Fai una donazione
Questo sito è autofinanziato. L'aumento dei costi ci costringe a chiedere un piccolo aiuto ai lettori. CHI NON HA O NON VUOLE USARE UNA CARTA DI CREDITO può comunque cliccare su "donate" e nella pagina successiva è presente (in alto) l'IBAN per un bonifico diretto________________________________
- Details
- Hits: 2900

A proposito di capitale fittizio, stato e ricette anticrisi
di Dante Lepore
È opportuno premettere che l’atteggiamento ostile verso la «speculazione» è comune a tutte le posizioni. Sembra che questa speculazione sia un corpo (essi la chiamano «sfera») estraneo che causa la malattia del capitalismo, che, senza di essa, sarebbe sostanzialmente un corpo sano. Come quando la malattia è concepita come l’antitesi assoluta della salute (vista anch’essa come stato assoluto di beatitudine) anziché come il rovescio dialettico della salute. Non si trova nessuno che affermi che la speculazione sia una cosa buona; anche quando andava bene, al massimo la si accettava per costume pragmatico, perché sembrava si fossero acquisiti quei meccanismi conoscitivi che permettevano di arricchire in fretta con l’inflazione pletorica del capitale. Fino a quando, negli ultimi due anni, l'aumento del debito pubblico superava la riduzione del debito privato, anche i mercati crescevano, al punto che gli stessi privati si indebitavano sempre più sotto l’effetto del sistema Ponzi; ma quando l'aumento del debito privato, coi mutui, assicurazioni, ecc., ha superato l'aumento del debito pubblico, i mercati si sono fermati.
Per capire lo stretto legame tra capitale fittizio e indebitamento pubblico e privato, basta considerare come esso altro non sia che il rovescio speculare del credito: se si prende del denaro a credito, da un lato esso è prestito, in mano al finanziere (banche, ecc.), dall’altro è debito (Stati, comuni, famiglie, imprese, privati cittadini). Ci si indebita con i muti per la casa, ma anche per i consumi quotidiani, e persino per pagare gli interessi per i debiti contratti.
- Details
- Hits: 2636

L’Ecuador dice si all’asilo politico per Assange
È scontro con Londra
Si respira un clima da resa dei conti intorno all’ambasciata ecuadoregna a Londra. Al numero tre di Hans Crescent una miscela esplosiva di colpi di scena potrebbe far scoppiare una crisi diplomatica senza precedenti. Ad accendere la miccia è ancora lui, l’uomo più ricercato del mondo: Julian Assange
Le voci si rincorrevano da giorni ormai. Dopo aver trascorso quasi due mesi barricato nell’ambasciata ecuadoregna a Londra, le acque cominciavano a muoversi e Julian Assange stava per prendere il largo. Tutto lasciava presagire che Rafael Correa, presidente del piccolo stato sud americano, fosse intenzionato a concedere l’asilo politico al leader di Wikileaks. Una soluzione intentata per salvarlo dalle accuse di abuso sessuale – mossegli da un tribunale di Stoccolma – e dalla spada di Damocle dell’estradizione negli Stati Uniti, dove lo attende un processo per spionaggio ed una probabile condanna a morte. Alle ore 14 italiane la notizia diventa ufficiale. Il ministro degli esteri Ricardo Patino in una drammatica conferenza stampa conferma l’asilo politico per l’ex hacker australiano. Ma Londra non ci sta e decide di mettersi di traverso.
Fuoco incrociato
Già dalla mezzanotte di giovedì la sede diplomatica dell’Ecuador viene circondata in forze dalle polizia britannica. L’ipotesi che Assange possa lasciare il paese senza colpo ferire non viene nemmeno presa in considerazione dalle autorità locali. E alle parole dell’incaricato d’affari britannico nel paese sudamericano – «Mettiamo in chiaro in modo assoluto che se ci arrivasse una richiesta di salvacondotto, la rifiuteremmo» – seguono le minacce del ministro degli Esteri William Hague: «Entreremo con la forza nell’ambasciata e prenderemo Assange».
- Details
- Hits: 2740

Inutile vendere palazzi
Occorre una strategia di uscita dall'euro
Gianluca Roselli intervista Emiliano Brancaccio
«Da questa crisi si esce riformando profondamente l’Unione europea oppure diventerà inevitabile uscire dall’euro». L’economista Emiliano Brancaccio (docente di Economia politica alla Facoltà di Scienze economiche e aziendali dell’Università del Sannio, a Benevento) non è ottimista sul futuro della moneta unica. Che, a suo parere, sta favorendo l’economia tedesca e impoverendo tutti gli altri Paesi, a cominciare dall’Italia.
Brancaccio, davvero quello che era considerato impossibile fino a qualche mese fa, ovvero l’uscita dall’Italia dall’euro, ora è una possibilità reale?
«Sì, perchè l’euro non ha raggiunto gli obiettivi per cui è stato creato. L’auspicato compromesso tra i paesi forti come la Germania da un lato e la Francia e l’area mediterranea dall’altro non si è mai realizzato. Gli Stati hanno interessi divergenti che non si riescono a ricomporre. E ognuno va per la sua strada. Così l’euro si configura sempre di più come un vestito tagliato su misura per l’economia tedesca. Che ne trae vantaggi a livello di competitività delle sue imprese a scapito dei Paesi periferici. Così la zona euro è fortemente sbilanciata in favore degli interessi dell’economia più forte. E la crisi lo dimostra, perché colpisce in modo asimmetrico: La Germania è toccata in misura minore, mentre altri vanno a picco».
Insomma, l’euro ha fallito la sua missione?
«Nell’attuale configurazione sì. E lo dimostra il fatto che l’area euro si è dimostrata la più fragile del mondo di fronte all’onda di crisi che veniva dagli Stati Uniti».
Quindi si va verso la fine della moneta unica?
«Il problema è che in Germania non sembrano convinti che convenga salvare l’euro.
- Details
- Hits: 5773

