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Le cronache del nostro scontento III
2014: Il “fenomeno Renzi” mentre arriva la deflazione (ma tra i due fatti non c’è relazione)
di Giorgio Gattei
Qui e qui le cronache precedenti
1. Come narrato nella Cronaca precedente, alla fine del 2013 il governo Letta compie il “miracolo” di conquistare una crescita zero e c’è chi ne gioisce perché l’ISTAT, nel confermare i dati a marzo 2014, potrebbe anche metterci «un segno più di fronte al numero del PIL. Il dato positivo non si riferirà a un anno intero, ma solo a un trimestre. E il numero non sarà elevato, ma non dopo una contrazione dell’economia simile a quella prodotta dalla prima guerra mondiale» (“La Repubblica”, d’ora in poi: R., 3.2.2014). Il fatto sarebbe significativo dopo la disastrosa stagione del governo Monti. Però c’è chi si muove per rimuovere Letta, anche perché un altro in pole position è pronto a prendergli il posto.
Si tratta di Matteo Renzi, che scalpita fin da quando nel settembre 2012 aveva sfidato nelle primarie del PD il padrone della “ditta” Pier Luigi Bersani. Allora aveva perso, ma nel 2013 ci riprova e questa volta stravince a mani basse (il “popolo piddino” è abituato a fare sorprese). Lo statuto del PD dice che il suo segretario deve essere il candidato premier alle successive elezioni politiche, ma quelle elezioni non sono alle viste eppure Renzi ha fretta di andare al governo. Così muove all’attacco di Letta e sabato 22 febbraio 2014 ce la fa a salire al Quirinale a giurare da nuovo Presidente del Consiglio nelle mani dell’intramontabile “re Giorgio”. Ma come ha fatto? Per Marco Damilano (La repubblica del selfie. Dalla meglio gioventù a Matteo Renzi, Milano, 2015) «l’outsider arriva al potere non con un voto popolare, ma con una manovra di palazzo: un tradimento, il brutale assassinio politico del capo del governo Enrico Letta, appena rassicurato.
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Blade Runner 2049: l'autenticità del sé nell’era della sua riproducibilità tecnica
di Riccardo Manzotti
Blade Runner 2049 ha suscitato molte discussioni. Nella confusione delle prospettive che in parte lo caratterizza esso ci permette tuttavia di insistere su una intuizione di tipo benjaminiano: nell’era della riproducibilità tecnica dell’umano, l’aura degli esseri umani è destinata a scomparire
Nel suo celebre saggio del 1935, Walter Benjamin si interroga sul problema dell’autenticità dell’opera d’arte nell’era della riproducibilità tecnica: che cosa differenzia una copia, per quanto perfetta, da un originale? In quegli anni la riproducibilità tecnica riguardava soprattutto gli oggetti costruiti dall’uomo, oggi riguarda l’uomo stesso. Nel nuovo film di Denis Villeneuve, Blade Runner 2049, ovvero il sequel del quasi omonimo film di Ridley Scott (1982), siamo di fronte allo stesso problema applicato alle persone invece che alle opere d’arte. Nell’era della riproducibilità tecnica di noi stessi, che cosa garantisce l’autenticità di un essere umano? Che cosa distingue una copia da un originale? In che cosa consiste la nostra identità? Che cosa è un essere umano?
La domanda non è oziosa. Come tante altre intuizioni del primo film e del racconto da cui aveva preso spunto – il fin troppo citato Do Androids Dream of Electric Sheep di Philip Dick 1968 – sta diventando urgente. La ucronia distopica si sta progressivamente materializzando – la crisi economica, il disastro ecologico, la sovrappopolazione, la creazione di versioni artificiali di noi stessi. È proprio su quest’ultima possibilità che si sviluppa la trama: nel momento in cui possiamo creare agenti dotati di capacità cognitive non lontane dalle nostre, esiste ancora una linea di confine tra noi e gli altri? Si tratta di una domanda per nulla teorica ma attuale e politica.
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Trasporto pubblico locale: il problema è politico
di Collettivo Clash City Workers
Risale a vent'anni fa la riforma del trasporto pubblico locale (Tpl) in Italia, con il decreto legislativo n. 422/ 1997 teso alla diffusione di meccanismi di "concorrenza per il mercato". Sono passati invece dieci anni dal regolamento europeo (n. 1370/2007) che prevede la messa a gara del Tpl, con un periodo di transizione che finisce nel 2019 a meno che le amministrazioni locali non scelgano l'opzione della gestione in house.
Da anni si moltiplicano le spinte verso la privatizzazione ed esternaliz-zazione dei trasporti locali, anche in anticipo rispetto alla messa a gara. Questo anche grazie all'attivismo di aziende come la controllata di FS, Busltalia, che, tramite acquisizioni, si è accaparrata vari pezzi del Tpl, dall'Umbria alla provincia di Padova, e che punta a presentarsi come l'operatore più qualificato nelle future gare d'appalto per i più grandi bacini: Milano e Roma.
