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Qatar, omicidio Kirk: l'11 settembre di Trump
di Davide Malacaria
L’assassinio di Charlie Kirk rischia di diventare un altro 11 settembre americano, e forse mondiale se ripeterà l’effetto domino di allora. Per ora ha scatenato una reazione durissima in ambito repubblicano, dal presidente Trump in giù, contro l’estremismo cosiddetto di sinistra.
Reazione che sembra poter dar vita a un maccartismo di ritorno, ma più estremo del precedente, che vedrebbe indebite convergenze tra la lotta contro i movimenti cosiddetti “antifa” a quella contro l’immigrazione clandestina e, soprattutto, quella contro la causa palestinese, già oggetto di dura repressione.
E dire che, nel mega raduno di luglio del suo movimento politico, il Turning Point, cruciale per avvicinare la generazione Z al Maga, Kirk, in nome della libertà di espressione, aveva invitato diversi oratori più che critici del genocidio palestinese, tra cui Tucker Carlson, Megyn Kelly e Dave Smith.
Un’apertura che aveva irritato non poco certi ambiti, tanto che Kirk “fu bombardato da messaggi di testo e telefonate infuriate da parte dei ricchi alleati di Netanyahu negli Stati Uniti”, riporta Greyzone, tra cui donatori della sua piattaforma, come ricorda un un amico del leader Maga che accenna a come questi ne fosse rimasto destabilizzato e “spaventato”.
’apertura suddetta avveniva dopo che Kirk, come ricordava sempre l’amico, aveva rifiutato l’offerta di Netanyahu di una donazione consistente per la sua piattaforma, di fatto un’Opa sulla stessa (l’articolo di Greyzone è stato rilanciato in America dal Ron Paul Institute).
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La UE vuole legalizzare il “Grande fratello”
di Dante Barontini
Conosciamo ormai a memoria il ritornello della propaganda euro-atlantica secondo cui “noi” (tutti?) occidentali vivremmo in un “giardino” circondato da una giungla oscura e ostile. Qui ci sarebbe la “libertà”, mentre al di là del muro (sempre più alto e spesso) vivrebbero sotto una dittatura feroce che controlla tutti dalla mattina alla sera e magari anche mentre sognano.
Come sempre bisogna chiedersi: quando parlate della “libertà”, esattamente, alla libertà di chi vi state riferendo? Di sicuro non a quella di tutti gli abitanti di questa parte del mondo. E non serve neanche scomodare tutte le visioni – e i relativi dati numerici – che mostrano come, ad esempio, un cittadino povero o ignorante non è affatto “libero”, perché le sue possibilità reali (di movimento, pensiero, azione, ecc) dipendono da mezzi che non possiede né può farsi “prestare”.
Il concetto di “libertà” che viene spacciato da queste parti è insomma necessariamente vago, indefinito, vuoto. Un’immaginetta rassicurante come una madonnina su un santino, e altrettanto usa-e-getta.
A questo punto si alza il liberale scemo di turno a dire: ma qui abbiamo la libertà politica di dire quello che vogliamo! Lasciamo per un attimo da parte l’obiezione “strutturale” per cui la “libertà di parola” – nel senso politico del termine, ossia la possibilità di entrare e “pesare” nel dibattito pubblico quantomeno nazionale – dipende dalla potenza dei mezzi di comunicazione di cui si dispone (chi controllo tre televisioni sicuramente è più libero di chi ha soltanto la sua voce, per farsi sentire).
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Tutti con la Sumud Flottilla, contro i cacasenno e i provocatori
di Fulvio Grimaldi
Testo dell’appello sulla questione del podcast Radio Gaza de L’Antidiplomatico indirizzata alla direzione della testata.
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Una, cento, mille flottiglie
Mentre in tutto il mondo si mobilitano milioni di persone per sostenere la Sumud Flottilla e da Gaza le voci di giornalisti, militanti della Resistenza, a partire dal FPLP, medici e comuni Gazawi si levano voci a favore di questa straordinaria iniziativa, Radio Gaza, in L’Antidiplomatico, opera un’azione di sabotaggio e delegittimazione dell’impresa.
Ricordando che intorno alla Flottilla , per supportarla si sono mobilitati artisti famosi, intellettuali, attivisti e cittadini sensibili alla causa palestinese,
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Reclutamento
di Leonardo Mazzei
La portata del piano di riarmo tedesco è enorme. Ma altrettanto gigantesca è la sua sottovalutazione. In tanti, sottolineando giustamente la difficoltà di adeguare le dimensioni della Bundeswher alla montagna di armi di cui verrà rifornita, concludono che alla fine tutto finirà in una bolla di sapone. Più esattamente in una mera operazione economica, utile a tener su l’economia in una fase in cui boccheggia, ma del tutto inadeguata al fine di far riemergere l’antica potenza militare di Berlino. Davvero stanno così le cose? Ne dubitiamo assai.
Ieri l’altro, il giornale Politico ha reso pubblico un promemoria classificato redatto dal capo dell’esercito tedesco, il tenente generale Alfons Mais, che espone il progetto di raddoppio degli effettivi entro il 2035. Il tutto “con l’obiettivo di diventare l’esercito dominante in Europa”. Così, tanto per cominciare.
In realtà i numeri di questo promemoria non rappresentano una novità, ma il fatto che qualcuno abbia deciso di renderlo pubblico un significato di sicuro ce l’ha. La svolta militarista ha bisogno dei suoi tempi e di un’ampia preparazione nella società, nella cultura e nella politica, ma la direzione di marcia è tracciata. E mentre si lavora alla conquista del consenso, sempre più si ragiona sui piani di reclutamento. Di gran lunga il passaggio più difficile.
Il capoccione della Bundeswher dice che, seppure in tempi di iper-tecnologizzazione della guerra, oltre alle armi servono comunque gli uomini. Il suo piano è dunque quello di passare dai 180mila effettivi di oggi, a 292mila nel 2029, a 352mila nel 2035. Sostanzialmente un raddoppio.
