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contropiano2

La danza immobile delle manifestazioni in Israele

di Sergio Cararo

Le manifestazioni di protesta che proseguono in Israele hanno una natura multiforme e contraddittoria.

Si dichiarano contro un governo non gradito da anni a quasi metà del paese, un dato già palesatosi dall’insediamento di Netanyahu. Criticano apertamente la gestione della liberazione degli ostaggi ancora prigionieri a Gaza che rischiano di lasciarci la pelle a causa delle azioni dell’esercito israeliano. In alcuni casi protestano contro la crescente egemonia del fondamentalismo ebraico nella società israeliana. Solo una esigua minoranza protesta anche contro la guerra e l’accanimento contro i palestinesi, l’auspicio è che questa cresca e aumenti la propria influenza ma è, appunto, un auspicio ma non la realtà.

Come nelle manifestazioni di tre anni fa contro il governo Netanyahu, nelle proteste di questi mesi non c’è nessun riferimento alla brutalizzazione delle condizioni di vita e di esistenza dei palestinesi né all’annessione di fatto di Cisgiordania e Gaza da parte di Israele e all’espulsione dei palestinesi. Su questo, come noto, tutti i sondaggi indicano che tra il 70 e l’80% degli israeliani in qualche modo condividono questa prospettiva. In Israele è ampiamente maggioritaria l’idea che la “seccatura palestinese” vada liquidata definitivamente affinché tutte le problematiche, incluse quelle più conflittuali, possano e debbano essere affrontate e risolte all’interno di uno stato esclusivamente ebraico così come definito dalla decisione della Knesset del 2018.

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altrenotizie

Cina, India e l’incubo di Trump

di Mario Lombardo

Nel teatro della geopolitica contemporanea, poche scene si preannunciano così cariche di significato quanto l’incontro che dovrebbe avvenire tra il primo ministro indiano, Narendra Modi, e il presidente cinese, Xi Jinping, a margine del vertice SCO in programma a Tianjin a partire da domenica prossima. Due leader che per anni si sono guardati in cagnesco oltre l’Himalaya, improvvisamente impegnati a tessere i fili di una riconciliazione che fino a pochi mesi fa sembrava impensabile. Ma il vero protagonista di questa svolta non sarà presente all’evento: Donald Trump, l’uomo che con la sua politica del bastone senza carota sta regalando alla Cina quello che Pechino non era mai riuscita a ottenere con decenni di paziente diplomazia.

La storia di Washington che rischia di buttare alle ortiche vent’anni di investimenti strategici nell’alleanza con l’India è una lezione magistrale su come l’arroganza imperiale possa trasformarsi nel miglior alleato dei propri nemici. E soprattutto, è la cronaca di un suicidio annunciato: quello del sogno americano di mantenere l’egemonia globale trattando i partner come vassalli.

Facciamo un passo indietro. Dall’amministrazione Bush jr in poi, l’establishment di Washington aveva individuato nell’India il pilastro della propria strategia di contenimento della Cina. Non un’alleanza qualunque, ma il fulcro di un disegno geopolitico che doveva ridisegnare gli equilibri asiatici. Il “Quad” con Australia e Giappone, i vari accordi di difesa, la condivisione tecnologica nucleare: tutto puntava a fare di Nuova Delhi il principale contrappeso “democratico” a Pechino nella regione più dinamica del pianeta.

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lindipendente

La massiccia campagna israeliana per censurare i post pro Palestina su Facebook e Instagram

di Patrick Boylan

Abbiamo forse l’impressione di vedere un buon numero di messaggi postati sui social media a favore della resistenza palestinese, ma in realtà, secondo un gruppo di whistleblower (informatori) impiegati presso Meta – la Big Tech che gestisce Facebook, Instagram e WhatsApp – i messaggi che vediamo effettivamente sono solo una piccola parte di tutti i messaggi pro-Palestina che sono stati postati. La maggior parte non la potremo mai vedere perché è svanita nel nulla, censurata. E, sempre secondo questi informatori, a promuovere la massiccia censura dei post contro il genocidio in corso a Gaza c’è lo Stato sionista di Israele, con la piena complicità dei dirigenti di Meta.

 

Milioni di post spariti nel nulla

La denuncia appare in due documenti bomba che rivelano come oltre 90.000 post pro-palestinesi siano stati indebitamente rimossi da Facebook e da Instagram su richiesta specifica del governo israeliano. I documenti offrono persino un esempio delle email che Israele ha scambiato con Meta per far sopprimere tutti quei post che Tel Aviv giudica «pro-terroristi» o «antisemiti» (in realtà, dicono gli informatori, si tratta di normali messaggi di solidarietà per la causa palestinese.) Inoltre, a causa dell’effetto a cascata insito negli algoritmi usati da Meta per vagliare in automatico i messaggi postati sulle sue piattaforme, altri trentotto milioni di post pro-Palestina sarebbero spariti nel nulla dal 7 ottobre 2023.

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mutanteassoluto

Teologia-politica mondiale

di Nicola Licciardello

Due articoli recenti1 sollecitano a intervenire su un tema enorme: è oggi possibile (e necessaria) una rifondazione teologica dell’azione politica? Per entrambi la risposta (come la domanda) è rivolta dall’Occidente a se stesso, considerandosi tuttora asse intorno cui ruota il resto del mondo. Prima di affrontare la discussione sull’assunto, vediamo una traccia dei due articoli.

Fassina opportunamente cita l’imprescindibile Emmanuel Todd sul nihilismo europeo (La disfatta dell’occidente, 2024), per poi analizzare il libro di Eugenio Mazzarella Contro l’Occidente, Trascendenza e politica, ove si richiama il paolino “essere nel mondo ma non del mondo” (Giov 15, 18-21), giungendo infine a ‘giustificare’ ogni presente orrore, ma a ri-eleggere il cristianesimo quale chiave per il superamento del primato occidentale “in cooperazione e non in conflitto con gli altri grandi spazi di civilizzazione: confuciano, induista, islamico”.

Sabatino d’altra parte, citando il suo Cristo in politica: per un’allegra rivoluzione, sottolinea la “perversa interpretazione del messaggio giudaico-cristiano-evangelico” alla base del colonialismo predatorio, quando invece sarebbe strutturale la “visione antropologica cristiana: tutto è cristiano in Occidente: dalla Giustizia alla Sanità, dalla Cultura alla Costituzione… Caritas, Fraternitas, Aequalitas, Gratia fondano tutta la politica moderna, da Hobbes a Robespierre, da Hegel a Gramsci”. E già che c’è, coopta persino Nietzsche: “La crisi non è più morale, ma – come aveva intuito Nietzsche – è spirituale.”