Proprio su Roma si sta giocando una partita ricca di implicazioni economiche, politiche e sindacali. Il Movimento 5 Stelle è salito al governo della città promettendo un netto cambiamento dopo gli scandali delle giunte di destra e centrosinistra e dopo l'emersione del gigantesco debito di Atac.
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Angela Davis e la maturità di una rivoluzionaria
di Sara Zucchini
Sono le 20:15 e la fila per entrare in teatro conta già qualche centinaio di persone. Dopo due giorni di incontri sulla politica internazionale, l’economia, i migranti, il global warming, il Venezuela, le graphic novel che sono anche reportage di guerra, la Siria, la Libia, la Brexit, la stanchezza comincia a farsi sentire. Mi fanno male gli occhi, mi fa male la schiena, sento che sto perdendo lucidità, ma se sono qui al Festival di Internazionale, dove da giovanissima ho lavoravo per mettere da parte un po’ di soldi extra e intanto sgattaiolavo dentro i teatri per ascoltare Chomsky o Randall, è per incontrare una donna da foto sul muro, come diceva De Gregori, che oggi è scesa dal muro, è uscita dai libri e dai poster, è diventata tridimensionale e parlerà qui, nella mia cittadina umida.
Angela Davis è una femminista, una filosofa, una comunista, un’attivista del movimento per i Diritti Civili degli Afroamericani, prima come affiliata del Black Panther Party, poi come militante nella cellula nera del Partito Comunista Americano; si è opposta alla guerra del Vietnam, si è battuta per i diritti degli omosessuali e dei transgender e ha sviluppato una critica profonda contro il sistema giudiziario e l’istituzione carceraria, svelandone la natura razzista e la struttura industriale.
Angela Davis ha settantatré anni e nessuna intenzione di abbandonare la lotta politica.
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A dieci anni dalla "Grande Crisi"
di Sebastiano Isaia
Lo scritto che segue si compone di una serie di appunti messi insieme da chi scrive in un ordine forse discutibile. Appunti che non ho avuto il tempo, né la voglia in verità, di rivedere, e di ciò mi scuso con i potenziali lettori, i quali molto probabilmente si imbatteranno in errori formali e sostanziali, sgrammaticature e ripetizioni. Penso tuttavia che la loro lettura non sia del tutto impraticabile, né forse del tutto inutile, e per questo li pubblico, sempre confidando sulla buona predisposizione dei lettori
Ogni scienza sarebbe superflua, se la forma fenomenica e l’essenza delle cose coincidessero immediatamente
(K. Marx, Il Capitale).
Parte I
Yanis Varoufakis e altri cosiddetti “marxisti irregolari” hanno paragonato la Grande crisi iniziata nel 2007 negli Stati Uniti al crollo del «Comunismo reale» iniziato nel 1989 con la caduta del famigerato Muro. L’analogia non regge neanche un poco; e non solo perché il Capitalismo è lungi dall’essere crollato definitivamente, mentre del regime “sovietico” non è rimasto che un pessimo ricordo, ma soprattutto perché allora non crollò il Comunismo, né un Socialismo più o meno reale, quanto un regime capitalistico incapace di reggere il confronto con il più forte e dinamico assetto capitalistico di “stampo occidentale” che aveva negli Stati Uniti il suo più importante pilastro.
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Il secolo di Lenin
di Serge Halimi
Segnaliamo sul numero di ottobre dell’edizione italiana del mensile Le Monde Diplomatique che trovate in edicola con il Manifesto un ampio dossier Rileggere la Rivoluzione russa, di cui anticipiamo l’articolo di apertura
Urss: Unione delle repubbliche socialiste sovietiche. Il nome inizialmente non rimanda a un territorio ma a un’idea: la rivoluzione mondiale. Le sue frontiere saranno quelle della sollevazione che ha trionfato in Russia, e poi di quelle che si attendono all’esterno. Sul lato superiore sinistro di un’enorme bandiera rossa, una falce e un martello simboleggiano il nuovo Stato, il cui primo inno sarà… L’Internazionale.
Lenin, fondatore dell’Unione sovietica, internazionalista lo è di certo. Ha vissuto buona parte della sua vita di rivoluzionario di professione in esilio (Monaco, Londra, Ginevra, Parigi, Cracovia, Zurigo, Helsinki…). E ha partecipato a quasi tutti i grandi dibattiti del movimento operaio. Nell’aprile 1917, quando torna in Russia dove è scoppiata la rivoluzione e lo zar ha appena abdicato, il suo treno attraversa il territorio tedesco nel bel mezzo della Grande guerra, eppure vi si intona La Marsigliese, un canto che incarna per i suoi compagni la Rivoluzione francese. Da diversi punti di vista, nei testi di Lenin questo riferimento è più presente della storia della Russia zarista. Riuscire bene come i giacobini, «il miglior esempio di rivoluzione democratica e di resistenza a una coalizione di monarchi (1)», durare più a lungo della Comune di Parigi: ecco le sue ossessioni. Per il nazionalismo non c’è il minimo posto.