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L’Epoca pericolosa del vittimismo assassino
di Andrea Zhok*
Quando si scopre che la maggioranza (73% secondo l’ultimo poll) della civile, colta, democratica popolazione israeliana supporta una sorta di “soluzione finale” nei confronti dei palestinesi non ci si può che chiedere: com’è possibile che ciò accada? Com’è possibile che qualcuno di fronte a manifeste, continue forme di prevaricazione e violenza nei confronti di soggetti innocenti (bambini, anziani, civili) continui a difendere serenamente queste attività?
La risposta è in effetti semplice: nel caso della popolazione israeliana si tratta di una popolazione che ha introiettato educativamente una visione di sé come vittime della storia, come soggetti fragili ed oppressi, che perciò hanno un implicito diritto di “autodifesa preventiva” a 360°.
In sostanza, essendo “noi” in credito con la storia e l’umanità, ci possiamo permettere ciò che altri non possono permettersi. La posizione di vittima esemplare ci pone in una insuperabile posizione di superiorità morale, che semplifica di molto ogni decisione: non devo soppesare torti e ragioni perché tutto ciò che faccio ricade per definizione sotto una forma di “legittima difesa preventiva”. Basta assumere che l’altro possa rappresentare, da un qualunque punto di vista, una minaccia per me, e io sono legittimato dal mio ruolo di vittima a ricorrere a qualunque forma di iniziativa soppressiva.
Una dinamica perfettamente analoga può essere scorta nelle legittimazioni “progressiste” che fioccano in questi due giorni dell’omicidio di Charlie Kirk.
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Finanza e Difesa: le due bolle che intrappolano l'Europa (e i conti pubblici dell'Italia)
di Alessandro Volpi
Il titolo di Oracle, in una sola seduta di Borsa, ha guadagnato il 40%, portando la capitalizzazione della società non lontana dai 1.000 miliardi di dollari. Era già salito del 45% nelle giornate precedenti. Da che cosa è dipesa una simile impennata? I numeri reali parlano di un fatturato di 57 miliardi di dollari, quattro in più rispetto al 2024 e di un utile netto di 12 miliardi, due in più dell'anno precedente. Numeri importanti, dunque, ma che forse non giustificano un'esplosione come quella registrata in pochissime sedute, su cui hanno pesato molto, invece, la sempre più stretta vicinanza a Trump e alle commesse del Pentagono, l'iniezione di liquidità dei fondi e l'accordo, poi annunciato, con OpenAI, che segna una sorta di cartello dell'Intelligenza artificiale che va da Larry Ellison a Peter Thiel, da BlackRock alla presidenza Trump e al suo progetto "Stargate".
Si tratta di una bolla finanziaria costruita sulla narrazione che gli Stati Uniti intendano puntare il proprio futuro sull'Intelligenza artificiale legata in primis alle strategie del Pentagono in antitesi all'affermazione cinese. La finanza guadagna sull'ipotesi di un conflitto tecnologico tra Usa e Cina: i beneficiari di tale scontro sono evidenti. Il principale azionista di Oracle è come detto Larry Ellison, con il 40%, che non a caso in due giorni è diventato l'uomo più ricco del mondo, seguito da BlackRock, Vanguard e State Street, proprietarie del 15% circa.
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Francia e Gran Bretagna, due populismi a confronto
di Nico Maccentelli
Uno dei cavalli di battaglia degli atlantisti che santificano le attuali (false) democrazie liberali è spalare merda sulle opposizioni qualificandole come populiste e sovraniste. In realtà c’è una bella differenza tra forze politiche che rilanciano il sovranismo populista nel nome dei valori occidentali, e forze che ritengono che in Europa, l’UE sia una gabbia e ponga dei diktat ai parlamenti e alle popolazioni che non possono più decidere autonomamente cosa sia meglio sul piano economico e sociale, per non parlare della politica estera.
Che l’Unione Europea abbia condotto con la sua politica economica i suoi paesi aderenti alla crisi, abbia imposto parametri liberisti e penalizzato stato sociale, salari, pensioni e che dulcis in fundo con la politica estera NATO abbia portato a un’escalation bellica preparata da tempo, dal 2014 con il golpe di Euromaidan, è un dato di fatto che difficilmente i media a libro paga di Bruxelles e della finanza anglosassone possono dissimulare. Oltre che una “pallottola spuntata” nella macelleria ucraina vediamo che anche la propaganda militarista lo è, con sparate del tutto grossolane sulla “Russia che ci minaccia”.
È per questo che il populismo sovranista ha gioco forza nel proporre alternative che spesso non sono. Non è un’alternativa per esempio la forza di massa che si è riversata nelle strade di Londra (1) con tutto il suo carico islamofobico e razzista che fa da corollario a una visione nazionalista aderente alle suggestioni suprematiste dell’antica Inghilterra, quale paese colonizzatore per eccellenza.
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Guerra o pace l’Ucraina ci presenta il conto: nel 2026 più di 120 miliardi di spesa militare
di Gianandrea Gaiani
Meno di un mese dopo che il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha commissionato agli Stati Uniti 90 miliardi di ordini per armi, munizioni ed altri equipaggiamenti militari che pagheranno, consenzienti, gli alleati europei, ieri il ministro della Difesa di Kiev, Denys Shmyhal (nella foto sotto), ha reso noto che l’Ucraina ha bisogno di oltre 100 miliardi di euro per finanziare la sua difesa nel 2026.
A scanso di equivoci, l’ex premier del governo ucraino, ha precisato che tale somma sarà necessaria sia in caso la guerra continui sia nel caso si arrivi a un accordo di pace.
“Se la guerra continua, avremo bisogno di almeno 120 miliardi di dollari per il prossimo anno”, ha affermato, visto che gli sforzi di pace restano in una fase di stallo. Anche se i combattimenti cessassero, “avremo bisogno di una somma leggermente inferiore” per “mantenere il nostro esercito in buone condizioni” in caso di un nuovo attacco russo, ha aggiunto alla conferenza annuale sulla strategia europea.
Il ministro non ha specificato quanto di questa somma l’Ucraina sarà in grado di finanziare con risorse proprie, che di fatto non esistono dal momento che l’Ucraina sarebbe già in bancarotta secondo gli standard finanziari comuni e sopravvive grazie ai donatori internazionali.
