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La stanza 49, un noir che parla dell'Italia di oggi
di Domenico Moro
Nel 2022 avevo recensito Gli immorali, il romanzo d’esordio di un nuovo autore del panorama noir italiano, Fabio Nobile. A distanza di tre anni Nobile ci regala il suo secondo romanzo, La stanza 49 (Edizioni Efesto, euro 15).
Si tratta di una conferma della capacità di questo autore di utilizzare questa forma letteraria, il noir, non solo per farci passare qualche ora piacevole immersi in una lettura avvincente, ma anche per descrivere in modo acuto la società italiana odierna. Infatti, come dicevamo già in riferimento a Gli immorali, si tratta di un romanzo generazionale, che parla di una generazione, quella che era giovane negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, che oggi, nella maturità, si trova a fare i conti con una realtà molto diversa da quella che si aspettava.
Il protagonista della Stanza 49, come già in Gli immorali, è un “perdente”, Flavio Incerti, che fin dal nome rivela una fragilità nei confronti di una realtà che lo vede insoddisfatto e deluso. Incerti è un giornalista che sogna di fare quello scoop che lo porterebbe nell’olimpo del giornalismo, ma che è incastrato in un lavoro banale di rimasticatura di notizie altrui. L’insoddisfazione professionale è accompagnata da quella negli affetti, in particolare dal rapporto con la moglie Marina, manager affermata e di successo, che lo giudica un fallito e un incapace.
Per sfuggire a questa realtà, Flavio si invaghisce di una donna incontrata occasionalmente a una festa, Alice Diafani, intessendo con lei un rapporto virtuale fatto di messaggi via telefono, che diventa via via sempre più intimo.
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Kirk, bufale e boomerang
di Paolo Di Marco
Ci risiamo! Continuano a prenderci per idioti…
1- La versione ufficiale-FBI- dell’assassinio di Kirk sembra un film di Ridolini: il colpevole dichiarato, Tyler Robinson, arriva in macchina sotto l’edificio perfetto per il tiro, parcheggia e sale sul tetto con un enorme Mauser, invisibile ma supposto infilato smontato nello zainetto di 40×50 (??). Sul tetto si cambia (!sic), monta il fucile col cacciavite, spara un colpo solo mortale su Kirk che è di fronte a lui a 150m, smonta il fucile col cacciavite- che però dimentica lì, si cambia di nuovo (?!serve a far tornare i conti con le telecamere), scende dal tetto col fucilone nello zainetto (sempre invisibile), corre in vista della gente parcheggiata, si infila in un boschetto dove lascia il fucile montato (?senza il cacciavite che era rimasto sul tetto, con su il suo DNA, ma con intorno uno straccio che ha sempre il suo DNA-ma non il fucile); riprende la macchina, guida 300 miglia, appena arrivato a casa confessa tutto sui social, dove scrive anche dichiarazioni d’amore strampalate a un suo amico, poi confessa tutto al padre -che viene dichiarato ex poliziotto ma invece è imprenditore edile; il padre lo consegna subito all’FBI e incassa la taglia da un milione. E il colpevole è subito in prima pagina con l’FBI trionfante.
Possiamo pensare che questo pasticcio mal riuscito sia dovuto al fatto che il nuovo FBI di Patel sia pasticcione e incompetente come il suo direttore, ma conviene andare a vedere i fatti da vicino.
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Dal Tevere al Giordano: Gaza chiama Roma risponde
di Militant
L’indiscutibile riuscita della piazza di ieri ha relegato, almeno per il momento, ogni manovra da “piccolo cabotaggio” che aveva caratterizzato il movimento di solidarietà per la Palestina nel passato, generando una grande giornata di mobilitazione che ha esondato tutti i soggetti organizzati di movimento. Questo è stato possibile grazie a una straordinaria mobilitazione delle coscienze di fronte a un genocidio in corso e al rigetto della complicità totale e asservita di ogni singolo governo occidentale all’infame colonizzazione sionista.
La generalizzazione dello sciopero di ieri, che più che uno sciopero dei soli lavoratori, almeno a Roma, è stato uno sciopero sociale e politico “per Gaza” è un chiaro segnale per tutto il movimento che si batte al fianco della Resistenza palestinese in questo paese.
Il virtuosismo delle piazze del 22 settembre crediamo sia stato possibile principalmente grazie alla capacità che è stata dimostrata da larghi settori di movimento di intercettare il sentimento dominante nella società italiana rispetto alla questione palestinese – una diffusa solidarietà che trova paragoni solo episodici con altri paesi europei. A questo va sommato il sempre più profondo processo di scollamento tra la società italiana e il Palazzo, che vede la stragrande maggioranza della popolazione su sentimenti “filo-palestinesi” e “contro il massacro”, mentre il governo italiano segue inesorabilmente la parabola sionista ritrovandosi sempre più chiaramente in una condizione di isolamento.
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La funzione dell’URSS nel benessere collettivo occidentale
di Andrea Balloni
Fantasmi
Il fantasma dell’Unione Sovietica ha aleggiato per settant’anni sull’Occidente capitalista, togliendo il sonno ai grandi accumulatori di ricchezze che hanno dovuto confrontarsi costantemente con un esempio diverso di economia che non fosse necessariamente ed esclusivamente quella del “laissez faire” e del profitto privato.
La Rivoluzione Russa e la nascita di uno Stato comunista grande territorialmente e pieno di risorse furono un episodio che sfuggì al controllo della storia; qualcosa che non fu possibile arginare da parte dei ceti dominanti, colti di sorpresa. E tuttavia contro questo episodico esperimento sociale e politico, fu fin da subito scatenata una guerra totale e via via più raffinata; una guerra ibrida portata in profondità, fatta di propaganda e manipolazione del pensiero, boicottaggi, spionaggio, minacce e di guerra reale ove, dall’Asia al Sudamerica, si presentassero nuovi esperimenti di emancipazione delle masse lavoratrici, finché…
…il 25 dicembre 1991 venne abbassata definitivamente la bandiera rossa sul Cremlino: il grande capitale aveva vinto sul sogno socialista. La lotta di classe era finita e, come ebbe a dire Warren Buffett, “L’hanno vinta i ricchi”1. Il capitalismo trionfante dimostrava l’inadeguatezza della prassi economica comunista alla guida delle nazioni e per il benessere dei popoli.