Il leader bolscevico (*) lo ricorderà in seguito: dal 1914, contrariamente alla quasi totalità dei socialisti e dei sindacalisti europei che si lasciarono arruolare nella «sacra unione» contro il nemico straniero, il suo partito «non aveva temuto di preconizzare la sconfitta della monarchia zarista e di condannare una guerra fra rapaci imperialisti».
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Il mito della creatività
Una volta che ci si è accorti dell’esistenza del mito della creatività si inizia a rintracciarlo un po’ dappertutto; si inizia pian piano a vederlo nelle sue personificazioni – i creativi – e nella sua presenza nel mondo del lavoro – il lavoro creativo o i modi creativi di compiere un lavoro; si sentono risuonarne la parole in molti discorsi a vari livelli (nei telegiornali, nei blog, su facebook, negli annunci di lavoro, nelle chiacchere da bar…); lo si nota come un’aura che colora molte figure significative del nostro immaginario. La tinta euforica che sempre si accompagna al mito della creatività viene utilizzata per rappresentare una serie di oggetti, valori e luoghi anche molto diversi tra di loro; i colori ricordano quelli delle fotografie di Oliviero Toscani. Anche quando non vengono usate direttamente la parola e i suoi derivati ci si accorge, man mano che si affina lo sguardo, che una serie di altri lemmi, concetti e valori che con essa costruiscono una ragnatela simbolica (innovazione, originalità, bellezza diffusa, genio, successo…) sono disseminati nel mondo che abbiamo davanti, nei nostri discorsi quotidiani. La creatività appare nella forma del mito: non semplicemente una mistificazione, ma narrazioni, immagini, costellazioni di elementi che producono identità culturali e collettive, all’interno delle quali le persone possono riconoscersi e riconoscere i loro simili, ricondurre le loro esperienze particolari a un modello generale.
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Intelligenza artificiale: distopia del lavoro
di Giovanna Cracco
"Negli Stati Uniti, la percentuale di occupazioni che può essere completamente automatizzata è molto piccola, meno del 5%, ma l'automazione influenzerà quasi tutte le occupazioni, non solo i lavoratori e gli impiegati di fabbrica ma anche giardinieri paesaggistici e tecnici dentistici, stilisti, venditori di assicurazioni e amministratori delegati, in misura maggiore o minore. Il potenziale di automazione di queste professioni dipende dalla tipologia di attività lavorativa che comportano, ma come regola di base circa il 60% di tutte le occupazioni hanno almeno il 30% delle attività che sono tecnicamente automatizzabili. Negli Stati Uniti, Paese per cui disponiamo dei dati più completi, il 46% del tempo trascorso in attività lavorativa in tutte le professioni e le industrie è tecnicamente au-tomatizzabile con le tecnologie attualmente esistenti. Su scala globale, l'automazione potrebbe interessare il 49% delle ore lavorative, che equivalgono a 1,1 miliardi di lavoratori e 15,8 trilioni di dollari in salari. Tra i diversi Paesi, il potenziale varia tra il 40 e il 55%, con appena quattro, Cina, India, Giappone e Stati Uniti, che rappresentano poco più della metà dei salari e dei lavoratori totali. Il potenziale potrebbe essere importante anche in Europa: secondo la nostra analisi, l'equivalente di 54 milioni di lavoratori a tempo pieno e più di 1,9 trilioni di dollari in salari nelle cinque grandi economie del continente: Francia, Germania, Italia, Spagna e Regno Unito. Questo allo stato attuale, ma poiché la tecnologia diventa sempre più avanzata, il potenziale crescerà"
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Parigi 17 ottobre 1961: la mattanza degli algerini
di Luigi Cecchetti
Vogliamo ricordare un avvenimento tremendo, che accadde il 17 ottobre del 1961: quel giorno di autunno circa 30.000 persone sfilavano per le vie di Parigi pacificamente.
I cortei, che avevano l’intenzione di raggiungere il centro della città, erano costituiti da donne, uomini e bambini; furono aggrediti dalla polizia a colpi di bastone e di armi da fuoco, vennero uccisi, gettati vivi nella Senna ed alcuni furono ritrovati impiccati nei boschi. Si calcolano dai 200 ai 300 morti più alcune migliaia di feriti.
Cercando di capire come si era arrivati a questa violenza raccontiamo nei particolari questo evento raccapricciante, forse il più grave massacro di lavoratori avvenuto in Europa nel secolo scorso.