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Politeismo italiano
di Geraldina Colotti
Più di un secolo fa, il sociologo Max Weber spiegò con autorevolezza come l’individuo moderno fosse destinato al cosiddetto «politeismo dei valori». Queste riflessioni famose, anche se non necessariamente persuasive, servivano a delineare la situazione nuova di società disincantate, costrette a convivere con l’assenza di baricentri ideologici assoluti e col proliferare di dilemmi etici e normativi inevitabilmente drammatici.
Nessun dramma, però, sembra affliggere l’odierno politeismo italiano, che nel 2025 ha segnato un notevole salto di qualità con la morte e la santificazione di Pippo Baudo e di Giorgio Armani.
«Santo subito!», gridavano i più sfrenati fedeli cattolici, dopo la morte di Karol Wojtyla, papa scenografico e reazionario. Come possiamo constatare, l’esperienza non è andata perduta, vista l’ondata di selvaggio conformismo che si è scatenata all’indomani della scomparsa del «re» della televisione e del «re» della moda.
Notiamo che questi «re» sono monarchi dell’apparenza. Baudo «scopriva» i cantanti, facendoli apparire a Sanremo per dischiudere loro le porte del successo. Armani «copriva» attori e politici, facendoli apparire nella miscela di stile e originalità che conferiva loro eleganza e sicurezza.
Notiamo anche un’altra cosa. Questi sovrani dell’esteriorità hanno imposto la loro supremazia solo a partire dagli anni Ottanta. Anni di simulazione portata all’eccesso, anni di narcisismo compulsivo, anni (bisogna dirlo) di controrivoluzione.
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Sumud, ora e sempre
di Augusto Illuminati
Il proditorio attacco israeliano con drone alle imbarcazioni della Global Sumud Flotilla testimonia non solo il terrorismo sionista ma il rilievo oggettivo che quell’iniziativa umanitaria ha per internazionalizzare il conflitto e manifestare forme concrete di solidarietà e coinvolgimento
Sumud, resilienza un cazzo, resistenza piuttosto, sforzo di perseverare o, come si diceva quando una lingua comune dell’Occidente esprimeva l’impulso rivoluzionario marrano, conatus, per cui ogni cosa in suo esse perseverare conatur, fa valere la sua essenza attuale. La lenta e un po’ scompigliata partenza della Global Sumud Flotilla e il suo avvicinamento contrastato a Gaza segnano un salto di qualità nell’impegno solidale di un movimento internazionale e anticoloniale.
Un balzo di scala non solo rispetto alla passività complice dei governi occidentali, in primo luogo di quello italiano, ma anche rispetto a precedenti manifestazioni di piazza, raccolta di aiuti e boicottaggio dei movimenti e dello stesso movimento italiano che solo a luglio aveva raggiunto livelli paragonabili con quelli europei, superando anteriori divisioni e incertezze. Naturalmente la spinta è venuta dal precipitare della situazione sul fronte di Gaza e della Cisgiordania, essendo la politica israeliana sempre più determinata dal ricatto parlamentare delle formazioni più estremiste e dalla spinta sociale dei coloni e delle bande dei “ragazzi delle colline”, feroci e disadattati che fanno da braccio armato sussidiario e provocatorio ai coloni inquadrati nell’esercito e nella polizia di Ben Gvir.
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Lettere dal Sahel XX
di Mauro Armanino
Il figlio della ricchezza
Niamey, giugno 2025. Questo sembra essere il significato del suo nome, Edwin, migrante liberiano sepolto oggi nel cimitero cristiano di Niamey sotto il sole. In inglese antico, ‘Figlio della Ricchezza’ o della Prosperità. Morto nell’ ospedale universitario della capitale dopo che Medici Senza Frontiere prima e l’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni poi, si occupino della sua malattia. Troppo tardi e a 32 anni Edwin ha terminato un viaggio e iniziato l’altro, l’ultimo, verso una terra sconosciuta. La famiglia, informata dell’accaduto, ha chiesto di poter vedere per foto il suo volto e la video della sepoltura.
Era in Algeria e, certamente espulso e deportato, ha raggiunto Assamaka, la prima città nigerina passata la frontiera desertica dell’Algeria. Malato è stato condotti ad Arlit, chiamata piccola Parigi molti anni fa, Agadez il polo migrante e, viste le peggiorate condizioni di salute, l’ospedale di Zinder, prima capitale del Niger. Da lì il vano tentativo di tenerlo in vita nell’ospedale universitario di Niamey. La prima migrazione di Edwin si è fermata tra la sabbia e il vento del Sahel e, da martedì scorso, ha continuato con quella più impegnativa di tutte giacché non si trova in nessuna carta geografica.
Edwin, ‘Figlio della Ricchezza’, secondo l’etimologia classica del nome. Figlio dunque come non mai quando, stamane, nudo come alla nascita, il corpo offerto per l’ultimo segno di rispetto, la pulizia, prima di essere posto nel feretro di legno.
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La proiezione militare di Israel
di Gaetano Colonna
In Europa si cammina sul filo del rasoio di uno scontro diretto fra Nato e Russia, che qualcuno a quanto pare vuole assolutamente. Nel frattempo, lo Stato di Israele, sicuro oramai della impunità derivante dall’impotenza delle organizzazioni internazionali e del persistente cieco appoggio da parte degli Stati Uniti d’America, sta quindi sfruttando a fondo il momento favorevole per affermarsi come una forza politico-militare egemone in un’area che va oramai dal Golfo Persico fino al Mediterraneo centrale
Per rendersene conto, basta ricostruire gli avvenimenti svoltisi in circa 72 ore, tra l’8 e il 10 settembre scorsi: un arco di tempo nel quale Israele ha attuato con discreto successo ben sei distinte operazioni militari, alcune della quali proiettate a migliaia di chilometri di distanza.
1) Striscia di Gaza: lunedì 8 settembre, 67 persone vengono uccise e gli ospedali ricevono 320 feriti, tra cui 14 persone, uccise mentre cercavano di procurarsi generi di prima necessità; altre 6 persone – tra cui 2 bambini – muoiono per cause legate alla carestia. Martedì, altre 83 persone vengono uccise e 223 ferite.