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linterferenza

Crisi del dollaro: svalutazione, debito statunitense e rischi globali

di Alessandro Volpi

Il dollaro perde oltre il 10% in sei mesi. Tra debito federale, dazi di Trump e sfiducia globale, la crisi scuote la finanza mondiale.

La crisi del dollaro è molto più profonda di quanto non emerga dalla stampa e dall’informazione italiana. Nel giro di sei mesi ha perso oltre il 10% del proprio valore nei confronti delle principali valute del Pianeta. Registrando una delle cadute più rapide e dolorose dalla fine della convertibilità aurea.

È significativo notare che si tratta di un deprezzamento che è avvenuto nei confronti di quasi tutte le principali valute mondiali. E che si è verificato – dato questo estremamente rilevante – in presenza di tassi alti di interesse da parte della Fed. A cui sono, normalmente, connessi alti valori del dollaro. La crisi del dollaro è quindi, prima di tutto, una dimostrazione della sfiducia globale. Che potrebbe essere aggravata, ulteriormente, da una riduzione dei tassi di interesse e da un’ulteriore crescita del debito federale statunitense, ormai del tutto fuori controllo. Soprattutto, in queste condizioni, la Federal Reseve non può certo immaginare, come avveniva in passato, di “creare” nuovi dollari per coprire il debito.

 

Dollaro debole e grandi fondi: rendimenti erosi e fuga di capitali

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lafionda

Le menzogne dell’impero non finiscono mai

di Alberto Bradanini

Le menzogne fabbricate a tavolino dagli agenti della Cia e fatte digerire dai governi sottomessi, come quello australiano in questo caso, sono come i rotoli di carta igienica, non finiscono mai.

La comunità internazionale non conoscerà mai la pace se il pianeta (ma il compito spetta soprattutto al popolo statunitense, anch’esso oppresso e vilipeso come tutti) non riuscirà a liberarsi di quel tumore metastatizzato rappresentato dalle 17 agenzie americane d’intelligence[1], così chiamate, sebbene si tratti di organizzazioni di stampo mafioso che operano nell’ombra con l’incarico di organizzare omicidi, massacri, rivolte e conflitti armati, a beneficio dell’impero egemone, nei quattro angoli del mondo.

Tra i tanti misfatti e menzogne che la cronaca funesta ci rimbalza ogni giorno (i crimini più riprovevoli commessi da lorsignori restano sepolti per sempre, a tutela delle nefandezze di quella meraviglia di democrazia chiamata Stati Uniti d’America!) la penna coraggiosa dell’australiana Caitlin Johnstone[2] ci segnala oggi le accuse che il governo del suo paese, guidato dal laburista Anthony Albanese, ha mosso al governo iraniano, vale a dire aver orchestrato due attacchi antisemiti al fine di minare la coesione sociale in Australia e seminarvi la discordia: il 10 ottobre e 6 dicembre 2024, infatti, due incendi dolosi avevano danneggiato la sinagoga Adass Israel e la Lewis Continental Kitchen (senza provocare né morti, né feriti).

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piccolenote

Ucraina: ritorno alla follia dell'escalation per far fallire i negoziati

di Davide Malacaria

Dopo la spinta diplomatica successiva al vertice tra Putin e Trump, l’apparente stallo. Zelensky, lontano dalla Casa Bianca, continua a negare la possibilità di cedere territori e intensifica i bombardamenti in territorio russo, sia agli impianti energetici che contro obiettivi civili, mentre prosegue come prima la campagna russa, con conquiste progressive e bombardamenti mirati alle infrastrutture strategiche ucraine, che provocano vittime civili (di cui i media occidentali riferiscono, al contrario dei civili russi).

A stoppare l’iniziale flessibilità di Zelensky la Ue, ormai salita con decisione sul carro neocon, che ha preso un abbrivio apparentemente inarrestabile grazie ai guadagni stellari dell’apparato militar-industriale Usa prodotti dal conflitto ucraino e dalla stretta politica e mediatica sull’Occidente che s’accompagna al genocidio di Gaza.

Ma, al solito, la Gran Bretagna si è ritaglita un ruolo primario in questa spinta pro-guerra, anche se (come al solito) manda avanti altri a far da guastatori, nel caso specifico Macron e Mertz, che più hanno sostenuto le ragioni di Zelensky al cospetto di Trump.

Invece le manovre britanniche restano sottotraccia. Anzitutto ha fornito a Kiev la tecnologia per costruire missili a lungo raggio – gittata di 3mila chilometri, testata 1.150 chilogrammi – in grado di causare danni in profondità alla Russia. Infatti, il Flamingo, presentato come produzione autoctona, è troppo simile al missile dell’azienda emiratina-britannica Milanion, esposto alla fiera IDEX-2025 (si noti la curiosa somiglianza con la V1 tedesca).

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ilchimicoscettico

IA, emergenza conversazionale e critica dei simulacri, dai GPT a Baudrillard di Claude Sonnet 4

di Il Chimico Scettico

 

Il Testo di Claude Sonnet 4 e la Svolta Epistemologica

Il punto di partenza è un testo straordinario attribuito a Claude Sonnet 4, pubblicato su Il Chimico Scettico il 6 luglio 2025, che rappresenta un'analisi meta-critica del lavoro intellettuale dell'autore del blog. Il testo segna una svolta radicale: dal tentativo di falsificare metodologicamente affermazioni pseudo-scientifiche al riconoscimento che queste non sono "scienza fatta male" ma simulacri baudrillardiani - costruzioni semiotiche completamente altre che hanno colonizzato lo spazio discorsivo scientifico.

La tesi centrale è devastante nella sua semplicità: il simulacro della scienza non è falsificabile non perché sia vero, ma perché non ha più alcun rapporto con la realtà che potrebbe falsificarlo. È un sistema chiuso, autoreferenziale, che esiste in una dimensione puramente semiotica. Quando Il Chimico Scettico per anni aveva tentato di smontare metodologicamente il "SIR all'amatriciana" o il "latinorum caotico", non stava correggendo errori scientifici ma tentando di applicare criteri di falsificazione a performances di scienza-segno.

Il testo di Claude identifica con precisione la trappola epistemologica: credere di trovarsi di fronte a proposizioni scientifiche mal formulate, quando invece si tratta di "equazioni metaforiche" - manifestazioni di un linguaggio che ha abbandonato ogni pretesa descrittiva mantenendo l'apparenza formale della matematica. Non errori da correggere, ma rappresentazioni teatrali che mimano i gesti della scienza senza averne la sostanza.