Crisi, banche e saggio di profitto
di Luca Lombardi*
N. Machiavelli

La crisi finanziaria internazionale ha messo a nudo le debolezze dello sviluppo del capitalismo negli ultimi decenni, dimostrando la natura propagandistica delle teorie economiche che ne magnificavano le sorti. Come ha osservato Paul Krugman: “la maggior parte della teoria macroeconomica degli ultimi 30 anni è stata, nel migliore dei casi, clamorosamente inutile, attivamente dannosa nei peggiori”. I governi sono stati costretti a intraprendere politiche ritenute fino a poco prima preistoriche dai fan del libero mercato arrivando alla nazionalizzazione delle banche. Si sono levati cori di critiche per le politiche economiche dominanti di questo ultimo quarto di secolo e sono partite molteplici iniziative di riforma del sistema finanziario. Non si tratta però di un cambio di rotta. Passata la tempesta, si tornerà indietro, perché le cause della crisi sono radicate nell’essenza del modello di accumulazione capitalistico.
Per anni, è sembrato che non ci fosse alternativa teoria e pratica alla globalizzazione capitalistica. La crisi ha dimostrato quanto invece sia necessario sviluppare o meglio riscoprire una teoria e una politica radicalmente differenti che possano fornire, tra l’altro, una spiegazione efficace delle ricorrenti crisi finanziarie. L’ampiezza e la pervasività della crisi sono tali da far spesso dimenticare che si tratta dell’ultima di una serie di crisi che hanno colpito i mercati finanziari negli ultimi decenni. Ad esempio, in un recente lavoro della Banca dei Regolamenti Internazionali, vengono identificate 40 crisi bancarie sistemiche solo negli ultimi 35 anni e gli autori devono concludere che: “le crisi finanziarie sono più frequenti di quanto si creda e portano a perdite che sono molto maggiori di quanto si spererebbe”1. Così come con l’esplosione della bolla dei subprime, dopo ogni crisi sono emerse riflessioni teoriche e politiche sulla fragilità dei mercati, sull’inadeguatezza delle regole, sull’eccesso di leva finanziaria delle banche. Queste riflessioni si sono rivelate effimere, poiché una nuova bolla finanziaria ha messo a tacere i malumori.
- Details
- Hits: 5703

Amo Scicli e Guccione
Peppe Savà intervista Giorgio Agamben
E’ uno dei più grandi filosofi viventi. Amico di Pasolini e di Heidegger, Giorgio Agamben è stato definito dal Times e da Le Monde una delle dieci teste pensanti più importanti al mondo. Per il secondo anno consecutivo ha trascorso un lungo periodo di vacanza a Scicli, concedendo una intervista a Peppe Savà
Il governo Monti invoca la crisi e lo stato di necessità, e sembra essere la sola via di uscita sia dalla catastrofe finanziaria che dalle forme indecenti che il potere aveva assunto in Italia; la chiamata di Monti era la sola via di uscita o potrebbe piuttosto fornire il pretesto per imporre una seria limitazione alle libertà democratiche?
“Crisi” e “economia” non sono oggi usati come concetti, ma come parole d’ordine, che servono a imporre e a far accettare delle misure e delle restrizioni che la gente non ha alcun motivo di accettare. “Crisi” significa oggi soltanto “devi obbedire!”. Credo che sia evidente per tutti che la cosiddetta “crisi” dura ormai da decenni e non è che il modo normale in cui funziona il capitalismo nel nostro tempo. Ed è un funzionamento che non ha nulla di razionale.
Per capire quel che sta succedendo, occorre prendere alla lettera l’idea di Walter Benjamin, secondo la quale il capitalismo è, in verità, una religione e la più feroce, implacabile e irrazionale religione che sia mai esistita, perché non conosce redenzione né tregua. Essa celebra un culto ininterrotto la cui liturgia è il lavoro e il cui oggetto è il denaro. Dio non è morto, è diventato Denaro.
- Details
- Hits: 2744

Strati di tempo, di M. Tomba
Karl Marx materialista storico
Cristina Corradi
Nel suo ultimo, corposo saggio (Strati di tempo. Karl Marx materialista storico, Jaca Book 2011) Massimiliano Tomba ricostruisce l’itinerario marxiano – dalla dissertazione di dottorato sull’atomismo antico all’Ideologia tedesca, dai Grundrisse al confronto con i populisti russi – utilizzando come filo conduttore la maturazione del “materialismo storico”. L’espressione – ci ricorda l’autore – non è di Marx ma di Engels che la usa, congiuntamente alla dizione “socialismo scientifico”, con intenti divulgativi. Obiettivo del libro non è, tuttavia, la ricostruzione filologica del vero materialismo pratico o materialismo comunista di Marx, da contrapporre ai fraintendimenti del marxismo novecentesco. Esso esplora piuttosto la pluralità di significati del materialismo marxiano per ricavare dai testi una concezione della storia che sovverte quella sedimentata nel marxismo della II e della III Internazionale: una concezione più rispondente alla temporalità specifica del conflitto sociale e più consona alle esigenze di un’autonoma politica di classe.
In Italia il materialismo storico non ha mai goduto di buona fama: dal dibattito di fine Ottocento tra Labriola, Croce, Gentile e Sorel, la tendenza prevalente è stata quella di ridimensionare la concezione materialistica della storia, disconoscendone la portata scientifica, attenuandone il valore metodico o denunciando l’intima contraddittorietà di una teoria che affermi il primato dell’essere sulla coscienza. Nei Quaderni del carcere Gramsci si spinge a sostituire il materialismo storico con una filosofia della prassi che è chiamata a indagare la formazione della soggettività politica di classe.
- Details
- Hits: 2225