Israele continua poi il suo attacco su Gaza City, prendendo di mira grattacieli, distruggendo infrastrutture e costringendo i residenti ad abbandonare le loro case, lasciando molti senza un luogo sicuro in cui rifugiarsi.
Dal suo inizio, le operazioni di guerra di Israele su Gaza hanno ucciso almeno 64.656 persone, tra le quali almeno 404 sono morte di fame. Migliaia di altre persone risultano disperse sotto le macerie e si ritiene siano morte.
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Sui meccanismi di occultamento delle responsabilità del Neoliberalismo
di Pier Paolo Caserta
Uno degli aspetti e tra le capacità più notevoli dell’ideologia neoliberale è non solo l’essere stata completamente interiorizzata dai subalterni, costituendo così un elemento attivo di modellizzazione dell’immaginario (con conseguente impossibilità di pensare una reale alternativa di sistema), ma anche di deviare continuamente le responsabilità dei danni prodotti dal Modello verso aspetti periferici, fuorvianti se non del tutto erronei, a salvaguardia del Modello stesso. La Scuola e la Sanità pubbliche, ossia due settori vitali per la tenuta della Democrazia, e che proprio perciò sono stati oggetto di un attacco profondo e pluridecennale, forniscono ottimi esempi del funzionamento del meccanismo.
Sul piano della Sanità, si prenda pure il caso paradigmatico dell’emergenza pandemica, quando l’enfasi sui comportamenti individuali, virtuosi o viziosi, servì a deviare l’attenzione dalle responsabilità maggiori alla base dell’impatto della pandemia, imputabili allo smantellamento della sanità pubblica e allo straripare degli interessi privati. Per esempio, se non mantieni posti di terapia intensiva in esubero quando “non servono”, poi non te li ritroverai quando servono di più. Questo basterebbe a mostrare come la spesa pubblica debba farsi carico di costi che il privato non ha interesse a sostenere, a tutela dei diritti, dell’accessibilità ai servizi di base, e della salute pubblica. Per le stesse ragioni, tutte le campagne populiste e antipolitiche contro gli “sprechi” nel settore pubblico sono sempre state organiche all’ideologia neoliberale, perché contribuiscono a preparare la giustificazione per il trasferimento di risorse dal pubblico al privato.
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I droni e le "urgenze" della storia secondo il Corriere
di Fabrizio Poggi
«L'urgenza delle scelte» scrive il signor Danilo Taino nell'editoriale del Corriere della Sera del 11 settembre, in prima pagina sotto il titolone «Raid in Polonia, Putin sfida la NATO», che dà direttamente conto della visione del foglio di regime euro-atlantico a proposito della vicenda dei droni – addirittura privi di carica esplosiva, dice la stessa Procura polacca – caduti in territorio polacco, forse persino là dirottati da precise interferenze radioelettroniche. E, in fondo, per «quanto allarmante possa apparire» scrive la polacca Gazeta Wyborcza, «un attacco con un drone non è sufficiente per scatenare una guerra con la Russia. Nessuno è rimasto ucciso o ferito... non è sufficiente per provocare un conflitto aperto con la Russia». E il Comandante delle Forze NATO in Europa, Alexus Grynkewich: «Se i droni fossero stati centinaia, si sarebbe applicato l'articolo 5, ma al momento non è del tutto chiaro cosa sia successo nello spazio aereo polacco».
L'imbarazzo delle scelte, invece che «l'urgenza», vien da chiosare sfogliando le altre pagine, fino all'undicesima, dello stesso giornale, alla vana ricerca di qualcosa che non somigli troppo alle pure e semplici veline lanciate da Bruxelles per convincere i lettori della malvagità di un “regime autocratico”, assetato di guerra contro le immacolate democrazie europee spinte, come ricordato meno di una settimana fa dal presidente della Repubblica italiana, da quelli che sono i “fondamentali” del liberal-europeismo: «percorso di pace, affermazione dei diritti, standard di vita», ecc.
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Global Sumud Flotilla: eterotopie di contestazione nello spazio liscio
di Paolo Lago
Michel Foucault, in una conferenza tenuta a Tunisi nel 1967 e pubblicata postuma nel 1984 col titolo Des espaces autres, al fianco di “utopia” introduce il termine di “eterotopia”. Se l’utopia si configura come un “non luogo”, l’eterotopia si presenta come un luogo reale separato dal normale contesto quotidiano, “una specie di contestazione al tempo stesso mitica e reale dello spazio in cui viviamo”1. Sono svariate le eterotopie secondo l’analisi dello studioso francese: i giardini, i teatri, le prigioni, le colonie, le fiere, le biblioteche. Alla fine della conferenza, Foucault definisce però la nave come “eterotopia per eccellenza”: la nave è un “frammento di spazio fluttuante, un luogo senza luogo, che vive per sé, che è chiuso su se stesso e che, nello stesso tempo, è abbandonato all’infinito del mare”2; è “anche la più grande riserva di immaginazione. La nave è l’eterotopia per eccellenza. Nelle civiltà senza barche i sogni si inaridiscono, lo spionaggio prende il posto dell’avventura e la polizia quello dei corsari”3.
L’immagine della nave come “contestazione al tempo stesso mitica e reale dello spazio in cui viviamo”, come “riserva di immaginazione”, come una specie di scrigno di sogni scaturiti da un immaginario libero e liberato prende corpo in questi giorni nella Global Sumud Flotilla, partita carica di aiuti umanitari pochi giorni fa alla volta della Striscia di Gaza con l’intento di rompere il blocco israeliano. Sono tante imbarcazioni a vela che assumono una dimensione quasi mitica nel loro movimento sulla superficie del mare alla volta della Striscia.
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L'”incidente polacco”, un Tonchino in salsa europea
di Francesco Piccioni
A 24 ore di distanza, con qualche elemento concreto in più (le dichiarazioni e la propaganda li lasciamo agli arruolati), possiamo provare a sintetizzare l’analisi dell’”incidente polacco” – i droni, forse russi, che hanno sconfinato sul confine orientale di Varsavia – e ipotizzare cosa è effettivamente accaduto.
Dal che, come sempre, discende un briciolo di valutazione politica.
