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altrenotizie

Il nuovo equilibrio militare globale

di Fabrizio Casari

In Ucraina l’accerchiamento delle truppe di Kiev a Pokrovsk è completato. I russi avanzano ovunque, hanno conquistato quasi per intero le roccaforti di Pokrovsk e Kupyansk e stanno vincendo la guerra sia sul campo di battaglia che nelle retrovie ucraine, dove sistema energetico e trasporto ferroviario sono quasi paralizzati. Secondo l’Isw, l’Institute of Study of War, che basa i suoi report sulle informazioni di intelligence occidentale, «per le forze armate ucraine tutta la logistica è resa impossibile». Significa che non sono più possibili rifornimenti, cambi ed evacuazioni dei feriti.

Come sottolinea Gianandrea Gaiani, Direttore di www.analisidifesa.it, le perdite ucraine di mezzi come carri armati, veicoli da combattimento e artiglieria si aggirano tra il 75 e il 95%, e l'età dei soldati ucraini in trincea supera i 45 anni. E la situazione per Kiev peggiora di giorno in giorno per la mancanza di approvvigionamenti militari. Il Kiel Institute documenta una caduta verticale della capacità degli sponsor occidentali dell’Ucraina di rifornire adeguatamente Kiev di materiale militare.

La questione riveste importanza notevolissima per il teatro di guerra ucraniano, dal momento che la caduta delle ultime due roccaforti e la resa dei soldati ucraini formano un combinato disposto estremamente preoccupante per l’Ucraina. Né la propaganda di Kiev sostenuta dal mainstream occidentale può invertire la realtà sul terreno, che vede i russi avanzare a tenaglia spostando ogni giorno in avanti la linea del fronte.

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insideover

“Maidan, la sentenza del tribunale ucraino dice che i cecchini spararono dagli edifici dei manifestanti”

Roberto Vivaldelli intervista Ivan Katchanovski

Ivan Katchanovski è uno studioso affermato, docente e ricercatore presso la School of Political Studies dell’Università di Ottawa, in Canada. Specializzato in analisi politiche e dei conflitti, è autore del saggio The Russia-Ukraine War and its Origins: From the Maidan to the Ukraine War (scaricabile gratuitamente a questo link). Le sue ricerche si concentrano in particolare sugli eventi dell’Euromaidan e sulle dinamiche che hanno portato allo scoppio della guerra su larga scala nel 2022. Katchanovski è nato in Ucraina (al tempo Unione Sovietica) e ha completato la sua istruzione universitaria iniziale nel suo Paese nativo prima di trasferirsi per i suoi studi post-laurea in Canada, dove ora risiede e lavora. Lo abbiamo raggiunto per porgli alcune domande sulle origini del conflitto in Ucraina e su Maidan, temi al centro del recente dibattito televisivo tra il professor Jeffrey Sachs e Carlo Calenda.

* * * *

Nel commentare su X la disputa tra il senatore italiano Carlo Calenda e il professor Jeffrey Sachs, lei ha scritto: «I politici che diffondono propaganda su Maidan non si curano della verità o dell’Ucraina». Lei è d’accordo con gli argomenti avanzati da Sachs in quel dibattito?

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effimera

Intelligenza Artificiale, tecnofascismo e guerra

di Giorgio Griziotti

Questo documento è il compendio di un saggio di Giorgio Griziotti “How to Survive Artificial Intelligence – Intelligenza artificiale, tecnofascismo e guerra“. Per chi fosse interessato/a, il saggio è disponibile nella sua interezza cliccando qui.

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A differenza della minaccia nucleare del secolo scorso — catastrofe possibile da cui si illudeva di potersi proteggere –con l’intelligenza artificiale siamo immersi in una trasformazione devastante già in corso.

Nei discorsi dominanti si oscilla tra narrazioni semplificate: l’IA come dominio delle macchine, come promessa salvifica o come strumento transumanista.

Occorre invece un’indagine che affronti l’insieme dei fenomeni complessi generato dall’ingresso dell’IA nel paesaggio quotidiano, situandola nel contesto storico e nel regime di guerra che stiamo attraversando.

Lavorando sul concetto di neurocapitalismo sviluppato negli anni Dieci, cercavo di mettere in luce come le tecnologie digitali, i social media e le piattaforme globali avessero trasformato emozioni, cognizione e affetti in materia prima della valorizzazione e in variabili di controllo sociale. Oggi il progetto di IA dei tecno-oligarchi — Musk, Thiel, Altman &C — cerca addirittura di riconfigurare l’umano dalle fondamenta.

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contropiano2

Opporsi al DDL Gasparri. Il punto di vista dell’antropologia culturale

di Antropologhe per la Palestina

Vogliamo in questa sede esprimere profonda preoccupazione per la presentazione del Disegno di Legge 1627 annunciato nella seduta n. 339 del 10 settembre 2025, noto come DDL Gasparri, volto a emanare “Disposizioni per il contrasto all’antisemitismo e per l’adozione della definizione operativa di antisemitismo”.

Intendiamo come antropologhe e antropologi proporre alcune riflessioni, soprattutto di ordine storico e culturale, che speriamo contribuiscano a chiarire la capziosità e la faziosità della sovrapposizione tra antisionismo e antisemitismo che il DDL propone.

Partiamo dal contesto: si tratta di un DDL su cui si è iniziato a discutere in concomitanza alle partecipatissime mobilitazioni contro il genocidio e in solidarietà alla Global Sumud Flotilla, a seguito delle quali la situazione in Palestina è arrivata a una fase di apparente tranquillità con la proposta del piano Trump, la cui natura coloniale e di congelamento dello stato delle cose non abbiamo qui lo spazio per affrontare.

La proposta del DDL è stata espressa inizialmente mediante una serie di dichiarazioni riguardanti il mondo della scuola e dell’università, atte a creare un clima di intimidazione. In quella che appare chiaramente come una campagna volta a un “regolamento di conti”, la ministra Roccella ha descritto in modo sprezzante le università come luoghi di “non riflessione”.

A ciò sono seguite le richieste alla CRUI, fatte dal segretario del MUR Marco Mancini, di regolamentare le università, nonché le diverse dichiarazioni governative che hanno commentato negativamente le mozioni di rottura dei rapporti accademici con Israele approvate da vari dipartimenti e senati accademici.

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voltairenet

La politica delle cannoniere nucleari

di Manlio Dinucci

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha presentato l’accordo col presidente della Cina Xi Jinping come un grande successo. Gli Stati Uniti ridurranno di 10 punti percentuali il dazio sui prodotti cinesi importanti portandolo al 47%. In cambio la Cina riprenderà l’acquisto di soia statunitense e rinvierà di un anno le restrizioni sull’esportazione negli USA di minerali delle terre rare. Si tratta in realtà di una limitata, precaria tregua commerciale.

