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lantidiplomatico

“In Venezuela, stiamo costruendo una scienza per la vita e per la pace”

Geraldina Colotti intervista la Ministra Gabriela Jiménez

Alla Fiera del Libro di Caracas, Gabriela Jiménez Ramírez, Ministra del Potere Popolare per la Scienza e la Tecnologia e Vicepresidente Settoriale di Scienza, Tecnologia, Ecosocialismo e Salute, presenta i testi pubblicati dal Fondo editoriale del suo Ministero, diretto dalla giornalista Mercedes Chacín. Riflessioni che indicano gli assi attorno ai quali si articola il lavoro di ideazione, formazione e organizzazione del Ministero di Scienza e Tecnologia, e che si configura come uno dei principali motori del processo bolivariano, in articolazione produttiva con tutti i settori della società.

* * * *

Sotto la sua direzione, che segue le indicazioni del presidente Maduro, il Venezuela sta ottenendo grandi risultati a livello scientifico, riconosciuti a livello internazionale. A cosa è dovuto? Qual è il suo segreto?

Questo è il segreto del popolo venezuelano che il comandante Hugo Chávez ha emancipato invitandolo a fare della scienza un atto collettivo, un atto comunitario, un atto di pace, un atto di costruzione e di organizzazione sociale. La scienza nella scuola, la scienza nei laboratori, la scienza nei campi, la scienza nella letteratura per la decolonizzazione delle forme e dei processi di produzione. E così il Venezuela oggi ottiene più di 20 medaglie per i suoi vivai scientifici, nelle olimpiadi internazionali di robotica, chimica, astronomia, matematica... E in questo lavoro invitiamo tutti i bambini e le bambine del Venezuela, con i loro padri, con le loro madri, a fare scienza per la vita, che è fondamentale di fronte a un cambiamento di civiltà, di fronte a un mondo che è molto convulso per l'odio, per le aggressioni. Il Venezuela fa scienza per la vita e per la pace.

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aldous

I valori dell'Occidente

di Alberto Giovanni Biuso

Qual è la cifra etica dell’occidente contemporaneo? Rispondere non è difficile. È sufficiente cogliere il nesso tra le parole e le azioni. Parole molto note sino a essere inflazionate, sino ad aver perduto il loro spessore, significato e valore. Tra le tante, basterebbero le seguenti: pace, diritto, inclusione, giustizia, libertà.

La pace è diventata una minaccia per la peggiore classe dirigente nella storia dell’Europa moderna dalle paci di Westfalia (1648) al presente; forse un analogo, ma in toni ancora alti rispetto al XXI secolo, si può trovare nella classe dirigente che condusse l’Europa al suicidio della Prima guerra mondiale. L’ attuale Unione europea e il Regno Unito stanno infatti operando non solo per allontanare ogni prospettiva di accordo tra l’Ucraina e la Russia ma per attivamente proseguire nell’opera di distruzione dell’Ucraina, nel provocare in tutti i modi possibili la Russia e nel supplicare gli Stati Uniti di continuare a finanziare la NATO, umiliandosi in ogni situazione e circostanza davanti a Trump e alla sua amministrazione.

Da anni l’Unione Europea sta puntando tutto sul pervasivo controllo delle vite dei suoi cittadini e su un’economia drogata dalle armi. Obiettivi che si esprimono anche nella ormai apertamente dichiarata intenzione di indirizzare la ricerca universitaria verso scopi militari e pedagogie militariste, anche mediante il cosiddetto dual use: «Come ha dichiarato la commissaria [europea] a ricerca e innovazione Zaharieva, il programma Horizon sarà reso ‘dual use di default’ per rispondere all’impellenza di ‘rendere gli europei più sicuri’» (J. Bonasera e M. Rossi, Orizzonti di guerra: l’università e la ricerca nell’epoca del dual use, ‘Connessioni precarie’, 24.10.2025). La guerra è infatti diventata necessaria alla sopravvivenza stessa di un ceto dirigente globalista, atlantista e oligarchico.

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berlin89

L'effetto Mamdani: riaccendere la speranza dei disperati

di Vincenzo Maddaloni

Nell'era della disuguaglianza, la vittoria di Zohran Mamdani eletto sindaco di New York, è il segnale di una rivolta per ottenere un nuovo contratto sociale: un capitalismo temperato dalla consapevolezza del rispetto umano. La sua sfida è incommensurabile. Se fallisse, i conservatori rivendicherebbero la propria vittoria; se avesse successo, potrebbe ridefinire la "governance progressista" per le generazioni che si affacciano sul mercato del lavoro.

Zohran Mamdani , deputato trentatreenne dell'assemblea statale è figlio dello studioso indo-ugandese Mahmood Mamdani e della regista indo-americana Mira Nair, ha sconfitto il peso massimo della politica Andrew Cuomo, diventando il primo sindaco musulmano sudasiatico-americano di New York. Per una metropoli da tempo sinonimo del capitalismo di Wall Street, il suo trionfo è più di un semplice sconvolgimento politico: segna una svolta epocale, un riorientamento sulla qualità della vita degli umani.

Sorprendente è la storia degli antenati di Mamdani che, hanno attraversato i continenti del Sud del mondo. I suoi lontani parenti migrarono dal Gujarat all'Africa orientale come commercianti sotto il dominio britannico. Suo padre, Mahmood Mamdani, fu tra le migliaia di sud-asiatici espulsi dall'Uganda da Idi Amin nel 1972, affermandosi in seguito come uno dei principali pensatori postcoloniali africani. Sua madre, Mira Nair, nata in India e laureata ad Harvard, è diventata un'acclamata regista. Il loro figlio, nato a Kampala nel 1991, si trasferì a New York all'età di sette anni.

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contropiano2

La crisi nel cuore dell’impero. Da New York a noi

di Francesco Piccioni

Prese le misure agli svarioni della “sinistra”, vediamo un attimo cosa sta succedendo tra gli opinionisti mainstream alle prese con New York che sarebbe caduta in mano al “socialismo islamico”. O come altro volete chiamare il “fenomeno Mamdani”…

Semplice: è il panico totale.

Qui in genere si va – specularmente alle paturnie sinistresi – dalla demonizzazione pura e semplice (i suprematisti reazionari) fino al sorrisetto di sufficienza liberale di chi spera che poi, alla prova del “governo”, gli altissimi ideali saranno ricondotti al tran tran appena rivestito di novità. E fin qui restiamo ancora a un livello superficiale, incapace di guardare al di là del naso…

Ma non appena si va a spulciare tra chi, se non altro, prova a misurare il significato di una rottura per ora più nelle parole che nella realtà, l’orizzonte del futuro sfuma ormai nel plumbeo.