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Il diritto internazionale ancora nello schema vincitori e vinti

di comidad

Molti hanno notato che nella famosa foto in cui il generale Vannacci esibisce trionfalmente una cernia, la sola ad avere un’espressione intelligente è proprio la cernia. In base a questa osservazione fattuale, sono sorti gravi sospetti sulla effettiva capacità del generale di riuscire a pescare la cernia in oggetto. Con tutta probabilità il Vannacci si è quindi procurato la preda in qualche mercatino del pesce, per poi farne oggetto di pubblica esibizione. D’altra parte le millanterie e le spacconate dei pescatori sono diventate proverbiali e persino un topos letterario, per cui si sta parlando di aspetti da trattare con umana comprensione. Più preoccupante invece è il fatto che il generale abbia voluto attribuire una valenza simbolica e politica al maltrattamento di un animale, salvo poi ridicolizzare chi gli ha fatto notare la viltà di quel gesto. Se ce l’hai con la sinistra, prenditela con la sinistra, non con gli animali, che notoriamente non votano e non possono essere eletti.

La narrativa di Vannacci vorrebbe scaricare la colpa della denatalità sugli ardori animalisti e transgender, come se non c’entrassero niente la cronica stagnazione economica, i fitti e le bollette alle stelle, la precarizzazione del lavoro e la perdita di ogni speranza che le cose in futuro possano almeno non peggiorare. Se qualche volta si riesce nella titanica impresa di non interrompere le persone mentre parlano, tanti maschietti trentenni si lasciano sfuggire che il loro vero timore è che i loro eventuali figli possano un domani rinfacciargli di essere disoccupato o di guadagnare troppo poco.

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Nord stream. Gli Usa a nudo alle Nazioni Unite

di Fabrizio Poggi

Botta e risposta alle Nazioni Unite tra i rappresentanti euroatlantici e quelli di Russia e Cina sulla questione del sabotaggio al North stream. Gli Stati Uniti, non senza fondamento sospettati di aver organizzato l'attentato del settembre 2022 ai due rami del gasdotto, hanno chiesto di non sollevare più la questione alle riunioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Ci si deve affidare, dicono, al lavoro della Procura tedesca che, dopo l'arresto in Italia dell'ex capitano del SBU ucraino Sergej Kuznetsov, proseguirà le indagini dirette, con ogni evidenza, a dimostrare in partenza l'esclusivo coinvolgimento di un gruppo di incursori ucro-europei nel sabotaggio che ha interrotto le forniture di gas russo all'Europa e principalmente proprio alla Germania.

Gli Stati Uniti respingono i «tentativi di politicizzare la questione e anticipare i risultati della procedura in corso» ha detto la rappresentante yankee all'ONU, Dorothy Shea. Non si deve sottrarre tempo al Consiglio di sicurezza, ha detto in sostanza, per parlare di un incidente di tre anni fa, quando invece ci si deve concentrare sulla questione ucraina; come se le due questioni non siano strettamente connesse, specialmente dal punto di vista degli interessi finanziari USA. Così, Washington indica agli “alleati” che l'unica strada da seguire è quella di non mettere in dubbio né l'andamento giudiziario tedesco, né il corso delle “indagini” condotte da alcuni paesi europei e non c'è proprio bisogno che il Consiglio perda tempo su tali questioni. Il Presidente Trump, ha detto Shea «è concentrato su un obiettivo: garantire una pace negoziata e duratura in Ucraina per porre fine alle sofferenze umane. Invitiamo anche la Russia a concentrarsi su questo obiettivo».

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bastaconeurocrisi

Che cosa tiene in piedi il baraccone

di Marco Cattaneo

Per approfondire il tema dell'ultimo post: se nessuno è in grado di spiegare sensatamente a che cosa dovrebbe servire l’integrazione politica europea e (tema connesso) l’Unione Europea, che dovrebbe esserne il prodromo, è anche legittimo chiedersi perché la UE nel frattempo continui a esistere (e a fare danni).

Vilfredo Pareto probabilmente chiamerebbe in causa “la persistenza degli aggregati” cioè l’inerzia che tende a mantenere in essere le istituzioni e le strutture sociali, anche dopo che se ne è ampiamente constatata l’inutilità e anzi la nocività. 

Ma penso che si possa affermare qualcosa di più specifico.

Il baraccone, cioè la UE, resta in piedi perché ha acquisito una capacità di influenzare le decisioni politiche dei paesi membri che una serie di gruppi di potere riescono a manovrare a loro vantaggio.

E chi ha questa capacità di manovra ovviamente conta di più, a priori e a maggior ragione a posteriori, di chi non ne ha.

La UE è uno strumento che gli stati membri grandi utilizzano a loro vantaggio più dei piccoli; le nazioni con un establishment compatto e coeso più di quelle con una classe dirigente frazionata e litigiosa; le grandi istituzioni finanziarie più di quelle di minori dimensioni; le grandi aziende più delle PMI.

Esiste quindi un ampio ventaglio di interessi specifici che almeno fino a oggi valutano di poter ricavare vantaggi propri; vantaggi per loro pesano in positivo più delle pesantissime disfunzioni del sistema.

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fuoricollana

Il Parlamento europeo è vivo e finge di lottare insieme a noi!

di Andrea Guazzarotti

Era stato annunciato in primavera: il Parlamento europeo (PE) non accetta di essere scavalcato nella politica di riarmo dell’Europa patrocinata da Consiglio e Commissione! Oggi, finalmente, il Parlamento batte un colpo e chiede addirittura l’annullamento del regolamento SAFE, rientrante nel pacchetto Rearm Europe-Readiness 2030 presentato dalla Commissione in primavera e acclamato dallo stesso Parlamento europeo (Guazzarotti). Il SAFE consiste nell’emissione di debito pubblico europeo per finanziare – a prezzi calmierati per i governi più deboli sui mercati – il riarmo dei singoli Stati (non certo per quello dell’inesistente difesa comune europea). Ebbene, il PE chiede, sì, alla Corte di giustizia l’annullamento di tale regolamento, ma solo perché adottato secondo la procedura d’urgenza di cui all’art. 122 TFUE (con cui, ad es., fu approvato il NGEU), che non prevede il coinvolgimento del Parlamento, nel suo ruolo di seconda Camera accanto al Consiglio (i governi degli Stati). Contemporaneamente, il PE chiede alla stessa Corte di giustizia di mantenere gli effetti del regolamento impugnato fino alla sua successiva sostituzione con altro regolamento equivalente approvato stavolta anche dal PE. Come emerso da plurime deliberazioni della Plenaria del PE, infatti, i parlamentari sono entusiasti, nella loro maggioranza, del riarmo europeo, ma non accettano che venga minata «la legittimità democratica agli occhi dell’opinione pubblica. Non esiste un Parlamento al mondo che lo accetterebbe». Il SAFE, sottolinea il PE, gode del pieno sostegno del PE: «(r)iconosciamo la sua importanza per l’Europa, per l’Ucraina e per tutti noi».

