà un altro?
di Vladimiro Merlin
Stiamo parlando, ovviamente, di una morte politica. In questa morte, come per Giulio Cesare, le coltellate sono venute da molte parti e da molti “figliocci” del ex premier.
Da molti suoi seguaci che, fino al giorno prima, lo esaltavano e lo adulavano.
SuperMario era il nuovo “uomo della provvidenza”, l’italiano più “prestigioso” a livello internazionale, l’unico che poteva portare l’Italia fuori dalla crisi sanitaria, economica, ecc. le adulazioni di molti leader politici e di quasi tutti i media erano persino imbarazzanti, non si erano mai viste, in quei termini, nella storia della Repubblica; bisogna tornare agli “imperi” per trovarne di analoghe, da quello del ventennio del ‘900 a quelli più antichi.
Ma appena si è aperto uno spiraglio, una possibilità, è stato subito liquidato.
Più che ironica è ridicola questa situazione se si pensa che poco tempo fa, quando è stato rieletto Presidente della Repubblica Mattarella, quasi contro la sua volontà, nonostante la disponibilità avanzata dallo stesso Draghi, si è sostenuto che non si poteva eleggere Draghi perché era “indispensabile” come Presidente del Consiglio.
Noi non siamo certo tra quelli che si strappano i capelli per la fine prematura di superMario, anzi, ne siamo felici, vista non solo la sua “carriera” precedente ma anche quanto ha fatto, e quanto non ha fatto, da Presidente del Consiglio.
Tra i suoi assassini c’è lo stesso Draghi, quando ha deciso di far scattare un attacco pesante volto alla distruzione del M5S.
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Armi letali / 3: A cercar la bella morte
di Sandro Moiso
Dedicato a tutti i giovani che hanno meravigliosamente animato il festival Alta Felicità a Venaus dal 29 al 31 luglio
«La resa per noi è inaccettabile, non avremmo grandi possibilità di sopravvivere se venissimo catturati. I nemici vogliono distruggere gli ucraini, per noi è chiarissimo. Noi siamo consapevoli che potremmo morire in qualsiasi momento, stiamo provando a vivere con onore. I nostri contatti con il mondo esterno potrebbero essere sempre gli ultimi. Siamo accerchiati, non possiamo andare via, in nessuna direzione. Abbiamo rinunciato alle priorità della difesa personale. Non sprecate i nostri sforzi perché stiamo difendendo il mondo libero a un prezzo molto alto». (capitano Svyatoslav Kalina Palamar, vice comandante del battaglione Azov).
«Scappare è da codardi. Non possiamo fermarci e trattare, il nostro obiettivo è fermare la minaccia russa: stiamo lottando non solo per l’Ucraina ma per il mondo libero… La debole reazione del mondo è uno dei motivi per cui siamo ancora qui. L’Ucraina è lo scudo dell’Europa, lo è stata negli ultimi due secoli. Abbiamo lottato contro le invasioni nei tempi passati, adesso è un’altra storia. Lottiamo da soli da quasi due mesi e mezzo, abbiamo ancora acqua, munizioni e armi. I soldati mangiano una volta al giorno, ma continueremo a lottare». (Denis ‘Radis’ Prokopenko, comandante del battaglione Azov)
“I nostri militari in un certo senso stanno ripetendo quello che ha fatto Gesù Cristo, sacrificando la propria vita per il prossimo, per i figli, per la propria gente e difendendo la loro terra dall’aggressore. Per questo consacro le loro armi, perché le usino per riprendersi la nostra terra benedetta da Dio”. (Mykola Medynskyy, cappellano militare ucraino membro del partito Pravyj Sektor)
La saga di Azovstal è terminata ormai da tempo. Il sacrificio in stile Götterdämmerung (crepuscolo degli dei) auspicato in un primo tempo da Zelensky e dal suo governo non c’è stato (forse anche per le proteste dei famigliari dei combattenti là asserragliati) e i russi sono stati abbastanza saggi da non trucidarne i difensori sotto gli occhi di tutto il mondo.
