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Perché Netanyahu non batterà l’Iran
di Pino Arlacchi
Il cessate il fuoco tra Israele e Iran è più l’inizio di una nuova fase del conflitto che la sua conclusione. Gli Stati Uniti sono intervenuti per impedire che il fallimento dell’attacco israeliano diventasse troppo evidente e producesse danni più profondi.
I due obiettivi dell’aggressione israeliana – la distruzione delle installazioni nucleari iraniane e il crollo del regime – erano stati platealmente mancati, ed era meglio ripiegare usando il classico espediente del face saving: salvare la faccia e ritirarsi urlando di avere vinto, e invitando l’Iran a fare altrettanto. Teheran ha accettato perché aveva anch’essa, comunque, subito molti danni, e aveva anch’essa bisogno di ricaricare il fucile.
Al di là degli sviluppi a breve (nuovi bombardamenti da entrambi i lati, qualche ulteriore barbaro assassinio di scienziati e civili) è probabile che questo conflitto assuma gradualmente il profilo di una vera e propria guerra di posizione, la cui posta può essere la sconfitta storica del nemico, l’azzeramento definitivo della sua capacità di minaccia e di distruzione. Questo tipo di guerra è radicalmente diversa da quelle che Israele è abituata a fare. E a vincere grazie alla sua tecnologia militare avanzata, alla sua possibilità di scaricare in poco tempo il massimo della sua potenza offensiva, e grazie all’appoggio senza riserve degli Stati Uniti.
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I limiti della dottrina della sicurezza indivisibile
di comidad
I media si sono soffermati un po’ troppo sulla frase di Guido Crosetto secondo cui la NATO, così com’è, non avrebbe più ragione di esistere. La dichiarazione più significativa del ministro della Difesa era invece un’altra, e cioè che, comunque, la NATO se la voleva tenere stretta. Il motivo dell’affettuoso abbraccio di Crosetto (consulente di Leonardo SpA) nei confronti della NATO è facilmente spiegabile, se si considera che nello stabilimento Leonardo di Cameri in Piemonte vengono assemblati i caccia F-35 della Lockheed Martin. Il business del caccia più costoso di tutti i tempi si è rivelato talmente lucroso per Leonardo che il governo tedesco ha deciso di non acquistare i caccia prodotti nello stabilimento di Cameri e di costruirne uno proprio per assemblare gli F-35.
Il business della “difesa” è una partita di giro nella quale la lobby delle armi occupa i governi, i quali a loro volta drenano il denaro pubblico verso la lobby delle armi. Ovviamente tutto ciò va benissimo per le cosche di affari, ma non ha niente a che vedere con la “sicurezza”; anzi, è molto più probabile che un’alleanza tra trentadue paesi diversi finisca per comportarsi come una baby gang dominata non solo dal bullo più violento del gruppo, ma anche dalla cerchia di adulatori che manipola il bullo. Il fallimento dei blocchi militari come la NATO in termini di sicurezza è il punto di partenza della nota dottrina, enunciata da Xi Jinping, della cosiddetta “sicurezza indivisibile”. Tutto il discorso è molto bello, molto confuciano: se cerco la mia sicurezza a scapito di quella degli altri, è inevitabile che ciò mi ritorni indietro come aumentata insicurezza.
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La controrivoluzione del presidente
di Michele Paris
La gigantesca legge di spesa voluta da Donald Trump è vicina all’approvazione definitiva del Congresso di Washington dopo che il Senato l’ha licenziata con il più ristretto dei margini nella notte di martedì. Nota come “Grande e Bellissima Legge”, quest’ultima farà aumentare ancora di più un debito pubblico già fuori controllo negli Stati Uniti, con implicazioni enormi sia sul fronte interno sia su quello internazionale. Nel concreto, si tratta di uno dei più imponenti trasferimenti di ricchezza dal basso verso l’alto della piramide sociale e segna un punto di rottura probabilmente definitivo nel processo già ben avviato di smantellamento del sistema di welfare americano uscito dalle battaglie e rivendicazioni del “New Deal” e degli anni Sessanta del secolo scorso.
Il pacchetto di spese e tagli aveva già ottenuto il via libera della Camera dei Rappresentanti nel mese di maggio e al Senato è stato al centro di accesissime discussioni, in particolare per le possibili conseguenze politiche degli attacchi a popolari programmi di assistenza sociale. La versione approvata tra martedì e mercoledì è stata alla fine anche più estrema rispetto a quella della Camera, riflettendosi su una votazione in aula tiratissima che ha costretto il vice-presidente J. D. Vance, il cui incarico include costituzionalmente anche quello di presidente del Senato, a esprimere il voto decisivo per il passaggio della legge (51-50).
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Presidente firmatutto e i quattro, o cinque, cialtroni dell’Apocalisse
di Fulvio Grimaldi
“Mondocane video”, canale Youtube
https://www.youtube.com/watch?v=XelW90k7hf0&t=559s
https://youtu.be/XelW90k7hf0
Settant’anni di terrorismo di Stato e mafia con manovalanza fascista ha prodotto la palude da cui è sorto l’attuale governance (dire “governo” è troppo), che ha sancito (Decreto Sicurezza) che chi protesta, rivendica giustizia, difende la nuda vita, commette reati da carcere. Che chi si oppone a speculazioni ladronesche e militaristiche che devastano territorio, ambiente, cultura, società, commette reati da carcere. Che chi dice la verità, istiga il terrorismo, diffonde fake news e commette reati da carcere. Che chi occupa una casa, perché vive sotto i ponti, od occupa un’aula piuttosto che cederla alle smargiassate di un generale invitato a illustrare opportunità e splendori della guerra, commette reati da carcere.