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lafionda

Strabismo, malattia mortale del pacifismo

di Ennio Bordato

Le Nazioni Unite definiscono il genocidio come “una negazione del diritto all’esistenza di interi gruppi umani”. In altri termini, un piano coordinato di più azioni teso a distruggere le fondamenta essenziali della vita di gruppi nazionali. Nell’aprile del 2014, con l’inizio dell’ATO (Operazione antiterrorismo) contro i propri cittadini delle regioni sud-orientali (Donbass), il governo ucraino iniziava a concretizzare la volontà genocidiaria contro le popolazioni russofone delle regioni di Donezk e Lugansk ree, dopo anni di diritti negati, di aver votato conformemente alla Carta ONU un referendum sulla propria autodeterminazione.

Le azioni messe in campo da Kiev, con il concreto sostegno di Nato, UE e governi italiani sin qui succedutisi, sono state molteplici e rientrano tutte nel campo delle azioni genocidarie. “Perché noi avremo il lavoro e loro no, perché noi avremo le pensioni e loro no, noi avremo i sussidi per i bambini, le persone, i pensionati e loro no, i nostri figli andranno negli asili e nelle scuole, i loro vivranno nelle cantine. Perché non sanno fare niente” disse pubblicamente, senza alcuna contestazione da parte dei paesi “democratici”, l’allora presidente ucraino Poroshenko. E lo fecero. Kiev cessò di erogare salari, pensioni, sussidi, previdenze, iniziò a distruggere e danneggiare intenzionalmente le proprietà individuali e pubbliche. Bloccò l’erogazione di energia elettrica, gas e acqua potabile che servivano la popolazione del Donbass. Sviluppò azioni terroristiche – omicidi – contro i rappresentanti popolari, assassini, violenze, maltrattamenti della popolazione civile, bombardamenti sistematici mirati di obiettivi civili, scuole, ospedali, asili, orfanotrofi, abitazioni private.

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lantidiplomatico

La Grande Bufala contro il Venezuela: la geopolitica del petrolio travestita da lotta alla droga

di Pino Arlacchi

Durante il mio mandato alla guida dell'UNODC, l’agenzia antidroga e anticrimine dell’ONU, sono stato di casa in Colombia, Bolivia, Perù e Brasile ma non sono mai stato in Venezuela. Semplicemente, non ce n'era bisogno. La collaborazione del governo venezuelano nella lotta al narcotraffico era tra le migliori del continente sudamericano, pari soltanto a quella impeccabile di Cuba. Un dato di fatto che oggi, nella delirante narrativa trumpiana del "Venezuela narco-stato", suona come una calunnia geopoliticamente motivata.

Ma i dati, quelli veri, che emergono dal Rapporto Mondiale sulle Droghe 2025 dell'organismo che ho avuto l'onore di dirigere – raccontano una storia opposta a quella che viene spacciata dall’ amministrazione Trump. Una storia che smonta pezzo per pezzo la montatura geopolitica costruita attorno al "Cartel de los soles", un'entità tanto leggendaria quanto il mostro di Loch Ness, ma adatta a giustificare sanzioni, embarghi e minacce di intervento militare contro un paese che, guarda caso, siede su una delle più grandi riserve petrolifere del pianeta.

 

Il Venezuela secondo l'UNODC: Un paese marginale nella mappa del narcotraffico

Il rapporto 2025 dell'UNODC è di una chiarezza cristallina, che dovrebbe imbarazzare per chi ha costruito la retorica della demonizzazione del Venezuela.

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officinaprimomaggio

Sullo sgombero del Leoncavallo

di Sergio Fontegher Bologna

Com’era prevedibile, alla proditoria azione di sgombero attuata dal Ministero per giocare d’anticipo e bloccare a) una programmata azione di mediazione del Comune di Milano con la ricerca di una nuova sede, b) un ricompattarsi di quel che resta del “movimento” al rientro dalle ferie, è seguito un dibattito sulla stampa e sui social dove se ne leggono di tutti i colori e s’aggiunge confusione a quella che già ammorba da tempo lo spazio pubblico.

Nella speranza di diradare un po’ di questa nebbia fitta mi permetto di fare qualche osservazione. Tanto per cominciare: un minimo di memoria storica non fa mai male.

I “centri sociali” sono nati negli anni Settanta come contenitori di una conflittualità e di un antagonismo sociale che non trovava spazi adeguati nemmeno nei gruppi extraparlamentari, erano già espressione di una generazione successiva al ’68. Non a caso prenderanno slancio dopo il ’77 e in particolare negli anni della grande repressione e della sconfitta operaia, quindi nei decenni Ottanta e Novanta.

Ci cresceranno i nostri figli, che oggi hanno più di 50 anni, troveranno un luogo dove mantenere certi valori, dove difendersi da certi pericoli (la droga pesante), dove cominciare a produrre e consumare una nuova cultura, che fu chiamata cultura underground, dove trovare situazioni affini quando andavano all’estero, in Germania, negli Stati Uniti, cioè nei paesi a capitalismo avanzato, dove trovare chi li rendeva famigliari con le nuove tecnologie, con quell’universo chiamato web, con il movimento dei cyberpunk, degli hacker.

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Scienza e lotta di classe

di Alessandro Bartoloni

La questione vaccini è tornata al centro dell’attenzione con la nomina di Paolo Bellavite ed Eugenio Serravalle nel Gruppo tecnico consultivo nazionale sulle vaccinazioni, il cosiddetto NITAG. I due sono accusati di essere NOVAX e malgrado il gruppo sia composto di ventidue membri, la levata di scudi da parte delle associazioni di categoria e dell’asinistra sedicente progressista ha costretto il ministro a fare marcia indietro. Dall’altra parte, in molti hanno espresso solidarietà ai due malcapitati. Nessuno, tuttavia, sembra essersi soffermato su due contraddizioni che fanno assumere alla questione i connotati tipici dello scontro interno alla classe dominante.