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Che cosa preannuncia la ripresa dell’inflazione?
di Claudio Gnesutta
Da dove viene il ritorno dell’inflazione e che politiche sono possibili? Un confronto con gli anni Ottanta, sui prezzi delle materie prime, instabilità internazionale, conflitti, ristrutturazione produttiva. E sull’antica questione del contenimento dei salari
Da un po’ di tempo serpeggia sulla stampa quotidiana, non solo su quella economica, l’apprensione per la crescita dei prezzi, dell’inflazione. La possibilità che la pressione inflattiva possa acuirsi e, radicandosi in una spirale prezzi-salari, passare «da un regime di bassa inflazione a un regime di alta inflazione» è esplicitamente considerato nel recente Rapporto annuale della Banca dei Regolamenti internazionali (BIS, No Respite, Annual Economic Report, June 2022, https://www.bis.org/about/areport/areport2022.pdf). Sono considerazioni stimolate dallo shock subito dal prezzo del gas e da quello del grano in seguito alla guerra in Ucraina.
La tendenza all’aumento dei prezzi delle materie prime, soprattutto di quelle legate all’energia, non sembra però dipendere da motivi contingenti; essa è latente nel sistema globale da diversi anni e, oltre a interessare le granaglie (frumento, riso, soia ecc.) come ricordano le ricorrenti crisi alimentari dei paesi più poveri, riguardano molte materie prime (oltre a quelle energetiche, il rame, litio, cobalto, nickel…) la cui domanda, crescente con la crescita della produzione mondiale (e per le necessità della transizione energetica), tende a eccedere un’offerta insufficiente per i colli di bottiglia nella catena globale dell’approvvigionamento, per le sanzioni e correlate restrizioni, per l’accumulo di scorte strategiche da parte dei paesi manifatturieri. L’impatto di un costante aumento di tali prezzi sul costo dei manufatti, assieme al perdurare di una situazione di incertezza produttiva (a causa del Covid e della guerra in Ucraina), sembra consolidare una prospettiva – come ricorda il citato Rapporto – del formarsi di una situazione in cui la stagnazione produttiva convive con un’inflazione monetaria richiama alla mente quella sperimentata a livello globale negli anni Ottanta.
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Marco Gatto, Fredric Jameson
di Roberto Finelli
Marco Gatto, Fredric Jameson, Roma, Futura Editrice, 2022
I. Un modo originale di ripensare la dialettica
Non deve sorprendere il fatto che Marco Gatto, uno dei nostri migliori studiosi di critica letteraria e di teoria della letteratura, abbia sentito la necessità di ritornare con un testo completamente nuovo (Fredric Jameson, munito di una prefazione dello stesso Jameson) sulla figura dell’intellettuale americano, cui aveva già dedicato un volume nel 2008, Fredric Jameson. Neomarximo, dialettica e teoria della letteratura, edito da Rubbettino. Non deve stupire perché, benché già il testo precedente contenesse un’esposizione accurata ed esauriente di un autore assi poco presente nella cultura italiana, Gatto dopo quindici anni deve aver avvertito una maggiore capacità da parte sua di possedere e stringere la tematica assai varia e complessa di un autore che si diffonde nei più vari campi del sapere estetico-letterario e teorico-politico, qual è Jameson. Avvertendo nello stesso tempo la necessità di restituire al lettore con maggiore sistematicità e chiarezza teorica la lunga e multiforme attività di quello che, al di là della produzione ancora in atto, è stato senza dubbio il teorico marxista più influente del secondo Novecento.
Non che un intellettuale dello spessore di David Harvey non possa non essere considerato anch’egli come l’altro teorico di maggiore profondità speculativa e di maggiore sistematicità nell’ambito del marxismo dell’ultimo cinquantennio. Ma la peculiarità tutta propria di Jameson rispetto alla pari grandezza del sociologo e geografo britannico si connota per aver trattato, per tutta la sua vita, non la materialità della struttura e della produzione economica, quanto invece i termini in cui un modo sociale di produzione vive attraverso la produzione della cultura e dell’immaginario, attraverso cioè la diffusione e la generalizzazione del cosiddetto simbolico, con un’attenzione peculiare rivolta essenzialmente, ma non solo, ai manufatti estetici e letterari.
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Scuola, la vera emergenza italiana
di Gaetano Sinatti
In Italia si erogano mediamente in un anno scolastico 990 ore per alunno della scuola dell’obbligo. Il totale di ore lungo tutto il percorso è tra i più alti al mondo. Lo stesso vale per la durata dell’anno scolastico: l’Italia – con 200 giorni di lezioni per le scuole elementari, medie e superiori – è il Paese col maggior numero di giorni di scuola in tutta Europa, alla pari con la Danimarca.
