Fai una donazione
Questo sito è autofinanziato. L'aumento dei costi ci costringe a chiedere un piccolo aiuto ai lettori. CHI NON HA O NON VUOLE USARE UNA CARTA DI CREDITO può comunque cliccare su "donate" e nella pagina successiva è presente (in alto) l'IBAN per un bonifico diretto________________________________
- Details
- Hits: 1316
La Cina e la formazione di un fronte del sud globale incrinano l'egemonia USA
di Domenico Moro
La guerra in Ucraina, per quanto sia importante, è solo un aspetto del confronto a livello globale tra la Russia e l’Occidente, cioè gli Usa e i loro alleati più stretti dell’Europa occidentale e del Giappone. All’interno di questo confronto acquista, inoltre, un ruolo sempre più importante la Cina, che si sta ritagliando una posizione di mediatore internazionale. La competizione si gioca su diversi ambiti: la de-dollarizzazione, cioè la sostituzione del dollaro come moneta di scambio globale, la conquista delle materie prime, e, a livello geostrategico, la costruzione di un fronte del Sud globale, che si sta sottraendo all’influenza statunitense e occidentale e sta stabilendo rapporti sempre più stretti con Cina e Russia. Quest’ultimo aspetto è di primaria importanza, perché la costruzione di un unico fronte, il Sud globale, disallineato se non contrapposto all’Occidente, sancisce una modifica, epocale e dalle conseguenze inedite, dei rapporti di forza e degli equilibri mondiali. Ovviamente tutti i cambiamenti storici hanno una incubazione di lungo periodo, ma subiscono accelerazioni improvvise che li rendono evidenti. Così è stato per la guerra in Ucraina che sta diventando il banco di prova della costruzione di un fronte globale che può mettere in crisi l’egemonia mondiale statunitense, che dura ininterrottamente dalla fine della Seconda guerra mondiale.
La formazione di un fronte del Sud globale appare visibile in sede Onu in occasione delle votazioni sulle risoluzioni di condanna della Russia per quanto sta accadendo in Ucraina. Già il 2 marzo del 2022, poco dopo l’inizio delle ostilità, 35 paesi si erano astenuti.
- Details
- Hits: 1190
La guerra in Ucraina, un anno dopo
di Giorgio Paolucci
Ché quer covo d’assassini
che c’insaguina la terra
sa benone che la guerra
è un gran giro de quattrini
che prepara le risorse
pe’ li ladri de le borse
(Trilussa)[1]
È trascorso ormai più di un anno da quando è scoppiata la guerra fra la Russia e l’Ucraina e tutto lascia presagire che sia destinata a durare ancora per molto tempo.
La pace, per quanto tutti la invochino, in realtà non la vuole e non può permettersela nessuno.
Innanzitutto gli Stati Uniti. Per loro era particolarmente importante impedire che si consolidasse una area economico-finanziaria da consentire ai suoi membri di poter fare a meno dell’impiego del dollaro come valuta di riserva internazionale e mezzo di pagamento per regolare il loro interscambio commerciale. Vale a dire, da un punto di vista geopolitico: di impedire che l’asse Berlino (Ue)/Mosca/Pechino si consolidasse fino a divenire irreversibile. Cosa che sarebbe accaduta qualora fosse entrato in esercizio il North stream 2.
Però dopo un anno di guerra ed aver ottenuto:
- la messa fuori uso, attaccandoli militarmente - come ha denunciato il giornalista premio Pulitzer Seymour Hersh 2]- sia del North Stream 1 che del 2.
- di costringere così la Germania e mezza Unione europea ad acquistare il loro gas benché di gran lunga più inquinante e più costoso di quello russo;
- Details
- Hits: 1633
Fare come in Francia?
di Sandro Moiso
Ai confini orientali la guerra in Ucraina, con i suoi possibili sbocchi mondiali che già spaventano alcune élite europee e le spingono a correre a Pechino a chiedere che il presidente Xi Jinping si affretti a impostare una reale proposta di tregua (in barba al diniego esibito nei confronti di tale ipotesi dal presidente Biden e dagli imperialisti pezzenti del Regno Unito).
Nel cuore del continente la crisi bancaria, che è sbarcata dagli Stati Uniti coinvolgendo due delle più importanti banche europee, Credit Suisse, morta in un battibaleno e sostanzialmente assorbita da UBS per un valore impensabile fino a qualche settimana fa, e Deutsche Bank che, ancora una volta, traballa sulla sua “pancia” piena di titoli spazzatura, subprime e derivati, ma “povera” di liquidità.
Nella parte occidentale e atlantica la rivolta sociale francese che si allarga sempre più, di cui la riforma autoritaria delle pensioni è stato soltanto il fattore scatenante di una crisi economica e sociale che covava sotto le ceneri, imposte dai due anni di provvedimenti liberticidi sventolati come necessari per la salvaguardia della salute pubblica, fin dai tempi dei gilets jaunes e, ancor prima, delle rivolte delle banlieue.
Un’autentica tempesta perfetta che testimonia come lo stato di salute del capitalismo occidentale e del suo modus vivendi sia tutt’altro che buono, così come quello dell’ambiente che ha colonizzato senza pietà e senza riguardo per il futuro della specie, proprio a partire del continente europeo.
Come i quattro cavalieri dell’Apocalisse, la crisi economica, la guerra, la crisi ambientale e l’impoverimento di ampi settori sociali, un tempo magari rientranti nelle fila della classe media, indicano che il modo di produzione basato sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e del capitale sull’ambiente sta volgendo al termine nel più drammatico dei modi.
- Details
- Hits: 1271
Litvinenko, Skripal e tutti i buchi nell'acqua nel criminalizzare Putin
di Francesco Santoianni
Uno stinco di santo certamente non è visto che per anni ha diretto l’efferato FSB (ex KGB). Ma da questo ad inventarsi una serie pressoché infinita di fake news contro di lui ce ne corre. Ci riferiamo a Vladimir Putin in questi giorni incriminato come criminale di guerra dopo una “inchiesta” che non si regge in piedi (nonostante il vergognoso articolo de “il manifesto”) ma che, come tante altre contro di lui, servirà a cementare nell’opinione pubblica la leggenda di un mostro del quale sbarazzarsi al più presto.