Per quello che chiamiamo abitualmente “establishment” – il complesso della “classe dirigente” che persegue il mantenimento di un certo ordine costruito a difesa dei propri interessi, senza troppe differenze tra imprenditori, politici, tecnici, giornalisti, ecc – quel che sta avvenendo negli Stati Uniti ha tutte le sembianze del disastro annunciato.

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piccolenote

Trump incontra Orbán e apre all'Iran

di Davide Malacaria

Trump ha incontrato Viktor Orbán alla Casa Bianca. Un evento di rilevanza primaria se si tiene a mente che a metà ottobre era sul tavolo l’incontro con Putin a Budapest, con il primo ministro ungherese pronto a ospitare il summit. Eppure la visita ha avuto poca eco sui media mainstream dal momento che la distensione Usa-Russia e la conclusione del conflitto ucraino sono avversati con ferocia dal partito della guerra a trazione neocon.

E, però, l’incontro segnala che l’opzione è ancora sul tavolo, come peraltro accennato anche dal presidente Usa che, rispondendo a un cronista dopo il colloquio con Orbán, ha dichiarato: “C’è sempre una possibilità. Vorrei che si tenesse in Ungheria, a Budapest”. Accenno aleatorio, ma è alquanto ovvio che il summit con il primo ministro ungherese verteva su tale eventualità.

Un’eventualità che la rinnovata corsa al nucleare – con Trump che ha dato ordine di riprendere i test e la Russia che ha risposto prontamente con una misura analoga – più che allontanare, approssima. Lo spauracchio della guerra atomica è brandito proprio per rendere più digeribile all’opinione pubblica un vertice che dissolva la paura della guerra termonucleare.

A margine, l’incontro serviva allo stesso Orbán, che ha cercato e trovato una sponda americana per far fronte alla pressione della Ue, la cui irritazione per la sua posizione nei confronti della Russia e della guerra ucraina gli sta causando non pochi problemi.

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giubberosse

Correnti incrociate occidentali: populismo culturale contro architettura profonda

di Alastair Crooke, conflictsforum.substack.com

Il via alle elezioni di medio termine del 2026 negli Stati Uniti è stato dato questa settimana con tre elezioni importanti e una altrettanto importante per la ridefinizione dei distretti elettorali tenutasi in California. I Democratici hanno stravinto in tre importanti elezioni (New York, New Jersey, Virginia) così come hanno vinto la proposta di ridefinizione dei distretti elettorali in California. La ridefinizione dei distretti elettorali in California potrebbe garantire ai Democratici altri cinque seggi alla Camera.

Ma la lente attraverso cui interpretare questi eventi è forse migliore di quella delle ultime elezioni generali britanniche: il partito di governo era screditato e ampiamente inviso. L’elettorato britannico voleva dargli un sonoro schiaffo, cosa che ha puntualmente fatto. Il problema era che gli elettori non apprezzavano molto nemmeno i partiti alternativi. Ma per inviare il messaggio, dovevano votare per qualcosa. Il Partito Laburista ha ottenuto una schiacciante maggioranza, ma nessun mandato reale. Il Primo Ministro Starmer, e il suo partito (a quanto pare), sono ampiamente invisi quanto quelli precedenti.

Per ora la politica nel Regno Unito è in crisi. La situazione è più o meno la stessa in Francia.

Quindi, quando i titoli dei giornali affermano che i Democratici hanno “fatto piazza pulita” nelle elezioni negli Stati Uniti, probabilmente riflettono la stessa doppia antipatia evidente in Europa. I populisti americani non apprezzano l’establishment al potere di nessuno dei due partiti, considerandoli come “Pincopanco” e “Pancopinco”: la loro risposta è “una piaga per entrambe le Camere”. (Anche i Democratici hanno i loro populisti).

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pressenza

Otto tesi sulla via cinese alla modernizzazione e nuove forme di civiltà umana

di Paolo Ferrero

Nell’ambito del Forum accademico internazionale su “La modernizzazione cinese e un nuovo modello di progresso umano”, tenutosi a Hangzhou (Cina) il 7 novembre 2025, ho tenuto la seguente relazione

1) La civiltà umana a livello mondiale sta attraversando una profonda transizione che ha messo in crisi gli equilibri che caratterizzavano la fase precedente.

2) Questo cambiamento riguarda in primo luogo un fatto assolutamente positivo e cioè il venir meno della posizione di dominio del capitalismo occidentale sul resto del mondo.

3) Il declino dell’Occidente capitalistico si riassume nella fine di tre grandi cicli storici:

a) In primo luogo è finito il ciclo politico breve, cominciato nel 1989 con il crollo dell’Unione Sovietica, che aveva reso possibile un dominio unipolare degli Stati Uniti, ed era fondato sul dominio incontrastato della grande finanza nel quadro del progetto politico e ideologico neoliberista. La globalizzazione neoliberista, nel suo sviluppo, ha dialetticamente eroso le basi su cui si reggeva questo dominio unipolare: l’esito della guerra in Ucraina come il fallimento delle sanzioni economiche ad essa connesse ne hanno sancito la fine.

b) In secondo luogo è finito il ciclo finanziario di dominio del dollaro cominciato nel 1944 con Bretton Woods e accentuato nel 1971 con la fine della convertibilità del dollaro in oro.

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jacobin

Sostanza di cose sperate

di Giuliano Santoro

Paolo Virno, scomparso a 73 anni, ha saputo pensare il comunismo rileggendo la composizione di classe e le lotte con gli strumenti della filosofia, della linguistica e dell'antropologia

«Una cosa è far finta di aver letto Schumpeter o Keynes e una cosa è far finta di aver letto il ‘Libretto’ di Mao» così, con la consueta divertita ironia, che nascondeva con fare dinoccolato e sorrisi velati da malinconia, Paolo Virno raccontava la postura teorica-politica di Potere operaio, gruppo al quale aderì da adolescente nel 1969. Lo diceva per esprimere ciò che ne aveva tratto: la larghezza degli orizzonti culturali, la necessità di misurarsi coi giganti, anche lontani o nemici, per andare alla radice delle contraddizioni.

Con le certezze che ci consegna il senno del poi, possiamo dire che quella vastità di riferimenti è stata anche la condizione del durare a lungo. In fondo, una delle caratteristiche di Virno e di molti dei suoi compagni e compagne è stata quella di aver mantenuto questa ottica rivoluzionaria senza rigidità, di non aver chiuso la porta ai mutamenti costanti del capitalismo e di averli guardati negli occhi per coglierne le contraddizioni e le opportunità liberatorie. Senza perdere radicalità ma senza abbandonarsi a rimpianti.