Invece, l’abbandono scolastico in Italia è al 13,1% nel 2020 – vale a dire che in media più di 10 ragazzi su 100 lasciano la scuola. Situazione peggiore in Europa la troviamo solo a Malta (16,7%), in Spagna (16%) e in Romania (15,6%). In termini di business potremmo dire quindi che, a fronte di un servizio labour intensive, la “clientela” della scuola è sempre più disaffezionata.
Quanto agli insegnanti, essi hanno perso il loro residuo prestigio professionale e, invece di educatori e portatori di conoscenza da ascoltare con rispetto, sono sempre più considerati degli impiegati pubblici poco produttivi. Nonostante il fatto che il loro impegno contrattualmente prescritto non si esaurisca nelle 36 ore settimanali: la didattica, per gli insegnanti coscienziosi, non finisce né in classe né a scuola, ma si prolunga a casa e spesso anche nel fine settimana.
Il tutto in un quadro di soffocanti adempimenti burocratici, che mediamente portano sul tavolo di un docente almeno una circolare al giorno: da leggere, interpretare, applicare. Oltre ovviamente alle email con cui oramai si comunica in qualsiasi ambiente di lavoro.
In media ogni insegnante si trova 20,34 alunni per classe, nonostante in termini assoluti gli studenti di tutti gli ordini scolastici siano andati diminuendo dai 7.714.557 dell’anno scolastico 2005-2006 ai 7.507.484 del 2019-2020.
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Sulla determinazione del valore dei beni capitali in un’economia moderna
di Andrea Pannone
Il tema affrontato in questo scritto può sembrare astratto e di appannaggio riservato ai soli specialisti. In realtà, quello della valutazione dei beni capitali è un aspetto estremamente problematico sin dagli inizi della storia del pensiero economico e costituisce, più o meno esplicitamente, un fattore discriminante di tutte le teorie del valore.
Senza la minima pretesa di esaustività, nelle pagine seguenti procederemo come segue:
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forniremo brevissimi cenni su come le varie scuole economiche abbiano affrontato nel tempo il problema della valutazione dei beni capitali.
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forniremo gli elementi di un approccio alternativo alla determinazione del valore dei beni di capitale. Tale approccio, oltre a permettere di superare (almeno alcuni de)i principali limiti degli approcci esistenti in letteratura, risulta estremamente coerente con importanti aspetti dell’evoluzione tecnologica e finanziaria delle economie moderne.
La valutazione dei beni capitali lungo la storia del pensiero economico: alcuni cenni
Come ci ricorda Giorgio Gattei (2003), ad esempio, ai fini della validità della ‘legge’ del valore- lavoro – ossia del principio di origine Smithiana secondo cui le merci si scambiano sul mercato in base al rapporto tra le quantità di lavoro necessarie a produrle - è anche implicitamente richiesta l’ipotesi che nei processi produttivi delle due merci non venga impiegato alcun bene capitale. In caso contrario, anche la presenza di un solo bene capitale non consentirebbe più la semplificazione del valore di scambio al rapporto dei lavori contenuti.
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Come l’IPCC contraddice, per viltà, sé stesso
di Il Pungolo Rosso
La prima bozza metteva in guardia rispetto agli “interessi costituiti”. Questo passaggio, che appare nella relazione, è venuto meno nella sintesi finale, vittima di quegli stessi interessi costituiti – gli interessi del capitale
Ci sono due versioni dell’ultimo rapporto IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) sul cambiamento climatico: la prima, una bozza trapelata nell’estate 2021, più radicale, basata sulla realtà dei fatti – che abbiamo a suo tempo presentato; la seconda, quella ufficiale, più edulcorata. E non è tutto: anche nella versione formale, le 2.900 pagine del rapporto hanno un tono molto diverso dalla sintesi ad uso e consumo di Policymarkers e managers, una sintesi negoziata (proprio così) con gli stessi responsabili e dirigenti governativi e del grande capitale. Premettendo alcune considerazioni, riprendiamo da Climate&Capitalism (che ha a sua volta attinto a CTXT – Contexto y Acción) un’analisi accurata, compiuta da alcuni scienziati, del lavoro di censura operato dagli interessi dominanti sul rapporto sintetico IPCC; potete leggerla in traduzione.