Come l’essere il mandante dell’omicidio (7 ottobre 2006) di Anna Politkovskaja, una tra i tanti giornalisti uccisi in Russia in quegli anni, autrice di innumerevoli denunce, soprattutto contro gli oligarchi imperanti in Russia, ma che, solo per aver scritto qualche articolo anche sulla guerra in Cecenia, oggi viene universalmente ricordata come una “vittima di Putin.” Ma su cosa si basano le tante accuse contro Putin? Per quanto riguarda la Politkovskaja molte inchieste giornalistiche condotte in questi anni e lo stesso processo contro i suoi presunti killer non sono approdati a nulla. Certo. Le indagini giudiziarie sono state svolte dall’apparato investigativo della Federazione Russa; ma quali prove sarebbero emerse per altri crimini addebitati a Putin verificatisi in Occidente? Limitiamoci ad esaminarne due: il presunto avvelenamento, tramite Polonio, del “dissidente russo” Litvinenko e quello degli Skripal, avvenuto tramite il fantomatico Novichock.
Il 23 novembre 2006 muore in una clinica di Londra Aleksandr Litvinenko, ufficialmente per aver ingerito Polonio 210; la stessa sostanza che sarebbe stata usata per l’omicidio del leader palestinese Yasser Arafat.
- Details
- Hits: 1114
Sulla guerra in Ucraina
Giulietta Iannone intervista Gaetano Colonna
Gaetano Colonna: Ucraina tra Russia e Occidente. Un'identità contesa, Unilibri, 2022
Come indispensabile terapia per disintossicarsi dalla martellante propaganda occidentale sulla guerra in Ucraina, proponiamo ai nostri lettori l’intervista, curata da Giulietta Iannone, rilasciata ieri da Gaetano Colonna al blog Liberi di Scrivere.
Più che un aggiornamento sull’andamento del conflitto, oggi sostanzialmente in una fase di stallo, nonostante i cospicui supporti militari e di intelligence forniti a Zelensky dagli stati occidentali, Colonna preferisce proporre una riflessione più ampia, in prospettiva storica, sul significato di questo conflitto, anche in relazione all’aspetto sicuramente più grave della guerra, le sue conseguenze per l’Europa.
* * * *
Dopo la lettura del suo interessante libro Ucraina tra Russia e Occidente – Un’identità contesa (seconda edizione), che mi riprometto di analizzare a breve su queste pagine, vorrei farle alcune domande partendo se vogliamo dalle sue conclusioni: dunque secondo le sue impressioni parte tutto dallo “spirito di Versailles” quel germe che ha minato le basi del nascente spirito comunitario che avrebbe dovuto affratellare i popoli europei e occidentali in un’ottica di pacifica convivenza. Può esplicitarci meglio questo concetto?
Con l’espressione “spirito di Versailles” intendo semplicemente la singolare combinazione ideologica che le potenze anglosassoni vincitrici alla fine della Prima Guerra Mondiale hanno saputo imporre all’Europa: da una parte, l’attribuzione della “colpa della guerra”, e da allora di tutte le guerre, ad un solo attore (la Germania, in quel caso); dall’altra, l’utilizzo della nazionalità come principio in base al quale frammentare i grandi imperi ottocenteschi, creando ovunque mosaici di nazioni i cui confini sono stati astrattamente definiti in maniera da includere e/o escludere minoranze etnico-religiose: in tal modo creano strutture politiche fragili e facilmente controllabili, innescando così anche una serie di conflitti dei quali quello russo-ucraino non è che l’ultima derivazione.
- Details
- Hits: 2615
La Francia al bivio?
Considerazioni inattuali sulla riforma delle pensioni
di Il Lato Cattivo
In questo testo cercheremo di rispondere alla domanda: «dove va la Francia?», con particolare riferimento al progetto di riforma del sistema pensionistico (adottato lo scorso giovedì 16 marzo facendo ricorso all'articolo 49.3), e al movimento sociale che vi si oppone. Ci preme in particolare dire ciò che le analisi correnti che emanano direttamente dal movimento o dai suoi sostenitori non dicono, proponendo una visione a più ampio raggio. Per questo, prima di entrare nel merito, riteniamo opportuno fornire alcuni elementi di contesto generalmente poco conosciuti e poco discussi, che permettono a nostro avviso una migliore valutazione del significato e della posta in gioco nel conflitto, che vanno ben oltre la semplice questione dell'età pensionabile.
Partendo dalla grande crisi economica e finanziaria del 2008, e dal suo prolungamento europeo del 2010-2012, si suppone spesso che la risposta capitalistica nelle aree centrali dell'accumulazione sia stata ovunque più o meno la stessa. Restare a questo livello di generalità non conduce, nel migliore dei casi, che a enunciare mezze verità e luoghi comuni. In primo luogo, la considerazione che precede può valere al massimo per la politica economica praticata a livello statuale in seno all'eurozona, soprattutto a ridosso della cosiddetta crisi dei debiti sovrani (l'austerity etc.), e non senza importanti gradazioni a seconda dei paesi. In secondo luogo, non si può minimizzare l'importanza delle discontinuità introdotte su questo piano dal quantitative easing europeo nei suoi episodi principali (dalla presidenza Draghi alla BCE fino al Covid), che non ha evidentemente soppresso la coazione all'austerity ma l'ha innegabilmente alleggerita.
- Details
- Hits: 1708
La fine di internet
Il collasso sarà la nostra liberazione o la nostra rovina?
Alessandro Sbordoni intervista Geert Lovink
In questa intervista, ho parlato con Geert Lovink del suo ultimo saggio Extinction Internet, l’hauntologia di Mark Fisher, il ricordo di Bernard Stiegler, il movimento Extinction Rebellion e i fantasmi dell’accelerazionismo
Alessandro Sbordoni: Oggi il realismo digitale ci fa sentire come se un altro Internet non fosse più possibile. In un tuo saggio intitolato Extinction Internet affermi che Internet sta volgendo al termine e che è tempo per teorici, artisti, attivisti, designer e sviluppatori di immaginare cosa resta dopo la fine di Internet per come l’abbiamo conosciuto. Che cosa possiamo fare come utenti di Internet?
Geert Lovink: In una situazione come la nostra, descritta da forme culturali ed economiche di stagnazione e recessione, la rivoluzione delle generazioni più giovani non è molto verosimile. Oggi, la sottocultura non può svilupparsi in opposizione alla cultura dominante. Questa è la ragione fondamentale per cui ci troviamo in questa situazione. Per quanto riguarda Internet, abbiamo visto la concentrazione del potere, la centralizzazione e la monopolizzazione che proviene sia dallo Stato che dalle aziende. Eppure, così come per il cambiamento climatico, tutti gli allarmi sono caduti nel vuoto. Internet è oggi caratterizzato da una strana sintesi di dipendenza digitale e sorveglianza statale. Tutto questo crea la sensazione che non ci sia via d’uscita; non sappiamo dove andare. Nel frattempo, siamo ancora impantanati nelle paludi della piattaforma.
La verità è che la capacità dell’individuo di impersonare il cambiamento è scomparsa. Mentre le forme avanzate della stagnazione si sono dimostrate molto pericolose.