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L'Asse russo-cinese apre la rotta marittima del Nord
di Giuseppe Masala
Varsavia chiude il confine con la Bielorussia bloccando il flusso di merci che dalla Cina arriva in Europa con la ferrovia e immediatamente la Cina risponde aprendo la Rotta Marittima del Nord che abbrevia ancora di più i tempi e i costi di trasporto dalla Cina all'Europa. Uno vero smacco per i filo atlantisti!
L'effetto politico-economico dello strano sconfinamento di droni russi nei cieli polacchi è stato certamente la chiusura del confine tra la Polonia e la Bielorussia. E' bene ricordare, innanzitutto che il confine polacco è peraltro un confine che delimita sia i territori sotto la “protezione” della Nato e soprattutto un confine anche dell'area economica retta dall'Unione Europea. Ed è proprio questo aspetto a rendere la decisione di Varsavia di rilevanza internazionale se non mondiale. Infatti la rotta “continentale” che le merci cinesi utilizzano per arrivare fino ai mercati europei passa proprio tra la Bielorussia e la Polonia dopo aver attraversato il Khazakistan e la Russia.
Quello di qui si parla è uno snodo vitale del commercio euroasiatico e in particolare per i produttori cinesi, ciò in considerazione del fatto che il 90% del traffico merci ferroviario tra Cina ed Europa passa proprio per il confine bielorusso-polacco e che sul piano economico-finanziario ha un valore di 25 miliardi di dollari che è peraltro in forte e costante crescita, sia come volumi che come impatto finanziario (Il corridoio nel 2024 ha rappresentato il 3,7% di tutto il commercio UE-Cina, rispetto al 2,1% dell’anno precedente).
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Dove siamo?
di Giorgio Agamben
All’inferno. Ogni discorso che non parta da questa consapevolezza è semplicemente privo di fondamento. I gironi in cui ci troviamo non sono disposti verticalmente, ma disseminati nel mondo. Ovunque gli uomini si associano, producono inferno. I gironi e le bolge sono dappertutto intorno a noi, che riconosciamo, come nei caprichos di Goya, i mostri e i diavoli che li governano.
Cosa possiamo fare in quest’inferno? Non tanto o non solo, come diceva Italo, custodire una parcella di bene, quello che nell’inferno non è inferno. Poiché è stata anch’essa, tutta o in parte, contaminata – in ogni caso no te escaparas. Piuttosto fermati, taci, osserva, e, al giusto momento, parla, spezza la cortina di menzogne su cui riposa l’inferno. Perché lo stesso inferno è una menzogna, la menzogna delle menzogne che impedisce il varco al non inferno, al lietamente, semplicemente, anarchicamente esistente. Al mai stato che l’inferno ogni volta ricopre col suo stato, come se non ci fosse altra possibilità al di fuori delle bolge e i gironi in cui ti hanno già sempre necessariamente iscritto. Sii tu il punto, la soglia in cui lo stato viene meno, in cui sorgivamente sbuca il possibile, la sola vera realtà. Il pensiero non consiste nel realizzare il possibile, come i demoni ti invitano a fare, ma nel rendere possibile il reale, nel trovare una via di uscita dall’ineluttabilità dei fatti che l’ideologia dominante cerca di imporre in ogni ambito – e innanzitutto nella politica.
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La decisione che cambia gli equilibri geopolitici in Medio Oriente
di Giuseppe Masala
Pakistan e Arabia Saudita firmano un patto difensivo scalzando di fatto gli USA dalla posizione di Dominus del Medio Oriente. La Cina guadagna posizioni nell'area avendo di fatto un'alleanza militare con Islamabad. Lentamente ma inesorabilmente il mondo multipolare sta vedendo la luce
Uno degli effetti più dirompenti causati dalla guerra “contro tutti” scatenata da Israele dopo gli attentati terroristici del 2023 è che si è diffusa nel mondo arabo la percezione che nessuno possa sentirsi al sicuro. Ciò vale anche se si tratta di paesi formalmente difesi dagli stessi Stati Uniti o da altri paesi occidentali.
Abbiamo visto infatti che, nel corso di questi terribili anni in Medio Oriente Israele ha bombardato la Siria, il Libano, lo Yemen, l'Iran e il Qatar. Ad aver generato il massimo scalpore nel mondo arabo sono stati i bombardamenti in Iran, che detiene delle forze armate molto forti dotate peraltro di un temibile arsenale missilistico e, naturalmente, l'attacco al Qatar, alleato di ferro americano in Medio Oriente, tanto da ospitare l'importante base aerea di Al-Udeid dove ha sede la US Combined Air Operations Center, Da notare peraltro, che questa base americana in Qatar fu bombardata come rappresaglia anche dall'Iran quando prima Israele e poi gli USA bombardarono i siti nucleari iraniani.
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L’ottavo fronte
di Enrico Tomaselli
Il giornalista statunitense Max Blumenthal ha felicemente definito così la guerra ibrida che Israele sta conducendo negli Stati Uniti, e che – per il momento – è essenzialmente incentrata sulla propaganda, ovvero sul controllo dei media. Gli USA sono l’insostituibile retrovia dello stato ebraico, senza il cui appoggio – economico, militare, politico e diplomatico – semplicemente scomparirebbe entro pochi mesi. Il controllo di questa retrovia, pertanto, è una questione vitale per Israele. Sino a ora, era stato possibile esercitarlo essenzialmente attraverso le lobbies sioniste in nord America – che sono due: una, quella rappresentata principalmente dall’AIPAC, costituita dai maggiori rappresentanti della comunità ebraica, ed un’altra, costituita da quelle chiese evangeliche che vedono in Israele una tappa fondamentale verso l’avvento di una nuova era di dio. E la seconda, da tempo, è non meno importante della prima. Queste due lobbies hanno sinora agito fondamentalmente su due livelli, il foraggiamento delle campagne elettorali (a qualsiasi livello) di esponenti politici decisamente schierati per Israele, e la diffusione di una narrativa che accomunerebbe i due paesi non solo per via di una comune radice culturale (quella giudaico-cristiana, che tanto piace anche a molti politici europei), ma anche per una presunta sovrapponibilità dei reciproci interessi strategici.