Perché è poco ricordato e/o dimenticato? La risposta è incredibilmente semplice: perché le vittime erano tutte algerine, erano solo degli immigrati, gente proveniente da quella parte del mondo considerata come una civiltà indiscutibilmente inferiore alla “civiltà occidentale”.
Gli antefatti
Le forze coloniali francesi rinchiusero dietro i reticolati oltre 1 milione di algerini. Furono detti “campi di raggruppamento” e “centri di internamento”, ove, secondo le dichiarazioni delle stesse autorità francesi, le malattie e la mortalità raggiunsero cifre normalmente alte.
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La moneta nuda
Da mezzo di scambio a creatrice di legami sociali
di Domenico Cortese
“Le risorse sono pochissime dati i vincoli di bilancio. Il Pil è migliorato ma non in modo tale da allentarli in modo significativo“. Lo ha detto il ministro dell’economia Pier Carlo Padoan, parlando della legge di bilancio 2018. E, infatti, “L’avanzo primario [che avviene quando lo Stato ricava dalle tasse più di quanto spende, esclusa la spesa per gli interessi sul debito] – si legge infatti nel documento – salirebbe dall’1,7% di quest’anno al 3,3% nel 2020, grazie ad un continuo controllo della spesa e a nuove clausole poste a garanzia dei saldi di finanza pubblica”. La concezione della moneta come bene scarso e della spesa come un’azione per la quale non ci debbano essere “pasti gratis”, che dev’essere immediatamente compensata dalle tasse è a tutt’oggi l’unico discorso legittimo che si può fare quando si parla di finanza pubblica. Osserviamo la filosofia che sta alla base di tale atteggiamento.
Essa afferma che la moneta è un semplice mezzo di scambio. E’, cioè, il simbolo attraverso cui due individui che hanno già un prodotto da scambiare possono portare a termine la loro transazione senza ricorrere al baratto. Nei casi limite essa può diventare “credito”, che presuppone un semplice differimento temporale del meccanismo suddetto. E, soprattutto, presuppone qualche individuo che voglia “vendere” la sua moneta a chi ne ha temporaneamente bisogno. Ogni transazione presuppone perciò uno scambio alla pari ed un immediato calcolabile ritorno per l’individuo. Altrimenti si parlerebbe di ‘’dono’’ e non di scambio monetario.
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Il compito della teoria critica oggi: ripensare la critica del capitalismo e dei suoi futuri
di Moishe Postone
- I -
Le profonde trasformazioni nel mondo, avvenute negli ultimi decenni, hanno mostrato drammaticamente che l'analisi critica della società, se vuole essere adeguata al nostro universo sociale, deve preoccuparsi soprattutto delle questioni di dinamica storica e dei cambiamenti strutturali su larga scala. Appare sempre meno possibile ignorare la preoccupazione riguardo la questione delle dinamiche storiche, come è avvenuto negli anni 1980-1990, quando si è visto il tentativo di imporre una "grande narrazione" di una realtà che viene supposta come contingente nella sua essenza. Alla luce delle trasformazioni storiche globali avvenute negli ultimi decenni, che non possono essere semplicemente ignorate, ma devono essere comprese, simili posizioni sono diventate sempre meno plausibili. Perciò mi accingo ad argomentare che per mezzo di una teoria critica del capitalismo si possono meglio illuminare questi processi di trasformazione.
Ciò suggerisce quanto possa essere importante un rinnovato incontro con l'analisi critica del capitalismo svolta da Marx. Allo stesso tempo, tuttavia, gli sviluppi storici del secolo scorso indicano fermamente che qualsiasi tentativo di riappropriarsi della teoria critica di Marx deve differenziarsi fondamentalmente dal "marxismo tradizionale", un termine questo che svilupperò più avanti.
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Fuori dal tunnel?
Cosa si nasconde nelle pieghe della ripresa dell’economia italiana
di Dario Guarascio e Marco Centra
Marco Centra e Dario Guarascio analizzano i recenti dati macroeconomici che segnalano una ripresa dell’economia italiana. Mettendo a confronto Pil, occupazione, ore lavorate, salari, produttività e contratti di lavoro,Centra e Guarascio individuano, però, alcune fragilità strutturali che consigliano grande cautela nel valutare l’attuale fase di ripresa. In particolare, Centra e Guarascio temono che tali fragilità pongano in modo durevole l’economia italiana su una traiettoria di “poor o precarious-job growth” piuttosto che di “jobless growth”
La crisi è finita. Con la variazione positiva del Pil nel III e nel IV trimestre del 2014 l’Italia è, tecnicamente, uscita dalla recessione. Negli ultimi 12 mesi, la crescita ha superato abbondantemente la soglia dell’1% e si prevede che nell’anno in corso superi l’1,5%. Gli occupati hanno raggiunto, nel II trimestre 2017, i 23 milioni, un livello analogo a quello del 2008 e prossimo al massimo storico dal 1992.