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poliscritture

In morte di Paolo Virno

di Ennio Abate

Apprendo la notizia della morte di Paolo Virno. Ricordo che lo ascoltai una prima volta – ma non ricordo la data – a Cologno Monzese per una conferenza, quando la Biblioteca Civica era diretta sapientemente da Luca Ferrieri. Ricordo pure le sue battaglie con Franco Fortini ai tempi in cui facevano insieme ”La talpa”, inserto del “manifesto” e poi alla Casa della cultura di Milano su ”Sentimenti dell’aldiqua. Opportunismo, paura, cinismo nell’età del disincanto” (Theoria, 1990), un libro-manifesto delle generazioni, che Fortini chiamava dei “Fratelli amorevoli”, in fondo già adattatesi al clima a-comunista o inconsapevolmente anticomunista e Virno, invece, considerava in dinamiche e comunque positive metamorfosi.

Non ho avuto rapporti diretti con lui, ma la lettura dei suoi interventi e soprattutto del suo “Grammatica della moltitudine” (2002) influenzò la riflessione che in quegli anni – districandomi tra varie influenze (Franco Fortini, Giampiero Neri, Giancarlo Majorino) – andavo facendo per mettere a fuoco il fenomeno che chiamai/chiamammo della “nebulosa poetante” e poi “moltitudine poetante” e poi dei “moltinpoesia”. (Fu, grazie al sostegno di Giancarlo Majorino, che fondai e coordinai presso la Palazzina Liberty di Milano dal 2006 al 2012 il “Laboratorio Moltinpoesia”).
Voglio, perciò, ricordare e omaggiare l’intelligenza filosofica e politica di Paolo Virno con questi due brani, che testimoniano la mia attenzione verso il suo pensiero: – uno stralcio da un mio saggio uscito su il n. 1 de “Il Monte Analogo”, di cui fui per breve tempo direttore; – un appunto del mio diario.

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lantidiplomatico

Caccia alle Streghe, Zakharova e non solo

di Alessandro Mariani

Tremate, tremate, le streghe son tornate!

Con l’approssimarsi di Halloween l’allarme si è fatto ricorrente. A farne le spese è stata Susan Fatayer, candidata alle elezioni regionali in Campania. La lobby sionista ha protestato presso i vertici di AVS reclamandone l’estromissione. Cosa aveva fatto di male questa signora di origine palestinese che fino a poco prima era una perfetta sconosciuta? Semplicemente una svista nella condivisione di un post, ma tanto è bastato perché si rispolverassero forme di dileggio personale che non si erano più udite dai tempi del Covid (“In leggerissimo sovrappeso” e per di più “napulitana”, ha detto di lei un decano del giornalismo nostrano).

Poi è toccato alle femministe politically incorrect, un’indagine giudiziaria durata nove mesi, i tempi ordinari di una gestazione rispetto a quelli biblici della giustizia penale e civile. A quanto pare tutto sarebbe scaturito da una denuncia privata per stalking ma il messaggio veicolato dai media è che le streghe avrebbero in questo caso oltraggiato via social figure pubbliche in odore di santità (Mattarella, la senatrice Segre e la Murgia, una sacra trimurti del progressismo nostrano), nonché Cecilia Sala (una tra le fate turchesi dell’informazione).

Quindi è stata la volta di Francesca Albanese, la funzionaria delle Nazioni Unite che i giornalacci della destra sottopongono a lapidazione un giorno sì e l’altro pure.

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lafionda

La classe parlante

di Michele Agagliate

Nelle democrazie esauste il popolo non vota più per cambiare la realtà, ma per interpretarla. È la finzione fondativa del nostro tempo, il trucco con cui la politica ha trasformato la partecipazione in spettacolo. La destra parla di sicurezza, la sinistra di diritti, ma in entrambi i casi si tratta di linguaggi sostitutivi, surrogati di un discorso ormai proibito: quello sul lavoro. Il lavoro non è più un tema, è una condanna silenziosa, e la povertà non è più un problema collettivo ma una colpa individuale, una macchia morale da nascondere.

Le classi popolari, un tempo protagoniste di battaglie per la giustizia, oggi marciano per paura. Paura del diverso, del migrante, dell’altro; paura di perdere anche quel poco che resta. La destra ha imparato a parlare la lingua delle viscere: non promette futuro, promette difesa. Offre appartenenza al posto dei diritti, risentimento al posto del salario, identità al posto di giustizia. Ha saputo trasformare la rabbia sociale in patriottismo economico, convincendo il povero che il suo nemico non è chi lo sfrutta, ma chi accetta di essere sfruttato a un prezzo più basso. Così dietro lo slogan “prima gli italiani” si nasconde un vecchio meccanismo industriale: comprimere i salari, dividere i lavoratori, stabilire gerarchie di miseria. L’immigrazione, in questo schema, diventa la scusa perfetta per normalizzare lo sfruttamento. Non serve più nasconderlo: basta cambiare il lessico. Si parla di “emergenza”, di “integrazione”, di “umanità”, ma alla fine tutto converge sullo stesso obiettivo: mantenere basso il costo del lavoro e alto il livello del consenso.

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La rimozione del genocidio palestinese dopo il cessate-il-fuoco, come prevedibile

di Lavinia Marchetti

Moni Ovadia qualche mese fa lo disse chiaramente che il periodo peggiore sarebbe stato subito dopo il cessate-il-fuoco. L’attenzione internazionale si sarebbe allentata e dopo la distruzione il piano di sostituzione etnica avrebbe avuto il suo acme. Aveva ragione, ma lo sapevamo bene anche noi che sarebbe successo. Come avrete notato la narrazione pubblica sulla Palestina è stata drasticamente ridimensionata dopo il cosiddetto cessate il fuoco nella Striscia di Gaza. Quello che si rivela un falso armistizio, una tregua solo nominale, ha coinciso con un calo brusco dell’attenzione mediatica, graduale, succede sempre così, una notizia in meno al giorno, un po’ come quando si scala un farmaco: l’algoritmo dei social network pare aver “declassato” i contenuti sulla Palestina e le testate mainstream hanno quasi azzerato le notizie sul tema. La crisi non è risolta tutt’altro. Non è che improvvisamente non muoia più nessuno. Semplicemente, l’orrore in Terra Santa è stato rimosso dal discorso pubblico dominante, congelando l’indignazione collettiva proprio quando ce ne sarebbe più bisogno. È un processo subdolo di oblio programmato, in cui la sofferenza di un popolo viene progressivamente espunta dalla coscienza globale: un caso esemplare di come si manipola l’opinione pubblica affinché un genocidio venga dimenticato, e soprattutto vengano dimenticati, alla chetichella, i carnefici.

Sui social network, attivisti e utenti hanno denunciato un sensibile calo di visibilità dei post legati a Gaza e Cisgiordania, quasi fossero oggetto di shadow banning.

