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Note di carattere militare sulla disfatta occidentale in Afghanistan
di Sandro Moiso
Il lettore non deve aspettarsi di trovare uno studio generale di «scienza militare» o l’esposizione sistematica di una teoria dell’arte militare. No, il problema di Engels era […] di aiutare il lettore ad orientarsi sul corso delle operazioni e anche di sollevare, di quando in quando, quello che si usa chiamare il velo dell’avvenire. (Lev Trotsky, Prefazione a Note sulla guerra del 1870-71 di F. Engels)
C’è una fotografia che in questi giorni ha fatto il giro del mondo. E’ quella di una giovane marine di 23 anni, Nicole Gee, mentre stringe tra le braccia un bambino afghano pochi giorni prima di rimanere uccisa nell’attentato all’aeroporto di Kabul del 26 agosto. Ma ciò che si vuole fare qui non è la solita cronaca, pietistica e inutilmente retorica, cui ci ha abituato la narrazione mediatica degli ultimi eventi afghani.
Quella foto e quella notizia devono farci riflettere, invece e soprattutto, sul piano storico e militare, poiché la soldatessa americana, a conti fatti, doveva avere all’incirca 3 anni quando gli USA invasero l’Afghanistan con la scusa di colpire gli organizzatori dell’attentato alle Twin Towers dell’11 settembre 2001.
Vent’anni dopo, Nicole Gee è morta nella stessa guerra, non a caso indicata come quella più lunga combattuta dagli Stati Uniti nel corso della loro storia.
Se si esclude la guerra dei Trent’anni, scatenatasi in Europa tra il 1618 e il 1648, forse in nessun’altra guerra degli ultimi quattrocento anni è capitato che chi fosse nato durante o all’inizio della stessa facesse in tempo a farsi ammazzare nel corso della medesima. Si intenda: come militare poiché, è chiaro, i civili di ogni genere ed età fanno sempre in tempo a cadere come vittime in qualunque istante di qualsiasi conflitto.
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Green pass e libero arbitrio
di Michele Castaldo
Grande è il disordine sotto il cielo, diceva Mao, e capire diventa sempre più complicato, mi viene da aggiungere, perché nella sinistra, anche quella che ama definirsi estrema, ci si arrovella senza venirne a capo, non per cattiva volontà dei singoli ma perché mancano gli strumenti necessari per poterlo fare; si procede perciò a tentoni sbandando a volte un poco a destra e spesso un poco a “sinistra”, ovvero verso posizioni nell’alto dei cieli dell’individualismo. Cerchiamo perciò di mettere i piedi per terra, sapendo che dobbiamo ragionare con quelli che in carne e ossa sono il popolo, cioè masse informi che vivono sotto leggi precise e obbligate, quelle del modo di produzione capitalistico e delle regole politiche e sociali che esso detta. Questo dovrebbe essere – almeno – un corretto rapporto di chi si rifiuta di riconoscere nel capitalismo l’unico mondo possibile e aspira al suo superamento, alla sua caduta, al suo crollo, alla sua implosione e cosi via.
Ora, il modo di produzione capitalistico vive su leggi semplici: produzione e consumo; aumento della produzione e del consumo; e ancora aumento della produttività e dei consumi di ogni tipo di merci, comprese le merci della sanità sia di quelle inanimate che di quelle animate, cioè infermieri, medici e scienziati al servizio della salute del popolo.
Il capitale, cioè quell’impersonale meccanismo che ingloba nel suo processo innumerevoli funzioni finalizzate, comunque, all’estrazione del massimo profitto, pena la sua decadenza, ha interesse a che la giostra continui sempre a girare e possibilmente sempre più veloce.
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Primo Maggio, una storia irripetibile
Andrea Bottalico e Sara Zanisi intervistano Sergio Bologna e Bruno Cartosio
Con questo numero OPM inaugura una nuova rubrica dedicata alle “voci militanti”: interviste a uomini e donne che praticano la storia/ricerca militante e la conricerca oggi. Uno spazio di confronto e discussione sulle metodologie, sulle ricerche e sul significato nella contemporaneità di questa pratica che affonda le sue origini negli anni Sessanta e Settanta.
Apriamo questa sezione con un’intervista, raccolta da Andrea Bottalico e Sara Zanisi il 29 marzo 2021, a due dei primi redattori della rivista Primo Maggio: Sergio Bologna e Bruno Cartosio. Seguirà un’intervista a Cesare Bermani.
Queste conversazioni non ripercorrono in modo sistematico la storia della rivista, perché questa è già stata raccontata nel volume La rivista Primo Maggio (1973-1989), a cura di Cesare Bermani, pubblicato da DeriveApprodi nel 2010.
* * * *
Zanisi: Noi vorremmo cominciare dal metodo, parlando un po’ della storia di PM, un po’ della rinascita con OPM. Come lavoravate? Come si “cucinava” la rivista?
E poi dalla questione di fondo intorno a cui ruotano più aspetti: la storia, il peso che ha avuto la storia, la storia militante, e che forse ha anche nell’esperienza di oggi. Nella lettera aperta che tu Sergio hai scritto un paio di anni fa, dopo il numero speciale dedicato a Primo Moroni, dicevi che sarebbe stato impossibile rilanciare l’esperienza di PM nel 2018 così come era stata, centrata sulla matrice operaista, mentre avremmo dovuto tenere nella cassetta degli attrezzi la storia militante: «La storia militante viene prima dell’operaismo ed è un bisogno primario», un antidoto, un’arma.