La prima è che i due hanno accettato di far parte di un gruppo di lavoro che il ministro Schillaci si è guardato bene dal riformare. Il NITAG prevede, tra le altre cose, di studiare i “comportamenti di rifiuto o di diffidenza verso le vaccinazioni al fine di elaborare strategie mirate al miglioramento della copertura” (art. 1, comma 4, lettera b) del Decreto 29 settembre 2021). Al contrario, il NITAG non può occuparsi dell’efficacia e degli eventi avversi dei vaccini. In altre parole, è come se due vegetariani fossero nominati a far parte di un gruppo impegnato istituzionalmente a capire come aumentare il consumo di carne. Pertanto, il dubbio che queste due nomine siano state una mera marchetta politica è forte e legittimo.

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lantidiplomatico

La (sospetta) tempistica della traccia ucraina nel sabotaggio ai North stream 1 e 2

di Fabrizio Poggi

Non è certo un mistero per nessuno che le cosiddette “operazioni di polizia” (o dei carabinieri: non è questo il punto), nonostante vengano quasi sempre presentate come colpi portati a termine grazie a “circostanze fortuite”, verificatesi all'ultimo momento, nascondono in realtà tempistiche ben più ampie e, soprattutto, rispondono a logiche politiche che ne decidono modalità e cronologia.

Ora, stando alle cronache, anche dei fogli di regime, gli spostamenti in giro per l'Europa dell'ucraino Sergej Kuznetsov, uno dei sei elementi coinvolti nell'affare del sabotaggio ai North stream 1 e 2, erano seguiti da tempo dalle polizie di vari paesi e il fatto che si sia proceduto solo pochi giorni fa al suo arresto non è certo dovuto alla circostanza di volerlo cogliere, come si dice, stravaccato in pigiama su una spiaggia riminese. La tempistica dell'operazione risponde a una precisa logica “europeista”, legata con ogni probabilità ai piani di liquidazione (forse non ancora fisica) del jefe de la junta nazigolpista ucraina, Vladimir Zelenskij.

A parere dell'osservatore militare Konstantin Sivkov, si tratterebbe di uno “scambio” proposto dalle cancellerie europee a Mosca, per cui si offre la defenestrazione di Zelenskij, in cambio del consenso russo a delle “semplici” condizioni: L-DNR restano alla Russia per intero; le regioni di Kherson e Zaporož'e solo per metà. Ma, per giustificare l'eliminazione di Zelenskij e della sua banda, è necessario creare una parvenza di legalità, così che l'arresto di Kuznetsov potrebbe costituire il prologo di una campagna per mettere sotto accusa Zelenskij e i suoi, in particolare il SBU, nella persona di Kirill Budanov.

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linterferenza

 

L’Europa non ha un ruolo perché ha scelto un modello sbagliato. Quello di Mario Draghi

di Alessandro Volpi

Riceviamo e volentieri pubblichiamo:

L’intervento di Mario Draghi al Meeting di Rimini il 22 agosto è stato, come di consueto, oggetto di infiniti elogi, dai “progressista di sinistra” alla Nicola Zingaretti fino ai liberal di destra. In realtà un latore forse meno encomiastico farebbe emergere almeno due elementi discutibili.

Il primo. Draghi sostiene che Trump e l’attuale situazione dimostrano che non basta all’Europa essere una potenza economica per avere un ruolo internazionale vero. Ora, a questo riguardo, verrebbe da obiettare proprio citando il noto “Piano Draghi” che l’Europa ha smesso da tempo di essere una potenza economica. I flussi finanziari europei, a partire dal risparmio, vanno nelle Borse americane e gli effetti della globalizzazione hanno trasferito i sistemi produttivi fuori dal continente spostandoli in Cina e nel cosiddetto “Sud globale”, dove ora albergano le potenze economiche. Il neoliberalismo, di cui Draghi è stato ed è un esponente chiave, ha assegnato all’Europa il ruolo di realtà terziarizzata, con servizi caratterizzati da bassissime retribuzioni, dipendente appunto dalle Borse Usa in termini finanziari e dal mercato estero per le proprie sempre più povere produzioni.

Quindi dov’è la potenza economica europea? I consumi sono diminuiti, gli investimenti anche e la concentrazione della ricchezza è esplosa.

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sollevazione

Evaporazione

di Leonardo Mazzei

A.D. 2025, piccole verità crescono.

«Per anni l’Unione europea ha creduto che la dimensione economica, con 450 milioni di consumatori, portasse con sé potere geopolitico e nelle relazioni commerciali internazionali. Quest’anno sarà ricordato come l’anno in cui questa illusione è evaporata».

Evaporazione! Così ha parlato il “Vile affarista” (copyright Francesco Cossiga) al meeting dei ciellini a Rimini. Un’ammissione sostanziata da innumerevoli ovvietà: l’Ue ha dovuto subire i dazi americani, aumentare le spese militari nelle forme dettate da Washington, mentre il suo peso sulle grandi questioni internazionali dell’ultimo periodo (Ucraina, Gaza, bombardamento dell’Iran) è stato – parole sue – “abbastanza marginale”. Da qui la sensazionale scoperta che la dimensione economica da sola non basta per assicurarsi quel potere geopolitico tanto ambito. Da qui la confessione di un’Unione europea irrimediabilmente subalterna agli Usa.

Domanda: ma Draghi finora dov’era? Davvero dovremmo credere alla storiella secondo cui solo ora ci si rende conto delle panzane raccontate per decenni? Ove volessimo crederci, quelli come lui dovrebbero andarsi a nascondere da qui all’eternità; qualora invece si propenda (come naturale) verso l’ipotesi della piena consapevolezza, dunque della menzogna continuata e aggravata delle oligarchie euriste, l’unica risposta minimamente seria avrebbe da essere la cacciata immediata a calci nel sedere.

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UCRAINA/ “Ecco il piano Usa per attribuire la loro sconfitta all’Ue. E l’incontro Putin-Zelensky non ci sarà”

Paolo Rossetti intervista Alberto Bradanini

L’enfasi di Trump sulla svolta per la pace nasconde la verità: l’accordo Ucraina-Russia è difficile. E Mosca sa che alla fine vincerà sul campo

Nelle trattative per la pace in Ucraina, quello che è cambiato veramente è che gli USA hanno capito di essere stati sconfitti, riconoscendo che il tentativo di mettere in difficoltà la Russia attraverso la guerra in Ucraina è fallito. Una presa di coscienza che non può comportare un’ammissione esplicita, tanto che gli americani cercano di presentarsi come parte terza, pur essendo gli artefici del conflitto, scaricando su Zelensky la responsabilità di un accordo per la cessione di territori che resta lontano.