Ma soprattutto…
…coloro che in questi ottant’anni di un dopoguerra di guerre NATO hanno condotto la guerra interna contro il proprio popolo a forza di attentati stragisti utilizzando servizi segreti, mafie, fascisti, provando malamente a mascherarsi da custodi dell’ordine democratico, col Decreto Sicurezza sono autorizzati a uscire allo scoperto e operare in piena legalità: “I servizi potranno creare e dirigere organizzazioni criminali e terroristiche”.
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Iraq: prossima tappa del “riassetto sionista” del Medio Oriente?
di Enrico Vigna
Dopo l’ultima aggressione armata all’Iran, conclusasi con una rapida tregua dopo aver decapitato i più alti e validi esponenti militari e scientifici del paese, molti analisti militari arabi e internazionali, focalizzano nell’Iraq, la prossima mossa di Israele, in quanto, quello iracheno “è l’ultimo fronte rimasto”, al momento non coinvolto degli obbiettivi sionisti.
Infatti, mentre stanno compiendo il genocidio e la pulizia etnica in Gaza, mentre stanno destrutturando militarmente e territorialmente la Cisgiordania e i Territori occupati palestinesi, dopo aver sfibrato militarmente e politicamente Hezbollah e le forze della Resistenza in Libano, dopo aver partecipato alla distruzione della Siria araba e sovrana, occupandone poi grandi aree e mentre continua la conflittualità militare a distanza, per ora, con lo Yemen di Sana’a, molti analisti stanno riflettendo e valutando se il prossimo tassello, per finire il lavoro di destabilizzazione regionale, sia quello di mettere in ginocchio l’Iraq, destrutturandolo a proprio interesse strategico.
Questo perché lì è presente il PMF, le “Forze di Mobilitazione Popolari”, l’ultima forza consistente dell’”Asse della resistenza”, quest’ultima alleanza al momento gravemente sfibrata.
Le PMF, sono una coalizione di milizie, in gran parte sciite irachene di circa 136.000 uomini, che diventano circa 170.000, sommata ad altre forze resistenti locali, tra cui Kata’ib Hezbollah, Nujabaa, Kataib Sayyed al-Shuhada, Ansarullah al-Awfiyaa. l'Organizzazione Badr ed a una minoranza di brigate sunnite, cristiane, yazide e shabak, tutte unificatesi per combattere contro le forze statunitensi durante l'invasione USA dell'Iraq.
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È giunto il momento di una pace globale in Medio Oriente
di Jeffrey D. Sachs
La soluzione è chiara: è ora che gli Stati Uniti riconoscano che i propri interessi strategici richiedono una rottura decisiva con la strategia distruttiva di Israele
L’attacco di Israele e degli Stati Uniti all’Iran ha avuto due effetti significativi. In primo luogo, ha messo ancora una volta in luce la causa principale dei disordini nella regione: il progetto di Israele di “rimodellare il Medio Oriente” attraverso un cambio di regime, con l’obiettivo di mantenere il proprio dominio e impedire la creazione di uno Stato palestinese. In secondo luogo, ha evidenziato l’inutilità e l’incoscienza di questa strategia. L’unica via per la pace è un accordo globale che affronti la questione della statualità della Palestina, la sicurezza di Israele, il programma nucleare pacifico dell’Iran e la ripresa economica della regione.
Israele vuole rovesciare il governo iraniano perché l’Iran ha sostenuto i suoi alleati e attori non statali schierati con i palestinesi. Israele ha anche costantemente minato la diplomazia tra Stati Uniti e Iran sul programma nucleare iraniano.
Invece di guerre infinite, la sicurezza di Israele può essere garantita da due misure diplomatiche fondamentali: porre fine alla militanza istituendo uno Stato palestinese con le garanzie del Consiglio di sicurezza dell’ONU e revocare le sanzioni contro l’Iran in cambio di un programma nucleare pacifico e verificabile.
Il rifiuto del governo israeliano di estrema destra di accettare uno Stato palestinese è alla radice del problema.
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Guerra e austerità, il nuovo sogno europeo
di coniarerivolta
Con la decisione assunta nel vertice NATO del 25 giugno a L’Aia, i Capi di Stato e di Governo dei Paesi membri dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord si impegnano ad aumentare le spese militari e connesse alla difesa al 5% del PIL annuo entro il 2035.
Tale decisione risponde all’esigenza di aumentare del 30% la capacità militare dell’Alleanza e renderla “più letale”, nelle parole del Segretario Generale Mark Rutte. In applicazione dell’articolo 3 del Trattato fondativo della NATO, tutti gli Stati membri sono impegnati a mantenere e accrescere la loro capacità bellica.
In attuazione di questo orientamento strategico, la NATO definisce periodicamente gli “Obiettivi di capacità”, che stabiliscono operativamente cosa un Paese debba essere in grado di fare in caso di guerra – andando ben oltre la definizione quantitativa delle risorse materiali necessarie. Proprio perché questa metrica è qualitativa e non si traduce in un impegno finanziario puntuale, è maturata in seno alla NATO la decisione di passare dalla mera indicazione di un aumento degli “Obiettivi di capacità” all’impegno finanziario sancito a L’Aia in termini di spesa.
Nella Dichiarazione de L’Aia, vengono chiariti i motivi di questa vera e propria corsa al riarmo: l’impegno al drastico incremento della spesa militare è giustificato dalle “profonde minacce alla sicurezza e sfide, in particolare la minaccia di lungo termine posta dalla Russia alla sicurezza Euro-Atlantica e la persistente minaccia del terrorismo.
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Haaretz: Gaza, un campo di sterminio
di Davide Malacaria
“Israele sta perpetrando un genocidio a Gaza? Ora c’è una prova indiscutibile”. Inizia così un articolo di Gideon Levy su Haaretz a commento del dossier, pubblicato sullo stesso giornale, che ha svelato le perverse dinamiche degli omicidi intenzionali dei gazawi che si affollano nei pressi dei centri di aiuto per cercare qualcosa di cui sfamarsi.