La fine della siderurgia come parabola della fine della nostra industria nazionale
di Riccardo Achilli
Mentre l’intero interesse dell’opinione pubblica viene concentrato su fasulle politiche per una fasulla fuoriuscita dalla crisi del debito sovrano, in questi giorni, nella più totale indifferenza del peggior Governo della storia repubblicana (peggiore anche rispetto ai Governi Berlusconi, peggiore del Governo Tambroni-Scelba) si consuma forse l’atto finale della lunga crisi di un settore portante della nostra industria: la siderurgia.
A Taranto una inutile bonifica ambientale, fatta perlopiù di interventi annunciati anni fa e mai realizzati quando era (forse) utile farlo, consente a vertici politici e sindacali, azienda, società civile di tornare a mettere la testa sotto la sabbia, evitando di sfruttare l’occasione per fare un revamping strutturale dell’impianto, che consenta di risolvere definitivamente il problema ambientale e collocare lo stabilimento alla frontiera tecnologica del settore, rendendolo competitivo con le realtà più avanzate. Mentre intanto il gruppo Riva accusa perdite di esercizio preoccupanti (con un risultato di esercizio negativo per 614 Meuro nel 2009-2010, solo in parte compensato da un utile di 327 Meuro nel 2011, mentre le previsioni per il 2012 appaiono nere, con una fermata di alcuni impianti, a Taranto, già effettuata per motivi di mercato a giugno, prima cioè del sequestro operato dalla magistratura) e scende costantemente nella graduatoria dei maggiori produttori mondiali di acciaio, in un settore in cui le dimensioni contano e le economie di scala sono un fattore competitivo strategico.
A Piombino l’acciaieria ex Lucchini, rilevata nel 2005 dalla russa Severstal, emette gli ultimi rantoli di una lunghissima agonia, rispetto alla quale la politica, nazionale e regionale, non ha trovato niente di meglio, per oltre 15 anni, che sedersi ed aspettare gli eventi.
- Details
- Hits: 2297

Contraddizioni sull'Ilva e non solo
di Antiper
Qualche giorno fa il GIP Patrizia Todisco ha disposto il fermo di 6 impianti “a caldo” dell'Ilva di Taranto ipotizzando il rischio di un “disastro ambientale” consapevolmente prodotto “per la logica del profitto”
“Non vi sono dubbi sul fatto che tale ipotesi criminosa sia caratterizzata dal dolo e non dalla semplice colpa. Invero, la circostanza che il siderurgico fosse terribile fonte di dispersione incontrollata di sostanze nocive per la salute umana e che tale dispersione cagionasse danni importanti alla popolazione era ben nota a tutti...”
“... La piena consapevolezza della loro attività avvelenatrice non può non ricomprendere anche la piena consapevolezza che le aree che subivano l’attività emissiva erano utilizzate quale pascolo di animali da parte di numerose aziende agricole dedite all’allevamento ovi-caprino...”
“... Le sostanze inquinanti erano sia chiaramente cancerogene, ma anche comportanti gravissimi danni cardiovascolari e respiratori. Gli effetti degli Ipa e delle diossine sull'uomo non potevano dirsi sconosciuti...”
“... Non vi è dubbio che gli indagati, adottando strumenti insufficienti nell’evidente intento di contenere il budget di spesa, hanno condizionato le conseguenze dell’attività produttiva per la popolazione mentre soluzioni tempestive e corrette secondo la migliore tecnologia avrebbero sicuramente scongiurato il degrado di interi quartieri della città di Taranto...”
- Details
- Hits: 2620

L’Europa è una provincia
Raffaele Sciortino
È da tempo che quasi ogni incontro dei vertici della Ue o della Banca Centrale viene spacciato come quello decisivo per la moneta unica giunta all’ultima spiaggia. Contano qui i ritmi parossistici e ultimativi dettati dall’informazione-spettacolo e dai “mercati”, ma anche una strategia di pressione che ogni volta di più deve ribadire le coordinate ammesse della scenografia della crisi. Sul banco degli imputati chi non vuole aprire i cordoni della borsa per “salvare” l’euro a rischio di riportare l’economia mondiale nelle secche della recessione; tutto intorno i questuanti della “periferia” europea che avendo imparato da bravi a svolgere i loro compiti a casa meritano di non essere immolati come la Grecia sull’altare dell’austerity proprio ora che hanno riscoperto la crescita; a lato lo zio d’America, saggio democratico e multiculti, che forse in gioventù ha vissuto un po’ troppo a credito ma ora riscopertosi verace keynesiano sta salvando il mondo con i più grossi stimoli monetari della storia se non fosse per… È possibile un’analisi di quanto accade restando dentro questo tipo di lettura semicaricaturale che va per la maggiore?
La riunione della Bce del due agosto ha rappresentato l’ennesimo momento di scontro e ridefinizione tra spinte contrastanti nel quadro di una crisi che è ben lontana dal vedere qualunque luce in fondo al tunnel. Ma per decifrarne attori e fattori determinanti bisogna disfarsi della narrazione che vuole l’eurocrisi come prodotto innanzitutto degli squilibri intraeuropei aggravati dall’egoismo di Berlino.
- Details
- Hits: 2400