Significativo è quanto ha dichiarato il ministro degli Esteri cinese Wang Yi prima dell’incontro di Xi Jinping con Donald Trump. Wang Yi ha avvertito che “sta arrivando un mondo multipolare”, esortando a “porre fine alla politicizzazione delle questioni economiche e commerciali, alla frammentazione artificiale dei mercati globali e al ricorso a guerre commerciali e battaglie tariffarie”. “Il frequente ritiro dagli accordi e il mancato rispetto degli impegni, mentre si formano con entusiasmo blocchi e cricche, ha sottoposto il multilateralismo a sfide senza precedenti”, ha affermato Wang, senza nominare paesi specifici ma riferendosi chiaramente agli Stati Uniti.

Nell’incontro il presidente Xi Jinping ha sottolineato: “La Cina e gli Stati Uniti dovrebbero essere partner e amici. Questo è ciò che ci ha insegnato la Storia e ciò di cui la realtà ha bisogno”. Quale sia la posizione degli Stati Uniti è dimostrato dal fatto che, pochi minuti prima dell’incontro con Xi Jinping, Trump ha dichiarato di aver ordinato al Pentagono di avviare test sulle armi nucleari “su base paritaria” con Cina e Russia.

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lantidiplomatico

Non difendo Francesca Albanese, la strega

di Patrizia Cecconi

È strano trovarsi all'estero, lontano da TV e connessione internet a godere l'ultimo sole su una spiaggia balcanica ed essere riportati a forza nella realtà politica da un interlocutore che, paradossalmente, è più lontano dalla politica di quanto io non lo sia dal Polo Nord.

Tutto nasce dalla mia richiesta di raggiungere l'isolotto di Sazan che è di fronte ai miei occhi, nella baia di Valona, e sentirmi rispondere che non si può più perché da un paio di mesi l'isola appartiene a un ricco immobiliarista ebreo, un certo Kushner, genero di Trump, che ne farà un resort di gran lusso solo per turismo d'élite.

In un attimo il pensiero vola a Gaza e alle mire di certi immobiliaristi, tanto sporche da aver creato sconcerto perfino in qualche buon filo-sionista nostrano. Poi il pensiero corre dall'altra parte del Canale d'Otranto, dove si sta realizzando il piano coloniale CORAL 37 di un'altra imprenditrice ebrea-israeliana la quale sta progettando la "Israeli Colony in Salento". Ma anche a Cipro sta succedendo qualcosa di simile.

Mi chiedo se sia il sionismo che si sta incistando spazialmente nel mondo o se siano semplici acquisti di ricchi imprenditori per caso israeliani o per caso di religione ebraica.

Apro il web per un primo aggiornamento su questo inquietante fenomeno immobiliare e mi trovo di fronte una notizia che mi costringe ad accantonare per il momento questa ricerca.

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Il Venezuela si prepara agli attacchi militari americani

di Geraldina Colotti

Alla fiera del libro di Caracas, che ha aperto i battenti il 31 di ottobre, giornalisti e intellettuali commentano l’allarme lanciato da El Nuevo Herald e ripreso dalla stampa internazionale, secondo il quale, stando a “fonti bene informate”, gli Stati uniti sarebbero sul punto di attaccare “porti e istallazioni militari venezuelane” nel segno della cosiddetta lotta al narcotraffico. Bastava, però, leggere l’opposto richiamo di due quotidiani internazionali per rendersi conto della completa contraddittorietà della notizia. Da una parte il quotidiano di Miami in lingua spagnola, dall’altra El Pais, di Spagna, che annunciava invece: Trump smentisce di  voler attaccare il Venezuela.

E, infatti, fin dalle prime ore del giorno, si poteva leggere il commento sui social del segretario di stato Marco Rubio, principale costruttore dell’aggressione in corso nei Caraibi e nel Pacifico, al Venezuela e alla Colombia: “Le tue ‘fonti’ ti hanno ingannato per scrivere una storia falsa”, diceva Rubio al Nuevo Herald. Anna Kelly, Vice Segretaria Stampa della Casa Bianca, respingeva a sua volta il rapporto del Miami Herald, quotidiano di lingua inglese a sua volta edito dalla Miami Herald Media Company e ugualmente rivolto alla comunità della Grande Miami, di forte influenza in America latina e  nei Caraibi: “Le fonti anonime non sanno di cosa stanno parlando”, diceva Kelly, aggiungendo che qualsiasi annuncio ufficiale sulla politica in Venezuela sarebbe arrivato direttamente dal presidente.

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lindipendente

Sudan: gli interessi globali dietro alla guerra dimenticata

di Filippo Zingone

Nella giornata di domenica le Rapid Support Forces (RSF), truppe ribelli che dall’aprile 2023 contendono il potere alla giunta militare guidata dal generale Al-Burhan, hanno preso il controllo della città di El-Fasher, capitale dello stato del Nord Darfur e ultima roccaforte delle Forze Armate Sudanesi (FAS) nelle regioni occidentali del Sudan. Immagini e testimonianze restituiscono una carneficina, con centinaia di cadaveri e scene di esecuzioni di massa anche nei pressi dell’ospedale. Ultima mattanza di una guerra che in due anni e mezzo ha provocato un numero imprecisato di vittime (tra 60 e 150 mila a seconda delle stime) e circa 11 milioni di sfollati. Un disastro che avviene in un silenzio internazionale che nasconde non solo indifferenza ma, soprattutto, i torbidi interessi attraverso cui molti attori globali supportano uno dei due eserciti in campo.

La presa di El-Fasher, posta sotto assedio per 18 mesi, segna una conquista cruciale per le RSF che, dopo oltre due anni di sanguinosissima guerra civile, controllano ormai un terzo del territorio nazionale. Ma la conquista non significa il silenzio delle armi: la situazione nella città peggiora di ora in ora e le violenze contro la popolazione civile aumentano. Diversi rapporti, tra cui quello pubblicato dallo Humanitarian Research Lab dell’Università di Yale, documentano attraverso immagini satellitari i massacri compiuti dai miliziani delle RSF. E non sono solo le immagini dal cielo a raccontare la brutalità della situazione: anche numerosi video diffusi sui social network mostrano uomini armati che aprono il fuoco su civili inermi.

