Fai una donazione
Questo sito è autofinanziato. L'aumento dei costi ci costringe a chiedere un piccolo aiuto ai lettori. CHI NON HA O NON VUOLE USARE UNA CARTA DI CREDITO può comunque cliccare su "donate" e nella pagina successiva è presente (in alto) l'IBAN per un bonifico diretto________________________________
- Details
- Hits: 522
Manovra economica e ininfluenza della finanza pubblica
di Roberto Romano
Entro il 15 ottobre prossimo il governo italiano deve presentare all’Europa il Documento di programmazione finanziaria per il prossimo triennio. Roberto Romano anticipa alcuni contenuti del disegno di legge che dovrà essere approvato entro la fine dell’anno. Si tratta di un intervento di politica economica di fatto “neutrale”, non in grado di incidere su una situazione economica che si presenta, nonostante la propaganda di Meloni, alquanto desolante. Grazie alle maggiori entrate fiscali, a carico del lavoro, è possibile che entro la fine dell’anno il rapporto deficit/Pil non superi la soglia del 3%, consentendo così di non incorrere nella procedura europea di infrazione del debito. Un magro risultato che conferma la supina accettazione del paradigma dell’austerity (per la gioia delle società di rating) a scapito di una politica economica più espansiva, capace di riequilibrare la disastrosa distribuzione del reddito e contrastare la stagnazione economica e salariale
* * * * *
Può la contabilità pubblica andare peggio di così? Il Documento programmatico di finanza pubblica (DPFP) nasce all’interno di un quadro europeo fortemente vincolante: le nuove regole sulla finanza pubblica hanno trasformato i documenti contabili in un esercizio quasi esclusivamente ragionieristico.
- Details
- Hits: 880
Chi comanda (veramente) in Europa
di Alessandro Volpi*
Chi comanda in Europa. In Germania, BlackRock ha partecipazioni, sia direttamente sia attraverso fondi posseduti, comprese fra il 3 e il 10% in Commerzabank, Deutsche Bank, Continental, Adidas, Bayer, Lufthansa, Sofran, Daimler, Ag, Basf, Allianz, Siemens, Thyssen Krupp, Muniche Re, Rheinmetall, Hensholdt. A questo complesso di partecipazioni si aggiunge una lunga lista di azioni possedute, al di sotto della soglia del 3%, in numerosissime altre società tedesche, a partire dal settore del credito e delle assicurazioni. In Francia, la società guidata da Larry Fink detiene pacchetti azionari, di nuovo fra il 3 e il 9%, in Sanofi, TotalEnergies, Lvhm, Schneider Electric, Société Générale, Orpea.
Anche qui, come in Germania e in Italia, BlackRock possiede partecipazioni inferiori alla soglia del 3% in numerosissime società francesi, con una significativa incidenza nel comparto bancario. In Inghilterra, la società americana gestisce una serie di fondi UCITS domiciliati nell’isola, che contengono importanti partecipazioni di società inglesi, mentre registra una presenza azionaria diretta in Shell, in Netwest group e in Preqin. Le partecipazioni in Spagna di BlackRock sono concentrate nel sistema bancario, in Bbva, Banco Sabadell, Banco Santander, Caixa Banca, dove il capitale posseduto oscilla fra il 6 e l’8%, e in una serie di altri settori ambiti dove la quota posseduta è superiore al 5%, da Iberdola, a Repsol, Enagas, Redeia, Telefonica, Grifols, Fluidra, Merlin e AM-Deus.
- Details
- Hits: 638
7 ottobre 2023 e altre narrazioni fasulle
di Paolo De Prai
Continuamente i tg main-stream inondano la loro narrazione mettendo sullo stesso piano il genocidio dei gazawi (miserabile chi lo nega) con i 1.138 morti del 7/10/23.
Dal momento che non sono minimamente d’accordo su questa narrazione, procedo a fare un minimo di chiarezza.