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La nuova resistenza a Usrael? Non solo memoria, ma utopia sperimentale
di Alessio Mannino
Dalla mia postazione con fucile a tappo, prendo spunto da un recente post di Andrea Zhok, una delle poche menti libere in circolazione, per suggerire al lettore una critica. “Oggi la vera, principale, essenziale resistenza”, sostiene il filosofo, “è la memoria, memoria che per rimanere vitale deve essere rielaborazione, e che deve rimanere strettamente legata ad una richiesta di giustizia inflessibile. Chi oggi non può sconfiggere il male, domani non deve dimenticarlo”. Zhok conclude così un denso e, in sé, del tutto condivisibile ragionamento che prende le mosse da una presa d’atto: la vittoria su tutta la linea, in questa fase, dei due veri Stati-canaglia che minacciano oggi l’umanità, Stati Uniti e Israele. E la minacciano, anzi la violentano nel senso di schiacciarne e renderne impotente l’attributo che rende umano un essere umano: la capacità di trattenere dall’oblio il ricordo del male. In questo caso, dell’arbitrio sfacciato con cui Usrael, il blocco a guida dell’Occidente, fa carne di porco non solo dei più elementari princìpi di dignità, ma direi proprio anche di quei sentimenti civili in antico sintetizzati nella parola pietas. Siamo giunti a un grado di empietà talmente sfacciata che su questa china perfino il concetto orwelliano di bipensiero, ovvero ritenere valide e associare due cose opposte – cioè per esempio chiamare “liberazione degli ostaggi israeliani” la pulizia etnica e l’occupazione della Striscia di Gaza – risulterà non più calzante. E tuttavia, salvare e tramandare ciò che è avvenuto non può bastare.
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Sistemi, belief systems, indipendenza, libertà di parola
di Il Chimico Scettico
https://youtu.be/ZO5u3V6LJuM
Considerazioni generali: negli anni ben pochi hanno fatto caso alla licenza Creative Commons sull'home page di questo blog: non commerciale - non opere derivate- unported. In soldoni significa che da questo blog non ho mai incassato un centesimo. Qualcuno mi ha fatto notare che questo è del tutto atipico nel contesto dell' "economia digitale". Non me ne può fregare di meno. Continuo a vivere tranquillamente della mia professione.
Per questo motivo ho francamente provato fastidio per le pubblicità e i product placement nei video di Sabine Hossenfelder. Ma mi sono tardivamente reso conto che lei, a causa di quel che dice, non ha più né una carriera né una professione.
E questo fatto da solo dovrebbe far pensare.
In poche parole oggi chi da dentro un sistema prende una posizione critica o divergente rischia l'espulsione dal sistema stesso con le relative conseguenze, tra cui la perdita del lavoro e delle affiliazioni.
Quando ciò avviene in ambito scientifico dimostra il fatto che larghi settori di molte discipline hanno gettato alle ortiche il metodo galileiano (non accettano la falsificazione) per trasformarsi in un sistema autoreferenziale e autogiustificato. un' ideologia, un sistema di credenze o meglio, in inglese, un belief system.
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Russia, Cina e la rotta dell’Artico
di Fabrizio Casari
La compagnia di navigazione Haijie Shipping Company ha inaugurato ieri il progetto artico cinese, denominato China-Europe Arctic Express. Si tratta di una connessione di navi portacontainer tra l’Estremo Oriente e l’Europa, lungo una rotta commerciale che attraversa l’Oceano Glaciale Artico invece dell’Oceano Indiano. Il China-Europe Arctic Express sarà operato dalla nave Istanbul Bridge, capace di trasportare 5.000 container per viaggio. Salpando dal porto di Quingdao (a nord di Shanghai), avrà come possibili destinazioni Felixstowe in Gran Bretagna, Rotterdam, Amburgo e Danzica.
La rotta riduce della metà i tempi di percorrenza (18 giorni invece di 28 passando per Suez) e i costi di consegna delle merci rispetto alle autostrade marittime che passano dall’Oceano Indiano fino al Mediterraneo. E tra i vantaggi di questo passaggio a nord-ovest sono c’è il fattore sicurezza: si evitano Mar Rosso e Canale di Suez, costantemente sotto la minaccia della pirateria e una rotta sicura riduce fortemente i costi assicurativi, oltre a quelli gestionali.
Benché al momento la rotta artica sia navigabile solo per alcuni mesi all’anno, gli scienziati cinesi e russi prevedono che a causa dello scioglimento dei ghiacci e della cantieristica navale specialistica, sarà sempre più navigabile.
La fase sperimentale procede a buon ritmo: il Centre for High North Logistics, un istituto norvegese che monitora la navigazione nei mari dell’estremo Nord, ha già registrato tra giugno e agosto il passaggio di 52 navi tra Vladivostok e San Pietroburgo.
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I baltici gridano al lupo (russo) per non perdere i dollari di Washington
di Gianandrea Gaiani
Allarmi per sconfinamenti quotidiani nei ristretti corridoi aerei del Baltico spacciati per attacchi aerei russi, le consuete (si tengono ogni 4 anni) esercitazioni Zapad tra russi e bielorussi presentate come una minaccia d’invasione contro cui erigere fortificazioni reticolati, campi minati, trincee e cavalli di Frisia.
La febbre bellica che attraversa la regione baltica coinvolgendo Estonia, Lettonia e Lituania questa volta non sembra dovuta solo alla tradizionale sensibilità anti-russa che anima le classi dirigenti di queste nazioni che peraltro esprimono ben tre dei più importanti commissari dell’Unione Europea.
Persino un osservatore attento e ben documentato, ma non certo tacciabile di “putinismo”, come il generale Leonardo Tricarico (già capo di stato maggiore dell’Aeronautica), ha rilevato ieri sul quotidiano “Il Tempo” che “è ormai la regola che eventi rientranti altrimenti nell’ordinaria quotidianità vengano ingigantiti nei loro contenuti negativi, caricati di significati eccessivi, in una irresponsabile gara a chi sia più convincente nel descrivere le prospettive nefaste dei vari accadimenti”.