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AI. OpenAI, giù la maschera

di Carola Frediani

Martedì scorso OpenAI ha annunciato la sua trasformazione in una società for profit, completando quel percorso che, dalla nascita come no profit nel 2015, aveva poi deviato verso la commercializzazione dei prodotti, la corsa all’AI, e la fisionomia di una startup che punta a un’offerta pubblica iniziale e una quotazione in borsa col botto. La ristrutturazione trasforma infatti l’ex “laboratorio” dietro a ChatGPT in una società di pubblica utilità (public benefit corporation, PBC, ovvero una società a scopo di lucro legalmente tenuta a bilanciare i rendimenti degli azionisti con un dichiarato beneficio pubblico). Significa che la nuova OpenAI (ufficialmente OpenAI Group PBC) potrà emettere azioni ai dipendenti (stock option), raccogliere capitali attraverso tradizionali round di finanziamento azionario, quotarsi in borsa. Ma dichiarando di farlo a beneficio dell’umanità. Ok, esiste anche una fondazione senza scopo di lucro, a cui ha assegnato una ricca quota del 26 per cento, valutata 130 miliardi di dollari.

Ma Microsoft, che dal 2019 ha investito oltre 13 miliardi di dollari in OpenAI, ha una quota del 27% valutata 135 miliardi di dollari, mentre le quote restanti sono detenute da altri investitori e dipendenti.

La Fondazione OpenAI controlla l’attività a scopo di lucro, scrive OpenAI nel suo comunicato. Ricordiamo che il board della no profit (ora board della fondazione) è lo stesso uscito modificato e pro-Altman dallo scontro tra lo stesso Altman e il precedente board, che si era opposto alla disinvoltura con cui la società stava cavalcando la commercializzazione dell’AI (di cui avevo scritto in newsletter).

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«Spese per la Difesa: 5 per cento del Pil e zero strategia»

di Francesco Cosimato

Il generale Cosimato smonta la retorica sull’aumento delle spese militari e denuncia la distanza tra obiettivi politici e capacità reali

Con un’analisi basata sui numeri, il generale valuta l’impegno italiano di portare la spesa per la Difesa al 5% del Pil entro il 2035, evidenziando l’assenza di una strategia. Tra vincoli di bilancio, organici insufficienti e decisioni ideologiche, la politica continua a fissare obiettivi irrealistici. Senza tener conto dei limiti effettivi dello strumento militare.

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Se c’è una cosa difficile in Italia, è capire quanto spende lo Stato per difenderci e a che cosa serve il suo strumento militare. Per analizzare il Bilancio della Difesa, ad esempio, ci sono schiere di funzionari del Ministero dell’Economia e della Difesa, oltre a un sacco di tecnici della Ragioneria centrale in ogni ministero.

Non solo. In questo momento storico, così pieno di crisi internazionali, è sempre più difficile capire come mettere insieme le politiche da intraprendere e i mezzi umani e finanziari per realizzarle. L’espressione «Sosterremo l’Ucraina finché sarà necessario», per esempio, riflette un approccio ideologico non basato su un confronto tra esigenze e possibilità, che rischia di depauperare sensibilmente lo strumento militare.

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mondocane

“La guerra è pace, la libertà è schiavitù, l'ignoranza è forza" --- Trump uno e trino, quadruplo, quintuplo…

di Fulvio Grimaldi 

Fulvio Grimaldi intervistato da Paolo Arigotti:

https://www.youtube.com/watch?v=h3QL8Kxlokg - (C’è un breve difetto video all’inizio della registrazione, poi tutto scorre normale)

Di epoca in epoca, le parole, all’apparenza criptiche, di George Orwell ne fanno uno che meglio di Tiresia vedeva l’apocalisse verso la quale andavamo precipitando. Questo predisse a Odisseo che, una vota tornato a Itaca avrebbe dovuto ripartire ed errare ancora. Quello ci assicurò che, scampati dal gorgo nazifascismo e guerra, vi ci avrebbero riprecipitati. E ciò che si sta avventando sul mondo in questi giorni di impazzimento dei fautori di guerra e nuovi fascismi, ne realizza le previsioni.

Il protagonista assoluto è l’uomo paradosso ricomparso sulla scena, dopo il suo primo mandato, assicurando pace e riconciliazione ai quattro angoli del mondo. Oggi siamo ai missili Tomahawk concessi al corrotto despota neonazi di Kiev con cui i tecnici Nato, presenti sul campo sotto mentite spoglie fin dal colpo di Stato del 2014, vorranno mozzare le zampe all’orso russo, colpendone le strutture vitali fino a Vladivostok.

A Gaza si chiamano tregua o cessate il fuoco, o Piano di Pace, per placare i fremiti di indignazione mondiale, i rinnovati stermini di sopravviventi nell’età della pietra allestitagli da chi ci salva dal terrorismo. In Cisgiordania a 800.000 coloni armati è stato dato il via alla caccia col ferro e col fuoco di 2,3 milioni di indigeni colonizzati disarmati.

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comidad

Legge di bilancio: la cleptocrazia sta nei dettagli

di comidad

La legge di bilancio del governo Meloni per il 2026 è stata accusata di proseguire le politiche di austerità. Non si tratta però di austerità per tutti, dato che per il welfare a favore delle imprese sono stati stanziati quattro miliardi da elargire attraverso una sorta di super-ammortamento fiscale. Queste operazioni assistenzialistiche per le imprese vengono immancabilmente etichettate con nomi suggestivi, come “Transizione 5.0”, cioè slogan che suggeriscono future meraviglie nell’innovazione tecnologica.

Ma ancora più interessante è vedere nel dettaglio cosa significhi dare soldi pubblici con il pretesto ufficiale dell’innovazione tecnologica. Significa che i soldi finiscono in Israele. Nello scorso agosto il governo Meloni ha avviato investimenti in startup israeliane di innovazione tecnologica; investimenti da finanziare attraverso Cassa Depositi e Prestiti. L’attuale titolare al MEF (il dicastero dell’Economia e delle Finanze) Giancarlo Giorgetti, è ministro nel profondo dell’animo, infatti nel governo Draghi era ministro per lo Sviluppo Economico, e anche allora la sua meta preferita era Israele. Si parlava di collaborazioni sui semiconduttori, sulla transizione energetica all’idrogeno, ed altre prospettive avveniristiche. In seguito ad accordi italo-israeliani anche il ministero degli Esteri dal 2000 sostiene collaborazioni tra imprese italiane e israeliane sulla base della stessa narrativa all’insegna dell’innovazione tecnologica ed energetica. Il ministero degli Esteri italiano sta quindi promuovendo da molti anni una cordata di aziende in Terra di Sion.