L'attività lavorativa nel ciclio di accumulazione
Per inquadrare il tema occorre partire dal concetto di capitale come rapporto sociale, approfondendo l'analisi di come i rapporti di produzione assumono la forma merce e denaro.
Il plusvalore deriva dallo scambio tra forza lavoro e capitale, il ciclo di riproduzione capitalista impone altri scambi che si sovrappongono a questo.
La moneta e i prezzi hanno un ruolo principale nella distribuzione del plusvalore prodotto e realizzato.
Il rapporto di lavoro salariato impone che i lavoratori mettano la loro attività lavorativa a disposizione dei proprietari dei mezzi di produzione, i quali produrranno per il mercato.
Il pluslavoro e il plusvalore non sono una caratteristica dell'attività lavorativa, essi derivano da un rapporto sociale e dal costituirsi del processo produttivo come produzione di merce.
La forma valore della merce ha come condizione necessaria la trasformazione del lavoro concreto in lavoro astratto, lavoro umano in generale. Lo scambio DENARO-MERCE quando il salariato vende la forza lavoro è riferito non alla concreta attività lavorativa del singolo lavoratore, ma alla generica forza lavoro, al valore socialmente determinato di quest'ultima.
- Details
- Hits: 3115
Roubini vs. Prodi: l’euro (non) ci ha salvato
di Alberto Bagnai
(Oggi per voi un’autentica chicca per palati raffinati. Qualcuno se la ricordava? Era un po’ che l’avevo sul telaio, aspettavo che ve lo meritaste: e ve lo siete meritato, oh, quanto ve lo siete meritato. rockapasso si rotola in terra dalle risate ogni volta che apre la pagina del FQ...) Lasciamo da parte l’ironia, il sarcasmo.
Dimentichiamoci Swift e Sterne (e pure quante cose ho imparato dal gesto dello zio Tobia). Ci potrà tornare utile, come sempre, il Gaddus, quello che diceva di non avere “a' numeri, ai chiari e veri e istruttivi numeri della statistica [...], quell'orrore che hanno taluni sofi o sofoni solo immersi nella categoria qualitativa” (Eros e Priapo, VIII). E sì che i sofoni sono sempre in eccesso di offerta (nomen omen)... Qui si tratta di arbitrare un incontro che fa tremar le vene e i polsi, lo scontro finale fra due autentici colossi dai piedi di balsa, inventori di una storia falsa (anzi, in realtà di due storie false, ma così non farebbe rima). Facciamo così: organizziamolo come il classico duello alla pistola: un colpo a distanza di cinque... passi? No, anni: comincia Roubini nel 2006. Lo spettacolo è cruento e se ne sconsiglia la visione ai piddini non accompagnati dai padri e dalle madri nobili del Manifesto (esiste ancora?), nonché alle merlettaie cerchiobottiste e bandwagoner. Si tratta infatti dell’ennesima dimostrazione del fatto che come sarebbe andata a finire (tagli dei salari) era chiaro, a tutti e da sempre, e che quindi “comunisti” (inclusi i quotidiani) e “sindacalisti” che hanno appoggiato questo progetto o sono persone dalla limitata capacità di comprensione, o sono assi da 30 denari (lascio decidere a loro, il problema non mi appassiona: sono comunque politicamente morti. Quanto mi piaccio quando esercito la sapiente arte della mediazione! Ma qual è il termine medio fra un fesso e un Giuda? Schneider, hai un’idea?)
Attacca Roubini (2006)
Il 30 gennaio 2006, su lavoce.info, Nouriel Roubini preconizzava per l’Italia la fine dell’Argentina.
- Details
- Hits: 1885

Opposizione balneare
di Luca Baiada
C’è una formula tranquilla come una spiaggia a Ferragosto e pulita come il catrame. Viene dagli anni del potere democristiano: governo balneare. In momenti di incertezze e di impossibilità di coalizioni stabili, si traghettava la crisi attraverso la stagione estiva con un governicchio fragile, anzi nato morto. Un pauroso rovesciamento di prospettive ha portato l’Italia ad avere un governo rigidissimo («rigor Montis», si è scritto), e una opposizione balneare. Proviamo a misurarne la cellulite.
La liquidazione del sistema proporzionale, nel 1993 presentato come un imbroglio, mentre adesso una truffa elettorale permette alle segreterie di partito di nominare il parlamento, garantisce l’impoverimento della funzione legislativa e assicura appoggio incondizionato a decisioni prese in modo opaco.
Il concetto stesso di partito sembra diventato una parolaccia, e ci si barcamena borbottando formule una più astrusa dell’altra. Riciclandosi in politica, nel 1994 Berlusconi disse di aver creato un rassemblement. Poi verranno i circoli e i predellini. Gli eredi del più grande partito comunista d’Europa, insieme a pezzi del mondo cattolico, hanno serbato il concetto di partito, ma l’hanno sottoposto a operazioni di potatura e innesto, cercando affannosamente l’aria della socialdemocrazia europea, o il glamour Usa. Tutto a parole o tutto nel peggio.
Si affacciano alla storia movimenti che vogliono tenere insieme persone e idee, ma che hanno orrore delle sezioni di partito e che inventano ogni alchimia possibile: orizzontalità del potere, oscurità delle persone presentata come un merito, formule fluide.
- Details
- Hits: 2287

Le illusioni perdute della generazione trenta-quaranta
di Roberto Ciccarelli
Il manifesto dei Trenta-Quarantenni che si autodefiniscono "generazione perduta" stringe il cuore e impone rispetto. Rispetto per il "dramma" di "dieci milioni di italiani" che, giunti alla mezza età, sono "senza speranze né futuro". Rispetto per l'istinto di auto-compatimento che s'impadronisce di una vita quando si accorge di essere "il risultato di un esperimento dall'esito fallimentare, che ha avuto per laboratorio il Paese intero e noi come cavie". Rispetto per chi, in nome della "questione generazionale", avanza come Prometeo contro "chi pretende di tenerci ancora ai margini delle decisioni che riguardano il nostro presente ed il nostro futuro e quindi quello del Paese".
Scrivono:
E' forte l'impressione di essere in presenza di 24 pugili suonati. I promotori del manifesto rientrano nel lavoro indipendente di ceto medio come giornalisti, docenti universitari precari architetti, e diversi avvocati, insomma in quella zona grigia dove i "giovani" professionisti vivono accanto al "precariato", e spesso lo sono pienamente.
- Details
- Hits: 2212