“Non si può definire in altro modo ciò che sta accadendo in quei posti da diverse settimane se non come genocidio”, prosegue Levy. “Genocidio come intento, genocidio come obiettivo, genocidio nella portata, genocidio per il gusto del genocidio”.
“Se Israele non pone fine a tutto ciò immediatamente – non domani, oggi – non potrà più godere del beneficio del dubbio. Dal punto di vista legale, ovviamente, dobbiamo attendere la sentenza della Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja, che sta ritardando a tal punto che c’è da temere che non ci saranno molti palestinesi ancora vivi a Gaza quando si deciderà a pronunciarsi”.
“[…] I soldati delle Forze di Difesa Israeliane ricevono l’ordine di sparare per uccidere in massa delle persone affamate. Folle che si ammassano a motivo di un mix di follia e perversione, che ha portato Israele a rimuovere le agenzie ONU dedite a tale scopo ed esperte per sostituirle con una misteriosa quanto mostruosa organizzazione americano-israeliana con inclinazioni evangeliche” [a guidarla è il pastore evangelico Johnnie Moore, entusiasta sostenitore della Grande Israele messianica ndr.].
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Susan Neiman: “L’ideologia woke non è di sinistra”
di Gerardo Lisco
Ci siamo sbagliati la cultura woke è di destra. La sinistra torni universale cosi esordisce Susan Neiman nell’intervista sul suo recente saggio dal titolo La sinistra non è woke. Un antimanifesto pubblicato in Italia a maggio per la UTET. Le interviste rilasciate da Susan Neiman, a la Repubblica e al supplemento “Donna” allegato al quotidiano, hanno anticipato la pubblicazione del suo in italiano. Su “Donna”, intervistata a febbraio, la Neiman affermava: Siamo nell’era Post – Woke, e non dobbiamo dare nulla per scontato. Nell’intervista si spinge molto oltre nella sua critica all’ideologia woke fino ad affermare che ha spianato la strada a Trump e più in generale alla destra. La Neiman , filosofa americana che si dichiara in modo esplicito Socialista non fa sconti alla sinistra woke e post moderna. Prima di entrare nel merito di quanto scrive due sono le cose che mi hanno particolarmente colpito. La prima è che il saggio non ha l’introduzione di nessun filosofo, politologo, sociologo italiano; la seconda è che a parte il quotidiano sopra citato ad avere trattato il saggio sul proprio canale YouTube è stato Diego Fusaro. Eppure potenzialmente potrebbe aprire un confronto non indifferente. Pur essendo un saggio di filosofia, come dichiara la stessa autrice, ha uno scopo divulgativo per cui il linguaggio utilizzato lo rende comprensibile ad un pubblico che va molto oltre gli specialisti del settore. A riprova di quanto il variegato mondo di sinistra, deliberatamente, censuri il saggio della Neiman, è l’enfasi di questi giorni per il gay pride di Budapest.
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La verità sulla "resistenza" della Spagna
di Carlos X. Blanco
Incredibile. In alcuni media europei, Sánchez viene presentato come un eroe antimilitarista.
In questi giorni ho letto articoli e opinioni di amici, soprattutto stranieri, che a mio parere sono fondamentalmente sbagliati. Sono amici intelligenti, che generalmente concordano con le mie diagnosi, ma su questo tema sbagliano e cadono a terra. È vero che l'Europa sta affondando, e con il famoso "riarmo" sta affondando rapidamente e miseramente. È giusto che si levino voci che dicono "basta!". Ma la voce di Pedro Sánchez è come il gracchiare di un corvo, e annuncia solo altra morte.
Non molto tempo fa, un anno fa, la NATO chiese ai paesi europei un fermo impegno a spendere il 2% per le "esigenze di difesa". Era già molto. Il contesto di "crescente insicurezza", ci dissero, era causato dalla guerra in Ucraina e dalla presunta "minaccia russa alle porte dell'Europa occidentale".
Nessuna minaccia russa è mai stata giustificata. La Russia ha già abbastanza da fare solo per assicurarsi il suo (enorme) spazio. La Russia non invaderà la Germania, la Francia, la Spagna... Si può maledire il vento quando ci soffia addosso, ma poi l'aria viene diretta in faccia, ed è allora, quando si riceve ciò che ci si è attirato addosso, il momento preciso per maledirsi, esclamando: "Stupido!".
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Anche oggi Israele ci ha regalato la nostra strage quotidiana...
di Andrea Zhok
Anche oggi Israele ci ha regalato la nostra strage quotidiana. Un attacco aereo ha preso di mira l'Al-Baqa Café sulla spiaggia di Gaza, facendo almeno 21 morti. Si tratta di uno dei pochi luoghi in cui è (era) possibile avere un accesso internet nei prolungati blackout delle comunicazioni in Gaza, e perciò è (era) spesso sede di giornalisti e fotoreporter (almeno tre morti in questo attacco).
Insieme alle lacrime, le parole sono finite da tempo.
È come vivere in un dipartimento dell’inferno emerso per accidente alla superficie terrena, come abitare l’incubo di un pazzo sadico.
È come se la rivolta e il massacro del Ghetto di Varsavia andasse in onda sempre di nuovo, ma moltiplicato per dieci nei numeri, nella durata, nell’efferatezza; ed è come se il tutto venisse trasmesso in mondovisione, e tutt’attorno la buona società del giardino occidentale applaudisse ad ogni nuovo schizzo di sangue, e si guardasse allo specchio soddisfatta.
Questo è il Male.
E in tutto questo orrore c’è un orrore indiretto, nascosto, a scoppio ritardato.
Quest’oscenità morale e umana, infatti, non è solo qualcosa che colpisce le vittime presenti, non è qualcosa che si esprime solo nei confronti di un popolo martoriato e lontano, e che perciò merita la nostra compassione.