Questi dati macroeconomici, tuttavia, possono celare criticità strutturali in grado di minare le prospettive future della nostra economia. Eccone alcune: la riduzione di quasi il 25% della capacità produttiva tra il 2008 ed il 2013; i livelli di salari, produttività del lavoro, investimenti in capitale fisico ed in R&S che sono significativamente inferiori alla media europea (Lucchese, M., Nascia, L., & Pianta, M. (2016). Industrial policy and technology in Italy. Economia e Politica Industriale, 43(3), 233-260).
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Questioni teoriche I
Economia e politica, capitalismo e guerra
di Mimmo Porcaro
Lo scritto di cui qui presento la prima parte ha lo scopo di fissare alcuni punti teorici decisivi, prendendo le mosse dal livello raggiunto dal marxismo negli anni ‘70-‘80 dello scorso secolo, prima dell’inabissamento attuale. Nel testo non vi sono note o rimandi (ma non si farà fatica ad intravedere i numerosi autori di cui mi giovo) perché le sue proposizioni sono espresse in forma di tesi, e ciò non per chiudere il discorso ma per determinare meglio la posizione che offro alla discussione. L’esigenza politica che motiva questo intervento è la necessità di iniziare a fare chiarezza sulla questione dello stato e della guerra, mostrando l’intimo legame del capitalismo con l’uno e con l’altra. Il principale oggetto polemico sono tutte le teorie che (intrecciando neoanarchismo, postoperaismo e liberismo puro e semplice) prendono per buona l’immagine che la globalizzazione ha dato di sé ed incolpano lo stato di tutti i mali passati e futuri, non comprendendo che la logica di potenza propria di ogni stato diviene espansionismo compulsivo ed illimitato solo grazie all’incontro dello stato stesso con la voracità del capitale. Ed impedendoci così di capire l’immanenza della guerra come fattore dominante delle dinamiche geopolitiche e di classe. Dinamiche di cui qui ho voluto indicare la strettissima connessione (anche ragionando al livello teorico più astratto) per sottolineare sia il peso determinante della geopolitica dell’imperialismo nel definire le relazioni di classe, sia il possibile legame fra lotte di classe e lotte antimperialiste e nazionali
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Indagine su dei cittadini al di sopra di ogni sospetto
Le violenze della polizia spagnola durante lo svolgimento del referendum per l’indipendenza del primo ottobre in Catalogna, pone all’ordine del giorno un’analisi delle forze dell’ordine. In particolare, viene da chiedersi: perché la polizia tende, così spesso, ad agire in maniera sproporzionalmente violenta ? E perché questo avviene tanto come risposta alle manifestazioni politiche (Torino Primo Maggio 2017, Taormina in occasione del G7 quest'estate, Pavia durante la manifestazione del 5 novembre, Genova durante il G8 del 2001), quanto durante normali operazioni di “ordine pubblico” (di nuovo Torino quest'estate, caso Cucchi, caso Aldrovandi, ecc.)?
In quest’articolo proveremo a dare una risposta. Non sarà certamente l’ultima parola su questa questione, né pretendiamo che lo sia. Piuttosto ci piacerebbe che queste pagine siano di spunto per ulteriori e più approfondite analisi, capaci di guardare al processo di formazione delle polizie in tutto il mondo e di analizzare, caso per caso, tutte le situazioni in cui le forze dell’ordine mostrano comportamenti ingiustificatamente aggressivi.
Che il senso comune non sia garanzia di verità è ormai cosa nota. Gli scienziati lo sanno bene. Copernico, Galileo, Newton, Einstein… Tutti loro hanno messo in discussione e confutato le risposte considerate dalla maggioranza vere perché “ovvie”.
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Da Marx a Marx? Un bilancio dei marxismi italiani del Novecento
di Carla Maria Fabiani
Riccardo Bellofiore (a cura di), Da Marx a Marx? Un bilancio dei marxismi italiani del Novecento, Manifestolibri, Roma 2007, ISBN 978-88-7285-475-4, euro 28.00
Il volume nasce come raccolta degli atti di un convegno organizzato da Riccardo Bellofiore presso l’Università di Bergamo (Facoltà di Economia) in occasione dell’uscita, sempre per la Manifestolibri, del volume di Cristina Corradi dal titolo Storia dei marxismi in Italia. Allora, è bene innanzitutto riportare le tesi sintetiche che Corradi espone in questa raccolta alle pagine 9-31.
1. Rapporto teoria e prassi. I protagonisti italiani di questo intricato rapporto sono innanzitutto Antonio Labriola e poi Antonio Gramsci. Se il primo incentra la sua lettura di Marx sulla nozione di “materialismo storico”, il secondo restituisce una originale lettura delle Tesi su Feuerbach “da cui ha ricavato una filosofia della prassi intesa come produzione di soggettività politica”. Subentrano nel secondo dopoguerra, lo storicismo marxista e lo scientismo dellavolpiano. L’operaismo degli anni ’60 sgancia il marxismo dall’idealismo tedesco, dal socialismo francese e dall’economia politica inglese, proponendo “la tesi politica della potenza antagonistica della classe operaia”. La crisi del marxismo degli anni ’70 si manifesta nell’abbandono del paradigma della critica dell’economia politica, relegando la lettura marxiana del capitalismo all’Ottocento.