Dietro gli allarmismi esagerati dei baltici e le richieste di attivare articoli 4 (e presto 5?) della NATO e di ricevere maggiore sostegno militare dagli alleati potrebbe nascondersi in realtà il timore di perdere presto gli aiuti militari gratuiti e il supporto militare degli Stati Uniti.
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Prepariamoci alla guerra
di Il Rovescio
Mentre i nostri occhi pieni di orrore sono per forza di cose puntati su Gaza, le cancellerie d’Europa – in testa la Commissione europea – sembrano fare di tutto per far precipitare la guerra contro la Russia. Nel giro di neanche un mese, abbiamo assistito alla reintroduzione della leva militare in Germania (al momento volontaria, ma con «opzione di obbligo» nel caso non si raggiunga un numero sufficiente di arruolati); al clamore mediatico – dal chiaro linguaggio bellicista – sull’incontro tra Putin, Xi Jinping e Kim Jong-un a Pechino; alla fake news sul sabotaggio mai avvenuto all’aereo di Ursula von der Leyen nei cieli della Bulgaria; alla circolare per la militarizzazione degli ospedali in Francia (seguìta in questi giorni da un’analoga disposizione in Italia) e, infine, all’episodio dei droni “russi” (virgolette d’obbligo, perché su questa notizia sono più i dubbi che le certezze) in parte caduti e in parte abbattuti dalla contraerea polacca all’interno dei propri confini. Nelle stesse ore in cui il governo della Polonia convocava i vertici della NATO attivando l’articolo 4 dell’Alleanza, Ursula von der Leyen, nel suo quinto discorso sullo stato dell’Unione Europea, pronunciava parole inequivocabili: «l’Europa deve combattere» all’interno di «uno scontro per il nuovo ordine mondiale basato sul potere», e rilanciava nuovamente la necessità di una «economia di guerra». Nello stesso discorso, Von der Leyen ha dichiarato anche che il massacro a Gaza «non è più accettabile» – come se lo fosse fino al giorno prima… – paventando delle «sanzioni parziali» contro Israele. A strettissimo giro, è cominciata la missione «Sentinella dell’Est», con lo schieramento di 40.000 soldati polacchi, nonché di sistemi d’arma della NATO (aerei da bombardamento, fregate, radar), sui confini russi e bielorussi, mentre viene ipotizzata una «no fly zone» sulla parte occidentale dell’Ucraina.
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Alcune considerazioni su giustizia e libertà dialettica
di Andrea Zhok
La vicenda “Charlie Kirk” è meritevole di riflessione non tanto con riferimento al personaggio in sé, per cui personalmente, non essendo americano, nutro un modesto interesse, ma per ciò che le reazioni alla sua morte hanno consentito di scorgere.
Come ampiamente discusso nei giorni scorsi, una significativa fetta di persone con pedigree “progressista” o “di sinistra” ha espresso soddisfazione, comprensione o giustificazione per l’omicidio. Il filo del ragionamento in questi casi è stato, più o meno: “Era una persona orribile con opinioni orribili, dunque il mondo è un posto migliore senza di lui.”
Ora, non mi interessa qui entrare in una valutazione circa se o quanto il soggetto fosse davvero orribile, o non fosse magari vittima di maldicenze e fraintendimenti. Supponiamo pure per un momento che fosse davvero la persona orribile che taluni ritengono fosse.
Il punto di fondo è: rispetto a una persona con opinioni orribili, è GIUSTO metterla a tacere con la violenza? Notiamo che “metterla a tacere con la violenza” potrebbe anche non passare necessariamente per un omicidio. Potrebbe essere carcerazione, minaccia, ricatto, o altre forme di violenza.
Qui ci sono due livelli di argomentazione. La prima potremmo chiamarla “kantiana” e implica che è intrinsecamente sbagliato usare violenza contro un’opinione, per quanto pessima venga ritenuta.
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Menzogne europee sulle due guerre
di Barbara Spinelli
Mentre la Commissione europea propone il 19° pacchetto di sanzioni contro la Russia, e continua a ripetere gli identici errori commessi in passato – armare ulteriormente l’Est della Nato e Kiev, in modo che Mosca si senta ancor più minacciata e prosegua la brutale offensiva in Ucraina – nulla di paragonabile accade sul fronte medio orientale, dove lo Stato d’Israele sta liquidando i palestinesi a Gaza, ed è pronto ad annettere quasi tutta la Cisgiordania oltre a Gerusalemme Est, occupate dal 1967.
Se si eccettuano Spagna e Irlanda, inflessibili con Netanyahu, alcune sanzioni europee sono suggerite, ma niente blocco dell’invio di armi. E niente esclusione da Horizon: le sovvenzioni a Israele del programma scientifico europeo ammontano a 100 milioni di euro, più 442.750 milioni per l’azienda militare Rafael. Sono contro l’esclusione Italia, Germania, Austria, Repubblica Ceca, Ungheria. Un video promozionale di Rafael mostra il drone Spike FireFly (pagato da noi europei) che colpisce un civile palestinese inerme.
La presidente della Commissione Von der Leyen ha proposto di sospendere parti del trattato commerciale (dazi su alcuni prodotti) e di sanzionare i ministri Smotrich, Ben Gvir e nove “coloni violenti” in Cisgiordania.
Lo aveva già fatto Biden nel febbraio e novembre ’24, sanzionando 33 coloni senza alcun successo. È improbabile che i coloni, Smotrich e Ben Gvir vadano in vacanza in Europa. Anche qui, come nel caso delle sanzioni contro Mosca, si adottano le stesse misure pensando che diano risultati diversi.
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Un paese ridotto alla fame e alla guerra per un punticino in più di rating
di Sergio Scorza
L’agenzia statunitense di rating, Fitch, ha appena alzato il punteggio dell’Italia, portandolo da BBB (merda di cane) a BBB+(merda di vacca). Può sembrare una differenza minima, ma era dal 2021 che non succedeva. Tra le motivazioni principali c’è il fatto che il debito pubblico sta scendendo.