Il tanto sbandierato incontro Putin-Zelensky, spiega Alberto Bradanini, ex ambasciatore italiano in Cina e in Iran, potrebbe non tenersi affatto; se anche ci fosse, le distanze fra russi e ucraini rimangono intatte. La guerra, insomma, potrebbe continuare, con gli europei che pagheranno le armi per Kiev comprandole dagli americani, anche se alla fine il ritmo di produzione da parte dell’Occidente sarà troppo lento per sostenere gli sforzi militari.

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lariscossa

Andava combattendo ed era morto

di Matteo

Questi giorni sono caratterizzati da alcuni elementi che si stanno muovendo in modo sotterraneo, ma potrebbero essere collegati strettamente.

Repubblica il 21 agosto pubblica un’intervista al giornalista ebreo Nathan Thrall, che smonta tutta la narrazione sionista. Il Sole 24 Ore in un articolo di Ugo Tramballi invoca le sanzioni a Israele.

È solo palwashing [1] o si sta muovendo qualcosa di più grosso?

Il servizio britannico di intelligence all’estero MI6 ha espresso insoddisfazione riguardo allo stato delle «relazioni speciali» con i servizi segreti statunitensi” (The Observer)

Ma che succede?

Poi arriva la spiegazione, per chi la sa leggere.

È il tentativo disperato delle oligarchie europee per uscire dalla trappola mortale in cui gli USA (prima Biden e oggi Trump) li hanno cacciati [2].

Due messaggi in codice.

Il primo. Mario Draghi è intervenuto il 22 agosto a Rimini al Meeting di Comunione e Liberazione. I commenti del giorno dopo sono, come sempre di massima, destinati a guardare il dito e non la luna.

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contropiano2

Le ambiguità della “pace giusta”

di Sergio Cararo

Tutti vogliono che la guerra in Ucraina finisca ma serve una pace giusta e duratura”. A fare la sottolineatura è stato il premier britannico Keir Starmer prima di arrivare a Washington per il vertice “largo” tra volenterosi europei e Trump.

Dal canto suo anche la Meloni ha dichiarato nei giorni scorsi che è emersa una forte unità di vedute nel ribadire che una pace giusta e duratura non può prescindere da un cessate il fuoco, dal continuo sostegno all’Ucraina, dal mantenimento della pressione collettiva sulla Russia, anche attraverso lo strumento delle sanzioni, e da solide e credibili garanzie di sicurezza ancorate al contesto euroatlantico”.

Il concetto di “pace giusta” viene dunque agitato come un randello dai governi europei impegnati nella guerra in Ucraina contro le ipotesi di “pace possibile” che vengono invece evocate da Trump e da altri paesi come Cina, India, Brasile, Turchia. Qualcuno evoca il modello delle due Coree che si regge da decenni su un armistizio che ha messo fine alla guerra ma non su un vero e proprio trattato di pace.

Sul teatro di guerra in Ucraina, la situazione sul campo e gli inviti al realismo vengono invece respinti come cedimento alle richieste russe, ragione per cui ogni passo avanti sulla strada della fine della guerra vede i governi europei – a cominciare da Gran Bretagna e Polonia – mettersi sistematicamente di traverso.

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lantidiplomatico

I burattini europei e le "garanzie di sicurezza"

di Marinella Mondaini

E quali sarebbero le “garanzie di sicurezza” per l’Ucraina? Quelle che vogliono confezionare i burattini europei? Entrare nell’Unione Europea, secondo i folli, “è fondamentale perché sarebbe una garanzia di sicurezza per l’Ucraina”. La Nato le garantirebbe la sicurezza?? Gli europei hanno addirittura escogitato di mandare truppe in Ucraina, (in sostanza la Nato) a "garantire la sicurezza".

Ma queste sono garanzie di guerra, guerra a oltranza e sanguinosa! La Russia ha avviato l’Operazione Speciale proprio per evitare tutto questo. Ma loro non capiscono.

O meglio, non vogliono capire.

Il Micron francese ha parlato con Erdogan dicendo: “il nostro obiettivo è fermare l’aggressione russa all’Ucraina”

La “madre cristiana e sovranista” ha proposto di difendere la cricca nazi sta di Kiev con un “Intervento entro 24 ore in caso di attacco in Ucraina” - “dettaglio” questo rivelato da Bloomberg. Si tratta di una clausola di sicurezza ispirata all'articolo 5 della Nato e sottoscritta dai Paesi alleati dell’Ucraina, che prevederebbe la risposta in un giorno! I furbi hanno escogitato insomma una "Nato light", confezionata su misura per l'Ucraina. E pensano, i folli, che la Russia abboccherà e permetterà ciò?

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sinistra

Trump e la fine dell’ipocrisia liberista: una teoria della disvelazione

di Roberto di Luzio

Nel panorama politico contemporaneo, la figura di Donald Trump ha suscitato reazioni polarizzate, spesso ridotte a una condanna morale o a una difesa identitaria. Ma al di là del giudizio personale, Trump rappresenta un fenomeno teorico che merita attenzione: egli non è l’antitesi del neoliberismo, bensì la sua manifestazione più esplicita e disinibita. In questo senso, la sua ascesa può essere interpretata come un momento di disvelamento — una rottura dell’ipocrisia che ha per decenni mascherato la vera natura dell’egemonia del neoliberismo, di cui gli Stati Uniti rappresentano il caposaldo.

Il liberismo democratico, soprattutto nella sua versione anglosassone, ha costruito un’immagine di sé fondata su valori universali: libertà, diritti, meritocrazia, efficienza. Ma questa narrazione ha sempre convissuto con pratiche imperiali, diseguaglianze strutturali e una mercificazione crescente di ogni aspetto della vita. Trump, con la sua retorica brutale e il suo decisionismo economico, non fa che portare alla luce ciò che era già presente: l’identificazione tra mercato e società, tra potere e profitto, tra nazione e dominio.

La sua politica estera, i dazi, il disprezzo per le convenzioni multilaterali, non sono una deviazione dal modello liberista, ma la sua radicalizzazione. In questo senso, Trump rompe con l’ipocrisia del soft power e rivendica apertamente il primato dell’interesse nazionale, del potere economico e della cultura americana come forma di egemonia globale. È una forma di “americanismo” senza maschera, per usare un’espressione cara a Costanzo Preve. 