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L’attualità e la necessità storica del partito comunista
Intervista a Marco Rizzo
Intervista de “La Pravda”, organo del Partito Comunista della Federazione Russa, al segretario generale del Partito Comunista Marco Rizzo
Marco Rizzo, nato a Torino il 12 ottobre 1959, figlio di un operaio della FIAT, si dedica alla politica fin da giovane e si iscrive al PCI nel 1981. Fa parte dei circoli culturali marxisti che venivano definiti “filosovietici” da chi stava mutando genericamente l’anima di quel partito. In quel frangente entra in contatto con grandi dirigenti comunisti, intellettuali e partigiani come Arnaldo Bera, Aldo Bernardini, Armando Cossutta, Raffaele De Grada, Gianni Dolino, Ludovico Geymonat, Lucio Libertini, Sergio Ricaldone, Pino Sacchi, Alessandro Vaia, che segneranno la sua vita politica di militante e dirigente. Tra gli ideatori di Rifondazione Comunista, dopo lo scioglimento del PCI, arriva a ricoprire l’incarico di segretario di Torino e poi di Coordinatore Nazionale. Fondatore insieme a Cossutta e Diliberto del Partito dei Comunisti Italiani. Deputato Europeo e tre volte Deputato Nazionale. Infine, fonda nel 2009 Comunisti Sinistra Popolare, che si trasforma in Partito Comunista col I° Congresso del 2014, seguito poi dal II Congresso del 2017 e il III Congresso del 2020, in cui viene eletto è confermato Segretario Generale. Ha tre figli, laureato in scienze politiche, giornalista e amante della storia e del cinema.
* * * *
D. Pandemia, crisi economica globale, collasso del lavoro e delle prospettive per il “futuro”. In Italia, in Europa e nel mondo, da questo stato delle cose la coscienza e lotta di classe ne escono rafforzate, indebolite o del tutto sconfitte? A che punto siamo e cosa ci aspetta?
R. La lotta di classe è il motore della storia. Essa sta continuando in Italia, in Europa e in tutto il mondo. Il punto che caratterizza fondamentalmente oggi la situazione politica tra i vari paesi è il rapporto tra la politica da un lato e l’economia e la finanza dall’altro.
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L’organizzazione scientifica della vita. Hitler ha vinto?
Sull’indissolubile rapporto tra scienza, guerra e potere
Riprendiamo questo articolo uscito sul numero 13 (luglio 2021) della rivista anarchica “i giorni e le notti”. La bomba che sta per esplodere – sotto forma di digitalizzazione della società, di conquista biomedica dei corpi e di soldati “geneticamente potenziati” – è stata innescata da tempo. Queste riflessioni sono un contributo «per chi sente il ticchettio».
L’ospite inatteso
Sembra che la bomba di un futuro disumano sia già stata innescata. Eppure per le strade e nelle piazze, nel brusìo dei nuovi non-luoghi digitali, mentre altrove altre ed altri si battono contro gli effetti della Transizione, suonano le trombe di chi il ticchettìo non lo sente affatto.
In una società sempre più digitalizzata e sempre meno umana nei suoi rapporti, nelle sue sensazioni e nel suo riconoscersi, non sorprende che le mobilitazioni eticamente inconsistenti siano uno dei suoi prodotti.
«Si capisce da sé – scriveva Anders – che sarà facile per quelle potenze che forniscono opinioni, atteggiamenti, emozioni en masse agli eremiti di massa, nei momenti in cui potrà sembrare loro più opportuno, per motivi politici, ritrasformare come per incanto la semplice “massificazione” in “massa” fisica: quella massa che, se ne avrà la necessità, si potrà sempre rifabbricare in una notte». Lo abbiamo visto a Capitol Hill e in diverse piazze del mondo digitalizzato. Ma se sono sempre state le masse reazionarie ad esigere uno Stato che “funzioni come dovrebbe”, pare che anche una certa critica antagonista viva dell’illusione che il funzionamento efficiente possa rendere giustizia in un mondo destinato a lasciar fuori ormai una classe degli esclusi sempre più numerosa. Tuttavia è quando subentrano le Certezze e Verità del mondo scientifico che le cose si fanno davvero allarmanti. Come per esempio nella distribuzione dei “nuovi vaccini”: «l’organizzazione sociale non è abbastanza veloce, non è abbastanza equa». Si affaccia una presunta neutralità che farebbe della scienza applicata una potenziale causa della libertà.
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La tendenza comunista nella Divina Commedia
di Daniele Burgio, Massimo Leoni e Roberto Sidoli
Pubblichiamo un nostro breve saggio per il 700° anniversario della morte di Dante, saggio intitolato “La tendenza comunista nella Divina Commedia”
“Maledetta sia tu, antica lupa” (la lupa rappresenta il simbolo dantesco che indica avidità, cupidigia di beni materiali e desiderio di “subiti guadagni”) “che più di tutte l’altre bestie hai preda per la tua fame sanza fine cupa’” (Purgatorio, canto ventesimo, versi 10/12)
Non vi sono dubbi che Dante Alighieri (1265/1321) sia considerato giustamente come uno dei principali poeti del mondo occidentale godendo, quasi senza soluzione di continuità, di grande popolarità a partire dalla morte del geniale poeta-filosofo fiorentino fino all’inizio del terzo millennio.
Oltre alla fama acquisita da Dante in terra italiana, va sottolineato altresì come sul piano internazionale la Divina Commedia venne tradotta in latino (lingua allora universale) nel 1416 e in lingua catalana nel 1429, mentre alcuni canti risultarono disponibili in lingua spagnola già agli inizi del Quattrocento; la prima traduzione della Commedia si verificò invece in lingua francese nel 1597 e in inglese nel 1802, mentre negli Stati Uniti d’America apparve nel 1867 una splendida traduzione curata dal poeta H. W. Longfellow.