Ora, facciamo pure finta che Fitch non sia la stessa agenzia di rating accusata, insieme ad altre agenzie come Standard & Poor e Moody’s, di aver assegnato rating eccessivamente elevati a titoli finanziari legati ai mutui subprime, contribuendo così alla devastante crisi finanziaria del 2008 e prendiamo per buona(con riserva) questa ultima valutazione sui conti pubblici italiani. Ed, allora, chiediamoci: perché il debito pubblico italiano sta scendendo?
La risposta è quella che stanno dando anche alcuni economisti liberal-liberisti ed è la seguente: il debito pubblico italiano si è abbassato quasi esclusivamente grazie all’inflazione che si sta mangiando salari e stipendi.
In un paese come l’Italia, in cui lavoratori e pensionati pagano circa il 96,72% dell’IRPEF; un paese con i salari e gli stipendi più bassi dell’area UE e più magri di 30 anni fa 1; un paese con milioni di trattamenti pensionistici da fame (a proposito: che fine ha fatto la proposta del governo Meloni di portare le pensioni minime a 1′.000 euro?), a fronte di un inflazione che, da qualche anno ha ricominciato a viaggiare a due cifre, chi è che ha fatto aumentare in modo considerevole il prelievo fiscale? Ma certo, lavoratori e pensionati!
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I "cieli della Nato" e le ultime vette toccate dal Corriere della Sera
di Fabrizio Poggi
Furfanti, canaglie, falsari: difficile raccapezzarsi nella scelta delle caratteristiche per cui si distinguono, in un pericoloso crescendo, i guerrafondai euroatlantisti e i manigoldi delle redazioni belliciste che fanno loro da portavoce.
«Sfida di Putin nei cieli della NATO», è il titolone di prima pagina del Corriere della Sera dopo il presunto sconfinamento di tre jet russi nello spazio aereo estone. Ovvio che la secca smentita del Ministero della difesa russo, secondo cui non c'è stato alcuno sconfinamento, come confermato dai dispositivi di controllo aereo e i caccia erano in volo programmato dalla Karelia verso Kaliningrad, venga bellamente ignorata: roba da “amici di Putin” e non per “giornali seri”, di regime!
Invece, avanti con la “provocazione” ai danni dell'aereo di Ursula-Demon-Gertrud, forza coi droni russi sulla Polonia, vai con le immagini della colonica polacca a Wyryki colpita dai droni russi, mentre la stessa Varsavia parla di missile polacco finito per sbaglio sulla casa; si batta il tasto dei “poveri ucraini” bombardati giorno e notte dai barbari della tajga, ma si taccia sull'ennesimo attacco ucraino alla centrale nucleare di Zaporož'e, mentre veniva ispezionata dai tecnici della IAEA.
Già, ma Kaliningrad, verso cui volavano i MiG-31, può essere davvero assunta da Mosca «come pretesto per l'invasione», titolano a via Solferino, perché già nelle passate visioni NATO di ipotetica “invasione russa dell'Europa” – già, proprio dell'Europa; non di una regione, un paese; no: proprio l'Europa tutta intera! - questa sarebbe partita da Kaliningrad. Occupata la Lettonia dai russi, i fieri battaglioni NATO, quelli cui partecipa anche l'Italia, dopo il vertice NATO in Galles nel 2014, «avrebbero stretto ai fianchi l’esercito russo sconfiggendolo».
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Lo sterminio a Gaza: l'effetto Seneca al massimo livello
Molto peggio di quanto possiate immaginare
di Ugo Bardi
Quando ho pubblicato il mio libro, “L’Età dello Sterminio” nel 2024, non immaginavo che potesse essere così profetico quando ho notato la tendenza storica delle minoranze ad essere sterminate dai gruppi più grandi. È esattamente ciò che stiamo vedendo a Gaza. Lì potremmo presto assistere agli effetti della “sindrome da rialimentazione” che causa la morte rapida delle persone dopo un lungo periodo di fame, anche se vengono fornite loro delle provviste alimentari. È un ulteriore esempio dell'effetto Seneca espresso con la frase “La rovina è rapida”. (Attenzione: forse è meglio non leggere questo post).
* * * *
Nel “De Bello Judaico” (I secolo d.C.), Flavio Giuseppe (Yosef ben Matityahu) (*) ci racconta la storia dell'assedio di Gerusalemme da parte dell'esercito romano nel 70 d.C. Fu l'evento culminante della rivolta ebraica iniziata nel 66 d.C. e completamente sedata dopo la caduta di Masada nel 73 d.C. Tra le altre cose, il testo di Flavio Giuseppe è uno dei primi resoconti dettagliati dell'uso della fame come arma d'assedio. Dal libro 5, capitolo 12
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A che punto siamo
di WS
L’ analisi dei fatti, sempre ben riportata da Simplicius, ci sollecita sempre la domanda: dove stiamo andando?
Ho già spiegato a iosa il mio punto di vista: i banksters ci stanno portando in una WW3 che avrà come sempre l’epicentro in Europa. Quindi ogni volta si tratta solo di chiederci: a che punto siamo?
A questo ho risposto in altra occasione che siamo in uno “stallo”; nel momento in cui i “piani A” dei due contendenti, NATO e Russia, sono sostanzialmente falliti ma esiste ancora, in realtà esisteva fino a due settimane fa, una “finestra” per una “transazione” che, fosse anche solo un “pastrocchio”, comportasse quantomeno la “deescalation” da “ guerra esistenziale” a semplice “conflitto”.
Bisogna però qui precisare la differenza tra “tregua” e “armistizio”, tra quel trucchetto che la NATO vuole imporre alla Russia per fermare l’usurante pressione russa sulla NATO-Ucraina e così guadagnare tempo onde rinforzare il proprio “baluardo”, e l’ “armistizio”, cioè un qualunque tipo di accordo scritto e vincolante a certe reciproche condizioni immediatamente concesse, condizione richiesta dai russi per cessare il fuoco.
La differenza è enorme: le “tregue” infatti non risolvono nulla e hanno una valenza meramente tattica; gli “armistizi” invece “deescalano“ il conflitto e possono definire le condizioni della eventuale pace successiva che comunque non potrà essere quella di una “resa incondizionata”.