La Germania metterà in crisi la Nato?
di Michele Basso
Oggi, per chi non ha gli occhi ottenebrati dal nazionalismo, spesso inconsapevole, presente anche nell’estrema sinistra, è possibile avere un quadro più chiaro degli sviluppi storici della nostra epoca. La crisi economica ha fatto crollare molti miti, ma dobbiamo vigilare perché ne possono subentrare altri. E’ svanita l’illusione che le borghesie dei diversi paesi possano superare i contrasti e dare vita a un lungo periodo di pace autentica, che non sia una tregua armata tra le guerre. Per la natura stessa del capitalismo la borghesia è costretta a rivoluzionare continuamente la produzione e la società, a cambiare i rapporti di forza, sia all’interno del paese, sia tra i diversi stati.
A sinistra, si reagisce spesso a questi cambiamenti senza un’adeguata riflessione: militanti, che una volta bruciavano le bandiere americane, ora si scagliano, non solo contro la Merkel, di cui c’importa poco, ma in generale contro il popolo tedesco, senza distinguere tra lavoratori e borghesi. Il nazionalismo scaccia l’internazionalismo proletario. Oggi, che gli interessi economici tedeschi confliggono con quelli dell’Italia, Grecia, Spagna, e, in maniera meno clamorosa, con la Francia, ritorna in voga tutta la retorica antitedesca, e si dimentica persino che, salvo qualche novantenne, la stragrande maggioranza dei tedeschi, se non altro per motivi cronologici, non ha mai avuto nessuna funzione in epoca nazista.
Chiusi nell’orticello europeo, inoltre, finiamo col trascurare le gigantesche trasformazioni che avvengono nel mondo, che hanno come primo attore ancora gli USA, e in cui la Germania ha un ruolo estremamente diverso da quello che le attribuiscono i luoghi comuni. Chi grida al lupo tedesco finisce col non capire la terribile guerra globale che la tigre americana sta combattendo.
- Details
- Hits: 2534

Verso l'addio all'Eurozona?
di Christian Marazzi
Gli scenari possibili della crisi della "moneta unica" di fronte alle scelte della Banca Centrale Europea, il dibattito degli economisti tedeschi e la ricerca di una "moneta comune" per i movimenti
1. Il 2 agosto, la Banca Centrale Europea (BCE), malgrado le roboanti esternazioni del suo presidente Mario Draghi sulla difesa ad oltranza dell’euro di pochi giorni prima, ha in parte “deciso di non decidere”, almeno fino a metà settembre, quando la Corte costituzionale di Karlsruhe emetterà la sentenza sulla costituzione del Meccanismo di Stabilità Europeo (EMS), che si sostituirà all’attuale Fondo Salva-Stati, quest’ultimo dotato di 100 miliardi di euro, una cifra irrisoria per poter intervenire efficacemente contro gli assalti ai debiti sovrani dei paesi cosiddetti del Sud (ce ne vorrebbero 300 solo per salvare la Spagna).Questo significa che nelle prossime settimane, in mancanza di una autorità veramente in grado di “fare qualunque cosa per preservare l’euro”, i mercati saranno probabilmente soggetti a forti oscillazioni determinate dal “calcolo delle probabilità” sulla fuoriuscita o meno dall’euro di Spagna e Italia. La questione di fondo è: quanta sovranità i paesi del Sud sono di nuovo pronti a concedere per “tirare avanti” con i loro debiti crescenti?
Prima della riunione del board della BCE i paesi in sofferenza avevano chiesto che l’istituto di Francoforte si mettesse ad acquistare direttamente e in modo illimitato i titoli pubblici spagnoli e italiani in modo da favorire una diminuzione dei tassi ed evitare che il loro accesso al mercato fosse precluso. Spagna e Italia non hanno solo un problema di liquidità, ma anche di solvibilità: l’intervento della BCE non dovrebbe essere solo quello di calmierare i mercati facendo scendere a livelli sostenibili i tassi di interesse, ma anche quello di sostituirsi eventualmente agli investitori che non vogliono più sottoscrivere questi stessi titoli.
- Details
- Hits: 2899

Il rivoluzionario conservatore
di Alberto Burgio
Ricordando Cesare Cases a due anni dalla morte (avvenuta a Firenze il 28 luglio del 2005), Claudio Magris ebbe a dire che la sua vita e la sua opera sono «un capitolo della nostra storia e del nostro destino». Queste parole non mi è mai riuscito di dimenticarle. Di quanti si potrebbe affermare altrettanto? E perché a proposito di Cases è possibile, persino necessario? Un capitolo «della nostra storia»: della nostra formazione, di un itinerario di letture e di pensieri e di esperienze che in altri tempi si sarebbero dette «spirituali». Fin qui ci siamo.
Totalità aperta
Chi negli anni '70 aveva già - se non proprio il ben dell'intelletto - strumenti per decifrare pagine impervie, era certo di trovare pane per i suoi denti in quelle di Cases, disseminate tra le riviste e i giornali, un tempo numerosi, della sinistra italiana (da «Passato e presente» a «Lotta continua», dal «manifesto» a «Nuovi Argomenti», ai «Quaderni piacentini»). Pane e companatico: ricco di idee e di sfide «intellettuali e morali», di suggestioni e insegnamenti. E, perché no, di battute al vetriolo: urticanti, gratuite e irresistibili, epiche addirittura, come quella che demolì - così mi parve allora e credo tuttora - il povero Soldati, innalzato, dopo una stroncatura tombale dell'Attore (libro, anzi «fumettone», di una «noia mortale e teologica»), a paradigma d'insignificanza: onde Primo Levi sarebbe stato pienamente assolto, dopo Se questo è un uomo e La tregua, «anche se per il resto della sua vita fosse vissuto di conferenze all'Aci sui Lager o avesse scritto un romanzo di Mario Soldati».
Ma un capitolo «del nostro destino» perché? Ignoro cosa Magris intendesse: so finalmente, in qualche misura, cosa queste parole abbiano ridestato in me, da allora sospingendomi, con un'insistenza sempre premiata, verso un lascito inestimabile e, non per caso, pressoché dimenticato.
- Details
- Hits: 2646