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Il Pride di Budapest e gli insegnamenti di Brecht
di Francesco Fustaneo
La presente è un'analisi politica dei fatti connessi al Pride di Budapest che rifugge sia dalle semplificazioni dei delatori della manifestazione, sia dalle critiche strumentali portate avanti da noti esponenti politici europei a Orban per le sue posizioni sul conflitto russo-ucraino e la moderazione nell'approccio europeo con la Russia.
Lo scorso 28 giugno numerose sfilate e manifestazioni correlate ai vari “Pride” si sono tenute un po' in tutta Europa, ma quello che ha fatto più discutere, è stato il Pride di Budapest, sicuramente a questo giro il più politicizzato.
Gli organizzatori parlano della presenza di 200.000 persone, scese in piazza sfidando il divieto di Orban.
Il primo ministro ungherese ha così finito per fare un assist alle opposizioni interne e ai suoi delatori esteri, vietando una manifestazione che nei fatti poco fastidio avrebbe potuto dare al suo governo, se fosse stata invece, autorizzata in partenza.
Il clima di divieto e censura, ha invece finito per fornire un ulteriore motivazione a migliaia di persone provenienti da tutta l'Ungheria e da altre parti d' Europa a scendere in piazza contro misure avvertite come “liberticide”.
Occorre premettere che attualmente nel paese magiaro sono previste multe a partire da 500 euro e fino a un anno di carcere per chi promuove cortei “arcobaleno”.
Lungo il percorso del corteo non autorizzato, la polizia, su disposizione del premier, aveva pure installato decine di telecamere per il riconoscimento facciale dei trasgressori.
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Il massacro censurato: lo studio che Israele e l’Occidente fanno finta di non vedere
di Lavinia Marchetti
377.000 palestinesi “scomparsi” secondo Harvard.
Avrete senz’altro notato che la conta ufficiale dei morti palestinesi, dopo essere salita vertiginosamente nei primi mesi del massacro (20.000 vittime in circa due mesi, poi 30.000), si è arrestata bruscamente intorno ai 50.000. Da allora, da mesi, non si muove.
Eppure il genocidio è proseguito, Gaza è stata rasa al suolo in modo più radicale di quanto avvenne a Dresda nel ’45, e la popolazione non ha più ricevuto tregua. La domanda sorge spontanea: com’è possibile che il numero dei morti non cresca, mentre il rumore delle bombe non si ferma?
Già a luglio 2024, The Lancet aveva provato a rispondere. Una lettera firmata da scienziati internazionali avvertiva che il bilancio reale delle vittime, considerando anche i morti indiretti (per fame, malattia, ferite non curate), poteva superare i 186.000. Una cifra rimossa, archiviata, etichettata come eccessiva.
Eppure oggi è uno studio condotto da un ricercatore affiliato a Harvard a confermare che la realtà potrebbe essere ancora più drammatica. Incrociando i dati ufficiali israeliani con l’analisi demografica sul terreno, lo studio mostra che la popolazione della Striscia è passata da 2,227 milioni a circa 1,85 milioni. Mancano all’appello 377.000 persone. La metà, bambini.
Le cifre che non tornano
Già nel primo trimestre di guerra, il bilancio delle vittime cresceva di decine di migliaia a settimana.
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Vertice NATO, la Russia comeminaccia strategica e i 70 miliardi in più di spesa militare italiana
di Domenico Moro
Il recente vertice annuale della Nato, tenutosi all’Aja, rappresenta un salto di qualità rispetto ai precedenti vertici, definendo una Europa e una Ue fortemente orientate alla guerra.
Nel documento finale di cinque punti, i più importanti sono il primo e il quinto. Nel quinto si definisce una questione che sta alla base di tutti gli altri punti, compreso il primo: l’individuazione della Russia non solo come “minaccia più significativa”, come era stata definita nel summit del 2023, ma “una minaccia a lungo termine”. Quindi, la Russia è la minaccia strategica cui si fa riferimento per giustificare l’aumento delle spese militari contenute nel primo punto. Si tratta di una definizione molto grave che implica la rottura definitiva con la Russia, prospettando un confronto militare con quel paese.
Nel primo punto, dunque, si definisce la quota di spese militari sul Pil a cui sono tenuti obbligatoriamente i partner della Nato e che passa dal 2% al 5%. Tale quota dovrà essere raggiunta in non più di dieci anni (entro il 2035) e si divide in un 3,5%, relativo alle spese per capacità militari “core” e un altro 1,5%, relativo alla resilienza e a investimenti per la difesa nazionale e per l’innovazione in campo militare. Alcuni commentatori hanno sottolineato che “solo” il 3,5% sarebbe la spesa effettivamente militare. In realtà, non è così, perché anche quell’1,5% è destinato a spese correlate con il militare e comunque si tratta di spese aggiuntive che prima non erano previste e che, soprattutto, vanno a pesare sul bilancio pubblico, a detrimento degli stanziamenti per la sanità, l’istruzione e il Welfare in generale.
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Il servilismo dell'UE e la profezia (avverata) di Putin
di Clara Statello
Il vertice NATO ha svelato un Occidente totalmente subalterno agli Stati Uniti, che ha abdicato alla propria autonomia strategica e al protagonismo sui nuovi scenari internazionali. Qual è il prezzo che i nostri governanti hanno deciso di pagare a Trump e per quali ragioni?
“Vi assicuro: Trump ristabilirà rapidamente l’ordine. E vedrete che presto tutti loro saranno in ginocchio davanti al loro padrone, scodinzolando dolcemente la coda. Tutto tornerà al suo posto”.
Sono trascorsi poco più di cinque mesi da quando il presidente russo Vladimir Putin pronunciò questa profezia sui leader europei al giornalista Pavel Zaburin.
“Erano felici di obbedire agli ordini di Joe Biden, saranno felici di obbedire agli ordini del nuovo padrone”, prevedeva lucidamente il presidente russo, mentre le élite occidentali erano in scompiglio dopo l'elezione di Donald Trump.