Se in lingua cinese i primi tre canti dell’Inferno vennero a loro volta pubblicati nel 1921 e l’intera Commedia risultò via via disponibile a partire dal 1948, va altresì rilevato che il 20 ottobre del 2011 cento milioni di cinesi seguirono in diretta televisiva l’inaugurazione nella città di Ningbo di una grande statua di bronzo raffigurante Dante, collocata vicino a una delle più grandi librerie del gigantesco paese asiatico[1].
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Gli attacchi imperialistici alle monete nazionali
di Federico Fioranelli*
La situazione economica e sociale che il Venezuela vive ormai da diversi anni è molto pesante per il suo popolo. Gli ultimi dati rilevano, per i primi cinque mesi dell’anno in corso, un tasso di inflazione pari al 264,85% e prevedono, per il 2021, un crollo del Pil del 10%.
I media mainstream cercano in ogni modo di dimostrare che le cause dell’iperinflazione e della recessione nella Repubblica bolivariana sono le politiche economiche espansive messe in campo nel corso degli anni dai governi socialisti, ai loro occhi incapaci e populisti, che si sono succeduti.
In questa maniera, pensano di nascondere la vera ragione alla base della fortissima crescita dei prezzi e della contrazione economica, vale a dire l’attacco speculativo alla moneta nazionale, che il Venezuela subisce addirittura dal 2012.
Quando parliamo di “attacco speculativo alla moneta nazionale”, ci riferiamo ad un’importante arma di guerra economica, al pari dell’embargo commerciale o del blocco finanziario, utilizzata dall’imperialismo nella lotta condotta a livello globale per distruggere forme di governo socialista e colonizzare nazioni.
Le ragioni dell’ostilità delle oligarchie industriali e finanziarie nei confronti dell’esistenza del socialismo, dentro e fuori il proprio Paese di appartenenza, non le scopriamo certo oggi. Esse sono di natura economica, politica e ideologica perché un sistema economico che sostiene il “diritto sovrano di un Paese di disporre delle proprie risorse nell’interesse del proprio popolo” (Paul M. Sweezy) non è compatibile con gli interessi, i privilegi e l’ideologia delle oligarchie stesse.
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La variante logistica. Cronache e appunti sui conflitti in corso
di Andrea Bottalico, Francesco Massimo, Alberto Violante
Un anno in cui le lotte non si sono fermate
Mobilitazioni e scioperi di varia intensità hanno investito l’intera filiera logistica nei mesi scorsi.
Tra giugno e luglio 2020 il centro delle proteste è Peschiera Borromeo, ai margini di Milano, dove la multinazionale FedEx-Tnt ha deciso di licenziare una settantina di facchini sindacalizzati. Nonostante le cariche e gli scontri, lo sciopero va avanti e si espande in altre filiali. Nello stesso periodo al porto di Napoli il SiCobas sciopera bloccando l’accesso al varco. Alla fine del mese tocca al trasporto marittimo. Il fermo di ventiquattro ore è proclamato dai sindacati confederali.
Nel settore delle consegne a domicilio si alternano mobilitazioni dal basso e manovre di palazzo. In settembre l’associazione datoriale Assodelivery e il sindacato Ugl, dalla dubbia rappresentanza, firmano un vero e proprio Ccnl, un accordo pirata subito sconfessato dalle confederazioni e dai collettivi di rider, nonché dal ministero del Lavoro. Le critiche piovute sull’accordo inducono la piattaforma JustEat a rompere il fronte padronale: in novembre l’azienda esce da Assodelivery e annuncia un piano di assunzione della manodopera nel quadro di rapporti di lavoro dipendente. A marzo arriva l’annuncio di un accordo con i sindacati confederali per l’inquadramento di quattromila fattorini. All’orizzonte potrebbe esserci però il modello, già visto nel Regno Unito, delle agenzie interinali. JustEat ha già un accordo globale con l’agenzia Randstad per la somministrazione di manodopera, che potrebbe essere utilizzato anche in Italia.
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Come andrà a finire?
di Francesco Prandel
“Che cos’è un uomo saggio?”,
chiese qualcuno.
“Uno che guarda da lontano le cose vicine e da vicino le cose lontane”,
disse Joshu.
Masini F., Pensare il Buddha, Castelvecchi, Roma, 2013
Introduzione
Resto convinto – seppur non sicuro – che un buon pensiero si lasci esprimere da poche parole. Perciò mi scuso sin d’ora con il Lettore: le lungaggini che mi sono concesso con questo articolo non fanno ben presagire. Proverò comunque a delineare una possibile chiave di lettura della fase che stiamo attraversando, e a proporre una strategia per superarla senza farci troppo del male. L’obiettivo è quello di tentare una ricomposizione della frattura sociale che si va divaricando e inabissando ogni giorno di più. Non certo quella tra destra e sinistra, categorie ormai sepolte sotto decenni di metamorfosi antropologiche, né principalmente quella tra “pro-vax” e “no-vax”, che ne rappresenta solo la più recente crepa periferica. L’intento è quello di promuovere un dialogo tra chi, nonostante tutto, continua a vedere la salvezza nei modi indicati da un paradigma che ha fatto il suo tempo ma non intende farsi da parte, e chi, invece, comincia seriamente a pensare che sia il caso di provare a cambiare prospettiva. Questa, a parere di chi scrive, è la reale polarizzazione che l’attuale “spirito del tempo” assegna allo spettro politico.