AS: Mi ritorna alla mente ciò che diceva Mark Fisher riguardo la scomparsa di quei presupposti che hanno reso possibile il modernismo nel XX secolo.
- Details
- Hits: 1617
Il "cover-up"
di Seymour Hersh
Seymour Hersh sostiene che l’amministrazione Biden continua a nascondere la sua reale responsabilità nel sabotaggio dei gasdotti Nordstream e che gli articoli del New York Times e Die Zeit (in cui si suggerisce il coinvolgimento di un non meglio identificato gruppo filo-ucraino) è solo un goffo tentativo di depistaggio ispirato dalla CIA. En passant, Hersh aggiunge che il governo Scholz ha contribuito alla copertura dell’operazione americana, anche se per il momento non fornisce ulteriori dettagli.
Sono passate sei settimane da quando ho pubblicato un articolo, basato su fonti anonime, che definisce il presidente Joe Biden come il funzionario che ha ordinato la misteriosa distruzione lo scorso settembre del Nord Stream 2, un nuovo gasdotto da 11 miliardi di dollari che avrebbe dovuto raddoppiare il volume di gas naturale consegnato dalla Russia alla Germania. La storia ha preso piede in Germania e nell’Europa occidentale, ma è stata soggetta a un quasi blackout dei media negli Stati Uniti. Due settimane fa, dopo una visita del cancelliere tedesco Olaf Scholz a Washington, le agenzie di intelligence statunitensi e tedesche hanno tentato di aggravare il blackout fornendo al New York Times e al settimanale tedesco Die Zeit false storie di copertura per contrastare il rapporto secondo cui Biden e agenti statunitensi sarebbero responsabili della distruzione degli oleodotti.
Gli assistenti stampa della Casa Bianca e della Central Intelligence Agency hanno costantemente negato che l’America fosse responsabile dell’esplosione dei gasdotti e quelle smentite pro forma sono state più che sufficienti per il corpo della stampa della Casa Bianca. Non ci sono prove che un giornalista assegnato lì abbia ancora chiesto all’addetto stampa della Casa Bianca se Biden abbia fatto ciò che qualsiasi leader serio avrebbe fatto al suo posto: “incaricare” formalmente la comunità dell’intelligence americana di condurre un’indagine approfondita, con tutte le sue risorse, e scoprire solo chi aveva compiuto l’atto nel Mar Baltico.
- Details
- Hits: 1376
Democrazia rivoluzionaria
di Giacomo Croci
Il pensiero di Cornelius Castoriadis e il rapporto tra individuo, società e storia
Non credo e non voglio che i giochi siano fatti.” Questa frase, che ritroviamo nel volume La rivoluzione democratica, racchiude il pensiero di Cornelius Castoriadis. Per giochi si intende l’attività politica, cioè l’attività collettiva e individuale di organizzazione e riorganizzazione della realtà sociale e materiale. Per Castoriadis, essere un individuo socializzato, cioè qualcuno che può agire in un mondo sociale e materiale, presuppone che questo mondo, per quanto regolato, possa sempre essere cambiato. Cioè: non posso che credere e volere che i giochi non siano fatti, altrimenti non c’è niente da credere e da volere.
C’è un profondo ottimismo in questo pensiero, quello che forse Ernst Bloch chiamerebbe “ottimismo militante.” Ottimismo che non riposa però sugli allori dell’ingenuità, ma su quello che, secondo Castoriadis, viene praticato dagli esseri umani sotto il nome di democrazia – pratica che sarebbe essenzialmente rivoluzionaria. Castoriadis sostiene che una pratica e un pensiero che si muovono al di qua o al di là della soglia rivoluzionaria non sono democratici, e che le istituzioni democratiche si lasciano valutare solo dal punto di vista della rivoluzione. La tesi è accattivante e controversa. Andiamo per gradi.
La carriera di Castoriadis è piuttosto eterodossa: non solo filosofo, ma anche economista per l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico e psicoanalista, prima nella scuola fondata da Jacques Lacan e poi più critico rispetto all’impostazione lacaniana. I tre elementi ricorrono nei suoi scritti, come emerge chiaramente in La rivoluzione democratica.
- Details
- Hits: 1818
Crisi energetica, facciamo il punto
di Leonardo Mazzei
È bene fare il punto sui costi dell’energia, in particolare su quelli del gas e dell’elettricità. Sul tema circola infatti un’ingannevole narrazione, quella secondo cui tutto starebbe andando ormai per il meglio. Ma è davvero così? Assolutamente no.
Siamo in guerra, dunque la propaganda non deve stupirci, ma in questo campo (quello di chi la spara più grossa) l’Occidente batte la Russia dieci a uno. Moreno Pasquinelli si è già occupato del comico trionfalismo di un russofobo come Federico Rampini, che tre giorni prima dell’inizio di una grave crisi bancaria (vedi il crac di due banche americane e le enormi difficoltà di un colosso come Credit Suisse), scriveva che “l’apocalisse della crisi economica era un’allucinazione”. Un tempismo davvero fantastico! Cosa non farebbero certo scribacchini pur di dimostrare quanto sono servi!
Ma quello del bretellato Rampini è solo un caso tra tanti. Il succo del messaggio che si vorrebbe far passare è che tutto va bene, l’Occidente è forte e la guerra fa male solo all’economia russa. È all’interno di questo refrain che assume una grande importanza il discorso sull’energia. Sul tema, la propaganda dei media occidentali è martellante. I prezzi del gas stanno scendendo – essi dicono – dunque la strategia Ue-Nato sta funzionando, possiamo fare a meno della Russia e vivremo felici e contenti.
Ovviamente, la realtà è assai diversa. Vediamolo in tre punti, cercando di ristabilire altrettante verità.
- Il calo dei prezzi e il crollo dei consumi: è davvero una buona notizia?
La prima verità che va ristabilita è quella sul prezzo all’ingrosso del metano, da cui dipende in larga parte lo stesso costo dell’energia elettrica.
- Details
- Hits: 1551
Sui pericoli dei pappagalli stocastici: i modelli linguistici possono essere troppo grandi?
di Bender, Gebru, McMillan-Major, Shmitchell*
L’intelligenza artificiale è intelligente? L’analisi tecnica del funzionamento dei modelli linguistici svela cosa abbiamo davanti: nulla più di pappagalli stocastici. Uno studio dall’interno della Silicon Valley
Lanciato a novembre 2022, la chatbot ChatGPT ha acceso il dibattito sulle capacità raggiunte dall’intelligenza artificiale e sulle relative implicazioni sociali e politiche. ChatGPT è di fatto un modello linguistico (LM) di grandi dimensioni, addestrato su set di dati raccolti nel web. Un aspetto ormai noto è la dinamica con cui la IA riproduce pregiudizi, stereotipi e narrazioni dominanti, meno diffusa è la consapevolezza di che cosa siano i modelli linguistici e se, e con quale significato, possano dirsi ‘intelligenti’. È una questione fondamentale per comprendere cosa abbiamo davanti.