La profezia si è avverata pienamente durante il vertice della NATO a l'Aja. Un vertice che si potrebbe intitolare “Welcome home Daddy”, per utilizzare il termine con cui Mark Rutte si è rivolto al capo della Casa Bianca, mentre quest'ultimo si vantava dell'autoproclamata vittoria in Medio Oriente, paragonando Israele e Iran a due bambini piccoli che litigano.
Addio diplomazia, benvenuto servilismo
Che il vertice dell’Aja si sarebbe trasformato in un festival di tripudio e devozione verso Trump era già chiaro dal messaggio adulatorio inviatogli in privato dal segretario della NATO — e prontamente spiattellato sui social dallo stesso presidente statunitense, poche ore prima del suo arrivo in Europa.
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Disarmante Europa
di G. P.
Vladimir Zelensky è oggi l’emblema più fedele di quest’Europa, un comico fallito e un criminale che ha consegnato il proprio Paese alla distruzione per inseguire ambizioni storicamente irrealizzabili, peraltro conto terzi. Non sorprende che l’UE abbia sacrificato il proprio futuro e l’ultimo barlume di realismo proprio dietro a un personaggio simile, macchietta tra le macchiette, con le mani sporche di sangue.
Non stupisce nemmeno che anche il vertice della NATO si collochi sullo stesso piano. Il Segretario generale della NATO, detto anche l’olandese dalla “lingua svolazzante” si è spinto a scrivere:
“Signor Presidente, caro Donald, Congratulazioni e grazie per la sua azione risoluta in Iran; è stata veramente straordinaria, qualcosa che nessun altro ha osato fare. Ci rende tutti più sicuri. Lei sta per arrivare a un altro grande successo questa sera all’Aia. Non è stato facile, ma siamo riusciti a far firmare a tutti il 5 %! Donald, ci ha portato in un momento davvero, davvero importante per l’America, l’Europa e il mondo. Riuscirà a ottenere qualcosa che NESSUN presidente americano in decenni è stato capace di fare. L’Europa pagherà in modo IMPORTANTE, come deve, e sarà la sua vittoria. Buon viaggio e ci vediamo alla cena di Sua Maestà!”
Una simile volgarità servile conferma soltanto che l’Europa, all’interno della NATO, è un’entità geograficamente sottomessa; e sono gli stessi europei a certificare la propria prostrazione al padrone d’oltreoceano.
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Il servilismo dell'UE e la profezia (avverata) di Putin
di Clara Statello
Il vertice NATO ha svelato un Occidente totalmente subalterno agli Stati Uniti, che ha abdicato alla propria autonomia strategica e al protagonismo sui nuovi scenari internazionali. Qual è il prezzo che i nostri governanti hanno deciso di pagare a Trump e per quali ragioni?
“Vi assicuro: Trump ristabilirà rapidamente l’ordine. E vedrete che presto tutti loro saranno in ginocchio davanti al loro padrone, scodinzolando dolcemente la coda. Tutto tornerà al suo posto”.
Sono trascorsi poco più di cinque mesi da quando il presidente russo Vladimir Putin pronunciò questa profezia sui leader europei al giornalista Pavel Zaburin.
“Erano felici di obbedire agli ordini di Joe Biden, saranno felici di obbedire agli ordini del nuovo padrone”, prevedeva lucidamente il presidente russo, mentre le elite occidentali erano in scompiglio dopo l'elezione di Donald Trump.
La profezia si è avverata pienamente durante il vertice della NATO a l'Aja. Un vertice che si potrebbe intitolare “Welcome home Daddy”, per utilizzare il termine con cui Mark Rutte si è rivolto al capo della Casa Bianca, mentre quest'ultimo si vantava dell'autoproclamata vittoria in Medio Oriente, paragonando Israele e Iran a due bambini piccoli che litigano.
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Israele e gli Hunger Games di Gaza
di Davide Malacaria
“Trump ha posto fine alla guerra tra Israele e Iran con un solo post. Può fare lo stesso per Gaza”. Titola così l’editoriale di Haaretz del 26 giugno. Purtroppo così non è. Israele può essere fermata solo con la forza (o bloccando le armi, ma evidentemente né Trump né la Ue possono o vogliono). Una forza che l’Iran ha dimostrato di avere, martellando Israele come mai era accaduto nella sua storia, mentre i palestinesi non ne hanno.
Vero che negli ultimi giorni Hamas ha portato a segno attacchi più incisivi dei mesi pregressi, paragonabili a quelli dei primi giorni dell’invasione, in particolare quello di ieri che ha causato la morte di sette soldati, ma ciò non basta a intaccare la determinazione del governo israeliano.
In secondo luogo, Israele non finirà la guerra se non potrà dichiarare di aver vinto, cioè di aver conseguito gli obiettivi prefissati. Nel caso iraniano l’obiettivo dichiarato era quello di eliminare la minaccia nucleare (in realtà, era tutt’altro: devastare il Paese e promuovere un regime-change), obiettivo che può dire di aver conseguito (anche se non è vero). A Gaza è tutt’altro.
Il genocidio continua
Nel caso di Gaza, infatti, Netanyahu, al di là degli obiettivi reali, cioè restare al potere e realizzare la Grande Israele attraverso l’annessione di Gaza e della Cisgiordania, ha dichiarato pubblicamente che intende eliminare Hamas.
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Mark Rutto libero
di Alessandro Somma
C’erano una volta i frugali, espressione che il vocabolario Treccani riferisce alle persone “parche e sobrie… moderate e semplici nel mangiare e nel bere”. Il riferimento è ai Paesi nordici, quelli che nell’Unione europea criticano i Paesi spendaccioni, i Paesi dell’Europa meridionale, i Pigs: acronimo che identifica il Portogallo, l’Italia, la Grecia e la Spagna.