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La Rivoluzione d’Ottobre e il Movimento Socialista Mondiale in una prospettiva storica
di Andrea Catone
1. Il risultato più duraturo della rivoluzione d’Ottobre è il riemergere dei popoli oppressi
Il centenario della Rivoluzione d’Ottobre consente oggi, con il vantaggio della distanza storica, di trarre un bilancio dei suoi effetti duraturi in tutta la storia del mondo.
La rivoluzione d’Ottobre segna un momento fondamentale nella storia, non solo del movimento operaio, ma dell’intera umanità. Dopo la Comune di Parigi (1871), schiacciata nel sangue dalla repressione della borghesia, la Rivoluzione d’Ottobre è il primo tentativo vittorioso del proletariato e delle classi subalterne di rovesciare i rapporti sociali dominanti e costruire una società socialista. Segna anche l’inizio di un potente processo di emancipazione dei popoli oppressi e lo sviluppo di lotte anti-coloniali e antimperialiste. Le rivoluzioni russa, cinese, vietnamita e cubana – per limitarsi ad alcuni dei più importanti movimenti comunisti – hanno permesso la liberazione di centinaia di milioni di esseri umani dalla miseria e dalla fame e rappresentano il tentativo di costruire società alternative al capitalismo e orientate verso il socialismo.
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Quo vadis €uropa?
Scenari della crisi globalista euroborica
di Quarantotto
1. Provo a fare un post "di scenario" ed utilizzo l'ultimo Bollettino EIR versione italiana.
Questi bollettini, che gentilmente mi sono inviati ogni settimana, hanno un duplice pregio:
a) anzitutto, sono un punto di vista statunitense (e di lungo corso). Certo, sono solo "uno" dei possibili punti di vista di provenienza USA, ma il solo fatto che ancora esistano, è un valore indicativo in sè;
b) sono comunque volti a fornire una visione di scenario mondiale e, a prescindere dalla condivisibilità delle spiegazioni causali prescelte e dalle priorità che appaiono suggerire, si fondano su una buona capacità di dare notizie su fatti e dati che, altrimenti, il sistema mediatico mainstream priverebbe di ogni risalto (privando quindi le opinioni pubbliche occidentali di ogni chance di comprendere cosa realmente stia accadendo nel mondo).
2. Fatta questa dovuta premessa, proviamo a mettere insieme alcune notizie e analisi contenute nei due ultimi bollettini (n.40 e 41), esponendoli secondo la priorità che risulta oggettivamente attribuita dal sistema mediatico mainstream, in modo da realizzare un (ormai inconsueto) contraddittorio tra visioni diverse comunque legittimamente formulate. Le varie tematiche selezionate saranno integrate da alcuni links da me apportati secondo l'usanza di ricerca documentata che caratterizza questo blog.
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Alla ricerca della Rivoluzione nella società di massa
di Tommaso Baris
Dopo aver dato alle stampe nel 2012 Vita e pensieri di Antonio Gramsci, prima biografia sul leader comunista ad avvalersi delle lettere tra Gramsci e i suoi interlocutori nel periodo carcerario raccolte nel corso degli ultimi anni dalla Fondazione Gramsci di Roma, Giuseppe Vacca torna ancora una volta sul politico sardo, esaminando però questa volta soprattutto la formazione e l’articolazione del suo pensiero politico.
Il suo ultimo saggio, Modernità alternative. Il Novecento di Antonio Gramsci, apparso quest’anno, sempre per la casa editrice Einaudi, è infatti una riflessione sulle categorie di analisi ed intervento politico elaborate dal dirigente comunista, dalla sua ascesa alla guida del Pcd’I sino alla riflessione elaborata all’interno del carcere fascista. Riflessione che il dirigente comunista portò avanti nonostante le condizioni di grandi difficoltà materiali prima, e poi, progressivamente, anche di salute, via via più gravi, in cui si trovò ad operare, essendo sottoposto ad un duro regime carcerario impostogli dal fascismo. Si tratta di un dato da non dimenticare, che complicò non di poco lo stesso lavoro di stesura delle riflessioni e note raccolte nei Quaderni e che si attenuò soltanto nell’ultima fase della sua vita dinanzi ad un evidente peggioramento delle condizioni di salute che portarono di lì a poco Gramsci alla morte.