Gli “elementi concreti” vengono forniti da fonti militari (alcune della Nato, altre bielorusse) e da analisti militari sperimentati, tipo Analisi Difesa per quanto riguarda l’Italia.
Partiamo dalle cose relativamente certe.
I droni erano di tipo “Gerbera”, che un sito molto “europeista-militarista” descrive così: “I droni Gerbera appartengono alla categoria degli UAV tattici, progettati per missioni di ricognizione, sorveglianza e potenzialmente anche attacco. Sebbene la documentazione ufficiale sia limitata, analisti militari occidentali hanno identificato questo modello come parte della nuova generazione di droni russi, sviluppata con l’obiettivo di contrastare le difese aeree convenzionali e di operare in scenari di conflitto ibrido.”
In pratica sono droni senza carica esplosiva (anche se in qualche misura potrebbero portarla), utili sia per acquisire informazioni sulla disposizione del nemico, sia come “esca” per attirare i missili anti-missile delle difese avversarie.
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La flottiglia, spettacolo che assolve
di Pasquale Liguori
La coerenza politica passa spesso per la minoranza. Se n’ebbe prova all’indomani del 7 ottobre, quando affermare il carattere resistente di quell’atto significava esporsi all’isolamento e al disprezzo di una massa compatta che ne decretava la demonizzazione come “terrorismo”. Si era in pochi, quasi invisibili. Lo si constata di nuovo oggi, dopo due anni di genocidio reso possibile dall’indifferenza occidentale e dalla complicità diretta con il sionismo: proprio mentre si coagula un consenso di massa che condanna tardivamente i massacri, si può scegliere di restare altrove. Non per masochismo né per culto delle passioni tristi, ma per coerenza. È fondamentale la forza dei movimenti di massa, ma non va confuso il clamore con la lotta: quando degenerano in rituali di autoassoluzione, è doveroso starne fuori. Molti compagni di allora, che condividevano la solitudine della prima minoranza, oggi si sono riversati anima e corpo in questa ondata solidale che qui si critica. Li si può rispettare, ma sarebbe disastroso lasciarsi trascinare: resta dunque salutare permanere nella minoranza che non si lascia sedurre dalle illusioni.
Potremmo scorgere, infatti, nel clamore di questi giorni, il tempo della negazione spettacolare della resistenza. La Global Sumud Flotilla non sostiene la lotta, non rafforza la resistenza: è messa in scena.
Guy Debord, esordendo ne La società dello spettacolo, avvertiva: «Tutto ciò che era direttamente vissuto si è allontanato in una rappresentazione». Ed è proprio ciò che accade.
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Progetto economico alternativo
di Emiliano Brancaccio
Scandita bene, agitata come un’arma dialettica, quella parola è in primo luogo contro le politiche di privilegio di Macron
«A causa di una rivolta sociale il Museo d’Orsay è chiuso» e i turisti non potranno ammirare le opere di Courbet. Per questa ironica serrata, il grande pittore rivoluzionario avrebbe guardato con simpatia il movimento che ieri ha paralizzato Parigi al grido «blocchiamo tutto».
Alcuni distruttori senza criterio, certo. Ma soprattutto giovani, tantissime donne, molti immigrati, e drappi rossi a volontà.
Si dice che il movimento sia nato dalle file della destra sovranista attiva sui social. Sarà, ma ieri si è vista poco. I «bloccanti», li chiameremo così, sono portatori di un linguaggio sovversivo in cui il termine «nazione», in senso repubblicano e molto francese, di certo non manca. Ma la parola chiave dei rivoltosi è un’altra: «Uguaglianza». Scandita bene, agitata come un’arma dialettica, in primo luogo contro le politiche di privilegio di Macron, alle quali i post-fascisti che siedono all’Assemblea nazionale vorrebbero dare sostegno più apertamente di quanto possano oggi ammettere.
La protesta è rivolta in primo luogo contro il programma anti-sociale che Macron sta cercando di imporre al paese. Oltre una quarantina di miliardi di tagli, da selezionare alla solita maniera: blocco delle pensioni e delle prestazioni sociali, stop alle assunzioni statali, scasso della sanità pubblica e, guarda caso, abolizione della festa dell’8 maggio per la vittoria contro il nazifascismo.
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Il genocidio a Gaza e il falso mito della potenza israeliana
di comidad
Bettino Craxi definiva Ernesto Galli della Loggia “intellettuale dei miei stivali”. In effetti il noto opinionista del “Corriere della Sera” basa i suoi interventi su uno schema ripetitivo e prevedibile che consiste in un mero richiamo alle vigenti gerarchie imperialistiche e antropologiche. Ormai il mainstream ha ammesso che il comportamento di Israele a Gaza ha oltrepassato il cosiddetto “diritto di difesa” e forse sta avvenendo qualche criminuccio di troppo. Qualche giorno fa Galli della Loggia ha appuntato la sua polemica sulla scelta delle parole per ciò che sta avvenendo a Gaza, chiedendosi perché non ci si limiti a usare espressioni forti come “eccidio” o “massacro”, invece del termine “genocidio”, che implica riscrivere la Storia negando l’unicità del genocidio nazista nei confronti del popolo ebraico. Per Gaza si parla di sessantamila morti, un numero non paragonabile con le proporzioni dell’Olocausto.
Certo, la macchina logistica del regime nazista, nella quale sono stati macinati ebrei, zingari, slavi, disabili e altri reietti, rimane sinora un unicum nella Storia e, probabilmente, è irripetibile. Ma il fatto che il governo israeliano non dimostri una capacità logistica al livello del regime nazista, non toglie nulla all’evidenza di un genocidio in atto a Gaza. Israele non è neanche lontanamente una potenza comparabile con la Germania nazista, infatti dipende in tutto e per tutto dalle armi e dai soldi che arrivano dagli Stati Uniti, dall’Unione Europea e dal Regno Unito.