A volte ritornano
Un anno vissuto pericolosamente
di Andrea Fumagalli
Un anno fa, a fine luglio 2011, l’asta dei titoli di stato decennali italiani fece registrare un forte incremento dei tassi d’interesse: iniziò ad aumentare il differenziale con i titoli di stato tedeschi (il famoso “spread”), che raggiunse quasi quota 600 a metà novembre. A fine giugno 2011 il Financial Time scopriva che Deutsche Bank aveva venduto circa 7 miliardi di Btp italiani degli 8 che deteneva nel proprio portafoglio. Tale massiccia vendita produsse a partire dal maggio 2011 una riduzione del valore dei titoli future quotati a Londra (i derivati relativi alle aspettative sul valore futuro atteso dei titoli di stato) di oltre 10 punti percentuali. Tutto ciò mise in moto, da un lato, aspettative pessimistiche sul valore futuro dei titoli italiani (comportando di conseguenza un aumento dei tassi d’interessi che aggravano il deficit pubblico), dall’altro, fecero incrementare il valore dei derivati CDS che assicurano contro il rischio di insolvenza o di perdita di valore dei titoli stessi. Chi detiene tali derivati nel proprio portafoglio può quindi lucrare laute plusvalenze e non sorprende affatto che i CDS siano concentrati per oltre il 90% in quelle stesse multinazionali della finanza (tra le quali Deutsche Bank) che hanno l’interesse di indurre aspettative negative sulla tenuta dei conti pubblici e creare il panico da default per quei paesi europei maggiormente esposti (i Piigs). Qui sta la fonte e il potere biopolitico della speculazione finanziaria.
A un anno di distanza nulla è cambiato, anzi la situazione è peggiorata. E la peggior meschinità e falsità ideologica si è dipanata a diversi livelli.
A livello nazionale si sono imposti governi più o meno “tecnici” o si sono condizionati processi elettorali per rendere operative in breve tempo politiche emergenziali di austerity con l’ipocrita giustificazione di andare incontro alle esigenze dei “mercati” (leggi speculazione finanziaria), ma in realtà accelerando ulteriormente la tendenza alla concentrazione dei redditi, affinando la governance della espropriazione dell’eccedenza sociale del lavoro e incrementando il processo di finanziarizzazione della vita.
- Details
- Hits: 3203

“Chi detesta l’America, detesta se stesso”
di Elisabetta Teghil
Ovunque sia presente un segno è presente anche l’ideologia. Tutto ciò che è ideologico possiede un valore semiotico.
Ma le qualità semiotiche si manifestano in maniera continua ed esaustiva nella comunicazione sociale ed esse si realizzano in modo compiuto nel linguaggio.
La parola è il fenomeno ideologico per eccellenza.
Allora si capisce perché, da alcuni anni, si è diffusa una strana neo-lingua il cui vocabolario , apparentemente, è sorto dal nulla. Globalizzazione, flessibilità, governance, tolleranza zero, post-modernità, post-femminismo, legalità, non-violenza…tutte parole accompagnate dall’oblio e dalla damnatio memoriae di altre parole come capitalismo, classe, lotta di classe, sfruttamento, colonialismo, patriarcato, accomunate dalla condanna di essere “obsolete” e, comunque, “superate”.
Tutto questo è imperialismo culturale che si fonda su un rapporto di comunicazione che ha fatto tabula rasa delle conquiste sociali ed economiche di cento anni di lotte, oggi presentate come retrive e/o superate, come nel caso del femminismo, perché si è “ottenuto tutto”.
E’ l’ideologia neoliberista che si fonda su un rapporto di comunicazione teso ad ottenere la sottomissione.
- Details
- Hits: 2576

Stanno smantellando lo Stato di diritto con la scusa dello spread
Fabio Sebastiani intervista Luigi Cavallaro
Tutti che guardano allo spread, intanto questa crisi ha cambiato completamente i connotati ai fondamenti dello Stato di diritto…
Più esattamente, questa crisi sta cambiando i connotati a quella peculiare declinazione dello Stato di diritto che è lo Stato sociale, a cominciare dalla sua pretesa di governare i processi economici. Si tratta in effetti della maturazione di un trend che ormai data da lontano. Per capirci, quando i nostri costituenti vararono la Costituzione, inserirono nel terzo comma dell’articolo 41 il principio secondo cui lo Stato doveva indirizzare e coordinare sia l’economia pubblica sia quella privata. Lo Stato, ai loro occhi, non doveva essere solo il “regolatore” dell’iniziativa economica e nemmeno il produttore di beni e servizi da offrire in alternativa alle merci capitalisticamente prodotte: doveva porre sia l’iniziativa economica pubblica sia quella privata nell’ambito di un proprio disegno globale, che individuava priorità, strategie, mezzi. Un obiettivo del genere, sebbene fermamente voluto sia dai cattolici che dai comunisti, era particolarmente inviso ai liberali, che erano ben disposti a godere dei benefici della spesa pubblica, ma certo non volevano saperne di cedere allo Stato poteri di indirizzo e controllo sulla loro attività. Si optò allora per un compromesso che – grazie alla mediazione di Luigi Einaudi, capofila dei liberali tra i costituenti – prese la forma dell’art. 81 della Costituzione: ogni legge di spesa doveva indicare la corrispondente fonte di entrata. Era un modo per dire che nemmeno lo Stato poteva sottrarsi al principio del pareggio di bilancio, perché Einaudi sapeva bene che, se si fosse consentito allo Stato di indebitarsi (come invece predicavano i keynesiani ortodossi), l’economia pubblica, che già si trovava collocata su una posizione di primazia, avrebbe preso il sopravvento sull’economia privata.
Un compromesso per la proprietà e il capitale…
Sì, ma nel 1966 la Corte costituzionale lo fece saltare, perché in una sentenza stabilì che anche il debito costituiva una forma di entrata.
- Details
- Hits: 9880