Lo studio di cui pubblichiamo qui un estratto esce nel marzo 2021 a firma, tra le altre, di Melanie Mitchell - accademica, si occupa di sistemi complessi, intelligenza artificiale e scienze cognitive (qui con lo pseudonimo Shmargaret Shmitchell), ha guidato il team di Google sull’etica nella IA, e la pubblicazione di questo paper le è valso il licenziamento -; lo studio ricostruisce tecnicamente i meccanismi per cui un LM può produrre un testo apparentemente fluido e coerente, ma la macchina che lo genera non ha alcun grado di comprensione: “La nostra percezione del testo in linguaggio naturale, indipendentemente da come è stato generato, è mediata dalla nostra competenza linguistica, e dalla nostra predisposizione a interpretare gli atti comunicativi come veicolanti un significato e un intento coerenti, indipendentemente dal fatto che tali atti lo abbiano. Il problema è che se un lato della comunicazione non ha significato, allora la comprensione del significato implicito è una illusione derivante dalla nostra singolare umana comprensione del linguaggio. Contrariamente a quanto può sembrare quando osserviamo il suo output, un modello linguistico è un sistema per riassemblare insieme in modo casuale sequenze di forme linguistiche che ha osservato nei suoi vasti dati di addestramento, in base a informazioni probabilistiche su come si combinano, ma senza alcun riferimento al significato: un pappagallo stocastico”.
- Details
- Hits: 1646
Democrazia, parola fatata. In festa tra Presa della Bastiglia e Crollo del Muro
Polittico, con stella e convitato di pietra
di Gaspare Nevola
«Non pensate quello che io so che state pensando… Io lo so che state pensando…
Se vi ho adunato qua, c’è una ragione..
Eh… la democrazia… La democrazia…
Questa parola, questa parola fatata…
Questa parola di luce… questa parola alluminta…
Questo lampadario di parola
Che il mondo dice…
Uomini con tanto di barba che parlano di questa democrazia…
Cos’è? Eh… Cos’è questa democrazia?
Questa democrazia, dice…
No… non è vero… Sì… dice…
Eh, io capisco… voi adesso dite, adesso tu perché sei… e noi siamo… sai
Eh no, cari amici»
(Peppino de Filippo, I casi sono due. Scena: “La democrazia”. Autore: Armando Curcio. Portata in teatro da Peppino de Filippo dal 1945. Edizione televisiva del 1959)
PANNELLO I
Il 1989 e il “crollo” del Muro di Berlino sono simboli del nostro tempo. Simboli di una trasformazione del mondo e di una modernità politica incerta e disorientata. Il 1989 e il “crollo del Muro” sono eventi che, invero, si inscrivono in un lungo processo storico e nei suoi effetti, i quali hanno disegnato il mondo in cui viviamo. Sebbene la cultura politica dominante fatichi tutt’ora a coglierne significato e portata politica, con le debite proporzioni il 1989 richiama un’altra data simbolica che solitamente ci viene alla mente quando pensiamo alla politica nelle società moderne-contemporanee: una data giusto di due secoli più vecchia, il 1789 della Rivoluzione francese e della travagliata nascita della “democrazia dei moderni” –-quella rivoluzione alla luce della quale (nel bene e nel male) definiamo le democrazie contemporanee come “liberal-democrazie costituzionali rappresentative di massa”.
- Details
- Hits: 1821
MATERIALISMO STORICO E MATERIALISMO DIALETTICO
di Alessandro Pascale
Il testo che segue è la relazione tenuta dal sottoscritto Alessandro Pascale, responsabile nazionale Formazione del Partito Comunista, nell’ambito della scuola popolare di formazione politica Antonio Gramsci. La presentazione è stata fatta a Milano il 3 marzo 2023 presso i locali della cooperativa La Liberazione di Milano. È disponibile la registrazione video caricata sulla pagina youtube del Partito Comunista Milano (@pcmilano).1
La lotta di classe non si gioca su ricette prestabilite, né su sentieri tracciati una volta e per sempre. Bisogna però sapere, per dirla con le parole del filosofo Georges Politzer, che la lotta di classe comprende:
«a) una lotta economica; b) una lotta politica; c) una lotta ideologica.
Occorre quindi che il problema sia posto simultaneamente in questi tre campi. […] Sarà quindi colui che riuscirà a lottare su tutti questi terreni che fornirà la guida migliore al movimento. È così che un marxista comprende il problema della lotta di classe».
Tutti i grandi maestri del socialismo sono stati anche filosofi. Non stupisce insomma che tuttora gli Stati borghesi non la lascino insegnare solo nei licei, in ossequio al modello gentiliano per cui la filosofia debba essere studiata solo dai futuri gruppi dirigenti borghesi, mentre invece alle classi lavoratrici basta una spolverata di teologia. Alla borghesia serve un popolo di analfabeti disfunzionali, non certo un esercito di lavoratori coscienti dei propri diritti e della propria condizione di lavoratori salariati soggetti ad un ordine padronale. Nel controllo ideologico delle masse sta una delle armi più potenti dell’egemonia culturale dell’imperialismo, che passa dalla conquista degli intellettuali. Di qui la necessità di tornare a studiare la filosofia.
LA NECESSITÀ DI TORNARE A STUDIARE LA FILOSOFIA
«Come la filosofia trova nel proletariato le sue armi materiali, così il proletariato trova nella filosofia le sue armi intellettuali […]. L’emancipazione pratica […] non è possibile se non nell’ambito di quella teoria che proclama l’uomo la più alta essenza dell’uomo.
- Details
- Hits: 1879
Sul fallimento delle banche: altro che fine della storia!
di Noi non abbiamo patria
La moneta non figlia valore
Rosa Luxemburg
Sono tempi complicati per chi si sforza di sostenere l’eternità del modo di produzione capitalistico, descritto come il migliore dei mondi possibili. Soprattutto per l’Occidente che, ci piaccia o no, è stato il fulcro del movimento storico e unitario dell’accumulazione mondiale combinato, seppure diseguale.
Dalla California alla Svizzera importanti e solidi istituti bancari falliscono, oppure con i conti in rosso si tenta disperatamente di salvare.
Si dice che i due eventi tra loro non hanno nulla in comune, che le vicende della Silicon Valley Bank, Silvergate Bank e di fondi di investimento californiani a questi collegati e la crisi della Credit Suisse (che non è solo il secondo istituto bancario Svizzero, ma anche uno dei più importanti centri di deposito finanziari per gli investimenti di capitale in Europa) abbiano in comune solo la coincidenza dei tempi.