Quando la “scienza” è costretta a fare i conti con il modello sociale esistente, qualcosa della realtà inevitabilmente trapela: nel rapporto, ad esempio, si denunciano gli “interessi costituiti” che si oppongono ferocemente alle misure che si dovrebbero adottare per salvare il pianeta o – meglio – la vita così come la conosciamo. Senonché questa denuncia scompare nella sintesi negoziata proprio con gli stessi interessi costituiti che andrebbero attaccati, e che al di fuori delle formule ingessate delle pubblicazioni scientifiche, sono individuabili senza margini di incertezza con le lobby dei fossili, e più in generale con le grandi forze del capitalismo che spingono sull’acceleratore per continuare indisturbate ad accrescere indefinitamente la produzione di merci e servizi, e con essa la produzione di emissioni climalteranti.
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Di caos in caos
di Michele Castaldo
La crisi del governo di “unità nazionale”, diretto dall’uomo della provvidenza, il banchiere Draghi, in piena estate, mostra non il fallimento della politica come vogliono sostenere la gran parte dei commentatori e degli intellettuali. No, è la crisi di un modo di produzione in crisi, ovvero di interessi di più classi in contrasto fra loro e in ognuna di esse, perché si vanno sempre più riducendo i margini del mercato.
All’orizzonte: il costo delle materie prime che determinano addirittura le alleanze storiche internazionali; la necessità di far fronte dando un impulso alle grandi aziende per renderle competitive e le ricadute di questo processo sui settori destinati perciò ad essere falcidiati: i taxisti per la Uber, le 50.000 imprese a rischio di chiusura, la revisione dei contratti dei beni demaniali. Si tratta di interessi economici che stridono fra loro e ne fanno le spese i partiti che si candidano a rappresentarli. Si provi solo a immaginare quale somma occorrerebbe per 50.000 mila imprese sull’orlo del fallimento, che Giuseppe Conte, per un verso, e Salvini per il versante del nord, vorrebbero salvare. E sotto accusa cosa è se non il reddito di cittadinanza?
All’interno dell’attuale caos dei partiti e dei vari raggruppamenti politici si segnala, in controtendenza, una crescita continua del partito di estrema destra della signora Giorgia Meloni, che viene visto come il fumo negli occhi dai democratici e dalla sinistra. E proprio coll’approssimarsi del centenario della Marcia su Roma del 28 ottobre del 1922, il partito Fratelli d’Italia, il partito dei patrioti, come lo definisce la Meloni, potrebbe festeggiare quel centenario con la nomina se non addirittura il giuramento di un nuovo governo della Repubblica Italiana nata dalla Resistenza. Insomma la Storia, quella vera, gioca sempre brutti scherzi agli uomini che pensano di dirigerla.
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Senza partito comunista non c’è rivoluzione
di Alessandro Testa
"Senza un’avanguardia che operi per sostenere la classe nel suo faticoso cammino verso l’acquisizione di una sua coscienza propria e quindi, verso la comprensione dei suoi reali interessi e finalmente verso una lotta senza quartiere contro l’inumano e alienante modo di produzione capitalistico e contro le sue sovrastrutture – Stato, modelli sociali, cultura (o meglio “dis-cultura”) – di quale rivoluzione si potrebbe mai sognare?"
Riprendiamo in queste brevi note alcune delle riflessioni, di grande profondità teorica e importanza pratica, poste dal compagno Valentini, proponendoci di chiosarle con qualche commento che possa, nello spirito di franchezza dialettica propria della discussione ideologica marxista leninista, esaminarne la portata ed eventualmente sottolinearne eventuali criticità o punti meritevoli di approfondimento.
Valentini pone sin dall’inizio una considerazione forte e piuttosto tranchant: a suo avviso più che di comunismo bisognerebbe – in questa fase storica – parlare piuttosto di rivoluzione. Il suo incipit, forte e deciso, è questo:
“Quando sostengo la necessità di un nuovo soggetto politico per l’Italia e per l’Europa non ripropongo la questione comunista, anzi uso raramente la parola comunista e solo in occasione di riferimenti storici. Sono fermamente convinto che non è tramite il rilancio di un movimento comunista che si possa uscire dalla situazione di subalternità al pensiero liberale”.
Come tutti gli intellettuali di vaglia, Valentini supporta la sua idea con dovizia di riflessioni e puntuali citazioni di Marx, Engels e altri giganti del pensiero comunista, citazioni che per non dilungarci non riportiamo qui, rimandandovi alla lettura del saggio integrale del compagno, pubblicato in un precedente numero di Cumpanis.