Dell'inutilità in tutti gli ambiti della vita culturale, politica e sociale
Luigi Tedeschi intervista Costanzo Preve
(Tedeschi) L’avanzare e il perdurare della crisi economica europea, sta progressivamente destrutturando la società. La recessione e i decrementi del Pil hanno determinato la fuoriuscita dalla produzione di rilevanti quote di manodopera dal sistema produttivo. Si allargano a macchia d’olio la disoccupazione, la sottoccupazione, il precariato, il lavoro nero. Soprattutto, l’ingresso nel mondo del lavoro dei giovani è diventato assai difficoltoso. La nostra società diviene sempre più decadente, per il venir meno del ricambio generazionale e la mobilità sociale. La liberalizzazione dell’economia, dei costumi, della cultura di massa, quali fenomeni scaturiti dall’avvento della globalizzazione, si rivelano miti virtuali, destinati ad essere smentiti dal disfacimento degli equilibri sociali provocato dalla crisi incombente. Se volessimo elaborare un bilancio del primo decennio del XXI° secolo, dovremmo rilevare che l’avvento della società globalizzata ha avuto solo la funzione di distruggere l’eredità sociale e culturale del ‘900, dato che i nuovi orizzonti, le nuove opportunità, le grandi sfide del nuovo secolo, si sono rivelate elementi di una strategia di ascesa al potere di una nuova elitaria classe dominante del mondo finanziario a discapito della masse sempre più escluse dai processi produttivi. L’emarginazione sociale coinvolge interi popoli; esclusione ed emarginazione sono fenomeni conseguenti al tramonto di un sistema economico basato sulla produzione e di una società fondata su equilibri ispirati al solidarismo interclassista. La fuoriuscita dal mondo del lavoro determina negli individui un senso di inutilità esistenziale, di estraneazione sociale, che conduce alla perdita della autostima di se stessi, ad un non senso della propria individualità, ormai non più compatibile con le prospettive di sviluppo di una società elitaria, basata sulla generalizzata esclusione delle masse non più integrabili nei processi evolutivi della società globalizzata.
- Details
- Hits: 2577

Comunicatori inquieti e invadenti
di Federico Faloppa
Raffaele Simone Presi nella rete. La mente ai tempi del web, pp. 227, € 17, Garzanti, Milano 2012

Proprio a La terza fase si riallaccia l’ultimo suo lavoro, che non solo evoca, ma rielabora e amplia i contenuti di quel fortunato predecessore. Certo, scorrendo in parallelo l’indice dei due volumi non si può non avere una sensazione di déjà-lu. Ma si tratterebbe di un’impressione superficiale. Perché quella prima analisi sul cambiamento del nostro modo di pensare (e di acquisire il sapere) indotto dalla trasformazione tecnica e dalla rivoluzione digitale si è nel tempo arricchita e articolata: sia per un’ovvia esigenza di aggiornamento, sia soprattutto per l’urgenza di segnalare, ancor più criticamente, la profonda incidenza culturale e politica di quella trasformazione.
- Details
- Hits: 3790

Società e individuo da una prospettiva psicoanalitica: identità di una crisi
Emanuela Mangione
Si può parlare oggi di una genesi sociale del narcisismo? Questa è una delle tematiche intorno a cui filosofi, psicoanalisti, ma anche economisti e politici si stanno interrogando; essenzialmente la questione riguarda le possibili connessioni tra l’attuale sistema sociale ed economico e certe patologie di tipo prevalentemente narcisistico, con aree sintomatiche in cui il protagonista risulta essere sempre più il corpo e le scissioni corpo mente.
A tale proposito mi sembra calzante l’espressione“liquidità del soggetto in una società liquida” (Garella,congresso SPI 2012). Una società, quella della postmodernità, che sembra porre l’individuo all’interno di una accelerazione costante alla ricerca di scommesse continue in cui impegnare il proprio futuro, in una sorta di surf dettato dall’imperativo etico di tenersi sempre sulla cresta dell’onda. Un narcisismo individuale imperante spinge la macchina del mondo umano a funzionare non tanto per realizzare un progetto, bensì per produrre una perpetuazione di se stessa attraverso un investimento asettico e senza fine che corrode i caratteri individuali, consumando le potenzialità della propria vita.
Da un punto di vista psicoanalitico è come se si configurasse un assetto simile a quello di una “patologia narcisistica da difetto” contraddistinta dalla carenza di quel “narcisismo minimo vitale” o “necessario” (Bolognini, 2008) le cui carenze possono limitare la capacità di accettare ed amare il proprio sé, sia nei riguardi di se stessi, che degli altri.
- Details
- Hits: 2657