Intanto, scrive il Sole 24 Ore che “la serenità non si compra. Tantomeno la fiducia. Così non bastano i 300 miliardi di dollari iniettati dalla Federal Reserve nelle banche statunitensi, sommati ai 200 miliardi di liquidità arrivati sull’economia a stelle e strisce dal Conto di disponibilità del Tesoro Usa, sommati ai 50 miliardi di franchi iniettati dalla Banca centrale svizzera al Credit Suisse per ripristinare la fiducia sui mercati. Non bastano. E neppure le parole rassicuranti del presidente Biden…“. [https://www.ilsole24ore.com/art/i-tre-motivi-cui-300-miliardi-fed-non-bastano-calmare-borse-AEk0cE6C]
- Details
- Hits: 1647
Per fermare le speculazioni, le banche in crisi vanno nazionalizzate
di Enrico Grazzini
Le continue crisi bancarie e finanziarie occidentali sono causate della privatizzazione del sistema bancario e della sua tendenza alla speculazione e al profitto. Le banche dovrebbero essere nazionalizzate in caso di crisi
Perché il crollo delle banche? Le banche fanno finanza e speculano con i soldi dei risparmiatori. Per superare la crisi occorre nazionalizzare le banche in crisi e separare nettamente il credito dalla finanza.
Di fronte alla semplice ma fondamentale domanda sul perché in Occidente scoppiano continue gravi crisi bancarie e finanziarie che mettono in pericolo tutto il sistema economico capitalista, la risposta è una sola: perché il sistema bancario è ormai del tutto privatizzato e punta solo al profitto e alla speculazione. Nei cosiddetti trenta Gloriosi, dal 1945 al 1975, il sistema bancario europeo e italiano era sostanzialmente pubblico e a direzione pubblica, e le crisi bancarie si contavano sulle dita di una mano ed erano limitate e circoscritte. Non scoppiavano continue e sempre più gravi crisi sistemiche. Le banche facevano credito alle industrie nazionali. Il risparmio nazionale serviva allo sviluppo del Paese e la fuga dei capitali speculativi era proibita. Anche nei paesi anglosassoni con sistema bancario completamente privato le banche erano regolamentate come servizio pubblico: era loro impedito di entrare nel mercato finanziario. In Europa il credito – in gran parte pubblico – ha reso possibile la ricostruzione post-bellica e il miracolo economico italiano e tedesco. Lo sviluppo economico europea di allora cresceva con tassi di aumento pari a quelli cinesi. In Italia le principali banche nazionali – Comit, Credito Italiano e Banca di Roma – erano pubbliche e facevano capo all’IRI. Il credito nei Trenta Gloriosi del dopoguerra, con tutti i suoi difetti e gli scandali, era orientato allo sviluppo della produzione nazionale nell’interesse nazionale. E con la produzione cresceva l’occupazione e il benessere.
- Details
- Hits: 1408
Nuova guerra fredda e futuro delle relazioni internazionali
Intervista all'analista Andrew Korbyko
Andrew Korybko è un analista geopolitico tra i più prolifici e seguiti per chi cerca di approfondire il nuovo mondo multipolare e le sue complesse diramazioni. Le sue analisi, spesso tradotte su l'AntiDiplomatico, sono un punto di partenza essenziale per comprendere i movimenti tellurici in atto a livello di relazioni internazionali.
Korybko collabora con diverse testate internazionali e riviste scientifiche. E' autore di due importanti saggi sulle guerre ibride: "Hybrid Wars: The Indirect Adaptive Approach to Regime Change" e "The Law of Hybrid War: Eastern Hemisphere".
* * * *
L’operazione speciale russa in Ucraina, come annunciato nelle prime fasi dal ministro degli esteri russo Lavrov, sancisce l’inizio di una nuova era nelle relazioni internazionali. Se dovesse scegliere una definizione, Lei quale sceglierebbe per descrivere questa nuova fase?
La transizione sistemica globale verso quello che definisco il multipolarismo complesso ("multiplexity") precede di gran lunga l'inizio dell'operazione speciale della Russia lo scorso anno, ma questo evento ha dato un’accelerata senza precedenti. Nei 13 mesi trascorsi dal suo inizio, è ormai chiaro che le relazioni internazionali sono sull'orlo di una tripartizione: l'Occidente guidato dagli Stati Uniti, l'Intesa sino-russa e il Sud del mondo de facto guidato dall'India. Il primo vuole mantenere l'unipolarità, il secondo la multipolarità, mentre il terzo mira ad avere un ruolo di equilibrio.
- Details
- Hits: 2489
La piega interna della democrazia
Il caso Assange*
di Antonio Martone
Introduzione
È del tutto ovvio ribadire che, in democrazia, uno dei diritti principali dei cittadini sia la libertà di espressione. Tale diritto, peraltro, è sancito dalle costituzioni e dunque sembrerebbe inutile discuterne. È altrettanto ovvio che, nella libertà di espressione, rientri a pieno titolo il diritto di pubblicare notizie di interesse comune. Quando accade che, come nel caso delle inchieste e dei processi che si sono accaniti contro il giornalista australiano Julian Assange, tutto ciò è patentemente violato, non c’è dubbio che vada denunciato senza indugio.
La contraddizione espressa dai sistemi politici euro-americani quanto al caso Assange, tuttavia, non si può liquidare facilmente come una violazione, pur clamorosa, delle regole libertarie di cui questi stessi sistemi si fanno sostenitori. In realtà, occorre analizzare a fondo le disavventure capitate ad Assange e ai giornalisti di WikiLeaks, di cui peraltro non abbiamo ancora visto l’epilogo, analizzandole dal punto di vista filosofico-politico. In altre parole, credo sia estremamente importante, ed anche urgente, interrogare questa triste vicenda, chiedendoci anzitutto come mai sia potuto accadere un “caso Assange” nel cuore delle liberal-democrazie contemporanee. Insomma, quali sono i motivi per i quali sistemi di potere che si autodefiniscono “democratici”, e che garantiscono la libertà di espressione a partire già dalle carte costituzionali, si ostinano nel perseguitare un giornalista che ha pubblicato notizie capaci di far luce – con documenti inoppugnabili, verificati e mai smentiti - non sull’attività di privati ma sull’azione di uno Stato o quelle di persone che incarnano le Istituzioni.