La prima cosa da rimarcare è che quel giorno non è successo niente di particolarmente strano – se non nelle dimensioni – perché nei 15 anni precedenti lo stato sionista aveva sterminato 6.085 palestinesi e ne aveva rapiti oltre 8mila, chiamandoli “arresti amministrativi”.
Quel giorno sono avvenuti due eventi contemporanei e opposti: il primo condotto dalla resistenza palestinese a guida Hamas (in coda faccio una ulteriore riflessione), azione che mirava a rompere l’isolamento dei palestinesi stritolati lentamente dallo stato sionista con in vista gli “accordi di Abramo” che dovevano rendere definitivamente invisibili ed eliminati nel tempo i palestinesi, il secondo evento è stato l’inizio della guerra per la “grande Israele”.
Questa azione militare sionista è stata organizzata da molto tempo e aspettava solo il momento giusto per attuarla, preparazione dimostrata sia da come i sionisti preparano le loro azioni terroriste (cerca-persone e walkie-talkie che ha richiesto almeno 4 o 5 anni di preparazione).
- Details
- Hits: 706
Genius Act, la "silver bullet" di Trump per abbattere il debito USA
di Giuseppe Masala
In più di una circostanza ho sostenuto la tesi secondo la quale la causa di fondo dell'instabilità geopolitica che sta spingendo il mondo verso una guerra su vasta scala, che vede fronteggiarsi anche potenze globali come gli USA, la Russa e la Cina, è da ricercarsi nell'enorme debito estero americano ormai insostenibile. Un debito estero americano insostenibile che mette a rischio il ruolo egemone del dollaro come moneta standard degli scambi internazionali e che, in definitiva, mette in pericolo l'esistenza stessa dell'Impero Americano sorto con la vittoria nella Seconda Guerra Mondiale e rafforzatosi ulteriormente con il crollo del Muro di Berlino e la caduta dell'Unione Sovietica.
La mia tesi è che l'instabilità geopolitica mondiale, che ha generato svariati conflitti in Europa, Africa e “Medio Oriente Allargato” e che Papa Bergoglio definì “guerra mondiale a pezzi” sia stata scientemente causata da Washington con la finalità di bloccare la penetrazione cinese e russa in Africa e “Medio Oriente Allargato” e in Europa con l'intento di rompere l'asse tra UE (Germania in particolare) e Russia che garantiva agli europei materie prime a basso costo che rendevano le loro aziende ultra competitive nel mercato mondiale a tal punto da mettere in ginocchio il sistema produttivo USA fino a mandare in enorme passivo sia la bilancia commerciale che quella dei pagamenti a stelle e strisce.
Per quanto riguarda il teatro europeo, va detto, che l'operazione imbastita da Washington è stata coronata da un successo enorme.
- Details
- Hits: 643
Tre guerre
di Enrico Tomaselli
La storia dello stato di Israele è una storia di guerra. Come tutti i colonialismi d’insediamento, in cui la popolazione indigena viene rimossa o sostituita da una comunità di coloni che si insedia stabilmente nel territorio, la guerra è innanzitutto un atto fondativo; ma, diversamente da quanto accaduto nel caso degli altri colonialismi di tale natura (Nord America e Australia), che hanno potuto portare a termine la eliminazione/sostituzione della popolazione autoctona anche grazie al fatto che non vi fossero paesi confinanti ove questa fosse presente, Israele si è collocata in un contesto regionale nel quale è invece circondata da paesi con la medesima composizione etnica della popolazione originaria del territorio occupato. Pertanto, la guerra è stata non solo necessaria per l’instaurazione dello stato ebraico, ma è divenuta anche una necessità difensiva, nel senso che è lo strumento attraverso il quale Israele impedisce il suo rigetto come corpo estraneo, rispetto al contesto regionale.