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Chi punta all’escalation nel Baltico?
di Gianandrea Gaiani
Il Cremlino è tornato a sfidare l’Europa” titolano più o meno con questi termini quasi tutti i giornali in Italia e in Europa dopo le supposte violazioni dello spazio aereo estone da parte di 3 Mig-31 russi, “abbattuti” o forse solo “intercettati” (a seconda dei giornali e dei TG) dagli F-35 italiani basati ad Amari (Estonia) nell’ambito della NATO enhanced Air Policing (eAP) nella regione baltica dove, a rotazione con altre forze aeree NATO, difendono lo spazio aereo delle tre repubbliche prive di aerei da guerra e di difesa antiaerea missilistica.
La vicenda è nota e si inserisce nel filone della drammatizzazione della minaccia russa già (male) espressa negli ultimi tempi in modo indecoroso con diverse raffazzonate iniziative propagandistiche: l’attacco russo al GPS dell’aereo di Ursula von der Leyen, l’offensiva dei droni russi contro le conigliere in Polonia, il drone russo penetrato in Romania e le “minacciose” esercitazioni Zapad in Bielorussia a cui hanno presenziato anche ufficiali americani, turchi e ungheresi (cioè di nazioni aderenti alla NATO).
Tutti pretesti mal costruiti per lanciare allarmi e chiamare gli alleati a raccolta evocando l’Articolo 4 della NATO (dopo la Polonia lo ha fatto anche l’Estonia) nel macabro e sempre più fallimentare tentativo di mobilitare l’opinione pubblica a favore di un riarmo massiccio che non possiamo permetterci e contro i russi pronti a marciare sull’Europa dopo aver divorato qualche prigioniero ucraino, come ha scritto La Stampa riprendendo una velina dell’intelligence/propaganda ucraina.
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La solitudine dei palestinesi
di Ahmed Frenkel
L’attacco da parte dell’esercito israeliano deciso unilateralmente dal governo Netanyahu contro Gaza City assomiglia sempre più a una sorta soluzione finale di tragica memoria.
Avviene nella totale complicità e indifferenza non solo del mondo occidentale (con sporadiche eccezioni, vedi Spagna e Irlanda) ma anche del mondo arabo.
In questi giorni a Bruxelles si è riunita la Commissione Esteri della UE, che ha approvato un pacchetto di misure, che viene definito dalla stampa, “senza precedenti nei confronti di Israele: si va dalla sospensione di alcune concessioni commerciali alle sanzioni ai ministri estremisti” (Ansa Europa).
Più nel dettaglio, le sanzioni prevedono la sospensione del supporto finanziario dell’UE a Israele, garantito dallo strumento di vicinato, cooperazione allo sviluppo e cooperazione internazionale – Europa globale (NDICI – Europa globale), adottato il 9 giugno 2021, secondo il quale Israele riceve in media circa 6 milioni di euro all’anno nel periodo 2025-2027. Si sospendono anche i progetti di cooperazione istituzionale, inclusi programmi gemelli e progetti nell’ambito della Regional EU-Israel cooperation facility a beneficio di Israele per un valore di circa 14 milioni di euro. A tali misure si aggiunge l’introduzione di dazi che colpirebbero il 37% delle esportazioni israeliane verso l’Europa, principalmente prodotti agricoli come datteri e avocado, prodotti chimici e macchinari industriali. Su questi beni, che valgono circa 16 miliardi di euro all’anno, verrebbero reintrodotti dazi tra l’8% e il 40%, con un costo aggiuntivo stimato in circa 220 milioni di euro per le aziende israeliane.
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Dopo l’assassinio di Charlie Kirk, negli USA è scontro tra “America First” e “Israel First”
di Roberto Iannuzzi
Le politiche di Netanyahu hanno scavato un solco tra Israele e la base trumpiana. Una parte consistente di quest’ultima ora accusa lo Stato ebraico di complicità nell’uccisione di Kirk
L’assassinio dell’attivista conservatore Charlie Kirk dà un’ulteriore accelerata alla crisi che sta disgregando il tessuto socio-politico americano. L’intensificarsi della violenza politica è un sintomo del declino statunitense.
Essa ha colpito esponenti repubblicani e democratici, e non ha risparmiato neanche il presidente Donald Trump, vittima di due falliti attentati.
Ma quella fra repubblicani e democratici non è l’unica contrapposizione che interviene nel caso Kirk. Non va sottovalutata quella interna all’area conservatrice, e in particolare al movimento MAGA (Make America Great Again) che costituisce la base di Trump.
Questa seconda contrapposizione ruota attorno al ruolo di Israele, soprattutto nel trascinare gli Stati Uniti in avventurismi militari all’estero che contrastano con il principio “America First” tanto caro ai trumpiani.
La relazione con il caso Kirk si comprende ripercorrendo l’evoluzione politica del giovane attivista. Egli lanciò il suo movimento Turning Point USA (TPUSA) quando era ancora giovanissimo, finanziato da istituzioni neocon e filoisraeliane come il David Horowitz Freedom Center.
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7 ottobre: Giornata della resistenza palestinese
Proposta di proclamazione
«Quest’uomo nuovo comincia la sua vita d’uomo dalla fine; si considera come un morto in potenza. Sarà ucciso: non è soltanto che ne accetta il rischio, è che ne ha la certezza; quel morto in potenza ha perso sua moglie, i suoi figli; ha visto tante agonie che vuol vincere piuttosto che sopravvivere»
Frantz Fanon
Il 7 ottobre del 2023 è stata scritta una pagina di Storia da parte della Resistenza arabo-palestinese. L’Operazione Diluvio di al Aqsa è stato un atto rivoluzionario per la liberazione della Palestina, che ha mostrato come una popolazione indigena, da quasi 80 anni espropriata da una entità colonizzatrice di ogni diritto all’esistenza sociale e politica, possa tentare l’impossibile, ovvero mettere in ginocchio una potenza nucleare, avamposto dell’imperialismo occidentale.