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Antropocentrismo contro ecocentrismo: appunti su una falsa dicotomia
di Ian Angus
Negli anni quaranta dell'Ottocento, nei manoscritti successivamente pubblicati come L'Ideologia Tedesca, Karl Marx e Friedrich Engels esposero la prima dichiarazione completa dell'approccio alla comprensione della storia e della società che sarebbe poi stata alla base dei loro testi e della loro attività politica per il resto della vita. Lo fecero sotto forma di una serie di critiche ai filosofi che allora erano influenti nei circoli radicali in Germania.
Cominciarono con una favola:
Una volta un valentuomo si immaginò che gli uomini annegassero nell’acqua soltanto perché ossessionati dal pensiero della gravità. Se si fossero tolti di mente questa idea, dimostrando per esempio che era un’idea superstiziosa, un’idea religiosa, si sarebbero liberati dal pericolo di annegare. Per tutta la vita costui combatté l’illusione della gravità, delle cui dannose conseguenze ogni statistica gli offriva nuove e abbondanti prove. Questo valentuomo era il tipo del nuovo filosofo rivoluzionario tedesco. [1]
Al giorno d’oggi, i filosofi che Marx ed Engels all’epoca criticarono, sono quasi dimenticati, ma il loro modo di pensare è presente in molti scritti ambientalisti moderni. Di solito è espresso in termini più sottili e sofisticati rispetto a chi pensava che l'annegamento fosse causato da una credenza irrazionale nella gravità. Tuttavia, l'idea che la distruzione ambientale sia causata da idee sbagliate, da una falsa concezione del rapporto dell'umanità con la natura, può essere trovata proprio nell'ampio spettro del pensiero verde.
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Ostaggi in Assurdistan, ovvero: il lasciapassare e noi / Prima puntata
di Wu Ming
La seconda puntata a questo link
0. Introduzione
Questa è una miniserie da leggere con lentezza. «Chi è veloce si fa male», cantava Enzo Del Re. «Se non vale la pena impiegare tanto tempo per dire, e ascoltare, una qualsiasi cosa, noi non la diciamo», dice Barbalbero.
Nelle settimane scorse abbiamo ospitato o segnalato contributi critici sul cosiddetto «green pass», posizioni e analisi altrui che non coincidevano in toto con la nostra.
La nostra posizione l’abbiamo espressa solo tra i commenti, esplicitandola e rifinendola man mano, il che va bene, ma anche sparpagliandola, il che va male. Mancava un testo in cui, sul «green pass» e su questa fase dell’emergenza pandemica, dicessimo come la pensiamo in modo dettagliato e dal principio alla fine.
L’occasione di scriverlo ce l’ha data l’imminente ritorno all’attività on the road. Ci attendono presentazioni all’aperto, presentazioni al chiuso, reading, spettacoli… Volenti o nolenti, col «green pass» avremo a che fare. Ma appunto, che fare?
In questa prima puntata spieghiamo perché secondo noi il «green pass», detta come va detta, è una merda.
A partire dal nome che gli hanno affibbiato, a rigore ufficioso ma usato onnipervasivamente sui media e dagli stessi governanti e amministratori. È lo stesso anglicorum di «Jobs Act», «spending review» e altre nefandezze. È l’inglese usato come dolcificante artificiale, per far sembrare nuovi e “smart” provvedimenti che invece sono abbastanza vecchi da avere un nome nella lingua di Dante. Se il governo Renzi l’avesse chiamata semplicemente «Legge sul lavoro» sarebbe sembrata meno “innovativa”. In effetti, la libertà dei padroni di licenziare in tronco non è poi questa grande innovazione…
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Debito, finanza, spesa pubblica: il mondo dopo la pandemia
di Lorenzo Esposito
«Più hanno debiti meno i lavoratori possono scioperare» A. Greenspan
Già dalle prime settimane del 2020, è stato chiaro che la pandemia di Covid-19 avrebbe cambiato il corso della storia mondiale. Abbiamo assistito a un susseguirsi di fatti e reazioni mai sperimentati in decenni di evoluzione economica e sociale: un’incertezza macroeconomica sconosciuta nella storia contemporanea, una reazione senza precedenti da parte degli Stati, con molteplici strumenti che determineranno effetti a lungo termine sull’economia. L’emergenza ha anche provocato un rapido cambiamento delle agende politiche, con la revisione di priorità strategiche e il ripensamento di consolidate architetture istituzionali e politiche, a partire dall’Unione europea.
Fin dall’inizio l’emergenza ha imposto un nuovo modo di affrontare i problemi a livello mondiale; chi fino a ieri predicava austerity e mercato è rimasto senza punti di riferimento, ma ne mancano di nuovi. In questo articolo cercheremo di analizzare i profondi cambiamenti che la pandemia ha portato al dibattito sulla politica economica, e in particolare sul tema del debito pubblico e sul ruolo dello stato nell’economia.
Dal 2008 alla pandemia
La crisi finanziaria del 2007-2008 ha esposto le fragilità del modello di sviluppo basato sulla deregolamentazione dei mercati e l’iper-globalizzazione, costringendo a un precipitoso intervento delle banche centrali e dei governi per salvare il mondo dal crollo del sistema finanziario.
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Scienza senza Ragione
di Rino Frescatta
Abbiamo visto come grazie alla reificazione di oggetti teorici e alla fondazione di una nuova filosofia naturale si è imboccato un percorso di trasformazione della scienza in religione.