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Referendum autonomista in Veneto-Lombardia
Un grosso bidone, ma pieno di veleni
di redazione Il cuneo rosso
I reali scopi dei promotori
Il 22 ottobre in Veneto e in Lombardia si terrà il referendum per l’autonomia. Finalmente – sostengono i due presidenti Zaia e Maroni – le regioni più virtuose d’Italia potranno tenersi i proventi delle tassazioni che sono oggi drenati da Roma (ladrona) e incrementare la loro efficienza, non solo nel campo dove eccellono, la sanità, ma in parecchi altri. Tutto talmente semplice e così vantaggioso che praticamente non esiste un fronte del NO, essendo la quasi totalità dei partiti schierati per una “responsabile autonomia”.
Fine del discorso? Non proprio.
Anzitutto, c’è un primo falso: non si potrà toccare il sistema tributario e contabile dello stato trattenendo l’80% dei proventi della tassazione raccolta dalle regioni, come spacciato dai promotori, in quanto è vietatissimo dalla Costituzione. Due anni fa la Corte costituzionale ha categoricamente escluso la possibilità di tenere un referendum su questa materia, bocciando anche la ipotetica consultazione sulla trasformazione del Veneto in regione a statuto speciale e, tanto più, quella sulla indipendenza del Veneto.
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Indios veros homines esse
di Il Pedante
L'homme moderne, au lieu de chercher à s'élever à la vérité, prétend la faire descendre à son niveau.
René Guénon
Lebensborn A/R
È certo una buffa coincidenza che a tirar fuori dalla scatola degli orrori storici l'eugenetica, pseudoscienza che postula un nesso tra selezione genetica e progresso sociale, sia un signore che di nome fa Eugenio. Così scriveva su L'Espresso il 7 agosto scorso:
Si profila come fenomeno positivo, il meticciato, la tendenza alla nascita di un popolo unico, che ha una ricchezza media, una cultura media, un sangue integrato. Questo è un futuro che dovrà realizzarsi entro due o tre generazioni e che va politicamente effettuato dall’Europa. E questo deve essere il compito della sinistra europea e in particolare di quella italiana.
Il tema non gli è nuovo. A sentir lui, di «meticciato» avrebbe già discusso l'anno scorso nientemeno che con il Santo Padre, ricevendone la seguente previsione: «dopo due, tre, quattro generazioni, quei popoli si integrano e la loro diversità tende a scomparire del tutto». Dopo una seconda udienza nell'estate di quest'anno, ci assicurava che:
La tesi del Papa è che il meticciato è inevitabile e va anzi favorito dall'Europa. Ringiovanisce la nostra popolazione, favorisce l'integrazione delle razze, delle religioni, della cultura.
Manca giusto dire che rende il pelo più lucido.
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L’utopia contro la distopia del tecno-capitalismo
di Lelio Demichelis
Nazionalismi, seccessioni, biopotere. Che fare? - davanti a un potere che de-sovranizza il demos espropriandolo della sua demo-crazia?
L’articolo di Pierluigi Fagan, ripreso da Megachip è una sintesi perfetta dei problemi che affliggono questa nuova crisi di quella lunghissima modernità che ci accompagna dalla rivoluzione scientifica e soprattutto dalla prima rivoluzione industriale e dal tradimento ottocentesco della rivoluzione francese - quando nascono l’individuo moderno e il liberalismo ma anche, con Foucault, la società disciplinare/biopolitica e del controllo.
Ma allora, che fare? - davanti a questa crisi che nuovamente produce l’esplosione delle identità collettive, lo svuotamento delle identità individuali, la rinascita di autoritarismi nazionalismi e populismi, mentre illude di nuove soggettività/diritti individuali cancellando allo stesso tempo quei diritti sociali che ne sono la premessa e la sostanza?
Che fare? - davanti a un potere che de-sovranizza il demos espropriandolo della sua demo-crazia?
Servono risposte che siano davvero altre rispetto a quelle inventate fin qui dalla modernità per gestire il suo potere e le sue crisi (lo Stato, la sovranità, l’individuo, i totalitarismi, il fordismo, il consumismo, l’industria culturale, oggi la rete).
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Gli “autorevoli” pugilatori
di Paolo Favilli
I conflitti politici e ideologici della contemporaneità vengono esorcizzati da un'ampia categoria di intellettuali-pubblicisti, gli “autorevoli pugilatori”, i quali sono studiosi che dovrebbero conoscere i testi di cui parlano e i contesti culturali in cui sono inseriti, ma abitualmente ne fanno astrazione
1) Nel Poscritto alla seconda edizione del I libro de Il Capitale, Marx usa l’espressione «pugilatori a pagamento» in riferimento a quegli economisti che avevano abbandonato la lezione di spregiudicatezza analitica che era stata la caratteristica di Smith, Ricardo, dei ricardiani in genere, per abbracciare le ragioni della «apologetica». La causa stava nel fatto che l’«indagine scientifica spregiudicata» tipica dei fondatori della moderna economia politica, dimostrava il carattere intrinsecamente conflittuale della società permeata dal modo di produzione capitalistico ormai in via di definitiva affermazione. Ed in particolare da una conflittualità che, allo scorcio della prima metà del secolo XIX, con il manifestarsi del cartismo ed il radicarsi delle Unions operaie, non rimaneva più nell’ambito della «critica», ma tracimava nel campo della lotta politica e sociale. In tale contesto, dove «non si trattava più di vedere se questo o quel teorema era vero o no, ma se era utile o dannoso, comodo o scomodo…», emergevano facilmente, senza trovare particolari ostacoli, i «pugilatori a pagamento»i .