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giubberosse

La pressione sul Venezuela come guerra ibrida contro Russia  e Cina

di Raphael Machado, chinabeyondthewall.org

La strategia di riavvicinamento al Brasile si basa proprio sullo sforzo di far uscire il Paese dall’“orbita cinese”.

Un vizio comune tra analisti e giornalisti geopoliticamente anti-imperialisti è il tentativo di spiegare tutti i conflitti internazionali con la “causa unica” della ricerca imperialista di risorse naturali – quasi sempre il petrolio. È così che viene classicamente spiegata la guerra in Iraq, ad esempio: le “Big Oil” avrebbero sfruttato l’amministrazione Bush per riaprire i mercati, prima chiusi, attraverso bombardamenti e occupazioni territoriali.

Questo tipo di spiegazione chiaramente materialista nasce da una premessa evidentemente marxiana, in quanto mira a trattare tutti i fenomeni sociali, culturali e politici come epifenomeni di fronte alla realtà preponderante e strutturale delle trasformazioni e degli interessi economici.

Come buona parte degli sforzi pseudoscientifici del XIX secolo volti a ridurre la realtà a un unico principio (come nel caso del freudismo e del positivismo), anche questo materialismo economista non regge al martellamento dell’analisi critica.

Solo per fare un esempio, nel caso iracheno, la spiegazione materialista generica non resiste alla scoperta empirica che le principali compagnie petrolifere statunitensi erano, di fatto, già sulla strada del dialogo con i paesi contro-egemonici del Medio Oriente e, proprio per questo motivo, hanno tentato senza successo di fare pressione per il non intervento e la pacificazione delle relazioni tra Stati Uniti e Iraq.

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contropiano2

7 novembre. La Rivoluzione fu anche lotta per la sopravvivenza, come potrebbe essere oggi

di Sergio Cararo

Le visioni della Rivoluzione d’Ottobre con cui abbiamo dovuto fare i conti nei decenni trascorsi, possono essere riassunte in almeno due narrazioni fuorvianti:

1) Per la borghesia è stato né più né meno che un colpo di mano, un colpo di stato, da parte dei bolscevichi che hanno così impedito una via d’uscita liberale al crollo dell’autocrazia zarista;

2) Per un bel pezzo della “sinistra” è stata invece una rivoluzione tradita dai suoi sviluppi successivi. Una visione da cui è nata l’ipocrisia dell’antistalinismo che ha impregnato gran parte dell’elaborazione della sinistra occidentale, inclusa quella alternativa.

Contro queste due visioni è stato bene combattere nei decenni scorsi, e lo è altrettanto oggi come abbiamo cercato di fare lo scorso anno con le iniziative su “Elogio del Comunismo del Novecento“. Soprattutto se, giustamente, si intende poi riaprire o mantenere aperta la questione della “Rivoluzione in occidente”, la quale rimane la contraddizione rimasta aperta da quando la Rivoluzione d’Ottobre si trovò da sola a dover gestire la rottura rivoluzionaria nell’anello debole della catena imperialista nel 1917.

Non possiamo però nasconderci che esiste una terza attitudine, più genuina ma altrettanto fuorviante, che è quella di ridurre l’esperienza rivoluzionaria, la concezione del partito leninista e il processo di transizione al potere proletario, ad un manuale per le istruzioni.

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contropiano2

La “sinistra” che guarda a New York

di Dante Barontini

Sarà il caso di fermarsi un attimo a ragionare, dopo aver letto e metabolizzato una buona parte dei commenti “sinistri” sulla vittoria di Zhoran Mamdani alle elezioni per il sindaco di New York.

Inevitabile e persino giusto che ci siano molte opinioni diverse, che in tanti scavino tra le sue dichiarazioni – pre o in campagna elettorale – per trovare debolezze, ambiguità contraddizioni con la sua immagine ufficiale (auto-assegnata, e negli Usa era quasi un suicidio politico) di “socialista”.

Inevitabile, comprensibile, ma per nulla giusto, che in tanti si affrettino a trasferire su di lui, e sui “socialisti democratici” Usa, le proprie speranze o le proprie idiosincrasie.

C’è però, secondo noi, da tenersi distanti da queste considerazioni frettolosamente pro o contro proprio perché manifestazioni da tifosi, anziché sforzi di giudizio analitico serio.

Del resto lo stesso avviene sulla guerra in Ucraina, dove qualsiasi analisi oggettiva degli interessi – e persino dei combattimenti – in campo viene liquidata come “putinismo”, fino a certe curiose esibizioni di “comprensione antifa” per un governo infestato di nazisti rei confessi.

Nella “sinistra radicale” italiana, non da oggi, sembra andata perduta la capacità di analizzare i fenomeni in modo “scientifico” per poi poter prendere una “posizione” autonoma. E quindi anche efficace.

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sollevazione

Trump, il "cane pazzo”

di Leonardo Mazzei

Nel caos d’ogni dì del nostro tempo, i fondamentali vanno spesso smarriti. È il caso del dibattito su Trump. Qualcuno lo voleva isolazionista, ripescando una ormai remota tradizione repubblicana. Altri addirittura “pacifista”, non foss’altro che per venire a patti con la realtà di un impero in decadenza.

Dopo Gaza, le bombe sull’Iran e sullo Yemen, siamo adesso alle violente minacce al Venezuela. Forse è venuto il tempo di mettere alcuni puntini sulle “i”, di rimettere un po’ di ordine sulla sostanza delle cose. Che è poi l’unico modo per orientarci nel marasma che, passo dopo passo, ci sta portando verso l’abisso di una Terza guerra mondiale pienamente dispiegata.

Proviamo allora a ricapitolare i punti fondamentali:

(1) Donald Trump è sì un personaggio particolare, un egocentrico al cubo che ama spararle grosse. Ma egli è innanzitutto il quarantasettesimo presidente di quella che è ancora la prima potenza mondiale, e che ambisce a restare tale. Una potenza che vuole impedire in tutti i modi il passaggio da un mondo monopolare a uno multipolare e/o multilaterale.

(2) È proprio questa decisione strategica dell’imperialismo americano, peraltro maturata ai tempi di Obama, la prima vera causa delle guerre in corso, a partire da quella d’Ucraina. Guerra scatenata dall’espansione della Nato verso est, cui è seguita la risposta difensiva di Putin.

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sinistra

Preparazione alla guerra, formazione alla pace

di Fernanda Mazzoli

Un recente intervento del MIM (Ministero dell’Istruzione e del Merito) ha avuto il doppio merito di chiarire la funzione dei corsi di formazione a scuola e di togliere ogni residuo dubbio sul clima di mobilitazione bellicista cui dovremmo tutti adeguarci in un futuro così prossimo da essere già il nostro presente.