Quell’assalto “Ha insegnato che ci si può tirare fuori dalla fossa più profonda del pianeta – quella dove i palestinesi sono stati sepolti dai sionisti e dagli occidentali – senza alcun punto d’appoggio. I combattenti di Gaza sui deltaplani sono diventati folate di vento e grida che hanno sovvertito il tempo, hanno dipinto un’immagine di liberazione tra le più elevate della recente storia dell’umanità. Un quadro immortale di gioia che nessun palestinese, nessuna donna, nessun uomo schiavizzato dal totalitarismo liberale, si leverà mai dallo sguardo. L’atterraggio sul suolo violentato dai colonizzatori è una nascita per i combattenti. E non si viene alla luce senza coprirsi di sangue. Non ci si libera da un’eterna brutalità senza violenza”*.
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Mossad: assassinare, ma senza rinunciare al gossip
di comidad
Si dice che Trump non sia stato consultato e neppure avvertito dell’attacco dell’aviazione israeliana a Doha. Dato che l’attacco non avrebbe potuto avvenire senza la piena connivenza e la costante assistenza delle forze armate statunitensi, se ne dovrebbe concludere che ormai Trump sia diventato un Biden 2.0, un presidente di facciata, sempre meno capace di intendere e di volere. Ma il vero scoop relativo all’attacco a Doha è stato la notizia secondo la quale il Mossad avrebbe espresso la propria contrarietà, tanto da non partecipare all’operazione. Secondo la stampa israeliana Netanyahu avrebbe addirittura scavalcato un preciso impegno preso dal direttore del Mossad, David Barnea, nei confronti dell’emiro del Qatar.
L’ultimo incontro tra Barnea e l’emiro è avvenuto nell’agosto scorso, perciò quanto discusso tra i due si riferiva appunto all’ultima trattativa con Hamas in corso a Doha, in una pausa della quale è avvenuto l’attacco israeliano. Ma le relazioni tra il capo del Mossad ed alti esponenti del regime del Qatar sono sempre state intense. Un altro incontro è avvenuto a Roma lo scorso anno con il primo ministro del Qatar. L’anno precedente, il 2023, un altro incontro con l’emiro si era svolto a Varsavia. Durante i colloqui a Roma e a Varsavia era presente anche il direttore della CIA, Bill Burns. Saranno servizi “segreti” ma ogni loro movimento è stato seguito dalla grancassa della stampa. Ma la cosa ancora più strana è che un direttore dei servizi segreti faccia direttamente politica estera incontrando di persona ministri e capi di Stato stranieri.
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Gaza brucia
di Gennaro Avallone
A Gaza, capitalismo, imperialismo, colonialismo e i gruppi umani che concretamente ne incarnano e realizzano le logiche di funzionamento si mostrano per quello che storicamente sono: modi di produzione e governo che tendono a distruggere tutto ciò che ritengono inutile o di ostacolo al proprio dominio. È questo che il Governo e l’esercito di Israele, in complicità con quello degli Stati Uniti e di tutte le imprese e gli stati che con essi collaborano, stanno facendo da decenni, con un’accelerazione radicale, giunta fino alla forma del genocidio-ecocidio, da ottobre 2023. E che in questi giorni stanno cercando di portare a compimento a Gaza city.
Dico la verità: è difficile scrivere e pensare mentre sono in corso sfollamenti forzati, devastazioni continue, esplosioni con centinaia di morti ogni giorno, cancellazione di ogni traccia di vita, in assenza di una risposta dei governi a livello internazionale all’altezza della gravità assoluta di ciò che sta accadendo. I sentimenti portano soprattutto all’azione, alla denuncia pubblica, al sostegno, anche economico, a chi è in fuga a Gaza e a chi sta cercando di portare soccorsi. Tuttavia, scrivere aiuta a concentrare l’attenzione, ma anche a non lasciarsi andare alla disperazione. Non ce lo possiamo permettere: come ci insegna l’intera storia palestinese, come ci stanno insegnando le persone a Gaza che continuano a resistere, a cercare di vivere, per sé e per chi verrà.
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Il trionfo del moralismo fuorviato sulla precisione descrittiva
di Lorenzo Forlani*
Io davvero non riesco a capire come siamo finiti in questo tombino dialettico permanente, fatto di dicotomie e polarizzazioni inutili, stupide, anti logiche, di timore reverenziale nei confronti della argomentazione, anzi della precisione delle parole, dell’utilizzo assennato dei loro significati, del vittimismo costante, del mal riposto riflesso d’indignazione, della sudditanza verso il vuoto conformismo del silenzio, oppure della frase di circostanza a corollario del lutto, della perdita, dello shock.
Un intellettuale di nome Odifreddi dice una cosa elementare, banale, del tutto circostanziata dalla sua accuratezza terminologica: “uccidere Kirk non è la stessa cosa rispetto a uccidere Martin Luther King”. Voglio dire, è ovvio che non sia la stessa cosa. Letteralmente non lo è, perché uno promuoveva l’opposto dell’altro in merito alla violenza della società stessa.
“Non è la stessa cosa” nella misura in cui lascia una diversa eredità e diverse premesse, nella misura in cui stimola riflessioni differenti su come un omicidio possa essere maturato nella mente di una persona, e su come un omicidio possa verificarsi più facilmente se concepito all’interno di una società più violenta, che incidentalmente veniva promossa dalla vittima.
In che frangente o mediante quale interpretazione questa frase di Odifreddi può essere considerata sinonimo di “uccidere Martin Luther King sarebbe stato ingiusto, uccidere Kirk no”? [anche Martin Luther King è stato ucciso, ma da un suprematista bianco non troppo distante dal mondo di Kirk, ndr]
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Draghi dall’agenda alle lamentazioni
di Francesco Piccioni
E’ bastato un anno per verificare che “l’agenda Draghi” era una tigre di carta. O, più precisamente, che si trattava di mega-piano costruito sul wishful thinking, una sfilza di desideri messi nero su bianco, ma sostanzialmente privo di programmazione, direzione politica e operativa, connessione stretta tra mezzi e obiettivi. Irrealistico, insomma.
Parlando di nuovo a Bruxelles, nella conferenza della Commissione Ue sul primo anno del suo report sulla competitività, ieri “superMario” ha recitato come sempre la parte del guru che saprebbe come mettere a posto le cose, ma non può. Un super-consigliere che vede le sue parole perdersi nei corridoi, citate da tutti, messe in pratica da pochi, con risultati inevitabilmente nulli.
La lettura del suo discorso, però, mette in evidenza anche i difetti strutturali che rendono quel mega-piano una costruzione che comunque non potrebbe produrre risultati.