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Imperialismo e sottoconsumo in Sweezy e Baran
di Bollettino Culturale
Paul Sweezy, un marxista americano di grande importanza nel XX secolo, ha collaborato lungamente con Paul Baran, un marxista nato nell'ex impero russo, con l'obiettivo di evidenziare l'unicità dell'economia mondiale sotto la direzione del capitalismo monopolistico, nonché la centralità della categoria “surplus economico” come spiegazione delle crisi. Sweezy, ancor prima della sua collaborazione con Baran, stava già cercando di approfondire, con maggiore attenzione, il problema del mismatch tra produzione e realizzazione di merci nella sua opera più nota “Theory of Capitalist Development”, pubblicata negli anni ‘40. In questo opuscolo, Sweezy ha sottolineato che Marx non ha dedicato un'analisi del sottoconsumo nella produzione capitalistica, concentrando la sua attenzione sull'ambito della produzione in situ. Il cuore dell'analisi di Sweezy è il processo di circolazione del capitale, secondario ai cambiamenti nella composizione organica del capitale come principale fattore scatenante della crisi.
Sweezy ha evidenziato che il sottoconsumo esercita un'influenza preponderante sulle dinamiche dell'economia mondiale, essendo una dimensione inscindibile del funzionamento del capitalismo che contribuisce a due distinti sviluppi: crisi e stagnazione. La crisi deriverebbe dall'offerta aggiuntiva di beni di consumo al mercato, ovvero dallo squilibrio tra offerta potenziale e domanda di consumo potenziale, determinando una riduzione della capacità produttiva aggiuntiva. La stagnazione deriverebbe dall'incapacità del mercato di assorbire il volume potenziale dei beni di consumo. A proposito di quest'ultimo punto, Sweezy ha affermato che, poiché il capitalismo presenta sempre una capacità produttiva potenziale che viene utilizzata raramente, pena la sofferenza del sottoconsumo, il suo ritmo normale è quello della stagnazione.
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Che cosa significa destra politica?
di Giacomo Croci*
Una riflessione a partire da Cultura di destra e società di massa. Europa 1870-1939 di Mimmo Cangiano
È un dato registrato da ormai qualche anno la reviviscenza in Europa, o almeno in Europa, della cosiddetta cultura di destra, su ampia scala, partitica e non. Piuttosto, ancora meglio che cosiddetta: di una cultura che si comprende, si identifica, si vuole e si proclama di destra. La rivendicazione è spesso netta, totemica quasi. La nettezza delle identificazioni, che sembra caratterizzare questi anni, pare però allo stesso tempo contraddire un altro elemento, che si è fatto sempre più preponderante nel dibattito pubblico, su quotidiani e social media: l’impazzimento della bussola ideologica. Da Alessandra Mussolini che si candida madrina del pride a testate del sedicente centro-sinistra che si lanciano nella più sperticata propaganda contro le più minime iniziative di welfare. È come se avessimo a che fare con due fenomeni: per un verso auto-identificazioni pietrificate, come se fossero certe di ciò che sono (una tendenza a oggi troppo spesso purtroppo condivisa da tutto il discorso politico); per l’altro lo smarrimento, tradito anche da questa pietrificazione, che di fronte a fenomeni storici, sociali, economici, anche naturali come una pandemia, non sa che pesci pigliare e dà luogo a risultati ideologicamente curiosi. La questione è ormai particolarmente spigolosa. Che cosa significa orientarsi nello spazio politico? E che cosa significa adoperare le due categorie di destra e di sinistra per farlo?
È un modo di ragionare diffuso quello che consiste nello spiegarsi gli eventi e le cose considerandone innanzitutto la provenienza e le cause. Si spiegano i comportamenti delle persone considerandone il vissuto; si spiegano gli eventi naturali identificandone le condizioni e le leggi che sembrano di prevedere con maggior affidabilità quali condizioni risultano in quali risultati e come.
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Questione comunista o questione della rivoluzione in Occidente?
di Sandro Valentini
A partire da questo intervento inviatoci dal compagno Alessandro Valentini, apriamo un dibattito sulla fase attuale del movimento comunista in Italia e il ruolo del Partito Comunista
Comunista o rivoluzionario?