Il Ministero ha soppresso un corso di formazione, cui avevano aderito più di un migliaio di docenti, organizzato per il 4 novembre dal Cestes (Centro Studi Trasformazioni Economico- Sociali), annullando l’accreditamento sulla piattaforma Sofia con la motivazione che l’iniziativa ” non appare coerente con le finalità di formazione professionale del personale docente presentando contenuti e finalità estranei agli ambiti formativi riconducibili alle competenze professionali dei docenti, così come definite nel CCNL scuola e nell’Allegato 1 della Direttiva 170/2016.1

Il ricorso al “pedagoghese”, gergo già di per sé vuoto, conferisce alla motivazione un carattere vagamente surreale e sconcerta prima ancora di indignare: non si comprende, infatti, come una iniziativa volta a sottolineare, presumibilmente rifacendosi all’articolo 11 della Costituzione, il valore della pace in un contesto internazionale contrassegnato da un crescente ricorso alle armi per risolvere situazioni conflittuali possa configurarsi come estraneo all’ambito formativo proprio della funzione docente.

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contropiano2

Il ‘modello Mamdani’ visto da Israele

di Alessandro Avvisato

Abbiamo seguito da vicino le vicende delle elezioni del nuovo sindaco di New York, Zohran Mamdani, perché sono sintomo, e forse anche un passo ulteriore, nel percorso di crescente conflitto sociale e politico interno agli Stati Uniti. L’arrivo ai massimi livelli della Grande Mela da parte di un musulmano con un programma di governo considerato ‘socialista’.

Siamo ben consapevoli di tutte le ambiguità che rimangono, sul piano strategico, nei discorsi di Mamdani: sul ruolo imperialista degli USA nei confronti del ‘cortile di casa’ latinoamericano (Cuba e Venezuela), ma anche su Israele, nonostante la sua campagna abbia fatto leva largamente sull’opposizione al piegarsi continuo dei politici stelle-e-strisce agli interessi del sionismo internazionale.

Quello che vogliamo evidenziare è un processo, radicato nelle tendenze della crisi capitalistica, piuttosto che un ‘parteggiare’: il fallimento del ‘melting pot‘ statunitense va di pari passo con la sua crisi egemonica e della sua capacità di proiettarsi come ‘polizia’ del mondo intero. Le linee di faglia etniche si allargano insieme a quelle economiche, spesso si sovrappongono, e il legame che hanno con il ruolo USA nell’ordine globale appare sempre più evidente.

In un certo senso, è la declinazione d’oltreoceano di un processo di politicizzazione che abbiamo visto anche in Italia, con milioni di persone scese in piazza contro la complicità nel genocidio dei palestinesi, e riguardo al quale è apparso chiaro l’interesse del complesso militare-industriale che oggi è al centro degli indirizzi politici di tutta la compagine NATO.

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lantidiplomatico

Verso la Mezzanotte del mondo. Cronache dell’escalation nucleare

di Alex Marsaglia

Ci siamo, le conseguenze del fallimentare viaggio di Trump in Asia si stanno manifestando nella maniera più grave, quella dell’escalation nucleare. In un mondo in guerra convenzionale, calda e combattuta su più fronti, l’annuncio della ripresa dei test atomici da parte degli Stati Uniti non poteva passare senza conseguenze. Trump da parte sua, non essendo riuscito a sfondare il muro asiatico con i mezzi convenzionali della guerra commerciale, non poteva che tentare un’altra strada. Così ha scelto la via più pericolosa, ma inevitabile, dati i livelli di sviluppo tecnologico raggiunti: il confronto sullo sviluppo tecnico-militare nucleare.

Le dichiarazioni che si sono susseguite nelle ultime ore tra i vertici russi e quelli americani ci svelano ciò che si cela dietro la svolta tecnologico-militare e nucleare del Burevestnik. Ieri infatti il Ministro della Difesa russo Belousov, nell’annunciare l’immediata ripresa dei preparativi per condurre test nucleari su larga scala, ha svelato che a Ottobre gli Stati Uniti hanno condotto un’esercitazione in cui è stato simulato un attacco missilistico nucleare preventivo contro la Russia. Inoltre, gli Stati Uniti stanno lavorando alla creazione di un nuovo missile intercontinentale con un raggio di 13.000 km con testata nucleare in modo da chiudere immediatamente il gap apertosi con la Russia (vedi qui: https://it.infodefense.press/2025/11/05/il-ministro-della-difesa-russo-andrej-belousov-ha-dichiarato-di-ritenere-opportuno-avviare-immediatamente-i-preparativi-per-test-nucleari-presso-il-poligono-delle-nuovaia-zemljya/).

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antiper

I fascisti italiani e la strategia atlantica negli anni ’50

di Antiper

Questo è il primo di una serie di articoli che intendiamo proporre sulla base della lettura del nuovo libro di Davide Conti, Fascisti contro la democrazia. Almirante e Rauti alle radici della destra italiana (1946-1976), Einaudi, 2023

Si sente ripetere spesso che il Movimento Sociale Italiano, il partito neofascista che negli anni ’40 intese raccogliere l’eredità del fascismo e della Repubblica Sociale Italiana (RSI), fosse un partito dall’approccio internazionale “terzocampista” che rifiutava l’alleanza con gli americani per ragioni storiche (proprio gli USA erano stati tra gli artefici della caduta del fascismo) e a maggior ragione rifiutava l’alleanza con l’URSS per analoghe ragioni storiche e per evidenti ragioni ideologiche.

Questa storiella del “terzaforzismo” inizia con lo stesso Mussolini che aveva avuto l’ardire di descrivere il fascismo come “terza via” tra capitalismo e comunismo (senza disdegnare però la sponsorizzazione del capitale industriale e agrario, della monarchia e del Vaticano nonché la loro protezione nell’ascesa verso il potere, protezione senza la quale non vi sarebbe stata alcuna ascesa) e prosegue con alterne vicende fino addirittura al terrorismo nero degli anni ’70; per fare un esempio, il gruppo terroristico Terza Posizione, i cui membri parteciparono alla strage di Bologna del 1980, si era dato quel nome per suggerire la propria “equidistanza” (!) tra comunismo e capitalismo.

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voltairenet

Il momento della verità: l’Occidente di fronte ai progressi militari della Russia

di Thierry Meyssan

Da due anni noi occidentali ci illudiamo di riuscire a mettere in ginocchio la Russia e di fare entrare l’Ucraina nell’Unione Europea e nell’Alleanza Atlantica; nonché di portare in giudizio Vladimir Putin e di farla pagare cara alla Russia. Questo mito deve fare i conti con la realtà: Mosca dispone ormai di armi devastanti, senza eguali in Occidente, che rendono vana ogni speranza di vittoria delle nostre coalizioni. Saremo costretti a riconoscere di aver preso un abbaglio.

l 26 ottobre il presidente russo Putin e il capo di stato-maggiore Valeri Gerassimov hanno annunciato di aver completato il progetto di miniaturizzazione di una centrale nucleare per installarla su un missile. Hanno dichiarato di aver lanciato un missile 9M730 Bourevestnik a una distanza di 14.000 chilometri. La particolarità di quest’arma a propulsione nucleare, quindi illimitata, è quella di poter essere guidata in modo da aggirare i siti d’intercettazione. Secondo le autorità russe, questo la rende non-abbattibile.