L’elaborazione di teorie allo scopo di “salvare i fenomeni”, cioè per dare una spiegazione di ciò che appare ai nostri sensi, si è trasformato nella ricerca delle leggi che regolano la realtà. La nuova religione scientifica, avendo bisogno di fedeli e sacerdoti, ha fondato la propria capacità di persuasione sulla tecnologia, come elemento separatore dei secondi dai primi.
Grazie alla didattica e alla divulgazione scientifica si è propagandata una visione miracolistica della tecnologia atta a fondare la fede scientista.
Non dovendo più organizzare razionalmente i fenomeni osservati, la nuova scienza può prescindere da essi. Così osserviamo nascere teorie prive di fenomenologia da spiegare, come la teoria delle stringhe, oppure teorie che negano la fenomenologia osservata, come ad esempio teorie che prevedono la non esistenza del tempo.
Quest’ultimo caso è emblematico in quanto invita gli esseri umani a non fidarsi dei propri sensi nemmeno per la conoscenza del mondo fisico e anzi li sprona ad affidarsi agli esperti e ad assoggettarsi al principio di autorità.
Un passo ulteriore
La sedicente scienza moderna è andata oltre le teorie senza fenomenologia o le teorie che negano la fenomenologia: ormai le teorie scientifiche possono fare a meno della razionalità.
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Due libri, un solo autore
di Sergio Bologna
I sociologi ci avevano abituato a guardare a fondo la stratificazione sociale, attenti a seguire le complesse frammentazioni e segmentazioni di un tessuto che dall’inizio del postfordismo si è fatto sempre più variegato, facendo saltare completamente la nozione stessa di “classe”.
Paolo Perulli nel suo libro Nel 2050. Passaggio al nuovo mondo, pubblicato da Il Mulino nel 2021, imprime una forte sterzata a questa tendenza e riprende a parlare per grandi aggregati, la neoplebe da un lato e la classe creativa dall’altro. Concetti che possono suscitare più di una perplessità ma che in realtà funzionano benissimo nella logica della sua argomentazione, che è tutta rivolta a costruire uno scudo contro il populismo, nemico non solo del confronto globale ma soprattutto del sapere. Il populismo esalta l’ignoranza, per mettere “il popolo esperto” ancora più ai margini di quanto già non lo sia. Quello che Perulli chiama la classe creativa non è tanto una fotocopia dell’idealtipo costruito da Florida quanto l’insieme delle persone che attraverso gli studi hanno acquisito competenze specifiche, specialistiche e che sono sottoposte a un continuo processo di svalorizzazione e delegittimazione – basti pensare a certi nostri dibattiti televisivi sul tema Covid dove vengono messi a confronto illustri scienziati con improbabili personaggi (cantanti, gestori di discoteche, blogger) che si permettono di discettare su virus e vaccini e di contestare i pareri dello scienziato. Se uno segue con un po’ d’attenzione la strategia comunicativa della Lega nota immediatamente come essa sia fondata sulla delegittimazione del sapere in quanto tale.
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Beni comuni e/o beni pubblici. Le molteplici culture politiche del nuovo corso del M5S
di Gerardo Lisco
Riceviamo e volentieri pubblichiamo
In questa estate torrida hanno tenuto banco sui media due tipi di notizie: i miracoli compiuti da Draghi e cioè la vittoria della nazionale di calcio, le quaranta medaglie alle Olimpiadi di Tokio fino ad una presunta crescita del PIL che dovrebbe raggiungere, addirittura, il 6%, e le polemiche ad arte, come quella alimentata da Durigon, finalizzate ad occultare i temi economici e sociali che interessano la carne viva degli italiani. Mi riferisco allo sblocco dei licenziamenti, alla riforma delle pensioni voluta dalla Fornero e da Monti, alla riforma degli ammortizzatori sociali con il passaggio dal welfare al workfare, al PNNR del Governo Draghi privo di una visione nazionale capace di tenere insieme i mezzogiorni d’Italia.
Insomma da mesi i media stanno costruendo una bolla mediatica che, più prima che poi, si sgonfierà e, proprio come è successo all’indomani della fine del governo dell’altro taumaturgo Monti, lascerà sul terreno morti e feriti: nel senso che vedremo ancora una volta politiche economiche di privatizzazione dei diritti sociali, crescita del divario tra aree sviluppate del Paese e aree arretrate (che non sono solo a Sud); politiche di “austerità espansiva”, crescita della disuguaglianza sociale, precarizzazione del lavoro e, con esso, dell’esistenza.
Al netto della bolla mediatica qualcosa di interessante su cui riflettere, però, c’è stata: mi riferisco all’ufficializzazione di Giuseppe Conte a capo del M5S.
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I no-vax devono morire (e dopo di loro gli altri)
Estremismo di centro e marginalizzazione del conflitto
di Niccolò Bertuzzi
Riceviamo e pubblichiamo volentieri questo contributo alla rubrica Green Passion che ci è stato inviato daNiccolò Bertuzzi, ricercatore in sociologia all'Università di Trento. Buona lettura!