Quando sostengo la necessità di un nuovo soggetto politico per l’Italia e per l’Europa non ripropongo la questione comunista, anzi uso raramente la parola comunista e solo in occasione di riferimenti storici. Sono fermamente convinto che non è tramite il rilancio di un movimento comunista che si possa uscire dalla situazione di subalternità al pensiero liberale. Non è che non consideri le esperienze in cui i comunisti svolgono un ruolo importante, decisivo, strategico. Per esempio in Cina, in Russia, in Vietnam, a Cuba e in altri paesi, ma non è un caso che queste esperienze, tolte delle eccezioni, siano vive, influenti, contino in paesi non occidentali e siano espressione di complessi processi storici, che piaccia o no, si riflettono e pesano nello scenario internazionale.
D’altronde occorre avere in mente la storia. Lenin trasforma la fazione bolscevica del Partito socialdemocratico russo in Partito comunista e fonda sulla spinta dell’Ottobre l’Internazionale perché è certo del trionfo anche in Occidente, nel breve periodo, della rivoluzione. I partiti comunisti non nascono dunque per condurre una battaglia di lunga lena, non era questa la prospettiva indicata dai comunisti russi, ma per fare da subito la rivoluzione in quanto imminente. I partiti comunisti, solo alcuni anni dopo la loro nascita, che tra l’altro coinciderà con la loro sconfitta in Europa, cercheranno – e solo pochi ci riusciranno – di riorganizzarsi per darsi una politica di lungo respiro, che avrebbe dovuto tenere conto del ripiegamento del Pcus, con Stalin, sul socialismo in un solo paese.
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La difesa della natura: Resistere alla finanziarizzazione della Terra
di John Bellamy Foster
Questo lungo post è la traduzione di un breve saggio (qui l’originale in inglese) del sociologo americano John Bellamy Foster pubblicato sulla rivista Montly Review. Nei giorno in cui la maggioranza Draghi senza Draghi approva in Commissione il disegno di legge sulla concorrenza e apre alla concorrenza privata internazionale spiagge, acqua e quant’altro, è bene contestualizzare ciò che accade in questa nostra provincia dell’impero con quello che si progetta nel cuore del potere dell’impero basato sull’alleanza tra grande finanza anglosassone e Stato profondo americano
Il 28 ottobre 2021, i leader politici dello Stato malese di Sabah, sull’isola del Borneo, hanno firmato un accordo con la società di comodo di Singapore Hoch Standard, all’insaputa delle comunità indigene, che conferisce alla società il titolo per la gestione e la commercializzazione di “capitale naturale/servizi ecosistemici” su due milioni di ettari di un ecosistema forestale per cento o duecento anni. Sebbene la natura completa dell’accordo non sia stata divulgata, le indagini giornalistiche e la causa intentata da Adrian Lasimbang, un leader indigeno del Borneo malese, hanno rivelato che l’accordo di conservazione della natura ha permesso a Hoch Standard (una holding con due funzionari e un capitale versato dagli azionisti di soli 1.000 dollari americani, ma sostenuta da investitori privati multimiliardari non rivelati) di acquisire diritti commerciali sul capitale naturale dell’ecosistema forestale del Sabah. Le entrate derivanti dai diritti sui servizi ecosistemici, come l’approvvigionamento idrico, il sequestro del carbonio, la silvicoltura sostenibile e la conservazione della biodiversità, nel corso del prossimo secolo sono state stimate in circa 80 miliardi di dollari, di cui il 30%, ovvero 24 miliardi di dollari, andranno alla Hoch Standard. È stato stabilito che il governo del Sabah non può recedere dall’accordo, mentre Hoch Standard può vendere i suoi diritti sul capitale naturale della foresta del Sabah ad altri investitori senza il consenso del governo.
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La Bce detta le condizioni anti-spread per garantire il debito italiano: la Troika si avvicina
di Enrico Grazzini
Iniziano a essere chiari gli effetti delle decisioni della Bce di acquistare titoli pubblici (e alzare i tassi di interesse) e della Commissione di imporre ai governi il rientro dai debiti e dai deficit fiscali
L’inflazione alza la testa in tutto il mondo e la Banca Centrale Europea e la Commissione Europea rispondono inaugurando politiche monetarie e fiscali restrittive: la Bce da questo luglio cessa di acquistare titoli pubblici e alza i tassi di interesse; e la Commissione impone ai governi di rientrare ancora più rapidamente di prima dai debiti e dai deficit pubblici. Anche perché la Bce smette di finanziarli e quindi il loro costo aumenta. Per contrastare il caro-prezzi i due principali organismi dell’Unione Europea di fatto aggraveranno la crisi, freneranno la ripresa economica post-Covid del vecchio continente provocando più disoccupazione, migliaia di fallimenti e povertà.