Il 29 ottobre il presidente Putin ha testato un siluro Status-6 Poseidon, pure a propulsione nucleare. Durante il periodo dell’Unione Sovietica i ricercatori militari euroasiatici ritenevano che le esplosioni atomiche sottomarine potessero provocare giganteschi tsunami. Per questo motivo cercavano il modo di lanciare siluri molto più lontano di quanto si riuscisse a fare all’epoca, in modo che i cataclismi provocati non colpissero anche l’URSS.

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Francesca Albanese: Quando il mondo dorme

di Edoardo Todaro

Francesca Albanese, Quando il mondo dorme, Rizzoli, Milano 2025, pp. 288, euro 18

Di rapporto in rapporto, mettere in evidenza la politica sistematica, deliberata di genocidio portata avanti dall’entità sionista che occupa da decenni la Palestina, è quanto sta facendo Francesca Albanese.

Francesca Albanese, relatrice speciale ONU per i territori palestinesi occupati, è stata messa al bando, sottoposta a sanzioni imposte dagli USA. Sanzioni dovute a quanto da lei denunciato, come nelle ultime 24 pagine di Quando il mondo dorme, dove si evidenziano i legami militari, commerciali e diplomatici, perché – riprendendo l’ultimo suo rapporto- “Il genocidio …. è un crimine a livello internazionale”.

Sono passati 5 mesi dal momento in cui Rizzoli ha edito Quando il mondo dorme, e quanto l’autrice ci descrive è tutto lì: un genocidio in piena regola. Quanto abbiamo sotto mano travalica, volutamente e consapevolmente, la denuncia su quanto l’occupazione sta portando avanti. In queste pagine ci imbattiamo in qualcosa che non può, e non deve, essere rimosso: storia, presente e futuro di una Palestina in pericolo; un’occupazione che non può essere, stando a quel diritto internazionale al quale in tanti si appigliano, che illegale. Assistiamo, succubi, a un’ opera di distruzione totale, metodica e pianificata. I luoghi comuni: “Israele vuole colpire Hamas e non i palestinesi” verso i quali la propaganda di parte tende a orientare l’opinione pubblica, vengono metodicamente confutati.

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piccolenote

Venezuela. Gli Usa sono i nuovi pirati dei Caraibi

di Davide Malacaria

Abbiamo ripreso il titolo da un editoriale del Washington Post del 28 ottobre, perfetto per fotografare quanto sta avvenendo, con le forze statunitensi che infestano i mari del Venezuela e affondano navi e naviganti.

Omicidi, peraltro, niente affatto chirurgici: i video dei droni che affondano le barche dati in pasto ai media sono l’ennesima trovata propagandistica volta a magnificare l’efficienza dell’Us Army.

In realtà, come rivelato il 16 ottobre da The Intercept, per affondare le prime barche – e si presume anche le successive – sono serviti “molti attacchi missilistici” e, in un caso, il naviglio colpito è stato finito a colpi di mitragliatrice. Cambia poco per gli sfortunati naviganti, ma il particolare macchia l’immagine “chirurgica” per virare sulla ferocia.

E ancora, un articolo del New York Times, dopo aver sottolineato l’illegalità di tali azioni, che dovrebbe spingere i militari alla disobbedienza, prosegue annotando che si stanno uccidendo persone che non hanno intenzioni ostili contro gli Stati Uniti e che “potrebbero essere arrestate facilmente anziché uccise sommariamente”.

Quest’ultima annotazione, in combinato disposto con quanto accennato in precedenza sugli attacchi, evidenzia il sadismo sotteso a tale operazione: nessuna pietà per i naviganti, nonostante la Us. Navy sia perfettamente attrezzata per recuperare gli uomini in mare.

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comidad

La retorica intercambiabile dell'assistenzialismo per ricchi

di comidad

Una notiziola di qualche giorno fa è che Jeff Bezos è riuscito a inserirsi alla grande nella mangiatoia degli appalti federali per l’esplorazione spaziale; una mangiatoia che fino a qualche tempo fa sembrava avviarsi a essere un’esclusiva di Elon Musk. Il faccendiere sudafricano non ha comunque di che lamentarsi, visto che in questi giorni ha rimediato un altro appalto da un paio di miliardi. Va notato però che l’azienda di Bezos, dal nome suggestivo di Blue Origin, nonostante sia stata fondata da parecchio tempo, non si è mai distinta per ricerche e tanto meno per risultati in campo tecnologico, ma solo per la fiduciosa attesa di contratti federali, che alla fine stanno arrivando.

Ovviamente certe fortune non si costruiscono solo sugli appalti pubblici, ma anche sui sussidi governativi, cioè i regali in cambio di nulla; ciò in nome del mantra secondo il quale dare soldi ai ricchi fa bene a tutta l’economia. Secondo le ultime stime per difetto, a Musk sarebbero già andati circa trentotto miliardi di sussidi governativi sotto varie forme, dalle erogazioni dirette agli sgravi e incentivi fiscali. Un quadro da cui esce che Musk è uno dei principali miracolati dell’assistenzialismo per ricchi. Alcuni commentatori hanno sottolineato la protervia di Musk nel farsi censore dei pubblici sprechi per poi andare a riscuotere allo stesso sportello del denaro pubblico.

Nella sua breve esperienza nell’agenzia governativa per l’efficienza, istituita da Trump, il faccendiere sudafricano ha effettivamente operato molti tagli; ma pare che non fosse quello il vero scopo della sua presenza in quel ruolo governativo di presunto castigatore degli sprechi.

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carmilla

Alcune note circa gli effetti dell’entrata in vigore del cosiddetto “Decreto sicurezza”

di Pietro Garbarino

Al di là delle appropriate e puntuali osservazioni svolte dall’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione circa la nuova normativa sulla sicurezza approvata dal Parlamento alcuni mesi fa, pur con il “sotterfugio” della procedura di conversione di decreto legge, va rilevato che l’entrata in vigore di tale normativa ha completamente modificato non solo una rilevante serie di norme di legge sostanziali e del codice di procedura penale, ma ha altresì inciso sulla stessa struttura del reato penale così come configurata, e consolidata nel tempo, dalla dottrina penalistica a partire dal testo dell’Antolisei.