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«Il banco di prova di Trump a Gaza e in Ucraina»

di Jeffrey D. Sachs e Sybil Fares

L’economista di fama mondiale indica due soluzioni per far finire i conflitti: Stato palestinese e neutralità ucraina

Jeffrey Sachs sostiene che il presidente Trump si presenta come un pacificatore, ma che i suoi sforzi si limitano a proporre un cessate il fuoco, ignorando le cause politiche dei conflitti. Assieme a Sybel Fares, l’economista sostiene qui di seguito che la pace non è una tregua, ma la risoluzione dei nodi di fondo. A Gaza, il «piano» di Trump fallisce perché non impone la nascita di uno Stato palestinese. In Ucraina, la chiave è invece l’arresto dell’espansione della Nato. Per passare dalle parole ai fatti, sostengono gli autori, Trump dovrebbe avere il coraggio di sfidare il complesso militare-industriale e tutti coloro che traggono profitto dalla guerra.

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Il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump ama presentarsi come un artigiano della pace. Nella sua retorica, rivendica i meriti per i suoi sforzi volti a porre fine alle guerre di Gaza e Ucraina. Eppure, sotto le sue fanfaronate, si nasconde un’assenza di sostanza, almeno fino a oggi.

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contropiano2

E allora in Sudan? Anche lì, siete sempre voi

di Giorgio Cremaschi

Ci sono stati chiaramente un ordine di scuderia e una campagna organizzata. Lo ha svelato lo stesso ambasciatore di Israele in Italia, Jonathan Peled, oramai membro a tutti gli effetti del governo Meloni, con particolari competenze sulla propaganda e l’ordine pubblico.

In un suo lungo post sui social il governatore di Netanyahu in Italia ha accusato tutti coloro che sono scesi in piazza per la Palestina di averlo fatto solo per ragioni politiche strumentali, perché nel frattempo nel Sudan è in corso un vero genocidio, verso il quale i terribili propal sarebbero completamente insensibili.

Assieme al capo propaganda, sono subito scesi nel campo delle tempeste di troll giornalisti politici e opinionisti di destra e liberali, che probabilmente prima non avrebbero neppure saputo trovare sulla cartina il Sudan ed in particolare la regione del Darfur, dove si compiono le maggiori stragi.

E allora il Sudan?”Urlano in coro con l’ambasciatore tutti costoro.

Come se uno sterminio ne attenuasse o cancellasse un altro. “E allora gli armeni?”, intimava il ministro della propaganda nazista Goebbels, quando in qualche consesso internazionale gli venivano rivolte domande sugli ebrei.

Usare un altro delitto per affermare che in fondo non si è così cattivi e forse neppure colpevoli, è la tipica autodifesa di ogni criminale, che però non lo scagiona, anzi. Per quanto mi riguarda il fatto che oggi i sostenitori di Israele si nascondano dietro le stragi in Sudan, è la conferma della loro assoluta malafede e della loro piena consapevolezza del genocidio che Israele sta compiendo a Gaza.

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lafionda

Quando la sinistra ha smesso di capire il mondo

di Massimiliano Civino

C’è un momento, nella storia delle idee, in cui la politica smette di interpretare la realtà e comincia soltanto a inseguirla. È lì che nasce la sua miseria.

Antonio Gramsci, nei Quaderni del carcere, scriveva:

“Nella discussione scientifica si dimostra più ‘avanzato’ chi si pone dal punto di vista che l’avversario può esprimere un’esigenza che dev’essere incorporata nella propria costruzione.”

Per Gramsci, essere “avanzati” non significa essere più puri o più estremi, ma più capaci di capire, di includere nella propria visione anche ciò che l’avversario esprime, magari in forma distorta o regressiva. È uno sguardo radicale, nel senso etimologico di radix (radice), che scava nella profondità dei processi storici invece di fermarsi alla superficie degli eventi. Essere radicali, dunque, non significa essere estremisti, ma andare alla radice delle cose, e questa capacità di sguardo radicale è proprio ciò che la sinistra ha progressivamente smarrito.

Le opposizioni alle destre populiste non interpretano più la società: la subiscono. Reagiscono invece di analizzare, denunciano invece di comprendere. Parlano di diritti e uguaglianza, ma con un linguaggio svuotato, incapace di toccare la vita reale di chi si sente abbandonato. Così si spiega perché tanti lavoratori scelgano chi promette “ordine”, o perché minoranze discriminate sostengano leader che le disprezzano. Non è ignoranza: è disconnessione. È la conseguenza di una politica che ha smesso di fare i conti con la complessità del reale.

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comuneinfo

Verso l’israelizzazione dell’occidente?

di Francesco Fantuzzi

In questi due terribili anni, soprattutto negli ultimi mesi, si è letto in più occasioni l’accorato slogan “Noi siamo la Palestina” e non vi è alcun dubbio che, seppur tardiva e in alcuni casi soprattutto finalizzata a recare nocumento all’improponibile e complice governo Meloni, la mobilitazione di centinaia di migliaia, se non milioni, di persone e della Flotilla contro il genocidio in atto a Gaza abbia rappresentato un sussulto di dignità di una coscienza civile in gran parte anestetizzata da anni di neoliberismo, emergenza, incipiente cinismo e isolamento sociale, partendo proprio da quei giovani che si vogliono disinteressati a ciò che accade e al proprio futuro. Tuttavia è sempre più legittimo e doveroso domandarsi, come ha fatto meritoriamente l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole di Torino se in realtà l’Occidente, i cui contorni paiono sempre più aderire al perimetro della NATO, non proceda al contrario verso una progressiva e inesorabile israelizzazione, intesa come recepimento di un modello politico, militare, culturale, digitale, etnico, ideologico, che riplasma la postdemocrazia definita da Colin Crouch in uno scenario bellico e tecnologico perpetuo. Un emblematico dual use.

La grande Israele potremmo dunque, in un futuro tutt’altro che remoto, essere noi occidentali, senza esserne consci e magari biasimandola pure a parole. Il modello israeliano è, per vari aspetti, un concentrato non solo territoriale delle questioni di cui si è discettato in questi ultimi sei anni, impregnati di un costante e opprimente clima emergenziale. Esattamente il clima che Israele vive dalla sua fondazione.

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lantidiplomatico

Come la Cina ha vinto la guerra economica contro Trump

di Fabio Massimo Parenti

Il controllo delle terre rare e la fine dell'accerchiamento USA nel nuovo video editoriale per l'AD

Nel nuovo video editoriale del professor Parenti, si analizza la svolta nello scontro economico tra le superpotenze. La Cina ha deciso di dire "basta".

Quella tra Stati Uniti e Cina non è più una semplice competizione commerciale, ma una guerra economica a tutto campo che ha recentemente subito un "salto di qualità". Mentre Washington intensifica le sue mosse con sanzioni mirate e un uso politico del dollaro, Pechino non si limita a reagire: sta rispondendo "colpo su colpo con una strategia matura e pienamente consapevole del proprio peso globale".