L’aumento del tasso centrale di interesse deciso dalla BCE comporta che il credito diventerà più caro: le famiglie pagheranno di più per i mutui e le aziende pagheranno di più per i prestiti necessari per gli investimenti. L’economia verrà rallentata e quindi diventerà ancora più difficile pagare i debiti pregressi. Ci risiamo con l’austerità, questa volta nel nome della lotta all’inflazione. Però il fortissimo aumento del costo del petrolio, del gas e dei cereali, certamente non si cura strozzando il credito e la spesa pubblica perché è provocato dall’invasione russa dell’Ucraina e dai lockdown decisi in Cina dal governo contro la risorgenza del Coronavirus. I problemi del caro-prezzi dipendono quindi esclusivamente dalla carente disponibilità di materie energetiche causata dalla guerra in Ucraina e dai problemi produttivi della Cina, la fabbrica del mondo: anche un bambino comprende che in questo contesto frenare la spesa pubblica e il credito non solo non risolve nulla ma è controproducente.
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Fed e BCE nel vicolo cieco della politica monetaria
di Tomasz Konicz
Breve storia delle aporie della politica di crisi borghese nella transizione dell'economia mondiale dalla crisi pandemica alla crisi bellica
Dalla pandemie alla guerra, l'economia mondiale non ha più pace. Sul suo sito web, "Tagesschau" vede addirittura l'economia mondiale minacciata da «crisi multiple».[*1] Ma è proprio nel momento in cui si parla delle conseguenze economiche di quella che appare come una rapida erosione del sistema mondiale capitalistico, che va ora posta la questione se abbia davvero ancora senso parlare di una crisi economica pandemica o di una crisi economica relativa alla guerra, o se invece non sia più appropriato comprendere gli shock economici susseguenti come le fasi di un unico e stesso processo di crisi sistemica.
In ogni caso, nella sua ultima valutazione dell'economia globale la Banca Mondiale ha dovuto rivedere significativamente al ribasso le sue precedenti previsioni di crescita. [*2] Secondo tali previsioni, quest’anno l'economia globale dovrebbe crescere solo del 2,9%, mentre a gennaio la Banca Mondiale si aspettava ancora il 4,1%. Questo dimezzerebbe o quasi lo slancio economico globale, che nel 2021 grazie alle gigantesche misure di stimolo economico finanziate dal debito di molti Stati, aveva raggiunto un enorme aumento del 5,7%. Per molti Paesi emergenti e in via di sviluppo, i quali possono raggiungere la stabilità sociale solo con alti tassi di crescita, questo rallentamento economico è già di per sé pericoloso, soprattutto in un contesto di impennata dei prezzi dei generi alimentari. Inoltre, la Banca Mondiale ha messo in guardia dal rischio crescente di un periodo prolungato di stagflazione, simile alla fase di crisi degli anni '70, quando la stagnazione economica era accompagnata da un'inflazione a due cifre (per questo si veda anche: "Back to stagflation?" [*3]).