Tutte le indicazioni concrete, non a caso, risultano anche ai suoi occhi difficili da realizzare, tardive, ostacolate non solo da “egoismi nazionali” ma da una struttura dell’economia globale che ha dimostrato l’inconsistenza strategica del mercantilismo europeo a trazione tedesca. Ovvero di quel “modello” fatto di bassi salari, austerità nei bilanci pubblici, rifiuto dell’intervento dello Stato nell’economia, privatizzazioni a raffica e produzione per l’esportazione extra-UE che è stato l’alfa e l’omega della costruzione europea “a trazione tedesca”.
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L'influenza di Netanyahu negli Usa: Trump è incastrato?
di Davide Malacaria
Netanyahu “mi sta fottendo”. Così Trump ai suoi collaboratori dopo il bombardamento israeliano del Qatar. Lo riporta il Wall Street Journal, secondo il quale il presidente, pur frustrato per l’ennesima volta dall’iniziativa del premier israeliano, non può rompere pubblicamente.
Secondo il WSJ si spiega con la sua stima per gli uomini forti. Una seconda spiegazione, più convincente, è per “l‘influenza del leader israeliano sul Congresso e sui media repubblicani“…
Altra spiegazione, che potrebbe sommarsi a quest’ultima, l’ha data l’ex funzionario dell’intelligence israeliana Ben-Menashe: “Il governo americano è intrappolato dagli israeliani. Jeffrey Epstein era uno dei loro strumenti per intrappolarli. Hanno intrappolato diversi presidenti degli Stati Uniti usando Jeffrey Epstein. Non era solo una questione di sesso, ma anche di soldi”.
“Trump può porre fine al genocidio a Gaza subito se smette di avere paura degli israeliani”, ha aggiunto. Infatti: “Cosa diranno di lui? Quante ragazze ha abusato? Quanti miliardi di dollari ha preso? Lasciateli dire quello che vogliono. Dovrebbe fermare il genocidio e lasciare che Israele reagisca come vuole, la moralità dovrebbe prevalere”.
La dichiarazioni di Ben-Menashe dal web sono approdate a un media mainstream, il Daily Telegraph NZ, che aggiunge l’ovvio, cioè che Ben-Menashe non ha provato le sue dichiarazioni e che, se dovessero diventare qualcosa di più di un’intervista, attirerebbero smentite incrociate da Israele e Stati Uniti (immaginare che la Casa Bianca o Tel Aviv possano confermare è sciocco).
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I destini dell'Europa si decideranno a Parigi (e non è una buona notizia)
Crisi francese, conflitto europeo e natura della EU
di Giuseppe Masala
Uno degli insegnamenti fondamentali della storia è che per comprendere i destini dell'Europa bisogna guardare alla Francia. Una verità questa che probabilmente è vera sin dai tempi della nascita dello stato nazione francese, ma che è diventata sempre più vera con il passare dei secoli nei quali si sono verificati – proprio in Francia - fenomeni peculiari come l'Illuminismo, la Rivoluzione Francese e l'epopea napoleonica.
Ancora oggi è così, la Francia è l'unico paese dell'UE ad avere il deterrente nucleare e a sedere nel Consiglio di Sicurezza dell'Onu dando a Parigi un ruolo fondamentale nei delineare i destini dell'Europa continentale. Ciò non dimeno, in questa fase storica, questo paese sta vivendo una profondissima crisi industriale, economica e politica, che però ormai si è trasformata in una crisi politica e, sempre di più, sociale.
Lo snodo fondamentale per comprendere la genesi dell'attuale crisi della Francia va ricercato - come al solito! - nella nascita dell'Euro. Come Roma, anche Parigi non è riuscita a reggere la concorrenza dei paesi nord europei e delle loro ben congegnate global chain value. Anche la Francia infatti ha vissuto il dramma della deindustrializzazione, al quale si è anche aggiunta la fine della Françafrique, ovvero del dominio di Parigi sulle ex colonie africane che garantiva un sicuro mercato di sbocco per le merci francesi e anche un flusso continuo di capitali verso Parigi grazie al meccanismo del Franco CFA.
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Sparta o Masada
di Enrico Tomaselli
In qualsiasi conflitto, le parole sono utilizzate per velare la realtà – se non per mistificarla. E, ovviamente, l’ennesimo divampare cinetico della lunga guerra di liberazione della Palestina non fa eccezione. Quando Netanyahu e la sua gang di fanatici messianici parlano di Grande Israele e di “ridisegno del Medio Oriente”, stanno ammantando con un linguaggio trionfalistico e ambizioso quello che è, in effetti, un disegno strategico che nasce da profonde preoccupazioni.
Israele ha sempre avuto, sin dalla sua fondazione, l’imperativo di mantenere una netta superiorità militare sui paesi vicini. Obiettivo riaffermato con la guerra dei sei giorni (1967) e dello Yom Kippur (1973). Questo quadro strategico si stabilizzerà con gli Accordi di Camp David (1978), gettando le basi per una duratura messa in sicurezza dei confini israeliani, e lasciando come unica preoccupazione il contrasto alla Resistenza palestinese.
Ma già solo qualche mese dopo interveniva un elemento destinato a stravolgere gli equilibri geopolitici della regione: la Rivoluzione Islamica in Iran. Che, tra l’altro, deponendo lo Scià Reza Pahlevi, priverà gli Stati Uniti ed Israele di un importante alleato. Da quel momento in poi, la politica israeliana è sempre stata caratterizzata dalla necessità di contenere la crescita di paesi e forze ostili, sia attraverso l’azione militare diretta, sia attraverso la destabilizzazione, sia indirizzando in tal senso la politica statunitense. Quanto rivelato dal generale Wesley Clark, ex comandante supremo delle forze alleate della NATO, all’indomani dell’11 settembre 2001,ovvero il piano del Pentagono per attaccare sette paesi nell’arco di 5 anni (Iraq, Siria, Libano, Libia, Somalia, Sudan e Iran), rientra precisamente in quest’ultimo ambito, ovvero convincere le amministrazioni USA che gli interessi israeliani siano in realtà anche interessi degli Stati Uniti.
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