Gli ultimi giorni di agosto hanno segnato una notevole escalation della violenza (o della sua percezione) nel campo di battaglia legato alla vaccinazione anti-Covid e alle politiche pandemiche. Diversi episodi che hanno avuto come protagonisti i cosiddetti no-vax / no green pass sono stati ampiamente notiziati dalle principali testate giornalistiche e dai notiziari nazionali: l’aggressione al giornalista di Repubblica avvenuta a Roma, gli scontri al gazebo dei 5Stelle a Milano, le minacce ricevute dal noto infettivologo Matteo Bassetti. Chiunque abbia frequentato qualche piazza in vita sua, sa bene che episodi simili sono 1) possibili, 2) minoritari e solitamente anche più “gravi”, 3) solitamente isolati, 4) volutamente notiziati con funzione stigmatizzante dai media. Questo avveniva ben prima delle mobilitazioni attuali: rappresentare questi eventi come anomali e clamorosi può piacere a certa stampa e a certo pubblico, e per certi versi può servire a una parte del movimento no vax / no green pass per rivendicare tali narrazioni in modo vittimizzante. Prima di procedere oltre e andare al cuore della questione, ci tengo a precisare che utilizzo in questo articolo il termine “No Vax” in maniera semplificatoria, ben consapevole – anche per ragioni di ricerca che sto svolgendo su questa popolazione – che si tratti di una realtà molto complessa. L’utilizzo di un’etichetta unilaterale nasconde ragioni diversificate e background socio-politici estremamente variegati. Il termine suona fin troppo simile a No Tav o No Tap, ma l’uso mistificato che ne viene fatto è molto più simile a quello di una definizione stigmatizzante come Nimby.
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Rapporto IPCC 2021: allarme globale
di Mario Agostinelli
Forse perché non tradotto in italiano e, quindi, più comodamente rimandabile alla nota stampa diffusa dall’IPCC e ripresa dalle agenzie, o anche perché, comprensibilmente, travolto dalla morte di Gino Strada e dall’Afghanistan in pieno Ferragosto, il Summary for policymakers, uscito il 7 Agosto, è rimbalzato e scomparso, nelle notizie sommarie e tutte uguali di media e quotidiani, come un annuncio scontato e di generale consuetudine.
Politicamente, questa sottovalutazione non fa che aumentare il disagio per la fase politica in corso, ancora capace di usare una pienezza di linguaggio ed analisi per la geopolitica, ma inadatta a trattare la crisi drammatica della biosfera.
Qui di seguito provo a recuperare le incresciose mancanze di informazione non trasferite alle popolazioni e la sensazione pressante che il tempo venga a mancare, che traspare nelle oltre 40 pagine che ho tradotto.
La situazione al 2020
Vado per punti:
1 Il contributo del Gruppo di lavoro al sesto rapporto di valutazione dell'IPCC sulla base delle scienze fisiche del cambiamento climatico fornisce un riassunto di alto livello della comprensione dello stato attuale del clima compreso il modo in cui sta cambiando, il ruolo dell'influenza umana, lo stato delle conoscenze sui possibili futuri climatici e le informazioni climatiche rilevanti per regioni e settori. Qualsiasi tentativo di negazionismo è messo fuori gioco. E’ ormai accertato che il cambiamento climatico si sta spostando sempre più verso i poli.
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Pro-vax e No-vax tra credo e fiducia: la cura per le divisioni sul vaccino è la cura alla fiducia sociale
di Elisa Moro
Il vaccino e la questione Green Pass ha acceso le più violente discussioni pubbliche e politiche. Dibattiti televisivi, editoriali, columnist di ogni sorta, opinionisti in televisione, articoli, video, influencer, post su Facebook: una quantità sterminata di luoghi in cui le posizioni contrastanti si scontrano all’ultimo sangue.
Questo fa parte della possibilità che offrono i social e internet in generale, di generare e condividere illimitatamente opinioni e informazioni nel quale l’utente si deve districare in solitudine. Ma questo fa anche parte della democrazia in cui viviamo, della forma che ha e il gioco di contrasti è l’essenza di qualsiasi discorso collettivo.
Ma che cosa succede quando i contrasti non hanno uno spazio comune di comprensione reciproca? Quando non c’è nessun mediatore all’orizzonte? Quando nessuno favorisce il dialogo ma c’è solo chi esacerba la divisione tirando fuori l’inflazionatissima separazione tra “noi” e “loro”?
Da quando la pandemia è iniziata, e in particolare i lockdown, c’è stata fin da subito una scissione tra salute fisica e psicologica, in una tensione costante tra il corpo individuale e quello collettivo, ma nessuno si è occupato della salute e del benessere psicoemotivo collettivo, tranne quando – giustamente – si è affrontato il tema del pericolo dell’aumento delle donne vittime di violenza chiuse in casa con i loro partner o la complicata gestione della vita familiare con i bambini e ragazzi in DAD e lo smartworking.
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Afghanistan, il lungo addio
di Prospettiva Marxista
Pubblichiamo sul nostro sito una prima valutazione da parte dei compagni di Prospettiva Marxista riguardo la situazione in Afghanistan, articolo di cui condividiamo pienamente il solido impianto e del quale ci preme mettere in risalto la serietà metodologica. Troppe volte in questi giorni, nel bel mezzo della tempesta mediatica, abbiamo avuto modo di leggere articoli, post o dichiarazioni – soprattutto di certa sinistra – in cui si è dato fiato, tanto fiato, alle trombe di una retorica autoconsolatoria e mistificante, fatta di parole come “disfatta”, “catastrofe”, “cacciata”, “umiliazione”, “resistenza” e tutto quello che un lessico tanto povero quanto la capacità di interpretare lucidamente i fatti, e quanto quella di non fare del desiderio il padre del pensiero, è stato in grado di sfornare. C’è anche chi ha definito come vittoria “anti-imperialista” l’avanzata, conseguente al ritiro delle truppe imperialiste USA e alleate, di una realtà politico-ideologico-militare, i talebani, che degli ultimi quarant’anni di contesa imperialista in Afghanistan è prodotto diretto. Non abbiamo di queste illusioni e soprattutto abbiamo tanta considerazione e rispetto per la nostra classe da non propinargli la stanca riproposizione di schemi – buoni per tutte le stagioni e che non necessitano di un grande sforzo di analisi né della necessaria prudenza interpretativa – che la dinamica del capitalismo nell’ultimo secolo ha reso obsoleti. Di una cosa siamo certi, l’imperialismo ha orrore del vuoto e l’Afghanistan non si è certamente emancipato dal dominio imperialista con il ritiro dell’imperialismo americano e la conseguente ascesa talebana. L’imperialismo americano ha lasciato la presa, ma l’imperialismo continua a tenere ben saldi i suoi artigli – per ora per il tramite dei talebani – su un paese martoriato, la cui vera emancipazione è ormai nelle sole mani del proletariato internazionale. La sola classe anti-imperialista.