L'editoriale spiega come la risposta cinese sia stata speculare e abbia ribaltato il tavolo, colpendo l'Occidente nel suo punto più vulnerabile: le catene di approvvigionamento ad alta tecnologia. Il fulcro di questa controffensiva è il controllo delle terre rare, materiali indispensabili per l'industria tech e militare. "Oggi Pechino non domina solo l'estrazione, ma oltre il 90% della raffinazione globale di questi materiali", osserva il prof. Parenti nel video. In questo settore, "il controllo cinese è pressoché totale, oltre il 99%".

Questa mossa strategica evidenzia una profonda divergenza filosofica. Da un lato, gli Stati Uniti concepiscono il potere come dominio, in un'ottica di "o controlli o vieni controllato". Dall'altro, la Cina mira a un'armonia intesa non come debolezza, "ma come equilibrio dinamico tra forze diverse".

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comedonchisciotte.org

Rostislav Ishchenko avverte della rapida avanzata russa e dell’imminente collasso delle difese ucraine

di  William Moore - voennoedelo.com

L'analista politico Rostislav Ishchenko afferma che l'offensiva russa si sta espandendo rapidamente, mentre il fronte ucraino tra Chernihiv e Kherson rischia il collasso totale

L’analista politico russo Rostislav Ishchenko ha pubblicato un’analisi approfondita su Military Affairs [l’originale è sul portale russo cont.ws] sostenendo che l’offensiva russa in Ucraina non solo sta acquistando velocità, ma sta anche ampliando la sua portata geografica. Egli scrive che le forze russe hanno iniziato a sondare le difese intorno a Kherson e che, una volta che i combattimenti si svolgeranno nella regione di Chernihiv e nel settore settentrionale della regione di Kiev, il fronte assomiglierà effettivamente alla configurazione osservata alla fine di marzo 2022, al culmine dell’avanzata iniziale, quando le unità russe controllavano quasi il 35% del territorio ucraino.

Ishchenko invita i lettori a confrontare le lunghe ed estenuanti battaglie per Bakhmut, Chasiv Yar e Avdeevka con le operazioni molto più rapide attualmente in corso vicino a Pokrovsk e Mirnograd. Egli osserva che, mentre nel 2022 le forze russe non erano riuscite a penetrare nelle vicinanze di Seversk, oggi la città è sotto attacco e le fonti ucraine sono già scettiche sulla capacità di Kiev di mantenerne il controllo a lungo. La situazione intorno a Kupyansk è simile: dopo quasi due anni e mezzo di tentativi di raggiungere la città, è iniziato un assalto su vasta scala e i rapporti ucraini avvertono che Kupyansk potrebbe cadere nel giro di poche settimane o giorni.

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contropiano2

Il rapporto all’ONU di Francesca Albanese inchioda i complici del genocidio a Gaza

di Forum Palestina

Se il clima di “normalizzazione” imposto dal Piano Trump vorrebbe mettere sotto il tappeto i crimini commessi contro la popolazione palestinese a Gaza, il nuovo rapporto della relatrice speciale delle Nazioni Unite Francesca Albanese non denuncia il genocidio solo come un’azione unilaterale di Israele, ma ne descrive la natura di “crimine collettivo”, reso possibile grazie alla rete di sostegno e complicità da parte di oltre sessanta Paesi. La tesi esposta nel rapporto afferma esplicitamente che senza il sostegno militare, diplomatico, economico e ideologico di Stati terzi, l’operazione israeliana non avrebbe potuto reggere nel tempo.

Il primo pilastro della complicità è quello diplomatico. Gli Stati Uniti hanno usato sette volte il veto al Consiglio di Sicurezza per bloccare risoluzioni sul cessate il fuoco, coprendo Israele sul piano internazionale. Attorno a Washington si è mossa una costellazione di potenze occidentali — Regno Unito, Australia, Nuova Zelanda, Canada, Germania e Paesi Bassi — che con astensioni, bozze annacquate e mancanza di volontà politica hanno creato l’illusione di un’azione diplomatica, rallentando in realtà qualsiasi pressione efficace.

Questa copertura è stata rafforzata dal discorso mediatico occidentale che, secondo Albanese, ha interiorizzato e amplificato le narrazioni israeliane, cancellando ogni distinzione tra combattenti di Hamas e popolazione civile palestinese e legittimando l’uso della forza in nome della “difesa della civiltà”.

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lafionda

Sono felice solo quando manifesto

di Antonio Semproni

Su uno dei tanti cartelloni che ho visto a Roma durante le manifestazioni contro il genocidio campeggiava la scritta “avremmo dovuto liberare la Palestina/invece è stata la Palestina a liberare noi”. Facendo affidamento sulle plurime accezioni del verbo “liberare”, possiamo concludere che questo slogan imperniato su un banale gioco di parole è vicinissimo al vero. La libertà che abbiamo sperimentato durante le manifestazioni è stata la condizione per percepire una felicità quasi inedita nell’epoca delle liberaldemocrazie (o tecnocrazie) capitaliste.

Scommetto che questa constatazione valga non solo per il sottoscritto, ma anche per voi che leggete e avete manifestato: sotto la spessa scorza della giusta rabbia, ho intuito la felice libertà di moltissimi, e credo di averne avuto conferma parlando con più di qualche partecipante, fra amici, conoscenti e anche sconosciuti. Alla base di questa felice libertà c’è sicuramente un’esperienza estetica non indifferente: a prima vista, marciare in mezzo a tante persone verso una direzione ben precisa (che sia La Sapienza o la sopraelevata della tangenziale) o semplicemente incamminarsi assieme a loro è un’azione che capovolge il quotidiano e risignifica lo spazio urbano, dove ciascuno si dirige per conto proprio verso una distinta meta. Comporre insieme agli Altri la folla, costituire un pezzetto di quel gigantesco puzzle che invade le strade e le piazze ci fa accantonare le preoccupazioni individuali e persino quelle corporali: è come se il nostro corpo (con le sue energie individuali) confluisse in quelli di tutti gli Altri e viceversa.

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contropiano2

Milizie armate da Israele per eliminare Hamas, mentre Trump appalta la ‘Nuova Gaza’

di Alessandro Avvisato

Un’approfondita inchiesta di Sky News, accompagnata da dichiarazioni e video rilasciate all’emittente, ha mostrato quello che era già noto a tutti: ci sono milizie di mercenari e collaborazionisti con Israele che operano nella Striscia di Gaza. La novità, semmai, è che escono allo scoperto per rivendicare un progetto di governo alternativo ad Hamas.