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L’attacco israeliano a Doha: la fine dei rifugi sicuri in un Medio Oriente multipolare
di Peiman Salehi, orientalreview.su
L’attacco aereo israeliano contro i leader di Hamas a Doha nel settembre 2025 è stato più di un’operazione militare. È stata una rottura simbolica nell’architettura stessa della diplomazia mediorientale. Per decenni, il Qatar si è costruito l’immagine di “mediatore neutrale” ospitando negoziati tra i talebani e Washington o fungendo da piattaforma per colloqui indiretti tra Iran e Stati Uniti. L’attacco israeliano ha infranto questa percezione: l’era dei “rifugi sicuri” per la diplomazia nell’Asia occidentale è finita.
La capitale del Qatar, Doha, è stata a lungo descritta come un polo paradossale. Da un lato, ospita la base aerea di Al-Udeid, la più grande installazione militare statunitense nella regione. Dall’altro, ha ospitato gli uffici di Hamas e ha svolto il ruolo di piattaforma per i negoziati tra attori considerati ostili da Washington e Tel Aviv. Doha ha prosperato in questo spazio contraddittorio, ritagliandosi un ruolo di mediatore globale. La decisione israeliana di lanciare un attacco aereo a Doha ha infranto questo paradosso. Ha segnalato che persino un alleato degli Stati Uniti, un presunto mediatore “protetto”, non è immune dalla logica dell’espansione dei campi di battaglia. Colpendo i leader di Hamas mentre erano presumibilmente impegnati in colloqui con funzionari del Qatar, Israele non solo ha minato la sovranità del Qatar, ma ha anche inviato un messaggio agghiacciante agli altri attori del Sud del mondo: la neutralità è un’illusione nei conflitti odierni.
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Macron e Zelensky danno i numeri….ma non i nomi
di Gianandrea Gaiani
Quante sono le nazioni europee disposte a inviare proprie truppe in Ucraina per garantire la sicurezza di Kiev? Valutazioni contrastanti e contraddittorie rendono arduo fornire una risposta precisa a questa domanda.
Ci sono 26 Paesi dei circa 30 aderenti alla Coalizione dei Volenterosi “che formalmente si sono impegnati a dispiegare una ‘forza di rassicurazione’ in Ucraina e ad essere presenti sul territorio, nei cieli e nei mari” ha detto Macron durante la conferenza stampa all’Eliseo al fianco di Volodymyr Zelensky. “Questa forza non ha per volontà o per obiettivo condurre qualche guerra ma è una forza che deve garantire la pace“, ha affermato il presidente francese Emmanuel Macron all’ultimo vertice dei “volenterosi”.
Il 5 settembre il presidente ucraino Zelensky ha aggiunto che nell’ambito delle “garanzie di sicurezza”, i Paesi stranieri saranno disposti a inviare migliaia di militari in Ucraina. In un incontro con il presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa, il leader ucraino ha detto che è ancora presto per parlare dei dettagli delle garanzie di sicurezza, ma il piano esiste già.
“La questione riguarderà il coordinamento dei Paesi per la protezione del cielo. E questo sta già procedendo con una valutazione delle quantità di aerei e della quantità di reparti. E anche il coordinamento in mare, e comprendiamo anche quali Paesi e cosa sono disposti a schierare”, ha detto Zelensky.
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Della gentilezza, del coraggio e della stupidità
di Alba Vastano
Volto sorridente, voce soft, comunicazione coinvolgente che ben dispone all’ascolto. È, a detta di chi lo ascolta, una persona gradevole, gentile. Non sempre corrisponde al vero. Se la gentilezza è una qualità intima che apporta benefici e che si esprime attraverso varie esperienze e relazioni, poche persone possono essere riconosciute gentili. E’ lo stesso divario che intercorre fra forma e sostanza. ‘Sotto il vestito niente’, citando il titolo di un famoso film. Nella frequentazione la forma prende corpo nella sostanza e la gentilezza dei modi, talvolta, svanisce.
In realtà la gentilezza per antonomasia ben poco ha a che vedere con ciò che appare d’emblée. Per avere un’idea su una delle accezioni dell’intrinseco significato si pensi alla celebrazione dantesca di Beatrice ‘Tanto gentile e tanto onesta pare’ declamava il Maestro nel XXVI della Vita Nova. Nel sonetto ‘quella che sul numer delle trenta’ viene descritta dal Sommo poeta come creatura dotata di gentilezza intesa come portatrice di grazia e promotrice di serenità. La gentilezza per il poeta del dolce stilnovo è il simbolo più elevato della nobiltà d’animo.
Accantonando i cieli danteschi e la spiritualità della donna angelicata, torniamo alla gentilezza come qualità terrena. Si può affermare che chi è realmente gentile non è mai oppositivo, né perentorio. Chi è dotato di gentilezza d’animo sa come far scivolare il conflitto prima che degeneri e si trasformi in una inarrestabile escalation verso la spirale dell’aggressività.
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Ursula Von Der Leyen promette più guerra, censura e centralizzazione
di Thomas Fazi, thomasfazi.com
Nel suo discorso sullo stato dell’Unione del 2025, la von der Leyen ha segnalato la sua intenzione di raddoppiare gli sforzi sulle stesse politiche che hanno indebolito l’Europa
Il discorso sullo stato dell’Unione di Ursula von der Leyen del 2025 non ha riservato grandi sorprese. È stato il solito mix di promesse vuote, gergo tecnocratico e atteggiamenti morali ipocriti che sono il suo marchio di fabbrica. In altre parole, sempre la stessa cosa.
Pronunciato nel consueto registro orwelliano, il discorso era pieno di parole come libertà, pace, prosperità e indipendenza, anche se l’UE continua a perseguire politiche che minano tutti questi valori, spingendo per la guerra e la militarizzazione, reprimendo la libertà di parola, sabotando le economie europee con politiche energetiche e commerciali controproducenti e subordinando ulteriormente il continente all’agenda strategica di Washington.
Come previsto, la von der Leyen ha iniziato con la Russia, la principale ossessione di Bruxelles. “L’Europa è in lotta. Una lotta per un continente unito e in pace… una lotta per il nostro futuro”, ha dichiarato, annunciando un nuovo “Semestre europeo della difesa” e una “tabella di marcia chiara” per la preparazione alla difesa entro il 2030, sottolineando al contempo l’impegno incrollabile dell’Unione nei confronti della NATO.