Tale consolidato e imponente orientamento dottrinale analizzava il reato penale e ne individuava gli elementi fondamentali nel modo seguente:

• Antigiuridicità del fatto obbiettivo; cioè il fatto commesso deve essere contrario a norme giuridiche che tutelano beni e situazioni ritenute a loro volta degne di tutela da parte dell’ordinamento giuridico come, ad esempio, l’integrità della persona o la tutela dei beni pubblici o privati,

• L’elemento soggettivo in capo a colui che commette il reato, sia nel senso della volontarietà (dolo) che nel senso della imprudenza, negligenza, imperizia (colpa) di chi agisce.

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altrenotizie

UE: l’Ucraina presenta il conto

di Mario Lombardo

L’avvicinarsi minaccioso del collasso forse definitivo delle linee di difesa ucraine sul fronte del Donbass sta alimentando un’amarissima riflessione in Europa circa gli effetti disastrosi delle politiche di sostegno incondizionato al regime di Zelensky messe in campo a partire dal febbraio 2022. Le soluzioni allo studio non lasciano tuttavia intendere un ravvedimento o inversioni di rotta per cercare almeno di salvare il salvabile, ma prevedono anzi un raddoppio degli sforzi per raggiungere obiettivi economici e strategici inarrivabili. Questo auto-inganno e il persistere di tendenze autolesioniste sorprendono d’altra parte solo in apparenza. Se fosse esistito un minimo di pensiero razionale e autonomo nella classe dirigente europea odierna, il vecchio continente non si sarebbe ritrovato sulla strada del declino e dell’irrilevanza.

Tra le analisi più allarmate apparse sui media nell’ultimo periodo si può citare quella pubblicata questa settimana dal network paneuropeo Euractiv. Il sito di informazione multilingua definisce “orribile” la situazione economica europea, per poi elencare una serie di problemi consolidati che pesano sul futuro dell’Unione. In linea generale, emergono dall’articolo alcune delle cause immediate di stagnazione, perdita del potere d’acquisto e livelli di debito alle stelle. Allo stesso tempo, però, la ragione alla base di questa involuzione traspare solo tra le righe oppure è deliberatamente taciuta. Mai, cioè, si accenna a un’avventura, come quella ucraina, lanciata in maniera intenzionale per provocare una reazione da parte della Russia che fornisse l’occasione per indebolire e, nella più fervida immaginazione occidentale, frantumare questo paese, così da consentire a USA ed Europa di neutralizzarne la “minaccia” alla loro egemonia e controllare le ricchezze di cui dispone.

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Come li freghiamo e ci riprendiamo tutto: una guida pratica

di Giuliano Marrucci

Pessimismo della ragione, ottimismo della volontà: è uno dei concetti di Gramsci più bacioperuginizzati di tutti, insieme al famoso odio per gli indifferenti e a quello per il capodanno. Non poteva essere altrimenti; la frase, infatti, in realtà è una citazione dell’intellettuale francese e Nobel per la Letteratura Romain Rolland ed effettivamente, in mano sua, era esattamente l’appello un po’ retorico e moraleggiante che sembra: cercate di analizzare razionalmente il mondo per quello che è, con tutte le sue brutture, ma non arrendetevi e continuate a praticare il bene. Ma quando Gramsci la fa sua, cambia tutto, dalla morale all’azione politica: la citazione accompagnerà tutte le fasi dell’elaborazione politica di Gramsci, dagli editoriali dell’Ordine Nuovo alle lettere ai familiari e i Quaderni scritti durante la prigionia; e, col tempo, arriverà a riassumere non solo un’intera analisi della realtà capitalistica di una profondità senza pari, ma anche un vero e proprio programma d’azione per superarla. “Pessimismo dell’intelligenza, ottimismo della volontà“ scriveva, ad esempio, Gramsci in un editoriale del 1920, “dev’essere la parola d’ordine di ogni comunista consapevole degli sforzi e dei sacrifici che sono domandati a chi volontariamente si è assunto un posto di militante nelle file della classe operaia”: ma in che senso? Per capirlo, bisogna prima focalizzare un punto fondamentale e, cioè, che dal punto di vista della biografia intellettuale, prima di ogni altra cosa Gramsci è un filosofo della crisi.

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lafionda

Approdo per noi naufraghi

di Elena Basile

Il titolo del libro di politica internazionale, pubblicato da Paperfirst il 4 novembre u.s., Approdo per noi naufraghi, richiama l’aspirazione principale del saggio. Chi sono i naufraghi e dove è l’approdo? I naufraghi sono innanzitutto i componenti del variegato mondo del dissenso, sono la generazione Z, ancora priva di soggettività politica ma unita per la pace e la condanna del genocidio di Gaza. Sono anche i cittadini che non votano più perché sfiduciati verso le istituzioni e la politica. I naufraghi sono inoltre coloro che votano malvolentieri, non convinti, che si arrendono perché “non c’è alternativa”.

In Italia, come in Europa, è essenziale creare un’istanza politica (a partire dai partiti dell’arco costituzionale in grado di prendere decisioni storiche di condanna del genocidio e del riarmo) che possa rappresentare le esigenze esistenti di contrasto alle politiche neoliberiste e belliciste dell’imperialismo finanziario USA, di cui l’UE è ormai l’appendice poco dignitosa.

Mi è apparso importante aprire il confronto su alcuni temi di fondo che potrebbero indicare una direzione di marcia unitaria, un denominatore comune a prescindere dalle diverse sensibilità e identità dei partiti e dei movimenti accomunati dal contrasto alle guerre in Ucraina e in Medio Oriente.

Il libro esamina i fattori geopolitici, economici, sociologici e culturali che hanno permesso la trasformazione antropologica di un elettorato incline a premiare la maggioranza Ursula, malgrado il tradimento degli interessi dei popoli europei, il rischio sempre più presente di un conflitto nucleare e la nostra evidente complicità con il genocidio del popolo palestinese.

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giap3

«Ddl antisemitismo», ovvero: disciplinare scuola e cultura dopo la rivolta per Gaza

di Girolamo De Michele*

L’intenzione della maggioranza di governo di proporre un Ddl unificato – cioè accorpando diversi disegni di legge – sul tema «antisemitismo a scuola», sotto l’egida di Maurizio Gasparri, può essere considerato l’ennesimo episodio di un attacco sistematico alla scuola in quanto tale. Senza dettagliare un lungo elenco, basta citare il provvedimento disciplinare contro Christian Raimo e la recente revoca dell’iscrizione alla piattaforma S.O.F.I.A. dei corsi di formazione docenti del progetto «La scuola non si arruola».