Il nodo delle bande di criminali al soldo di Tel Aviv, che hanno partecipato all’occupazione della Striscia e sono state la manovalanza che spesso ha trafugato aiuti umanitari per affamarne la popolazione, è emerso all’attenzione pubblica appena firmata la fragile tregua, qualche settimana fa. Hamas ha cominciato a liberare la Striscia dai collaborazionisti, come sempre è successo alla fine di ogni conflitto.

Inizialmente, il presidente statunitense Trump si era lasciato sfuggire la realtà, chiarendo che, in sostanza, Hamas stava affrontando dei criminali. Poi, però, è tornato a difendere la narrazione sionista che vuole la Striscia sottoposta alla violenza arbitraria dell’organizzazione islamica. E questo perché, ora, le bande di mercenari possono assumere un ruolo politico nuovo.

Se la tregua (durante la quale, comunque, Israele continua a uccidere palestinesi impunemente) ha di certo raffreddato lo scontro diretto tra i militanti della resistenza palestinese e l’IDF, Israele ha continuato a combattere una battaglia interna alla zona della Striscia da cui le sue forze armate si sono ritirate attraverso milizie collaborazioniste.

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lantidiplomatico

Burevestnik: il game changer della Russia

di Giuseppe Masala

Putin ieri ha annunciato al mondo l'introduzione di un nuovo missile da crociera a gittata illimitata perché alimentato da un mini reattore nucleare. Un missile formidabile che cancella lo stesso concetto di gittata e di spazio, rendendo peraltro strategicamente inutile per gli USA lo spazio europeo e la stessa Nato

Nel 2016, all'annuncio del primo test del missile ipersonico russo Zircon capace di volare a mach 5, scrissi un articolo per megachip nel quale spiegavo che eravamo di fronte a un'arma game changer, ovvero in grado di cambiare gli equilibri soprattutto negli oceani visto che si trattava di un missile sostanzialmente progettato per la guerra in mare e capace di mettere a repentaglio la superiorità marittima degli Stati Uniti che – come sappiamo – possono vantare una enorme flotta suddivisa in potenti gruppi d'attacco guidati da una super portaerei ma che non hanno difese contro missili che volano a velocità ipersoniche.

Quell'annuncio, a mio modo di vedere fu il primo campanello d'allarme per l'iperpotenza egemone americana: esistevano paesi in grado di infliggerle danni enormi in una guerra convenzionale, e dunque, senza avere la necessità di minacciare l'utilizzo di armi nucleari.

Aggravante ulteriore, era quella legata al fatto che lo Zircon minacciava (e minaccia) la superiorità americana nei mari che è la chiave di volta della potenza militare americana: non a caso gli studiosi di geopolitica hanno da sempre definito gli Stati Uniti come una Talassocrazia, ovvero una potenza che si fonda sul dominio commerciale e militare dei mari.

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megachip

Il colonialismo di insediamento e la Palestina: la lettura radicale di Angela Lano

introduzione di Pino Cabras

𝐼𝑙 𝑔𝑒𝑛𝑜𝑐𝑖𝑑𝑖𝑜 𝑑𝑖 𝐺𝑎𝑧𝑎 ℎ𝑎 𝑓𝑎𝑡𝑡𝑜 𝑓𝑖𝑜𝑟𝑖𝑟𝑒 𝑡𝑢𝑡𝑡𝑎 𝑢𝑛𝑎 𝑛𝑢𝑜𝑣𝑎 𝑙𝑒𝑡𝑡𝑒𝑟𝑎𝑡𝑢𝑟𝑎 𝑠𝑢𝑙𝑙’𝑎𝑟𝑔𝑜𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 𝑐𝑜𝑛 𝑑𝑒𝑐𝑖𝑛𝑒 𝑑𝑖 𝑡𝑖𝑡𝑜𝑙𝑖 𝑐ℎ𝑒 𝑟𝑖𝑒𝑚𝑝𝑖𝑜𝑛𝑜 𝑣𝑒𝑡𝑟𝑖𝑛𝑒 𝑒 𝑠𝑐𝑎𝑓𝑓𝑎𝑙𝑖 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑒 𝑙𝑖𝑏𝑟𝑒𝑟𝑖𝑒 𝑒 𝑠𝑒𝑔𝑛𝑎𝑛𝑜 𝑙𝑎 𝑟𝑖𝑠𝑐𝑜𝑝𝑒𝑟𝑡𝑎 𝑠𝑝𝑒𝑠𝑠𝑜 𝑡𝑎𝑟𝑑𝑖𝑣𝑎 𝑑𝑖 𝑢𝑛 𝑡𝑒𝑚𝑎 𝑠𝑐𝑜𝑡𝑡𝑎𝑛𝑡𝑒. 𝐴𝑙𝑐𝑢𝑛𝑖 𝑑𝑖 𝑞𝑢𝑒𝑠𝑡𝑖 𝑙𝑖𝑏𝑟𝑖 𝑠𝑜𝑛𝑜 𝑝𝑒𝑟𝑜̀ 𝑝𝑖𝑢̀ 𝑠𝑐𝑜𝑡𝑡𝑎𝑛𝑡𝑖 𝑎𝑛𝑐𝑜𝑟𝑎, 𝑝𝑒𝑟 𝑐𝑜𝑚𝑒 𝑛𝑜𝑛 𝑓𝑎𝑛𝑛𝑜 𝑠𝑐𝑜𝑛𝑡𝑖 𝑎 𝑛𝑒𝑠𝑠𝑢𝑛𝑎 𝑖𝑝𝑜𝑐𝑟𝑖𝑠𝑖𝑎 𝑒 𝑎 𝑛𝑒𝑠𝑠𝑢𝑛𝑎 𝑡𝑖𝑚𝑖𝑑𝑒𝑧𝑧𝑎 𝑚𝑜𝑟𝑎𝑙𝑒 𝑒 𝑖𝑛𝑡𝑒𝑙𝑙𝑒𝑡𝑡𝑢𝑎𝑙𝑒. 𝐻𝑜 𝑠𝑐𝑟𝑖𝑡𝑡𝑜 𝑝𝑒𝑟𝑐𝑖𝑜̀ 𝑐𝑜𝑛 𝑚𝑜𝑙𝑡𝑜 𝑝𝑖𝑎𝑐𝑒𝑟𝑒 𝑙’𝑖𝑛𝑡𝑟𝑜𝑑𝑢𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑑𝑖 𝑂𝑙𝑜𝑐𝑎𝑢𝑠𝑡𝑜 𝑃𝑎𝑙𝑒𝑠𝑡𝑖𝑛𝑒𝑠𝑒 (𝑒𝑑𝑖𝑧. 𝐴𝑙 𝐻𝑖𝑘𝑚𝑎), 𝑢𝑛 𝑠𝑎𝑔𝑔𝑖𝑜 𝑑𝑎𝑣𝑣𝑒𝑟𝑜 𝑎𝑐𝑢𝑚𝑖𝑛𝑎𝑡𝑜, 𝑠𝑐𝑟𝑖𝑡𝑡𝑜 𝑑𝑎 𝐴𝑛𝑔𝑒𝑙𝑎 𝐿𝑎𝑛𝑜, 𝑑𝑖𝑟𝑒𝑡𝑡𝑟𝑖𝑐𝑒 𝑑𝑖 𝐼𝑛𝑓𝑜𝑝𝑎𝑙.𝑖𝑡. 𝑉𝑖 𝑟𝑖𝑝𝑟𝑜𝑝𝑜𝑛𝑔𝑜 𝑞𝑢𝑖 𝑙’𝑖𝑛𝑡𝑟𝑜𝑑𝑢𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒. 𝐵𝑢𝑜𝑛𝑎 𝑙𝑒𝑡𝑡𝑢𝑟𝑎!