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Popolo ed esperti
di Cornelius Castoriadis
A cura di Raffaele Alberto Ventura è uscito quest’anno, per la Luiss University Press, una raccolta d’interventi e saggi di Cornelius Castoriadis, Contro l’economia: scritti (1949-1997). Il curatore – che possiamo considerare un vecchio amico di Nazione Indiana – ben conosciuto grazie a un fortunato saggio del 2017 (Teoria della classe disagiata, minimum fax) e di altri usciti successivamente, ha realizzato un prezioso lavoro di selezione, raccolta, traduzione e introduzione di undici testi del filosofo (ed economista) greco e francofono Castoriadis. La casa editrice della Luiss si è già distinta per scelte editoriali importanti. Nel suo catalogo troviamo, ad esempio, saggi di Barbara Ehrenreich e Timothy Morton. In questo caso, la proposta va a colmare un grande vuoto. Castoriadis è senza dubbio una delle figure intellettuali più importanti del secondo Novecento in Europa, figura di militante-intellettuale, attivo prima in partiti di orientamento trotzkista e poi nel gruppo autonomo Socialismo o barbarie, ma anche di economista stipendiato dall’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), di psicanalista e di filosofo, docente dal 1980 all’EHESS (Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales) di Parigi. (Su NI, ad esempio, lo pubblicammo qui e ne abbiamo già parlato qui). Più dei titoli e dell’ampiezza di interessi e competenze, è però decisivo il percorso intellettuale dell’autore, che lo porta ad attraversare e ad abbandonare il marxismo, senza rinunciare a sostenere un’idea radicale e rivoluzionaria di democrazia, ispirata in modo particolare – ma non esclusivamente – all’esperienza di Atene e dell’antica Grecia. I saggi raccolti da Ventura ritagliano la zona privilegiata della critica all’economia, che questo economista di professione non ha cessato di realizzare fuori e dentro le istituzioni internazionali. Ma in Castoriadis l’universo dell’economia è inseparabile da quello della società e delle “significazioni immaginarie” che quest’ultima – e qui parliamo soprattutto della società occidentale e capitalistica – attribuisce all’attività umana.
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Il solito ricatto contro gli elettori
di Matteo Bortolon
Un po’ inaspettatamente il governo Draghi è caduto e sono state fissate le nuove elezioni per il 25 settembre. Nemmeno l’inchiostro del decreto del 21 luglio che le stabilisce ha fatto in tempo ad asciugarsi che sono partiti appelli e richiami a sbarrare la strada alle destre mettendo assieme tutte le forze che vi si oppongono.
Nel suo articolo sul Manifesto di domenica 24 luglio il politologo Antonio Floridia suggerisce un “accordo tecnico” volto ad impedire che la coalizione Lega – Fd’I – FI possa conseguire una maggioranza così ampia da modificare la Costituzione senza passare per un referendum popolare.
Nel suo articolo si dà quasi per scontato che tale coalizione raggiunga la maggioranza, così da far assumere alla proposta una sorta di “riduzione del danno” minima: non fargli prendere i due terzi.
Nonostante il carattere abbastanza pragmatico e rassegnato, il pezzo non si sottrae ad una aggettivazione sopra le righe per designare l’esito che intende scongiurare: corriamo verso “il baratro”, tanto da bacchettare l’eccessivo purismo di chi si farebbe troppi problemi a fare accordi anti-destra: “ma ci si rende conto di dove si va a parare? […] non è tempo di fare gli schizzinosi”.
Insomma, al di là dell’obiettivo di garantire un referendum per non modificare la Costituzione, serpeggia non troppo velatamente il proposito, ricorsivo con una regolarità degna di un metronomo ad ogni tornata elettorale, di invitare alla “unità delle sinistre”, che si è velocemente trasformata nell’unità di tutto ciò che sta a “sinistra” di Forza Italia, per non “consegnare il paese alle destre”, eventualità vissuta come un cataclisma irreparabile con accenti apocalittici.
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Pilotare il clima planetario: un disegno autoritario
di Franco Piperno
Con questo testo Franco Piperno contesta, con argomentazioni che rimandano a fondamenta scientifiche, le tesi a sostegno dell’allarmismo per un incombente e irreparabile catastrofismo climatico causato principalmente dalle attività umane.
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Per rendersi conto del cambiamento climatico occorre preliminarmente capire cosa significa «clima».
Il clima è un sistema complesso che ha come componenti l’atmosfera, gli oceani, le terre emerse e le regioni coperte dal ghiaccio e dalla neve, regioni chiamate nel loro insieme criosfera.
Ogni componente è caratterizzato da «variabili di stato», e.g. la temperatura atmosferica, la salinità dei mari, l’umidità della terra, lo spessore del mantello di neve e così via.
Il cambiamento climatico interviene quando una perturbazione – detta «forcing» nel gergo tecnico –genera un flusso che altera le variabili di stato.
Più precisamente si definisce mutamento climatico ogni alterazione, che si sviluppi lungo una durata almeno decennale, dei flussi o delle variabili fisiche, chimiche, biologiche caratteristiche del sistema. La scala temporale delle decadi è usata per distinguere i cambiamenti climatici dalle vicende metereologiche che si svolgono a corto termine.
Va da sé che il clima muta continuamente da miliardi di anni; sicché il termine «cambiamento climatico» è in una certa misura ridondante.
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