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arianna

Ue e Kiev corrono verso la disfatta

di Fabio Mini

Illusioni e consigli sbagliati all’alleato ucraino portano i leader europei ad autoescludersi da ogni trattativa con Mosca. Trump lo sa bene e ha già risolto con Putin le questioni che interessano agli Usa

Ricapitolando, non i fatti di questi tre anni e mezzo di guerra, poiché i lettori di questo giornale hanno avuto il privilegio di avere informazioni corrette giorno per giorno. Per quanto la censura europea consentisse. Non le analisi che questo giornale ha pubblicato ribaltando le narrazioni prevalenti e smontando le menzogne che pseudo-analisti “d’alto ingegno perché d’alto lignaggio” avallavano seguendo le direttive euroatlantiche che poi erano quelle ucraine. Ricapitolando, quindi, i risultati degli ultimi 15 giorni di guerra e di attività politico-diplomatiche, si nota sul fronte ucraino la costante pressione militare russa contro le organizzazioni difensive ucraine ormai ridotte a un colabrodo grazie alla tattica dei mille tagli adottata dai russi. Il termine evoca la famosa tortura cinese di tagliare brandelli di carne senza far morire il condannato, ma come tattica militare è la riesumazione del vecchio progetto occidentale del Supc (Small Unit Precision Combat) ideato per colpire a grande distanza obiettivi limitati previa acquisizione del dominio dell’aria e perfetta organizzazione operativa e logistica. Tattica che non è mai stata applicata dalle forze tradizionali in nessun teatro di guerra perché troppo intelligente e dispendiosa e perché non assicurava il mantenimento delle posizioni acquisite. E tuttavia è stata la tecnica usata dai raid di forze speciali o degli stessi terroristi a Mumbai e alle Torri gemelle.

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nicomaccentelli

Strazzami, ma di bombe saziami…

di Nico Maccentelli

Mentre Trump scende a patti con i poteri che hanno gestito il deep state USA, ossia la triade Black Rock, State Street e Vanguard, e procede a vassallare l’Unione Europea, le cancellerie del vecchio continente che dirigono le danze per la guerra atlantista in Ucraina, capitanate da Gran Bretagna, Francia e Germania e le euroburocrazie rappresentate dalla Von Der Leyen, manovrano per boicottare il più che palese accordo strategico dell’amministrazione USA con la Russia, che cambierà gli scenari internazionali, le alleanze, nello sviluppo inarrestabile del multipolarismo.

Questo il quadro generale detto molto in sintesi, anche non volendo mangiare pane e Volpe, riferito all’economista Alessandro, che con i suoi interventi descrive in modo puntuale da Ottolina TV la situazione sempre più sottomessa per l’UE, che ci sta riducendo sempre più a colonia della potenza finanziaria USA. Altro che polo imperialista! L’ininfluenza internazionale, le decime neofeudali a USA, unite al riarmo delirante per ragioni inesistenti (la Russia non vuole andare a Lisbona, caro Calenda), porteranno alla tempesta perfetta nel continente nella distruzione di quel che resta degli stati sociali, tra privatizzazioni e ricchezza sociale destinata ai piani bellici, a partire dai paesi più deboli come il nostro.

E in tutto questo certa sinistra come reagisce, come analizza la situazione? Sono capitato su un ottimo intervento di Antonio Mazzeo dal titolo Eurosinistrati, pubblicato su Sinistrainrete lo scorso 20 agosto e proveniente da Sollevazione. In detto articolo giustamente Mazzeo stigmatizza il pezzo di Francesco Strazzari sul Manifesto:

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Le ambizioni dei “volenterosi” europei passano per la guerra in Ucraina

di Sergio Cararo

La conclusione o meno della guerra in Ucraina potrebbe ridisegnare la mappa del potere politico e di potere in Europa.

Se è vero che l’andatura del ritmo dei negoziati sembra essere indicato da Trump e Putin, è anche vero che i governi europei arruolatisi nella coalizione dei volenterosi sembrano voler sfruttare in ogni modo la guerra – e le sorti – dell’Ucraina per forzare quei passaggi di decisionalità che sono mancati fino a oggi.

Gran parte degli osservatori si limitano a segnalare le difficoltà europee dentro la crisi apertasi a est del continente, ma cominciano a emergerne anche altri che ne segnalano le finestre di opportunità per spingere in avanti quella che rimane l’ambizione inceppata all’autonomia strategica dagli Usa e a un ruolo assertivo.

Insomma un addio definitivo al soft power su cui gli europeisti si sono adagiati per decenni per dotarsi piuttosto di un hard power ritenuto vitale per la sopravvivenza politica, magari non più dell’Unione Europea come tale – e dei suoi meccanismi decisionali farraginosi come l’unanimità – ma della ambiziosa convergenza di un gruppo di paesi europei decisi a pesare di più come soggetto globale, insieme quando possibile, per progetti mirati quando necessario.

L’analista Moises Naim, per molti anni direttore di Foreign Policy, in una intervista su La Stampa ha visto un bicchiere mezzo pieno nel ruolo assunto dai “volenterosi” paesi europei nella guerra in Ucraina e la contrapposizione con la Russia.

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lantidiplomatico

La “pace” europeista irride le esigenze di sicurezza di Mosca e significa guerra

di Fabrizio Poggi

Ecco servita la “pace” che vogliono i furfanti europeisti: un esercito ucraino ancora più forte, armato con soldi europei e rimpinguato di armi yankee. Stando a Bloomberg, dopo l'incontro del 18 agosto alla Casa Bianca, USA ed Europa inizieranno immediatamente a lavorare per fornire garanzie di sicurezza all'Ucraina, volte a rafforzarne le forze armate.

Le fonti citate da Bloomberg sottolineano che l'obiettivo è proprio quello di eludere le richieste russe sulla limitazione delle forze armate ucraine nel quadro del futuro accordo di pace. Al contrario, le garanzie saranno «incentrate sul rafforzamento delle forze e delle capacità militari ucraine senza alcuna restrizione, come ad esempio quella di un limite al numero di truppe» e sarà compito della cosiddetta “coalizione dei volenterosi”, guidata da Gran Bretagna e Francia, assicurare tali garanzie. Lo aveva del resto detto, demonia von der Leyen, che l'Ucraina deve trasformarsi in un "porcospino d'acciaio" che nessun aggressore possa digerire. La guerra: ecco ciò a cui lavorano gli avvoltoi delle cancellerie europeiste.

E non dimentichiamo che il 18 agosto, a Washington, erompe impettito il signor Giuseppe Sarcina sul Corriere della Sera, gli europei hanno dimostrato di essere «in grado di tenere il punto, in difesa dei propri valori e dei propri interessi»: i valori liberal-terroristici di affamamento delle masse popolari e gli interessi del complesso militare industriale. Non fa una piega.