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Macron re dei supponenti e la cecità totale dell’Eliseo
di Barbara Spinelli
È passato un anno dalle elezioni legislative anticipate volute da Emmanuel Macron, due primi ministri da lui nominati sono nel frattempo caduti – Michel Barnier con una mozione di censura il 4 dicembre, François Bayrou con un voto di sfiducia lunedì – e ancora il Presidente non ha capito che il grande perdente è lui, nonostante le incapacità negoziali di ambedue i Premier falliti. Ieri ha nominato primo ministro un suo fedelissimo, il ministro della difesa Sébastien Lecornu. Probabilmente Macron pensa che facendo sempre la stessa cosa, e avendola fallita due volte, il risultato possa essere diverso.
Il debito che appesantisce il paese è aggravato dalle sue politiche, e da anni è lui il bersaglio della collera dei francesi. La Francia è bloccata da lui e non – come sostengono centro-destra e media mainstream – dai movimenti popolari o sindacali che manifesteranno oggi e il 18 settembre. Quello di oggi, annunciato da tempo, ha come motto: “Blocchiamo Tutto”. Non cade dal cielo ma prosegue un movimento di protesta quasi ininterrotto che ha accompagnato la presidenza sin dagli inizi: Gilets Gialli nel 2018-2019; lunga mobilitazione nel 2023 contro la legge sulle pensioni, imposta da un capo di Stato senza più maggioranza assoluta; e adesso il Blocco. Ogni volta sono le dimissioni presidenziali che vengono invocate.
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USA, una nazione di narcisisti
di Patrick Lawrence* - ScheerPost
Tutti quei maligni autoritari, più di 20, che si sono riuniti a Tianjin alla fine di agosto per un vertice della Shanghai Cooperation Organization: questo è stato un festival dell'antiamericanismo, dovete saperlo.
Non c'è altro modo di capirlo. A peggiorare ulteriormente la situazione, Xi Jinping ha poi invitato più di due dozzine di capi di Stato a Pechino per celebrare l'80° anniversario della vittoria del 1945.
Come osa il presidente cinese organizzare una sontuosa parata militare per celebrare il ruolo della Cina nella storica sconfitta dell'esercito imperiale giapponese? Come osa suscitare orgoglio nella determinazione della Repubblica Popolare a difendere la propria sovranità, confutando al contempo il revisionismo – insensato ma diffuso – che cancella il Partito Comunista Cinese dalla storia della Seconda Guerra Mondiale?
La temerarietà di quest'uomo nel suggerire che non furono gli americani e i loro corrotti clienti, i nazionalisti cinesi, a combattere e vincere la guerra. Per l'amor del cielo, non facciamo menzione dei 12-20 milioni di cinesi – non esiste una cifra precisa – che morirono a causa delle aggressioni del Giappone imperiale.
No, non c'è niente da onorare in tutto questo. Tra la SCO e i festeggiamenti a Pechino, tutto era vagamente demoniaco, una sfida appena velata a quello che gli Stati Uniti e il resto dell'Occidente insistono nel definire un "ordine basato sulle regole".
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"Il Venezuela è il grande laboratorio politico della nostra epoca"
Geraldina Colotti* intervista Ignacio Ramonet
Ignacio Ramonet, giornalista e saggista, analista internazionale, è stato a lungo direttore di Le Monde diplomatique. Nel suo libro La era del conspiracionismo ha analizzato i meccanismi del “trumpismo” che oggi vediamo estendersi ad altre latitudini, dall'America latina all'Europa. Con lui abbiamo parlato della crisi politica dell'Unione europea, e delle rinnovate tensioni fra gli Usa e i paesi socialisti latinoamericani.
* * * *
Viviamo un momento di profonde e drammatiche trasformazioni che investono tutti i piani di un modello – il capitalismo dominante – in crisi sistemica, ma con la chiara intenzione di far vivere a tutta l'umanità la sua agonia. Dal suo punto di vista, quello di un raffinato analista politico di lunga data, come interpreta questa crisi?
Non siamo di fronte a una crisi puntuale del capitalismo, ma a una sua crisi di civiltà. Il sistema, nella sua versione neoliberista e finanziarizzata, ha raggiunto un punto in cui non riesce più a riprodursi senza distruggere le sue stesse fondamenta: il lavoro, la natura, i legami sociali e persino l'idea di comunità politica. Il capitale trasforma il collasso in strategia, fa della precarietà la norma e gestisce la catastrofe come se fosse uno stato naturale delle cose.
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Ucraina - Palestina: il rilancio delle due guerre infinite
di Davide Malacaria
Drammatizzazione parallela tra ieri e stamattina: nel conflitto ucraino si è registrato l’asserito attacco al palazzo governativo e, in quello mediorientale, l’attentato alla fermata di un bus di Gerusalemme, costato la vita a sei israeliani. La guerra infinita si rilancia su entrambi i fronti.
Sull’asserito attacco a Kiev c’è poco da dire, dal momento che è stato smentito dal sindaco della città Vitali Klitschko che, ignorando che il governo voleva usare dell’accaduto, ha comunicato quanto realmente successo in un post rilanciato da Ukrinform: “Nel distretto di Pechersk è scoppiato un incendio in un edificio governativo a seguito del probabile abbattimento di un drone”.
Il vettore, dunque, non mirava all’edificio governativo, anche perché se veramente fosse stato indirizzato contro di esso avrebbe fatto ben altri danni, mentre questi appaiono più causati da un incendio.
Spiegazione, peraltro, data successivamente da Defense Express, secondo cui l’edificio sarebbe stato colpito da un missile da crociera 9M727 Iskander, che però “non è esploso”, ma i cui serbatoi avrebbero innescato le fiamme (né poteva scrivere che era esploso perché intercettato e che a colpire l’edificio è stato quel che ne rimaneva).
Né c’è una ragione logica per cui i russi avrebbero dovuto prendere di mira quell’edificio, dal momento che non l’hanno mai fatto prima e un attacco del genere avrebbe avuto come unico esito quello di complicare il già complesso processo diplomatico, come in effetti è accaduto dopo la fanfara mainstream e i video drammatizzanti dei locali colpiti.