Morire di fame o morire di tumore… this is the question
Teniamoci la fabbrica, tenetevi i padroni
di Militant
Perdere il lavoro, per quanto di merda. Perdere la casa e regalarla alla banca con cui hai acceso il mutuo. Perdere la possibilità di immaginare un futuro per te e la tua famiglia in una regione in cui questa parola ha sempre avuto poco senso. Insomma, morire di fame, adesso. Oppure morire di tumore fra qualche anno. E’ questo il dubbio tutt’altro che amletico che ci pone la vicenda dell’Ilva di Taranto. Un dubbio che all’interno del quadro delle compatibilità capitalistiche non potrà essere sciolto. Sappiamo bene quanto questo ragionamento possa apparire astratto di fronte alla durezza del contingente, perchè con le idee non ci riempi il piatto. Almeno finchè non diventano forza materiale. Avevamo pensato di dire la nostra sulla mobilitazione operaia di Taranto, una lotta con cui non possiamo che essere solidali, ma girando in rete abbiamo trovato questo post sul sito Operai Contro che ci pare estremamente efficace oltre che condivisibile, per cui ve lo riproponiamo.
CHE COSA SUCCEDE ALL’ILVA DI TARANTO?
Lo stabilimento siderurgico di Taranto è una bomba a cielo aperto. Lo è sempre stato, da oltre mezzo secolo, da quando negli anni ’50 polizia e carabinieri sgomberarono con la forza centinaia di contadini poveri dagli oliveti e mandorleti espropriati per fare posto alla tomba industriale di centinaia di operai e di proletari dei quartieri più vicini. Da allora la strage di vite umane, espressa in primo luogo come morti, malattie e infortuni fra gli operai, poi come morti e malattie fuori dello stabilimento, è stata pratica quotidiana in fabbrica e in città.
- Details
- Hits: 2989

L’oscuramento
di Alberto Burgio
Immaginiamo che al tempo della disputa tra geocentrici ed eliocentrici esistesse già un sistema dell’informazione simile all’attuale (televisioni, quotidiani e rotocalchi). E supponiamo che dalla vittoria degli uni o degli altri dipendessero le condizioni di vita della gente che da quelle televisioni e da quei giornali veniva informata. Come giudicheremmo, in questa ipotesi, una informazione che avesse sistematicamente nascosto la disputa e, per esempio, rappresentato la realtà sempre e soltanto sulla base della teoria geocentrica? Di questo, a mio modo di vedere, si tratta nella lettera sul “Furto d’informazione” che abbiamo inviato a molte agenzie di stampa e ad alcuni giornali nei giorni scorsi e che il manifesto (soltanto il manifesto) ha pubblicato integralmente in prima pagina. Il tema della nostra denuncia è l’«ordine del discorso pubblico» sulla crisi. Un tema concretissimo e materiale, produttivo di fatti altrettanto concreti, che recano nomi illustri: senso comune, ideologia, consenso.
Naturalmente la crisi è fatta di dinamiche economico-finanziarie, alla base delle quali operano, sul piano nazionale e «globale», determinati assetti di potere e una determinata struttura dei processi di produzione e circolazione. Su questo terreno si sono verificate, a partire dal 2007, le vicende che hanno innescato la tempesta finanziaria. Ma la questione che subito si pone – basta un attimo per comprenderlo – è che qualunque cosa si dica a questo riguardo è frutto di interpretazioni. Soltanto persone faziose, intolleranti come Giuliano Ferrara possono pretendere che un’opinione (la loro) sia «oggettiva» e inoppugnabile. Chiunque altro converrà che ogni narrazione implica assunzioni teoriche, ipotesi e, appunto, interpretazioni.
- Details
- Hits: 4014

La Germania incomincia a fare i conti sull’Euro
di Vladimiro Giacché
Da tempo l’interpretazione dei discorsi dei governanti europei non ha nulla da invidiare, quanto a complessità, all’interpretazione dei discorsi dei leader sovietici ai quali si dedicavano dei veri e propri specialisti, i sovietologi. Da mesi, ormai ogni giorno, stuoli di eurologi si rompono la testa per capire il senso dell’ultima intervista della Merkel o dell’ultimo intervento di Draghi: e in base a quello che hanno capito comprano o vendono titoli di Stato. Anche in questo fine settimana gli eurologi hanno avuto il loro bel da fare con l’intervista rilasciata da Wolfgang Schäuble alla “Welt am Sonntag”.
L’impressione generale è che il ministro delle finanze tedesco si barcameni con difficoltà, dando un colpo al cerchio e uno alla botte. Da una parte Schäuble insiste sul fatto che l’impossibilità per la Grecia di conseguire gli obiettivi fissati dalla troika dipenda dal fatto che i programmi imposti da FMI, BCE e Unione Europea sono stati applicati male e non dalla loro insensatezza. Aggiunge poi che non ci sono spazi “per ulteriori concessioni” (sic) alla Grecia. Sulla Spagna tenta senza grande fortuna uno slalom, prima minimizzando l’entità del problema dei rendimenti – ormai elevatissimi – dei titoli di Stato spagnoli (“non viene giù il mondo se a un’asta di titoli di Stato si deve pagare un paio di punti percentuali in più”), poi dichiarando che gli aiuti sinora offerti sono sufficienti e negando, contro ogni evidenza, che ci sia del vero nei rumors di un’ulteriore prossima richiesta di aiuto da parte della Spagna. Queste parti dell’intervista di Schäuble sono di per sé tali da alimentare lo scetticismo sulla concreta possibilità per Draghi di intervenire “sino a dove necessario” per contrastare l’esplosione dei rendimenti dei titoli di Stato spagnoli e italiani. E da questo punto di vista non c’è niente di nuovo: è almeno da un anno e mezzo che i governanti tedeschi ci hanno abituato a dichiarazioni che gettano benzina sul fuoco, alimentando la convinzione che non potrà esserci alcun intervento risolutivo da parte europea nei confronti dei paesi che hanno difficoltà di approvvigionamento sui mercati dei capitali.
Page 526 of 611