Qualcuno ha individuato un acronimo altrettanto irriverente per identificare i Paesi frugali, ovvero Sado: Svezia, Austria, Danimarca e Olanda. E in effetti ci è voluta una buona dose di sadismo per invocare la moderazione e con ciò l’affossamento dello Stato sociale all’indomani della crisi del debito sovrano: la crisi provocata dal salvataggio pubblico delle banche private, che le ricette con cui i frugali hanno voluto affrontarla sono state all’origine di a una vera e propria macelleria sociale.
Ovviamente i frugali non sono dotati di volontà autonoma. Operano tradizionalmente su mandato della Germania, che con l’austerità si è assicurata l’egemonia per ora solo economica. E operano oltretutto con un certo zelo che traspare anche dal ricorso a un linguaggio non proprio frugale. Si pensi solo all’insulto pronunciato dal Ministro delle finanze olandese e presidente dell’Eurogruppo (l’organismo che raccoglie i Ministri delle finanze dei Paesi della zona Euro), Jeroen Dijsselbloem, secondo cui i Paesi dell’Europa meridionale spendono “tutti i soldi per alcol e donne per poi chiedere aiuti”.
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Cosa significa "Vincere"?
di Alastair Crooke, conflictsforum
Da un certo punto di vista, l’Iran ha chiaramente “vinto”. Trump avrebbe voluto essere acclamato per una splendida “Vittoria” in stile reality TV. L’attacco di domenica ai tre siti nucleari è stato infatti proclamato a gran voce da Trump e Hegseth come tale – avendo “annientato” il programma di arricchimento nucleare iraniano, hanno affermato. “Distrutto completamente”, insistono.
Solo che… non c’è riuscito: l’attacco ha causato danni superficiali, forse. E a quanto pare è stato coordinato in anticipo con l’Iran tramite intermediari, per essere un’operazione “una tantum”. Questo è un modello abituale di Trump (coordinamento anticipato). È stato il metodo in Siria, Yemen e persino con l’assassinio di Qasem Soleimani da parte di Trump – tutto finalizzato a garantire a Trump una rapida “vittoria” mediatica.
Il cosiddetto “cessate il fuoco” che ha fatto rapidamente seguito agli attacchi statunitensi – sebbene non privo di intoppi – è stato una “cessazione delle ostilità” orchestrata in fretta e furia (e non un cessate il fuoco, poiché non erano stati concordati termini). È stato un “tappabuchi”. Ciò significa che l’impasse negoziale tra l’Iran e Witkoff rimane irrisolta.
La Guida Suprema ha esposto con fermezza la posizione dell’Iran: “Nessuna resa”; l’arricchimento continua; e gli Stati Uniti dovrebbero abbandonare la regione e non intromettersi negli affari iraniani.
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New York. Cuomo cede a Mamdani, l’outsider antisionista per la carica di sindaco
di Redazione Pagine Esteri
Un risultato elettorale che segna una svolta politica di eccezionale importanza per la città di New York. Nella notte, Andrew Cuomo, ex governatore dello Stato e figura centrale del Partito Democratico newyorkese, ha ammesso la sconfitta alle primarie per la candidatura a sindaco, cedendo il passo a Zohran Mamdani, giovane deputato e membro dei Democratic Socialists of America.
Una sorpresa clamorosa: Cuomo, fino a poche settimane fa favorito in quasi tutti i sondaggi, ha riconosciuto il vantaggio del suo avversario di oltre sette punti percentuali, con il 91% dei voti scrutinati.
“Stasera era la serata del deputato Mamdani”, ha dichiarato Cuomo ai suoi sostenitori. Tecnicamente, la corsa non è ancora chiusa. Il sistema elettorale di New York, basato sul voto a scelta multipla, prevede un conteggio progressivo in cui le preferenze degli elettori per i candidati eliminati vengono redistribuite. Ma con il terzo classificato, il revisore dei conti Brad Lander – ebreo progressista vicino a Mamdani – è molto probabile che la gran parte dei suoi voti residui vadano proprio a quest’ultimo, rendendo la rimonta di Cuomo praticamente impossibile.
Il risultato assume un significato politico più ampio per almeno due motivi. Il primo è l’identità politica di Mamdani: 33 anni, musulmano, figlio d’arte (sua madre è l’attrice indiana Mira Nair), attivista dichiaratamente antisionista, vicino ai movimenti per i diritti dei palestinesi, sostenitore del boicottaggio contro Israele e critico feroce del sionismo.
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Pace e guerra nel mafiofascismo --- Guerra dei 12 giorni, chi ha vinto, chi ha perso, dove siamo
Canale Youtube “Mondocane video” di Fulvio Grimaldi
https://www.youtube.com/watch?v=MafwDRPq0gM&t=26s
https://youtu.be/MafwDRPq0gM
Guerra dei 10-12 giorni: uno spettacolo in tre atti: dramma, tragedia, commedia.
Chi ha vinto? HA VINTO IL MIGLIORE.
Chi ha perso? HA PERSO IL PEGGIORE.
Netaniahu mantiene la promessa che si fa da trent’anni e attacca l’Iran, con il pretesto di una bomba atomica che non c’è, non c’è mai stata, né ci sarebbe stata, per togliere di mezzo l’ultimo ostacolo al dominio sionista sul Medioriente e oltre. Fa poco danno, ma, al solito, ammazza molta gente.
Tehran risponde con salve di missili e droni e sforacchia l’Iron Dome peggio di una gruviera, causando poche vittime, ma molti danni, compreso a Haifa, Tel Aviv e Beersheva dove stanno la centrale nucleare Dimona e tutte quelle bombe atomiche di cui nessuno osa parlare.
A questo punto il dramma diventa tragedia alla vista dei nuovi morti che si aggiungono ai mitragliati a Gaza per reato di fame. E alla vista, all’orizzonte del Medioriente e del mondo del cataclismatico innesco della catastrofe universale.