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L’orizzonte bellico dell’Occidente fin lassù, in cima al mondo
di Francesco Cappello
Il Mare di Barents, a nord della Norvegia e della Russia, è una parte dell’Oceano Artico. In questo momento, la NATO sta intensificando le sue attività militari nella zona. Nel frattempo si apre il fronte gi guerra caraibico. L’unico modo di controllare gli altri paesi che possiedono materie prime e organizzazione produttiva è quello (illusorio) di controllarli militarmente. La costruzione di una fortezza statunitense come una Israele atlantica
Le forze della NATO conducono pattugliamenti congiunti tra Stati Uniti e Norvegia nel Mare di Barents, ufficialmente con l’obiettivo di monitorare l’attività dei sottomarini russi, in particolare quelli della classe Yasen. Sono stati utilizzati anche aerei di pattugliamento marittimo, come il P-8 Poseidon. Nella stessa zona, la Marina russa ha condotto esercitazioni antisommergibile e ha simulato l’intercettazione di sottomarini nucleari.
Recentemente il comandante Christopher Donahue, responsabile delle forze statunitensi in Europa e Africa, con una carriera prevalente nelle operazioni speciali, ha pubblicamente dichiarato, come farebbe un qualsiasi bullo, che la NATO potrebbe neutralizzare velocemente le difese russe e prendere Kaliningrad in poche ore. Un chiaro tentativo di intimidazione attraverso esercitazioni di attacco militare su strutture russe nella speranza che la Russia possa piegarsi al volere occidentale.
La Russia ha avvertito che un’azione militare contro Kaliningrad potrebbe scatenare una risposta immediata e molto forte, anche con l’uso di armi nucleari.
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L’Aquila tedesca si prepara ad azzannare l’Orso russo: storia di una catastrofe annunciata
di Clara Statello
La Germania va alla guerra: le Sturmtruppen ci riprovano con la Russia. Errare humanum est, perseverare autem cruccorum, verrebbe da commentare.
Da fine agosto sino a fine settembre, la Bundesweher conduce l’esercitazione NATO “Quadriga 2025”, che coinvolge un imponente schieramento di forze: circa 8.000 militari tedeschi provenienti dalla Marina, dall'Esercito, dall'Aeronautica, dal Servizio per la Sicurezza Informatica e il Dominio dell'Informazione e dal Comando di Supporto Congiunto, assieme a truppe di altri 13 Paesi.
I giochi di guerra si svolgeranno in Germania, Finlandia, Lituania e nel Mar Baltico. L’obiettivo ufficiale è quello di rafforzare la deterrenza e aumentare la prontezza operativa delle truppe, con un focus particolare sulla logistica. L'addestramento prevede infatti il dispiegamento via mare, terra o aria di forze ed equipaggiamenti in Lituania, per fornire supporto multinazionale diretto nella difesa del fianco orientale della NATO.
L'attenzione sarà rivolta:
- ai trasporti sia su strada, ferrovia o mare
- alla fornitura di carburante e acqua potabile in Lituania
- alla protezione delle infrastrutture critiche per la difesa nei settori terrestre, aereo, marittimo e cyberspazio,
- alla fornitura di assistenza medica in mare, inclusa l'evacuazione medica e la cooperazione con gli operatori sanitari civili a terra.
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Mattarella, l'Europa: i valori dell'Occidente
di Umberto Franchi
Il Presidente della Repubblica Mattarella, parlando a Cernobbio con videomessaggio, in una assemblea padronale, (Forum Ambrosetti) ha detto QUATTRO cose su cui credo che valga la pena riflettere.
- che l’Europa è un’area di pace e che essa non ha mai scatenato guerre;
- che il Mondo ha bisogno dell’Europa per ricostruire la centralità del diritto internazionale che è stato strappato;
- Che l’Europa deve espandere i suoi valori occidentali;
- L’Europa è un baluardo di Pace, Democrazia, Libertà di mercato e stato sociale ?
PRIMO: L’Europa è un’area di Pace ?
Probabilmente Mattarella con quella affermazione, voleva dire che l’Unione Europea non avendo una struttura giuridica militare unica, come istituzione non ha mai formalmente dichiarato guerra a nessun stato. Ma credo che Mattarella avrebbe anche dovuto ricordare senza ambiguità che molti Paesi Membri della Unione Europea nonché della Nato, tra cui l’Italia, hanno partecipato a guerre di aggressione imperialista contro la ex Jugoslavia nel 1999, soprattutto con i bombardamenti nel Kosovo e a Belgrado, (con Mattarella vicepremier); Hanno fatto guerra contro l’Iraq nel 2003 con la falsa storia della fialetta chimica presentata dagli USA alle Nazioni Unite, dicendo che in Iraq stavano preparando la guerra chimica;
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Guido Salerno Aletta: Italia a marcia indietro
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Michelangelo Severgnini: Le nozze tra Meloni ed Erdogan che non piacciono a (quasi) nessuno
Michelangelo Severgnini: La Libia e le narrazioni fiabesche della stampa italiana
Diego Giachetti: Dopo la fine del comunismo storico novecentesco
E.Bertinato - F. Mazzoli: Aquiloni nella tempesta
Autori Vari: Sul compagno Stalin

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A cura di Aldo Zanchetta: Speranza
Tutti i colori del rosso
Michele Castaldo: Occhi di ghiaccio

Qui la premessa e l'indice del volume
A cura di Daniela Danna: Il nuovo volto del patriarcato

Qui il volume in formato PDF
Luca Busca: La scienza negata

Alessandro Barile: Una disciplinata guerra di posizione
Salvatore Bravo: La contraddizione come problema e la filosofia in Mao Tse-tung

Daniela Danna: Covidismo
Alessandra Ciattini: Sul filo rosso del tempo
Davide Miccione: Quando abbiamo smesso di pensare

Franco Romanò, Paolo Di Marco: La dissoluzione dell'economia politica

Qui una anteprima del libro
Giorgio Monestarolo:Ucraina, Europa, mond
Moreno Biagioni: Se vuoi la pace prepara la pace
Andrea Cozzo: La logica della guerra nella Grecia antica

Qui una recensione di Giovanni Di Benedetto














