- Details
- Hits: 1779
Burioni ha ragione. Purtroppo per lui
di Ugo Bardi
Il tweet di Roberto Burioni riportato qui accanto è andato virale su molti social, dove è stato commentato con insulti e accidenti all'autore (C'è un altro tweet molto simile attribuito a Burioni che gira sul Web. Sembra che entrambi siano autentici, anche se non ne possiamo essere sicuri al 100%. In ogni caso, sono in linea con il pensiero e il modo di fare del personaggio e non sono stati smentiti). La reazione del pubblico è comprensibile di fronte a un'affermazione che contrasta così platealmente con la linea che Burioni e altri avevano sostenuto fino ad ora, ovvero "fidatevi della scienza, sappiamo noi cosa fare." Invece, questo tweet è una discreta zappata sui piedi (o lesione ad altre parti delicate del corpo) per tutti i televirologi che hanno imperversato negli ultimi 3 anni.
Burioni si trova in evidente difficoltà, costretto in difesa, cercando di giustificare i suoi molteplici errori e contraddizioni. Normalmente, lui usa la tecnica del "blastaggio," consapevole di generare una forte reazione negativa. La mette in conto: è un modo di far passare un certo messaggio generando polemiche. Ma è una tattica che si può usare soltanto in attacco, non in difesa.
Il tweet si limita a dire esplicitamente una cosa che è ben nota a tutti quelli che lavorano nel campo della ricerca, anche se risulta sorprendente per il pubblico in generale. Non c'è quasi nessun controllo sulla validità dei dati e dei risultati pubblicati su una rivista scientifica, anche fra quelle di "alto livello." Vi passo, più sotto, una discussione sull'argomento da parte di "Birbo Luddynski." Scusate il linguaggio scatologico, ma la sua descrizione di come funziona la scienza è valida, perlomeno nel complesso.
- Details
- Hits: 1185
La Lunga Marcia della Cina in America Latina
di Fabrizio Verde
Se vi è un posto nel mondo dove il declino dell’egemonia statunitense è più evidente, questo è senza dubbio l’America Latina. Una regione funestata in passato dall’interventismo di Washington.
Basti pensare a come è cambiato lo scenario rispetto agli anni ’70 del secolo scorso: nel 2023 ricorre mezzo secolo dal colpo di Stato in Uruguay (27 giugno 1973) e dal golpe fascista di Augusto Pinochet e dall'assassinio di Salvador Allende in Cile (11 settembre dello stesso anno). Un periodo in cui il ‘Cono Sur’ si riempì di governi militari, sotto il ferreo controllo degli Stati Uniti.
Ma questo 8 dicembre ricorre anche il 40° anniversario del ritorno della democrazia in Argentina nel 1983, che segna il momento in cui la regione ha iniziato a scrollarsi di dosso questo pesante fardello e a lasciarsi alle spalle il passato oscuro e sanguinoso imposto da Washington.
Da allora, in tutti i Paesi latinoamericani si sono succeduti governi democratici di segno diverso: quelli del ritorno alla democrazia negli anni '80, quelli dell'era neoliberale negli anni '90, i governi progressisti dell'inizio di questo secolo, seguiti, per un periodo più breve, da governi neoliberali, che vengono sostituiti, ancora una volta e a velocità diverse, in una dinamica che segna un progressivo allontanamento dai dettami statunitensi. Mentre attualmente la nuova ondata socialista e progressista cerca una nuova integrazione regionale su basi cooperative e solidaristiche, capace di allontanare le mire di controllo statunitensi.
- Details
- Hits: 1849
Cosa accade alle banche. E cosa potrebbe accadere
di Marco Bertorello, Danilo Corradi
L'intreccio tra finanza ed economia reale, la crisi del digitale, il ruolo delle banche centrali e l'incidenza dell'inflazione: analogie e differenze tra Svb e Lehman Brothers
Agatha Christie in una celebre battuta sosteneva che «Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova». Attualmente nel giallo dello stato di salute del sistema bancario globale e, di conseguenza, di quello economico-finanziario, siamo arrivati in pochi giorni già alla coincidenza. Il fallimento della Silicon Valley Bank (Svb) e il successivo crollo in borsa di Credit Suisse richiamano immediatamente il crack di Lehmann Brothers, cioè il fallimento bancario che accese la crisi finanziaria globale del 2008. A distanza di quindici anni, come di riflesso, il ricordo e le paure tornano a quella vicenda, quando le autorità statunitensi non intervennero, lasciando fallire l’istituto. L’automatismo è in parte giustificato, se si considerano le fragilità dell’attuale sistema finanziario e l’importanza del fattore fiducia, ma ad alcune analogie corrispondono anche differenze importanti che restituiscono un quadro complesso ed estremamente dinamico.
Sarà una nuova Lehman?
Molti analisti hanno messo in luce le differenze, rassicurando ed escludendo che il fallimento di Svp sia l’inizio di una nuova crisi sistemica. Questa visione indubbiamente poggia su alcuni elementi di verità.
Dopo la crisi del 2008 i meccanismi precauzionali sono aumentati. I vari accordi quadro raggiunti a Basilea svolgono una funzione di deterrenza richiedendo alle banche maggiore capitalizzazione e liquidità. L’Europa, nel tempo, si è dotata di sistemi di controllo più rigidi.
- Details
- Hits: 2146
Storia e coscienza di classe di György Lukács
di Paolo Cassetta
Destini e significati di un grande classico marxista del XX secolo a cento anni dalla pubblicazione
Storia e coscienza di classe è un libro difficile [1]. La circostanza era abbastanza evidente già al tempo della sua pubblicazione; e non è detto che questa difficoltà, questo linguaggio talora un po’ astruso destinato ad agire sul lettore quasi come una barriera, non abbia contribuito alla sua disgrazia politica negli ambienti del Comintern, abituati a modi spicci e all’empirismo altalenante di Zinoviev, che, come sappiamo, pronunciò la famosa condanna nell’estate del 1924, al V congresso dell’Internazionale.
Ma Storia e coscienza di classe è un libro che, come scrive Lukács stesso nell’Introduzione licenziata a Vienna, nel natale del 1922, è nato “in mezzo al lavoro di partito”. Lukács parla esplicitamente di un “tentativo”. Il tentativo, leggo dall’Introduzione, di “chiarire a se stesso ed ai suoi lettori questioni teoriche del movimento rivoluzionario” [2].
Dunque sono “questioni teoriche”. Ma sono questioni teoriche del movimento rivoluzionario. Dobbiamo avere chiaro che Lukács si riferisce all’ondata internazionale messa in moto dagli effetti della Grande Guerra e della Rivoluzione russa. Quando Lukács scrive queste parole, egli e tutto il movimento comunista hanno già alle spalle l’insurrezione tedesca repressa nel gennaio del 1919, la rivoluzione bavarese dei consigli e quella ungherese fallite nella primavera-estate dello stesso anno, gli scontri armati provocati dal putsch di Kapp in Germania nel marzo del 1920, la sconfitta sovietica nella guerra con la Polonia in agosto, il movimento di occupazione delle fabbriche italiane nel settembre dello stesso anno, il tentativo insurrezionale comunista conosciuto come l’“azione di marzo” in Germania del 1921. In Russia la guerra civile è finita con la vittoria del governo bolscevico. Ma il passo del cambiamento attenua la sua velocità.