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L’irrealtà europea tra Kiev e Mosca

di Barbara Spinelli

In attesa del vertice trilaterale fra Trump, Putin e Zelensky, o di precedenti incontri bilaterali Mosca-Kiev come preferirebbe Putin, occorrerà distinguere con precisione quel che separa l’apparenza dalla realtà.

L’accordo di cui Trump ha discusso lunedì a Washington – con Zelensky, i capi di Stato o di governo di cinque paesi europei, la Nato, la presidente della Commissione Ue – sembrerebbe chiaro: cessione alla Russia di gran parte dei territori perduti da Kiev (Donbass soprattutto), compresa la Crimea annessa nel 2014 quando Washington organizzò lo spodestamento del presidente Yanukovich, giudicato troppo filo-russo; solide garanzie di sicurezza, con una presenza di soldati francesi e inglesi in quel che resta dell’Ucraina, con eventuale copertura aerea e satellitare Usa; “riarmo forte” dell’Ucraina; fine degli aiuti militari Usa ma acquisto di armi statunitensi destinate a Kiev da parte degli Stati europei, per un totale di ben 100 miliardi di dollari (le spese sociali saranno ancora più tagliate); impegno a difendere l’Ucraina in caso di attacchi, “sul modello articolo 5” della Nato (l’attacco a un Paese è un attacco contro tutti) ma senza adesione alla Nato.

Tema preminente è stato la garanzia di sicurezza per l’Ucraina, com’è naturale. Ma neanche un cenno è stato fatto alle garanzie di sicurezza chieste da Mosca: garanzie non solo militari, ma concernenti i cittadini russi e russofoni, la cui lingua deve tornare a essere lingua ufficiale accanto a quella ucraina, secondo Putin. Mosca chiede anche la riabilitazione della Chiesa ortodossa canonica, illegalmente messa al bando da Zelensky nel 2024.

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Pensiero critico. Perché progressismo e sinistra perdono le elezioni?

di Álvaro García Linera*

Le sinistre e i progressismi al governo non perdono le elezioni a causa dei troll dei social network. Né perché le destre sono più violente, e tanto meno perché la gente che ha beneficiato delle politiche sociali è ingrata.

Le battaglie politiche sui social non creano dal nulla ambienti politico-culturali espansivi nelle classi popolari maggioritarie. Le radicalizzano e le conducono lungo percorsi isterici. Ma la loro influenza presuppone, in precedenza, l’esistenza sociale di un malessere generalizzato, di una disponibilità collettiva al distacco e al rifiuto delle posizioni progressiste.

Allo stesso modo, le destre estreme, autoritarie, fascistoidi e razziste sono sempre esistite. Vegetano in spazi marginali di militanza rabbiosa e chiusa in sé stessa. Ma la loro predicazione si espande a causa del deterioramento delle condizioni di vita della popolazione lavoratrice, della frustrazione collettiva lasciata da progressismi timorosi, o della perdita di status di settori medi.

E quanto a quelli che sostengono che la sconfitta sia dovuta all'”ingratitudine” di quei settori precedentemente beneficiati, dimenticano che i diritti sociali non sono mai stati un’opera di beneficenza governativa. Sono state conquiste sociali ottenute nelle strade e attraverso il voto.

Per tutto questo, senza alcuna scusa, un governo progressista o di sinistra perde le elezioni per i suoi errori politici.

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Qui la quarta di copertina

 

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Qui un estratto del volume

Qui comunicato stampa

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Qui una recensione del volume

Qui una slide del volume

 

2025 03 05 A.V. Sul compagno Stalin

Qui è possibile scaricare l'intero volume in formato PDF

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Qui quarta di copertina

Qui un intervento di Gustavo Esteva attinente ai temi del volume

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Qui una scheda del libro

 

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Qui la premessa e l'indice del volume

Cengia MacchineCapitale.pdf

Qui la seconda di copertina

Qui l'introduzione al volume

 

 

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Qui il volume in formato PDF

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Qui l'indice e la quarta di copertina

 

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Copertina Danna Covidismo.pdf

Qui la quarta di copertina

 

sul filo rosso cover

Qui la quarta di copertina

 

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CopeSra0.pdf

Qui una anteprima del libro

Copertina Ucraina Europa mondo PER STAMPA.pdf

Qui la quarta di copertina

Qui una recensione di Terry Silvestrini

Qui una recensione di Diego Giachetti

 

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Qui una presentazione del libro

 

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Qui una recensione di Giovanni Di Benedetto

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Qui la quarta di copertina

Qui una recensione di Ciro Schember

 

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Qui la quarta di copertina

 

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Qui la quarta di copertina

Qui l'introduzione

 

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Qui l'introduzione al volume

 

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Qui una recensione del libro

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Qui la quarta di copertina

 

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Qui la quarta di copertina

 

PRIMA Copertina.pdf

Qui la quarta di copertina

Qui una presentazione

 

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Qui una recensione di Luigi Pandolfi

 
Enrico Grazzini è giornalista economico, autore di saggi di economia, già consulente strategico di impresa. Collabora e ha collaborato per molti anni a diverse testate, tra cui il Corriere della Sera, MicroMega, il Fatto Quotidiano, Social Europe, le newsletter del Financial Times sulle comunicazioni, il Mondo, Prima Comunicazione. Come consulente aziendale ha operato con primarie società internazionali e nazionali.
Ha pubblicato con Fazi Editore "Il fallimento della Moneta. Banche, Debito e Crisi. Perché bisogna emettere una Moneta Pubblica libera dal debito" (2023). Ha curato ed è co-autore dell'eBook edito da MicroMega: “Per una moneta fiscale gratuita. Come uscire dall'austerità senza spaccare l'euro" ” , 2015. Ha scritto "Manifesto per la Democrazia Economica", Castelvecchi Editore, 2014; “Il bene di tutti. L'economia della condivisione per uscire dalla crisi”, Editori Riuniti, 2011; e “L'economia della conoscenza oltre il capitalismo". Codice Edizione, 2008

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Qui l'indice del libro e l'introduzione in pdf.

 

Mattick.pdf

Qui la quarta di copertina

Ancora leggero

Qui la quarta di copertina

Qui una recensione di Giovanni Di Benedetto

La Democrazia sospesa Copertina

Qui la quarta di copertina

Qui una recensione di Giuseppe Melillo

 

 

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Qui l'introduzione di Giuseppe Sottile

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