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Requiem per l'euro
Intervista ad Alberto Bagnai
Il 19 marzo sono andato al Casale Alba due per un incontro dal titolo eloquente, che forse ricorderete:
Fra il pubblico c'era un simpatico giovine friulano, che poi mi contattò per un'intervista da pubblicare su questo interessante blog. Qualcuno di voi ha saputo, e qualcun altro intuito, che anno io abbia passato. Fatto sta che sono riuscito a rispondere alle sue domande (corrette e moderatamente stimolanti) solo qualche giorno fa. Non ho avuto alcuna risposta. A questo punto, visto che ho perso tempo a rispondere, l'intervista la pubblico qui (dove avrà molte più opportunità di essere letta). Fatemi sapere se vi interessa, e magari anche perché il mio parere oggi non viene più ritenuto interessante dal blog dei montanari (a proposito: fra pochi minuti sono su Radio Onda Rossa: Bagnaiextraparlamentaredisinistraaaaaaaa...).
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1° Prof. Bagnai, l'Italia entrando nell'UEM ha adottato un cambio sopravvalutato - una delle cause principali della perdita di produttività delle aziende medio-piccolo - che, in assenza dello strumento della svalutazione esterna, impone sostanzialmente due vie per incrementare la competitività delle imprese: la deflazione salariale e la precarizzazione del lavoro.
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La formazione di un rivoluzionario comunista sotto il fascismo: Giacomo Buranello
di Eros Barone
Ma in ogni tempo il progresso della totalità è ostacolato dai
pregiudizi e dagli interessi dei singoli. Gli ignoranti
hanno i pregiudizi, i delinquenti i propri interessi da
difendere. Ed oggi il principale ostacolo all’unificazione
del mondo (non dico alla felicità degli uomini) non è certo
l’ignoranza: sono gli interessi e le ambizioni dei singoli,
dei delinquenti. Questi (o quelli fra questi che già hanno un
bottino da conservare) son sempre contrari ad ogni forma
di progresso: quando nazione significava civiltà erano
i peggiori nemici dei patrioti; ora che nazione significa regresso
sono i più validi sostenitori della nazione.
Dal Diario di Giacomo Buranello, 19 ottobre 1938.
Se nella storia delle forze antifasciste il 1938 fu l’anno della passione per la Spagna repubblicana, della Cecoslovacchia, della conferenza di Monaco e della fine del Fronte Popolare di Léon Blum, nonché della promulgazione, in Italia, della legislazione razziale, nella storia dell’amicizia tra quattro giovani, che si chiamavano Giacomo Buranello, Walter Fillak, Ottavio Galeazzo e Orfeo Lazzaretti, il 1938 fu l’anno dei libri e della nascita delle rispettive biblioteche.
Buranello cominciò a scrivere il suo “Diario” nello stesso anno, facendone lo specchio fedele, da un lato, del confronto con gli amici e con la madre e, dall’altro, delle sue personali riflessioni sui libri che leggeva. Al centro di tali riflessioni vi era il problema delle scelte con cui si proponeva di dare un senso alla propria vita.
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Tredici Tesi e qualche commento sulla politica mondiale
Alain Badiou
A seguito del movimento contro la «loi travail e il suo mondo», esploso nella primavera del 2016, nella metropoli parigina sono fioriti una serie di spazi di approfondimento e di elaborazione teorica, immanenti alle lotte ed espressione di un’effervescenza intellettuale che fa del sapere un’arma di rilancio del conflitto sociale. Il ripensamento di una serie di categorie, necessarie per l’analisi dell’attuale fase capitalistica e per ponderare le alternative strategiche dei movimenti, è andato di pari passo al confronto con la storia dei conflitti sociali e delle iniziative autonome del recente passato. In questo solco si inserisce l’intervento di Alain Badiou nel quadro del seminario «Conséquences», svoltosi nella primavera scorsa tra l’École des Beaux Arts e l’École Normale Supérieure di Pargi. Il testo esce nei prossimi giorni in Francia per l’editore Fayard, qui ne pubblichiamo una versione trascritta e tradotta in italiano.
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Tesi 1: La congiuntura mondiale consiste nell’egemonia territoriale e ideologica del capitalismo liberale.
Commento: l’evidenza, la banalità di questa tesi mi dispensano da ogni commento.
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