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La trasformazione silenziosa: il pensiero occidentale e quello cinese
di François Jullien*
Pubblichiamo in collaborazione con Feltrinelli editore un estratto da Essere o vivere di François Jullien
Chiamerò trasformazione silenziosa una trasformazione che avviene senza rumore, della quale dunque non si parla. Silenziosa in due sensi: avviene senza preavviso, non si pensa nemmeno di parlarne. La sua impercettibilità non rientra nell’ordine dell’invisibile, al contrario si produce in modo manifesto, sotto i nostri occhi, a poco a poco. Però non si nota, per due ragioni connesse: perché è contemporaneamente globale e continua, non si distingue mai a sufficienza, in un punto o in un altro, o da un momento all’altro, per poter introdurre una rottura che possa fissare la nostra attenzione.
Oserei dire che non si distingue mai abbastanza per poterla distinguere. Visto che tutto vi si trova coinvolto e che essa si produce nella durata, non c’è nulla che assuma un rilievo sufficiente per farla emergere. Quando infine emerge, la si coglie e se ne parla come di un risultato.
Perciò questa trasformazione sarà definita non invisibile, ma “silenziosa”: non è isolabile, non è localizzabile e si confonde con il suo svolgimento. La vista è il senso del discontinuo e del locale: le palpebre si aprono e si chiudono come una tenda che si alza e si abbassa; l’udito è il senso della continuità. Si dice “tapparsi le orecchie”, ma non si può chiudere un orecchio: non si ascolta più, ma si intende ancora. Analogamente, si guarda necessariamente da una parte e dall’altra, si guarda un aspetto o un altro, sempre parzialmente e localmente, ma si ascolta globalmente; mentre la vista, proiettandosi al di fuori, si porta momentaneamente su un punto o su un altro, l’orecchio è quell’imbuto o cornetta che raccoglie costantemente da tutte le parti.
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Green pass, scienza, stato, piazze contro il green pass
Lettere (di segno contrastante) alla nostra redazione
di Il Pungolo Rosso
La nostra presa di posizione contro il green pass, opposizione motivata a modo nostro, ha suscitato reazioni critiche di segno contrastante. Per dirla in modo sommario: da un lato la critica di essere stati troppo tranchant nei confronti delle piazze no green pass; dall’altra – invece – di aver avallato in qualche modo il sentimento e l’attitudine che da quelle piazze emana, ed è pericoloso per l’autodifesa della salute da parte dei lavoratori. Ma non solo di questo si sono occupate le lettere che abbiamo ricevuto, sollevando – tra l’altro – anche la questione essenziale dell’attitudine da avere nei confronti della scienza, dell’industria farmaceutica e delle istituzioni che stanno monitorando il procedere della pandemia.
Abbiamo deciso di rendere pubbliche tre di queste lettere, la prima del compagno Alessandro Mantovani, la seconda dei compagni e compagne del Csa Vittoria di Milano, la terza di un compagno di Marghera, perché con la nostra presa di posizione abbiamo solo cercato di dare delle coordinate, delle indicazioni di fondo per una politica di classe in grado di contrapporsi all’iniziativa borghese su questo terreno, e non pensiamo affatto di avere detto l’ultima parola. Una pretesa del genere sarebbe tanto più sciocca quanto più la situazione è in continua evoluzione, a scala nazionale e internazionale: per quello che concerne la pandemia, per l’intreccio tra pandemia e crisi strutturale del sistema, per le decisioni del padronato e del governo Draghi (e degli altri governi) collegate a questa evoluzione, ed infine per le risposte di lotta a queste decisioni.
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Destino manifesto
di Franco Bifo Berardi
Recentemente, parlando della disfatta di Kabul, in un empito retorico mi è capitato di scrivere che gli USA sono finiti, perché il paese non ha un presidente, dato che Biden, se mai è esistito, è stato annichilito dalla gestione della ritirata. Perché non ha un popolo ma due e in guerra tra di loro. Perché gli alleati se la stanno squagliando, perché la Cina sta vincendo la battaglia diplomatica e anche la competizione economica.
Tutto vero, ma ho dimenticato una cosa non secondaria: l’America è anche un complesso tecno-militare che dispone di una potenza distruttiva capace di distruggere il pianeta e di eliminare il genere umano non una ma molte volte. E si sta anche rendendo capace di avviare l’evacuazione di una piccola minoranza di umani dal pianeta terra, per andare dove non si sa.
La disfatta afghana segna il punto di svolta di un processo di disgregazione dell’occidente i cui segnali si sono accumulati nei due decenni passati.
Uso qui la parola Occidente per intendere una entità geopolitica che corrisponde al mondo culturale giudeo-cristiano (e comprende quindi la stessa Russia).