In apparenza la scuola è concepita come un punching ball sul quale chiunque, passando, può scaricare un paio di sganassoni senza tema di vederseli restituiti. In realtà, l’insieme – il combinato disposto, come si dice – di provvedimenti, circolari, dichiarazioni, episodi e provocazioni delineano una strategia intelligente: dopo aver dettagliato e spacchettato la scuola nelle sue specifiche sfaccettature, si colpiscono – o si tenta di colpire, magari per saggiare la reazione – le singole componenti.

Come minimo, mettere la scuola sulla difensiva e lasciarla arroccata a proteggere questo o quel punto è già un risultato, che denota strategia e una certa intelligenza: Valditara, insomma, non è Sangiuliano, e prima si smette di pensare all’attuale ministro come una macchietta o un anello debole, meglio è.

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Classicità, umanesimo, comunismo. La letteratura e i classici

di Luca Grecchi

Giorgio Riolo, La via del classico. Letteratura, società, vita quotidiana, conoscenza, Petite Plaisance, Pistoia 2025, pp. 488, euro 35

Sono stato molto contento di accogliere, nella collana che dirigo, La via del classico di Giorgio Riolo, per due motivi, uno personale e l’altro culturale. Il motivo personale è la riconoscenza all’amico Giorgio, per essere stato, ormai una trentina di anni fa, una delle prime persone, nella sua qualità di responsabile della Libera Università Popolare di Milano, ad affidarmi un corso di lezioni (insieme a Mario Vegetti), quando pure ancora non avevo pubblicato nulla. Riolo ha infatti coordinato per molto tempo questa importante associazione culturale, collegata al Punto Rosso, che nel capoluogo lombardo, principalmente tra la fine del secolo scorso e l’inizio dell’attuale, è stato un riferimento notevole per la riflessione teorica comunista.

Il motivo culturale è, tuttavia, più rilevante rispetto a quello personale. La via del classico costituisce infatti una raccolta rielaborata di molte sue lezioni sulla letteratura, tenute prima presso la Biblioteca comunale di Bollate e poi, dal 2009 al 2021, presso la Libera Università Popolare, dotata di un elevato valore orientativo. Il libro rappresenta in effetti un omaggio, in un’epoca in cui i classici sono sempre meno letti, alla grande tradizione umanistica, che Riolo interpreta nella maniera a mio avviso migliore, ovvero come dotata non solo di valore “estetico”, ma anche di valore sociale, politico, in senso ampio filosofico.

Alastair Crooke: Il quadro finanziario e geopolitico mondiale in un momento di imminente disordine

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Dante Barontini: Il vertice del nuovo ordine mondiale

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Carlo Formenti: Post scriptum. A proposito dell'autoreferenzialità delle sinistre occidentali (marxiste e non)

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Pino Arlacchi: La Grande Bufala contro il Venezuela: la geopolitica del petrolio travestita da lotta alla droga

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Jeffrey Sachs: Una nuova politica estera per l’Europa

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Jeffrey D. Sachs: “L’Europa deve cambiare politica estera”

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Matteo: Andava combattendo ed era morto

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Vincenzo Comito: Cina, Russia, India: un nuovo ordine mondiale?

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Maurizio Lazzarato: Gli Stati Uniti e il «capitalismo fascista»

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Kit Klarenberg: Come i ‘diritti umani’ sono diventati un’arma occidentale

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Gideon Levy: Non esistono israeliani buoni

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Elena Basile: Dall’Ucraina a Gaza: il doppio standard dell’Occidente

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Sergio Fontegher Bologna: Sullo sgombero del Leoncavallo

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Geraldina Colotti: “Chi c'è dietro, chi c'è dietro?” L'Algoritmo del Sospetto: 10 passaggi per dimostrare che il gatto ti sta manipolando

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Max Renn e Guy van Stratten: E dalla Mostra del cinema di Venezia, come stronzi, restarono a guardare

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Qui la quarta di copertina

 

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Qui un estratto del volume

Qui comunicato stampa

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Qui una recensione del volume

Qui una slide del volume

 

2025 03 05 A.V. Sul compagno Stalin

Qui è possibile scaricare l'intero volume in formato PDF

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Qui quarta di copertina

Qui un intervento di Gustavo Esteva attinente ai temi del volume

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Qui una scheda del libro

 

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Qui la premessa e l'indice del volume

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Qui la seconda di copertina

Qui l'introduzione al volume

 

 

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Qui il volume in formato PDF

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Qui l'indice e la quarta di copertina

 

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Copertina Danna Covidismo.pdf

Qui la quarta di copertina

 

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Qui la quarta di copertina

 

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Qui una anteprima del libro

Copertina Ucraina Europa mondo PER STAMPA.pdf

Qui la quarta di copertina

Qui una recensione di Terry Silvestrini

Qui una recensione di Diego Giachetti

 

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Qui una presentazione del libro

 

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Qui una recensione di Giovanni Di Benedetto

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Qui la quarta di copertina

Qui una recensione di Ciro Schember

 

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Qui la quarta di copertina

 

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Qui la quarta di copertina

Qui l'introduzione

 

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Qui l'introduzione al volume

 

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Qui una recensione del libro

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Qui la quarta di copertina

 

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Qui la quarta di copertina

 

PRIMA Copertina.pdf

Qui la quarta di copertina

Qui una presentazione

 

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Qui una recensione di Luigi Pandolfi

 
Enrico Grazzini è giornalista economico, autore di saggi di economia, già consulente strategico di impresa. Collabora e ha collaborato per molti anni a diverse testate, tra cui il Corriere della Sera, MicroMega, il Fatto Quotidiano, Social Europe, le newsletter del Financial Times sulle comunicazioni, il Mondo, Prima Comunicazione. Come consulente aziendale ha operato con primarie società internazionali e nazionali.
Ha pubblicato con Fazi Editore "Il fallimento della Moneta. Banche, Debito e Crisi. Perché bisogna emettere una Moneta Pubblica libera dal debito" (2023). Ha curato ed è co-autore dell'eBook edito da MicroMega: “Per una moneta fiscale gratuita. Come uscire dall'austerità senza spaccare l'euro" ” , 2015. Ha scritto "Manifesto per la Democrazia Economica", Castelvecchi Editore, 2014; “Il bene di tutti. L'economia della condivisione per uscire dalla crisi”, Editori Riuniti, 2011; e “L'economia della conoscenza oltre il capitalismo". Codice Edizione, 2008

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Qui l'indice del libro e l'introduzione in pdf.

 

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Qui la quarta di copertina

Ancora leggero

Qui la quarta di copertina

Qui una recensione di Giovanni Di Benedetto

La Democrazia sospesa Copertina

Qui la quarta di copertina

Qui una recensione di Giuseppe Melillo

 

 

cocuzza sottile cover

Qui l'introduzione di Giuseppe Sottile

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