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La bomba atomica e la sindrome del bystander
di Maria Anna Mariani
Quello che sta accadendo – l’attacco diretto degli Stati Uniti all’Iran, successivo alla rappresaglia israeliana – non è una notizia di politica estera. Non lo è perché un conflitto nucleare, se dovesse divampare, non riconoscerà confini territoriali, e finirà per annientare moltitudini di corpi e di ecosistemi nel nostro presente infame e nel tempo massimamente espanso delle mutazioni genetiche, che faranno espiare il futuro. Nessuna porzione del mondo è davvero al riparo. Anche noi italiani, nel nostro territorio che ci sembra incolume, ne verremmo colpiti, in gradi di intensità variabili: perché un disastro planetario non è un disastro universale, e uno degli aspetti più crudeli del fallout è che si distribuisce in modo collettivo ma asimmetrico, colpendo tutti fino a un certo punto, ma con un effetto più nocivo su alcune comunità, su specifici luoghi, su determinati organismi.
Ma non è solo l’universalità potenziale del danno a renderci partecipi. L’Italia è parte della macchina bellica. Il nostro suolo ospita armi atomiche americane nell’ambito della NATO. Questo ci colloca in una posizione ambigua: ufficialmente impegnati nella non proliferazione e nel disarmo, ma allo stesso tempo pienamente integrati in un sistema strategico che include l’arma atomica come deterrente e oggi, più esplicitamente, come strumento di pressione. In caso di escalation tra Washington e Teheran, ormai non più ipotetica ma in atto, l’Italia rischia di essere trascinata in un conflitto che coinvolge le potenze nucleari, pur senza essere un attore armato in senso proprio.
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IA: le differenze tra la Cina socialista e l'occidente
di Pino Arlacchi
La narrativa corrente sull’intelligenza artificiale assomiglia a quella sulla globalizzazione. Mostra solo il lato illuminato della medaglia. I costi umani dell’applicazione dell’Ia al mondo dell’industria, del commercio e della finanza vengono ignorati o minimizzati. Essi sono in realtà molto alti, e sono temuti soprattutto nell’Occidente più avanzato. Non è un caso che siano gli Stati Uniti il paese dove vige il minore entusiasmo verso l’Ia. La gente teme che la cosiddetta “distruzione creativa” di Schumpeter – l’innovazione che distrugge le produzioni esistenti per crearne di nuove, come appunto l’Ia – sia la ripetizione di quanto accaduto negli anni 70 e 80 con la deindustrializzazione di un bel pezzo dell’America, trasformata dal capitale finanziario in un deserto di fabbriche arrugginite e di popolazione disperata e ammalata senza che ci sia stata alcuna rinascita.
L’impatto dell’Ia sul capitalismo occidentale lo obbligherà ad attraversare una valle di lacrime prima di emergere trasformato e, secondo le speranze dei suoi fedeli, potenzialmente più dinamico. Si stima che entro il 2030-35, 50 milioni di lavoratori americani dovranno cambiare occupazione, creando costi di riqualificazione stimati in 1 trilione di dollari. Un peso che il sistema non ha alcun modo di gestire, semplicemente perché la sua logica profonda non lo consente. Il capitalismo occidentale non è congegnato per ridurre la distruzione creativa ma per favorirla. In Europa e negli Usa il welfare pubblico è già sotto pressione e non è in grado di assorbire i costi dell’estesa sofferenza sociale generata dall’automazione della sua economia.
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Dietro le guerre di Trump. Chi comanda negli Stati Uniti?
di Elisabetta Grande
Doveva essere il presidente della pace, colui che, in nome di un isolazionismo vantaggioso per un’America capace di ritornare di nuovo grande, si sarebbe dovuto ritirare da ogni conflitto. Avrebbe dovuto chiudere nel giro di poco tempo le disastrose situazioni belliche in corso: erano queste le sue promesse tanto in campagna elettorale quanto ancora dopo essere stato eletto a novembre scorso. E invece Trump non solo non ha posto fine alle carneficine in corso – alimentandole al contrario con aiuti militari tanto all’Ucraina (https://www.aljazeera.com/news/2025/5/9/after-minerals-deal-trump-approves-arms-to-ukraine-plays-down-peace-plan) quanto a Israele (https://www.state.gov/military-assistance-to-israel/) – ma domenica ha addirittura portato direttamente gli Stati Uniti in guerra, a fianco di Israele, attaccando tre siti nucleari iraniani con i suoi bombardieri invisibili B2.
Che ne è stato, si domandano in molti, di tutte le sue dichiarazioni precedenti, compresi i moniti fino a ieri diretti a Netanyahu, volti a dissuaderlo dall’attaccare l’Iran? Come è possibile che egli si alieni con disinvoltura una notevolissima fetta del suo elettorato MAGA, fortemente anti-interventista e ben rappresentata dai vari Steve Bannon, Marjorie Taylor Green o Tacker Carlson, col quale ultimo il presidente ha avuto scambi durissimi? Per non parlare del rapporto assai teso che si è creato con Tulsi Gabbard, pur scelta come direttrice dell’intelligence proprio perché anti neocon, e poi messa all’angolo non appena ha evidenziato come Israele non corresse alcun pericolo di un’imminente bomba atomica da parte dell’Iran.
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Ritorno al futuro: l’Iran è la nuova Russia (e la propaganda riparte)
di Lavinia Marchetti*
In un atto di grafomania, ho messo insieme alcuni pensieri, un pourparler tra me e me, tra una lettura e l’altra di analisti, politologi, geopolitologi, informatori di regime, corrotti, burloni opinionisti.
Insomma, certo che sì, eccoci di nuovo. La ruota gira, e a ogni giro s’inverte l’asse dell’innocenza. Nuova guerra, vecchio copione. Come in un allestimento d’opera che cambia solo la scenografia, ma non la partitura.