Forse il capitalismo è eterno, (ipotesi da verificare se ne avremo il tempo ma non credo l’avremo). L’Occidente no. E purtroppo il complesso tecno-militare di cui l’Occidente dispone, e che continua ad alimentare nonostante la sua capacità di overkill, non risponde alla logica della politica, ma è un automatismo che risponde alla logica della deterrenza che un tempo aveva carattere bipolare e simmetrico mentre dopo il crollo dell’URSS ha carattere multipolare, asimmetrico e quindi interminabile. Inoltre il complesso tecno-militare è anche una potenza economica che deve produrre guerra per potersi riprodurre.
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Unire i comunisti, incendiare l’autunno!
di Fosco Giannini
Gli USA di Joe Biden stracciano violentemente, irridendola, la bandiera della lotta imperialista alla Donald Trump, tutta guerre doganali e neo-protezionismo, e fanno di nuovo garrire nel vento planetario quella della minaccia militare, dell’aggressione diretta alla Russia e alla Cina, della messa in campo delle truppe USA-NATO-Ucraina per la conquista del Donbass e della Crimea, con i marines collocati direttamente sul fronte russo, per una guerra “regionale” come premessa inevitabile e preventivata alla guerra mondiale.
Qualcuno può credere davvero, infatti, che un’eventuale e sempre più cercata, da Biden, guerra Ucraina-Russia, con gli USA e la NATO a dirigere le operazioni a Kiev, circoscriverebbe il fuoco in Crimea, nel Donbass, con una Cina, sul fronte antimperialista, silente e un Giappone, sul fronte filoamericano, dormiente?
Di nuovo risuonano ora, drammaticamente, come ai tempi delle guerre in Vietnam, in Jugoslavia, in Iraq, in Libia, in Siria, in Afghanistan, le parole dense di denuncia e apprensione che pronunciò il presidente Dwight Eisenhower, nel suo discorso di saluto alla nazione il 17 gennaio 1961, quando, attraverso le radio e le televisioni, si rivolse al popolo americano e ai popoli del mondo avvertendoli del pericolo immane, per la pace mondiale, rappresentato dal “complesso militare-industriale” americano e dalla sua fame di guerra.
Con l’espressione complesso militare-industriale-politico, coniata proprio in quello storico discorso di commiato, Eisenhower si riferiva all’intreccio inestricabile di affari e interessi tra i gruppi del capitalismo industriale militare americano, gli Stati ove queste industrie erano e sono tuttora collocate, le più alte gerarchie delle Forze Armate americane e gli influentissimi rappresentanti politici di questo fronte all’interno del Congresso, del Parlamento americano.
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Europa: tra sovranismo e a-democrazia*
di Alfonso Gianni
Non si può proprio dire che il cammino sulla strada che deve percorrere la Conferenza sul futuro dell’Europa, che dovrebbe concludere il suo tragitto nella primavera del 2022, sia cominciato sotto una buona stella. L’esplosione della pandemia ne aveva ritardato gli inizi. Finalmente il 10 marzo scorso era stato dato il segnale di partenza sulla base di una dichiarazione comune dei presidenti del Parlamento europeo e del Consiglio europeo, rispettivamente David Sassoli e Antonio Costa, e della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. I prodromi della Conferenza vanno ricercati nel tentativo di Valery Giscard d’Estaing, nella sua qualità di presidente della Convenzione europea (2002-2003), di elaborare un progetto di Costituzione europea, nella forma di un Trattato, che venne però affossato dal no nei referendum tenutisi in Francia e nei Paesi Bassi. In seguito si giunse alla firma del Trattato di Lisbona (2007) che distinguendo con puntualità le competenze fra Stati membri e la Ue, di fatto si frapponeva a una possibile direzione verso un’unione di tipo federale.
L’iniziativa della Conferenza ha in tempi più recenti ripreso le mosse sempre a partire dalla sponda francese. Emmanuel Macron si è molto attivato in questo senso anche perché la Conferenza dovrebbe concludersi proprio quando la presidenza della Ue verrà assunta dalla Francia. Le modalità di discussione presentano effettivamente delle novità.
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Sul Movimento 5 Stelle
di Alessandro Testa
"Reputiamo che il M5S sia, come il materialismo storico ci insegna, il frutto naturale e spontaneo di una specifica situazione venutasi a creare in un’Italia frastornata dal crollo del PCI, da Mani Pulite, dal berlusconismo e dall’ipocrita farsa della “sinistra” rappresentata dal PD"
Premessa
Nello stagnante panorama politico italiano degli ultimi vent’anni, caratterizzato dalle sempiterne e ipocrite manfrine del “partito unico liberista”, è indubitabile come il Movimento 5 Stelle segni un momento di discontinuità importante e degno di un’analisi approfondita, che cerchi di individuare le ragioni profonde della sua nascita e del suo successo ma anche quelle della sua tumultuosa evoluzione e degli innegabili segnali di “mutazione genetica”, e persino di incipiente sgretolamento, che esso sta manifestando da qualche tempo.
Il Movimento 5 Stelle, fedele alla nota frase impropriamente attribuita a Renè Descartes “Natura abhorret a vacuo”, ha senza alcun dubbio avuto il merito di colmare quel vuoto che la politica italiana ha scavato così profondamente nel corpo sociale, pervaso da disillusione, disinteresse, sfiducia e ira nei confronti di tutto ciò che odori anche lontanamente di “partito”.
Perciò, giova ripeterlo, più che di irrisione e demonizzazione quello di cui ci sarebbe davvero bisogno è lo spassionato sforzo di analisi e comprensione che queste brevi righe si propongono forse immodestamente di sviluppare, nella speranza di aprire un dibattito che sia fecondo di confronti dialettici e arricchimento comune per chi interpreta la politica non come mero gioco di potere ma come massima espressione del sentire sociale dell’essere umano.
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