- Details
- Hits: 1872
“Dai diversi ordini economici la frattura globale”
Intervista a Michael Hudson
Intervista all’economista statunitense Michael Hudson
D. Prof. Hudson, è uscito il suo nuovo libro “Il destino della civiltà”. Questo ciclo di conferenze sul capitalismo finanziario e la nuova guerra fredda presenta una panoramica della sua particolare prospettiva geopolitica. Lei parla di un conflitto ideologico e materiale in corso tra Paesi finanziarizzati e deindustrializzati come gli Stati Uniti contro le economie miste di Cina e Russia. In che cosa consiste questo conflitto e perché il mondo si trova in questo momento in un “punto di frattura” particolare, come afferma il suo libro?
R. L’attuale frattura globale sta dividendo il mondo tra due diverse filosofie economiche: Nell’Occidente USA/NATO, il capitalismo finanziario sta deindustrializzando le economie e ha spostato l’industria manifatturiera verso la leadership eurasiatica, soprattutto Cina, India e altri Paesi asiatici, insieme alla Russia che fornisce materie prime di base e armi. Questi Paesi sono un’estensione di base del capitalismo industriale che si sta evolvendo verso il socialismo, cioè verso un’economia mista con forti investimenti governativi nelle infrastrutture per fornire istruzione, assistenza sanitaria, trasporti e altre necessità di base, trattandole come servizi di pubblica utilità con servizi sovvenzionati o gratuiti per queste necessità. Nell’Occidente neoliberale degli Stati Uniti e della NATO, invece, questa infrastruttura di base viene privatizzata come un monopolio naturale che estrae rendite. Il risultato è che l’Occidente USA/NATO è rimasto un’economia ad alto costo, con le spese per la casa, l’istruzione e la sanità sempre più finanziate dal debito, lasciando sempre meno reddito personale e aziendale da investire in nuovi mezzi di produzione (formazione del capitale).
- Details
- Hits: 1530
Diario della Crisi | Do you remember Lehman Brothers?
Il fallimento della banca dell’innovazione e l’enigma delle grandi dimissioni
di Christian Marazzi
Il recente fallimento della Silicon Valley Bank, la «banca dell’economia globale dell’innovazione», squaderna questioni e domande decisive. In questa nuova puntata del «Diario della crisi», Christian Marazzi spiega in modo illuminante che cosa sta accadendo e la posta in palio, analizzando il ruolo della banca centrale, l’effetto dell’aumento dei tassi di interesse sui Titoli di Stato, il possibile precipitare degli investimenti delle start-up di tecnologia climatica legati alla Svb. In un contesto in cui, negli ultimi anni, i salari sono cresciuti più lentamente dell’inflazione e i salari reali aggregati sono di fatto diminuiti, l’autore spiega come il problema di fondo della politica della Fed sia il suo essere monetarista, tutta incentrata cioè sull’offerta di moneta, e non, come dovrebbe essere, sull’andamento della domanda di moneta. Sotto le politiche della Fed, dunque, sembra riaffacciarsi l’enigmatico spettro dei comportamenti del lavoro vivo e delle «grandi dimissioni».
* * * *
Non solo start-up
A un primo livello d’analisi, il fallimento della Silicon Valley Bank (la «banca dell’economia globale dell’innovazione») appare come una tipica crisi da bank run, da corsa agli sportelli causata dal panico dei depositanti, per lo più «startupper» nel settore digitale, per recuperare quanta più possibile liquidità da una banca, la loro, sull’orlo del crac. «Per capire – scrive Paolo Mastrolilli su «la Repubblica» di domenica 12 marzo, riassumendo la narrazione generale – bisogna partire dall’origine della crisi. Prima del Covid, alla fine del 2019, i depositi presso la Svb erano triplicati, da 62 a 189 miliardi di dollari, grazie all’esplosione delle start-up tecnologiche.
- Details
- Hits: 1393
La guerra invisibile dei potenti contro i sudditi
di Vittorio Stano
“Riassumiamo in quattro parole il patto sociale tra i due Stati. Voi avete bisogno di me, perché io sono ricco e voi siete poveri; facciamo dunque un accordo tra noi: io vi permetterò che voi abbiate l’onore di servirmi, a condizione che voi mi diate il poco che vi resta per la pena che io mi prenderò di comandarvi.”
Jean Jaques Rousseau, Discorso sull’economia politica (1755)
Negli ultimi 50anni si è compiuta una gigantesca rivoluzione dei ricchi contro i poveri, dei governanti contro i governati. Dai birrifici del Colorado, ai miliardari del Midwest, alle facoltà di Harvard, ai premi Nobel di Stoccolma, Marco d’Eramo (1) con il suo libro “Dominio” ci guida nei luoghi dove questa sedizione è stata pensata, pianificata, finanziata.
Di una vera e propria guerra si è trattato, anche se è stata combattuta senza che noi ce ne accorgessimo. La rivolta dall’alto contro il basso ha investito tutti i terreni, non solo l’economia e il lavoro, ma anche la giustizia, l’istruzione: ha stravolto l’idea che ci facciamo della società, della famiglia, di noi stessi.
Ha sfruttato ogni crisi, tsunami, attentato, recessione, pandemia. Ha usato qualunque arma, dalla rivoluzione informatica, alla tecnologia del debito. Insorgere contro questo dominio sembra una bizzarria patetica e tale resterà se non impariamo da chi continua a sconfiggerci. Il lavoro da fare è immenso, titanico, da mettere spavento. Ma ricordiamoci: nel 1947 i fautori del neoliberismo dovevano quasi riunirsi in clandestinità, sembravano predicare nel deserto. Proprio come noi ora.
Questa guerra bisogna raccontarla partendo dagli Stati Uniti perché sono l’impero della nostra epoca e gli altri paesi occidentali sono loro sudditi. Uno degli effetti della vittoria che i ricchi hanno conseguito è stato di renderci ignari della nostra sudditanza e di annebbiare la percezione delle relazioni di potere: meno male che è arrivato Trump a ricordarci la sopraffazione, la protervia, la crudezza in ogni dominio imperiale.