L’Iraq di Saddam, l’Afghanistan dei Talebani, la Somalia dei signori della guerra, la Siria di Assad: sono tutti stati prima disumanizzati attraverso una narrazione totalizzante, poi purificati con il fuoco, infine riabilitati, spesso dagli stessi che avevano premuto il grilletto morale.
L’Iraq, per esempio: invaso nel 2003 sulla base di una fiction sulle armi chimiche, confezionata con slides, provette e sintassi d’intelligence. Risultato: oltre 460.000 morti, e oggi eccolo lì, partner strategico.
L’Afghanistan: vent’anni di esportazione della libertà a suon di droni, bombe, missili, mine antiuomo, oltre 240.000 vittime, per poi riconsegnarlo, come pacco Amazon danneggiato, ai Talebani.
La Somalia: test bench per operazioni militari con brand ONU, resta ancora oggi “Stato fallito” solo perché, ironia della storia, continua a cadere sotto il peso delle stesse mani che dicono di volerla sollevare.
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Il bluff del 5%: come la NATO all’Aia si è condannata all’irrilevanza
di Maurizio Boni
Il vertice NATO dell’Aia del 25 giugno 2025 passerà alla storia non per i suoi successi, ma per aver messo in luce tutte le contraddizioni e l’inadeguatezza di un’alleanza che sembra aver perso il contatto con la realtà geopolitica contemporanea. In meno di 24 ore – una durata record per la sua brevità – i leader occidentali hanno raggiunto accordi che appaiono più come illusioni collettive che come strategie concrete per la sicurezza europea.
Il fulcro del vertice è stato l’accordo sull’aumento della spesa militare al 5% del PIL entro il 2035, una decisione che già al momento della sua adozione appare destinata al fallimento. Nessun membro NATO ha finora raggiunto l’obiettivo di spesa del 5% (la Polonia è la più vicina, al 4,7%) e alcuni sono altamente propensi a trascinare i piedi quando si tratta di raggiungere quella pietra miliare. La Spagna, con il primo ministro Pedro Sanchez, ha già chiarito che Madrid non dovrà rispettare l’obiettivo del 5%.
I numeri parlano chiaro: se gli stati NATO avessero tutti speso il 3,5% del PIL per la difesa lo scorso anno, ciò avrebbe significato circa 1,75 trilioni di dollari. Quindi, raggiungere i nuovi obiettivi potrebbe eventualmente significare spendere centinaia di miliardi di dollari in più all’anno, rispetto alla spesa attuale. Una cifra astronomica che appare politicamente ed economicamente insostenibile per la maggior parte degli alleati europei.
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Il vero lavoro sporco di Israele
di comidad
La dichiarazione del cancelliere tedesco a proposito di Israele che farebbe il lavoro sporco per noi, ha suscitato alternativamente approvazione o indignazione; in entrambi i casi per lo stesso motivo, cioè il fatto che Merz abbia affermato la necessità della violenza più estrema. Una violenza che viene poi voyeuristicamente affidata a uno specialista del settore di cui ammirare le gesta. Insomma, Israele come porno-divo della violenza “hard”. Un esempio di questa pornografia della violenza è la famigerata poesia “Oh Israele”, scritta nel 2006 da Paolo Guzzanti per celebrare l’invasione israeliana del Libano.
Il mantra del “lavoro sporco” risulta narrativamente efficace, poiché unisce pretesti utilitaristici e suggestioni morbose; infatti lo slogan non è un’invenzione di Merz, e da molti anni ci si fa ricorso per magnificare la funzione terroristica di Israele nell’area medio-orientale. Nel 2019 ci si raccontava che le “pressioni” di Israele avrebbero ammorbidito l’Iran e lo avrebbero indotto a sedersi al tavolo negoziale con Trump. Sennonché oggi scopriamo che il tavolo negoziale viene fatto saltare da Israele e sarebbe poi Trump a dover fare il lavoro sporco per conto di Israele; che quindi spetterà sempre di più ai militari americani rischiare la pelle per parare il posteriore di Netanyahu. La ritorsione meramente simbolica attuata dall’Iran con il bombardamento della base USA in Qatar, ha offerto a Trump una via d’uscita e la possibilità di parlare di cessate il fuoco. Ma per Israele cessate il fuoco significa che il fuoco lo cessino gli altri, non Israele.
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Il 5% del PIL per la spesa in armi: cosa vuol dire realmente
di Il Pungolo Rosso
Grande allegria al vertice NATO all’Aia: hanno appena deciso un balzo storico della spesa per le guerre in corso e in programmazione. Programmano morte, distruzione, devastazione dell’ambiente su scala globale. Bisogna fermarli!
Aumentare in modo esponenziale gli stanziamenti in armi è un obbligo per tutti i paesi aderenti alla Nato. L’ha decretato l’internazionale dei signori della guerra riuniti all’Aja. La spinta, è noto, viene dagli Usa, ed è brutale. Addirittura è un’azione al continuo rialzo perché agli inizi della sua carriera di politicante per conto dei grandi produttori di armi Trump richiamava alla parità di “investimenti” militari con quelli della quota che gli Usa conferisce all’Alleanza atlantica, chiedendo ai paesi europei di portarsi al 2% del Pil per ognuno di loro.
Ripercorriamo brevemente la vicenda, le motivazioni addotte e infine cosa realmente c’è dietro questa pressione crescente. Nessun mistero, s’intende, ma la storia e la prospettiva di guerre e immani sofferenze per le popolazioni di tutti i paesi.
La vicenda inizia ai tempi del primo governo Conte nel biennio ’18-’19. Allora Trump 1, nel suo intervento a Bruxelles, minacciò di ritirarsi dalla Nato se i partner non si fossero impegnati a mettersi alla pari con gli Usa. Fu nel corso del summit Nato (11 luglio ’18) che furono pubblicati i dati sulla graduale diminuzione della spesa per armi nei paesi Ue.
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