* * * *

Tra le molte pubblicazioni che in questi anni hanno cercato di raccontare la tragedia palestinese, questo libro di Angela Lano si distingue per una qualità essenziale: non concede spazio ai malintesi, alle mezze misure, alle spiegazioni accomodanti che spesso finiscono per smarrire il nocciolo della questione. Non è un testo che si limita a denunciare gli ultimi massacri, né un esercizio di solidarietà retorica. È, piuttosto, un antidoto contro la grande incomprensione del fenomeno del Sionismo, incomprensione che può nascere anche in ambienti sinceramente sensibili al tema dei diritti dei palestinesi, ma che finiscono per ridurre la loro attenzione a un gesto episodico, a una bandiera contingente da sventolare nella moda politica del momento.

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Il quadro finanziario e geopolitico mondiale in un momento di imminente disordine

di Alastair Crooke, conflictsforum.substack.com

Il tentativo di Trump di costruire uno “scenario Budapest” – ovvero un vertice Putin-Trump basato sulla precedente “intesa” in Alaska – è stato annullato unilateralmente (dagli Stati Uniti) tra le polemiche. Putin aveva avviato la telefonata di lunedì, durata due ore e mezza. A quanto pare, conteneva dure dichiarazioni di Putin sulla mancanza di preparazione degli Stati Uniti a un quadro politico, sia per quanto riguarda l’Ucraina, ma soprattutto per quanto riguarda le più ampie esigenze della sicurezza della Russia.

Tuttavia, quando è stata annunciata dalla parte americana, la proposta di Trump era tornata (ancora una volta) alla dottrina di Keith Kellogg (l’inviato statunitense per l’Ucraina) di un “conflitto congelato” sulla linea di contatto esistente prima di qualsiasi negoziato di pace, e non viceversa.

Trump doveva sapere ben prima che i colloqui di Budapest venissero discussi che questa dottrina Kellogg era stata ripetutamente respinta da Mosca. Allora perché ha ribadito la sua richiesta? In ogni caso, lo scenario del vertice di Budapest ha dovuto essere annullato dopo che la telefonata di “impostazione” concordata in precedenza tra il Ministro degli Esteri Sergej Lavrov e il Segretario di Stato Marco Rubio si è scontrata con un muro. Lavrov ha ribadito che un cessate il fuoco in stile Kellogg non avrebbe funzionato.

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volerelaluna

L’isolamento di Israele

di Francesco Pallante

Intervenendo alla Knesset lo scorso 13 ottobre, Donald Trump ha sostenuto che, grazie al suo piano di pace, «ora il mondo ama di nuovo Israele». Per poi aggiungere – con parole rivolte direttamente a Benjamin Netanyahu – «che se foste andati avanti con la guerra e le uccisioni non sarebbe stato lo stesso» (cioè, il mondo avrebbe continuato a odiarvi).

Naturalmente, come spesso capita, anche in questa occasione il presidente degli Stati Uniti ha sovrapposto i propri desideri alla realtà. Il mondo continua a essere sgomento al cospetto della violenza scatenata, e ostentata, da Israele contro gli inermi di Gaza (e, sempre più, anche della Cisgiordania); e nessun credibile segnale mostra mutamenti nella ripulsa con cui l’opinione pubblica mondiale continua – giustamente – a considerare Israele. È, tuttavia, significativo il fatto che Trump abbia ritenuto di dover intervenire sulla reputazione dello Stato ebraico, anche perché le sue parole non sono figlie di una considerazione estemporanea. Secondo quanto riportato dal Financial Times, già durante l’estate, il 31 luglio, il presidente statunitense aveva toccato l’argomento in una conversazione privata intrattenuta con un influente donatore della sua campagna elettorale, al quale aveva confessato: «il mio popolo sta iniziando a odiare Israele». Ciò induce due considerazioni.

La prima considerazione è che dalla guerra dell’informazione Israele è uscito sconfitto, a dispetto delle enormi risorse economiche profuse in propaganda e della pletora di media, giornalisti e influencer assoldati al suo servizio.

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lindipendente

Pfizergate: chiusi i conti correnti a Frédéric Baldan, l’uomo che ha denunciato von der Leyen

di Enrica Perucchietti

«Le banche si sono arrogate il diritto di chiudermi i conti bancari senza alcuna motivazione». Frédéric Baldan, autore del saggio Ursula Gates. La von der Leyen e il potere delle lobby a Bruxelles, si è visto chiudere tutti i conti bancari, personali e aziendali, compreso il conto di risparmio del figlio di cinque anni. Le banche belghe Nagelmackers e ING hanno comunicato la rescissione dei rapporti senza motivazioni plausibili, chiedendogli la restituzione delle carte di credito. Un caso di “debanking” politico che colpisce chi ha osato toccare il cuore opaco del potere europeo: il cosiddetto caso Pfizergate. Baldan, ex lobbista accreditato presso la Commissione UE, è l’uomo che ha denunciato Ursula von der Leyen per gli SMS, inviati tra gennaio 2021 e maggio 2022, mai resi pubblici con l’amministratore delegato di Pfizer, Albert Bourla. Ora, oltre all’isolamento istituzionale, subisce l’esclusione finanziaria.

Raggiunto da noi telefonicamente, Baldan ci ha spiegato che «le banche hanno iniziato a crearmi problemi simultaneamente, pur non comunicando tra loro. L’unica spiegazione plausibile è che esista un elemento scatenante: penso si tratti di un ordine impartito dai servizi segreti dello Stato belga, su pressione dell’Unione Europea, di trasmettere tutte le mie transazioni finanziarie». Al contempo, Baldan ha espresso la sua determinazione a non lasciarsi intimidire: «Sul mio account X, l’annuncio di questa informazione è stato visualizzato 600.000 volte in 24 ore.