- Details
- Hits: 2718
La fusione nucleare riaccende gli entusiasmi (almeno quelli)
di Massimo Zucchetti
Non si tratta di un articolo breve, perché non è – o non è soltanto – di “divulgazione” scientifica. L’Autore – docente di impianti nucleari al Politenico di Torino, per oltre venti anni al Mit di Boston, specialista in fusione nucleare tanto da entrare (nel 2016) nella cinquina finale dei candidati al premio Nobel per la Fisica – ha ritenuto giustamente che alla “divulgazione pubblicitaria” proposta dai media mainstream fosse necessario rispondere anche in punta di ricerca scientifica seria.
Di qui la lunghezza del testo, che però può solo tornare a vantaggio della serietà del lavoro e della discussione “sul nucleare”.
Buona lettura.
*****
Il recente accordo fra ENI e MIT, per lo sviluppo di un reattore a fusione nucleare “credibile”, ha riacceso molte speranze ed entusiasmi: in mancanza dell’accensione di plasmi termonucleari, che finora sono rimasti sulla carta.
Gli ultimi recenti sviluppi confermano quanto diciamo da molto tempo: non importa quanto lontano possa essere nel futuro, ma ITER è un percorso sbagliato per arrivare alla fusione nucleare commerciale, che così non diverrà mai una realtà. Tuttavia, con un diverso percorso, un “diverso iter”, la fusione “ha una possibilità di svilupparsi nel vicino futuro”.
Escludiamo dal nostro discorso i progetti militari di fusione inerziale, dei quali ci siamo già occupati e che, onestamente, ci ripugnano.
Page 120 of 610
Gli articoli più letti degli ultimi tre mesi
Carlo Di Mascio: Diritto penale, carcere e marxismo. Ventuno tesi provvisorie
Carlo Lucchesi: Avete capito dove ci stanno portando?
Carlo Rovelli: Una rapina chiamata libertà
Agata Iacono: Cosa spaventa veramente del rapporto di Francesca Albanese
Barbara Spinelli: La “diplomafia” di Trump: i dazi
Domenico Moro: La prospettiva di default del debito USA e l'imperialismo valutario
Sergio Fontegher Bologna: L’assedio alle scuole, ai nostri cervelli
Giorgio Lonardi: Il Mainstream e l’omeopatia dell’orrore
Il Pungolo Rosso: Una notevole dichiarazione delle Brigate Al-Qassam
comidad: Sono gli israeliani a spiegarci come manipolano Trump
Alessandro Volpi: Cosa non torna nella narrazione sulla forza dell’economia statunitense
Leo Essen: Provaci ancora, Stalin!
Alessio Mannino: Contro la “comunità gentile” di Serra: not war, but social war
L'eterno "Drang nach Osten" europeo
Sonia Savioli: Cos’è rimasto di umano?
Gianni Giovannelli: La NATO in guerra
BankTrack - PAX - Profundo: Obbligazioni di guerra a sostegno di Israele
Alessandro Volpi: Come i dazi di Trump mettono a rischio l’Unione europea
Marco Savelli: Padroni del mondo e servitù volontaria
Emmanuel Todd: «La nuova religione di massa è il culto della guerra»
Fulvio Grimaldi: Siria, gli avvoltoi si scannano sui bocconi
Enrico Tomaselli: Sulla situazione in Medio Oriente
Mario Colonna: Il popolo ucraino batte un colpo. Migliaia in piazza contro Zelensky
Gianandrea Gaiani: Il Piano Marshall si fa a guerra finita
Medea Benjamin: Fermiamo il distopico piano “migliorato” di Israele per i campi di concentramento
Gioacchino Toni: Dell’intelligenza artificiale generativa e del mondo in cui si vuole vivere
Fulvio Grimaldi: Ebrei, sionismo, Israele, antisemitismo… Caro Travaglio
Elena Basile: Maschere e simulacri: la politica al suo grado zero
Emiliano Brancaccio: Il neo imperialismo dell’Unione creditrice
Gli articoli più letti dell'ultimo anno
Carlo Di Mascio: Hegel con Pashukanis. Una lettura marxista-leninista
Giovanna Melia: Stalin e le quattro leggi generali della dialettica
Emmanuel Todd: «Non sono filorusso, ma se l’Ucraina perde la guerra a vincere è l’Europa»
Andrea Del Monaco: Landini contro le due destre descritte da Revelli
Riccardo Paccosi: La sconfitta dell'Occidente di Emmanuel Todd
Andrea Zhok: La violenza nella società contemporanea
Carlo Di Mascio: Il soggetto moderno tra Kant e Sacher-Masoch
Jeffrey D. Sachs: Come Stati Uniti e Israele hanno distrutto la Siria (e lo hanno chiamato "pace")
Jeffrey D. Sachs: La geopolitica della pace. Discorso al Parlamento europeo il 19 febbraio 2025
Salvatore Bravo: "Sul compagno Stalin"
Andrea Zhok: "Amiamo la Guerra"
Alessio Mannino: Il Manifesto di Ventotene è una ca***a pazzesca
Eric Gobetti: La storia calpestata, dalle Foibe in poi
S.C.: Adulti nella stanza. Il vero volto dell’Europa
Yanis Varofakis: Il piano economico generale di Donald Trump
Andrea Zhok: "Io non so come fate a dormire..."
Fabrizio Marchi: Gaza. L’oscena ipocrisia del PD
Massimiliano Ay: Smascherare i sionisti che iniziano a sventolare le bandiere palestinesi!
Guido Salerno Aletta: Italia a marcia indietro
Elena Basile: Nuova lettera a Liliana Segre
Alessandro Mariani: Quorum referendario: e se….?
Michelangelo Severgnini: Le nozze tra Meloni ed Erdogan che non piacciono a (quasi) nessuno
Michelangelo Severgnini: La Libia e le narrazioni fiabesche della stampa italiana
E.Bertinato - F. Mazzoli: Aquiloni nella tempesta
Autori Vari: Sul compagno Stalin
Qui è possibile scaricare l'intero volume in formato PDF
A cura di Aldo Zanchetta: Speranza
Tutti i colori del rosso
Michele Castaldo: Occhi di ghiaccio
Qui la premessa e l'indice del volume
A cura di Daniela Danna: Il nuovo volto del patriarcato
Qui il volume in formato PDF
Luca Busca: La scienza negata
Alessandro Barile: Una disciplinata guerra di posizione
Salvatore Bravo: La contraddizione come problema e la filosofia in Mao Tse-tung
Daniela Danna: Covidismo
Alessandra Ciattini: Sul filo rosso del tempo
Davide Miccione: Quando abbiamo smesso di pensare
Franco Romanò, Paolo Di Marco: La dissoluzione dell'economia politica
Qui una anteprima del libro
Giorgio Monestarolo:Ucraina, Europa, mond
Moreno Biagioni: Se vuoi la pace prepara la pace
Andrea Cozzo: La logica della guerra nella Grecia antica
Qui una recensione di Giovanni Di Benedetto