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“Così potete sfruttare la guerra mondiale per sconfiggere USA e Ue”

L’insegnamento di Lenin

di OttolinaTV

In tempo di guerra non si può agire e pensare come in tempi di pace: qui non servono più le idee maturate durante la lunga, ipocrita e sanguinosa pace occidentale, ma servono analisi e idee nuove (e, soprattutto, efficaci) che prendano atto del fatto che gli Stati capitalistici si stanno militarizzando verso l’esterno e verso l’interno, e che non possiamo più cavarcela con qualche post su Facebook o litigata al bar con l’amico meloniano; in questo periodo storico, andarsene a giro a ribadire al mondo la propria identità politica è un esercizio del tutto inutile e, anzi, un massimo segno di impotenza. La radicalità di questa fase e la radicalità delle trasformazioni sociali richieste, prima che sia troppo tardi e la guerra capitalista deflagri senza più rimedio, dovrebbe indurci a vivere con una sola domanda fissa in testa: come rimanere fedele ai propri principi di trasformazione radicale del sistema esistente e, al tempo stesso, convincere chi la pensa diversamente da noi? Ecco: chi è stato maestro in questo – e, cioè, a pensare politicamente in tempi di guerra e a riuscire a convincere milioni di persone a seguire i propri principi, se pur tra mille compromessi e mediazioni – è sicuramente Vladimir Lenin: alcune delle analisi di Lenin sono oggi più importanti che mai per chiunque voglia agire politicamente in maniera efficace e all’altezza dei tempi.

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lantidiplomatico

"Chiamiamo i popoli del mondo a venire a difendere il Venezuela”

Geraldina Colotti intervista il Capitano Diosdado Cabello

Durante la conferenza stampa settimanale del Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV), abbiamo avuto l'opportunità di porre tre domande al capitano Diosdado Cabello, vicepresidente del PSUV e Ministro del Potere Popolare per le Relazioni Interne, Giustizia e Pace. Le riportiamo di seguito.

* * * *

Geraldina Colotti: Buonasera, Capitano, un saluto alla Direzione del partito.

Diosdado Cabello: Come sta lei, Geraldina?

Geraldina Colotti: Grazie, bene. Quando il clarino della rivoluzione chiama, persino il pianto della madre tace... Dunque, eccoci di nuovo qui. Ho tre domande, se posso.

Diosdado Cabello: Sì, certo.

 

La prima è la seguente: Il presidente Maduro ha lanciato un appello ai popoli indigeni dicendo che, sebbene si augurasse di no, se ci sarà un attacco al Venezuela, tutti i popoli originari di tutte le latitudini possono venire a difendere il Venezuela. La domanda è: dal partito, dalla sua struttura internazionale, si potrebbe lanciare un appello ai popoli del mondo, alle rivoluzionarie e ai rivoluzionari per organizzare qualcosa di simile a quanto avvenne nella Guerra Civile Spagnola con le brigate internazionali per difendere il Venezuela, difendere la pace del Venezuela, la Rivoluzione?

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lafionda

La guerra come spettacolo e menzogna

di Elena Basile

Il mese durante il quale si ebbero maggiori vittime statunitensi durante la Seconda guerra mondiale fu aprile, uno degli ultimi prima della fine del conflitto. La guerra in Ucraina, che secondo molti strateghi militari non è lontana da una soluzione sul campo di battaglia, sarà accompagnata anche nelle sue ultime fasi da un aumento delle vittime. Il numero giornaliero di soldati ucraini caduti è enorme in una guerra di attrito. Si dovrebbe ricordare ai politici europei, agli analisti, ai giornalisti che la decisione di continuare una guerra suicida, sulla pelle degli ucraini, a cui tutti loro, con una propaganda elementare, contribuiscono, non è un giochino di società ma implica ulteriore sangue versato, di cui, se fossimo in democrazia, dovrebbero essere considerati responsabili.

Siamo abituati, purtroppo, ad attori sul piano internazionale come George W. Bush e Tony Blair che, dopo aver scatenato con menzogne ormai provate una guerra priva di obiettivi strategici e mirata alla destabilizzazione del Paese, malgrado la morte di 500.000 civili, sono impegnati a tenere lezioni di politica internazionale e ad arricchirsi con prestigiosi incarichi. Sarkozy, artefice della guerra in Libia che ha creato un nuovo Stato fallito, viene celebrato come un eroe in Francia, malgrado la condanna penale subita.

Immagino che le signore in tailleur e gli uomini che, con le loro facce perbene, si alternano sugli schermi per spiegarci come una soluzione diplomatica dei conflitti sia impossibile e come sia importante che gli ucraini, popolo da loro amato, continuino a sacrificarsi, non subiranno alcuna conseguenza per le azioni intraprese a sostegno di una carneficina di innocenti.

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intelligence for the people

Aggressività e autolesionismo di un’America al crepuscolo 

di Roberto Iannuzzi

Con un’economia minacciata dal debito fuori controllo e dalla rischiosa bolla dell’IA, Washington continua a promuovere futili e pericolose azioni militari, e misure “boomerang” in ambito commerciale

Presentatosi alle presidenziali come un “candidato di pace” che voleva chiudere il capitolo dell’avventurismo americano all’estero, il presidente Donald Trump ha invece impostato un mandato all’insegna di minacce militari e ricatti commerciali.

Il suo slogan “America First” si è in effetti tradotto in un maldestro tentativo di ristabilire l’egemonia americana su un mondo che è ormai sempre più inequivocabilmente multipolare.

Tale tentativo si è concretizzato in una serie di azioni belliche inconcludenti (nello Yemen, in Iran) quanto sanguinose (il sostegno allo sterminio israeliano a Gaza), a cui sono seguite le recenti minacce al Venezuela.

In Ucraina, dove Trump ha cercato di persuadere la Russia ad accettare un congelamento del conflitto piuttosto che una sua reale soluzione, la pace rimane lontana quanto la possibilità di un’affermazione militare occidentale.

Sul fronte economico, la guerra dei dazi avrebbe dovuto persuadere gli altri paesi a stringere accordi commerciali e investimenti vantaggiosi per gli Stati Uniti allo scopo di evitare la tagliola delle tariffe. L’obiettivo della Casa Bianca era ridare ossigeno all’economia e alle disastrate finanze americane.

Malgrado le entrate derivanti dai dazi, il debito nazionale statunitense ha toccato i 38 trilioni di dollari, essendo salito di 11 trilioni in cinque anni.