Sino agli anni ’70, ciò ha significato fondamentalmente due guerre, quella dei sei giorni (nel 1967) e quella dello Yom Kippur (nel 1973), condotte contro alcuni degli stati arabi vicini. Guerre che hanno tra l’altro consentito di occupare ulteriori territori, annettendoli allo stato israeliano. E queste due guerre si sono intrecciate con tutta la prima fase della lotta di liberazione palestinese, quella definibile come del nazionalismo laico, che comportarono tra l’altro una invasione del Libano, con l’assedio di Beirut.
- Details
- Hits: 751
Sommersi o salvati. O della crisi sistematica del capitalismo crepuscolare
(schematico quadretto di riferimento)
di Roberto Fineschi
Le dinamiche del capitalismo crepuscolare sono legate a trasformazioni dei processi produttivi e dei relativi rapporti sociali che hanno un impatto non indifferente sulla vita associata e sulle risposte politiche correlate dei vari partiti.
La premessa teorica generale è la tendenza di sistema all’estromissione dei lavoratori dal processo lavorativo per il perfezionamento tecnologico da un lato, la sempre più difficile valorizzazione reale del capitale dall’altro per la crisi strutturale di sovrapproduzione. Ciò da un lato determina la rinascita del capitalismo di rapina, che cioè non valorizza effettivamente il capitale attraverso il processo reale di produzione, ma lo fa o in maniera speculativa o sottraendo risorse o imponendo decisioni anti-economiche ad altri soggetti che aumentano la rentabilità di un qualche capitale ma solo attraverso un trasferimento di ricchezza a somma zero da parte di terzi. Dall’altra pone il problema di una disoccupazione di massa interna (servono sempre meno lavoratori attivi, inclusi quelli intellettuali) e migrazioni internazionali dovute a guerre, carestie, impossibilità di sopravvivere a casa propria per gli effetti del capitalismo di rapina. Tutto ciò pone delle domande cruciali ai governi dei paesi centrali o semi-periferici nella gestione politica delle dinamiche interne ed esterne. Vediamo qualche ipotesi generale.
Di fronte a una crescente disoccupazione strutturale, la pletora di lavoratori disponibili pone problemi di fondo, sia per gli interni che per gli esterni.
- Details
- Hits: 586
«Una democrazia senza popolo»
di Gianmarco Martignoni
Recensione al libro dello storico e parlamentare Federico Fornaro (Bollati Boringhieri, pagg. 167, euro 14)
Nella pletora delle pubblicazioni che si interrogano sulle cause dell’espansione e dell’egemonia delle destre su scala planetaria, il recente libro dello storico e parlamentare Federico Fornaro Una democrazia senza popolo (Bollati Boringhieri pag. 167 euro 14) ha il pregio di analizzare l’involuzione del caso italiano collocandola, sulla scorta delle tesi esposte da Colin Crouch nell’imprescindibile libro “Postdemocrazia”, nel quadro del vistoso arretramento della democrazia rispetto alle dinamiche della globalizzazione capitalistica.
Infatti Fornaro, dopo aver rilevato che secondo i rapporti di Freedom House il 57% dei 195 stati indipendenti nel mondo non sono ascrivibili al concetto di democrazia, si concentra sulle conseguenze che la grande recessione del biennio 2007-2008 ha determinato in Europa sui cittadini-consumatori, segnalando come l’impoverimento e la deprivazione del futuro generati dalla crescita delle diseguaglianze socio-economiche, ha permesso alle formazioni neopopuliste di sfondare sul piano elettorale, intercettando il bisogno di protezione economica e identitaria.
I dati riferiti alle elezioni del Parlamento europeo del 2024, oltre a certificare la crisi di rappresentanza delle formazioni della sinistra in corrispondenza all’erosione del modello socialdemocratico, sono eloquenti e preoccupanti: sommando i voti del gruppo dei Patrioti europei (84 seggi) con quelli dei Conservatori e Riformisti europei (78 seggi), avremmo un totale di 162 seggi, mentre il gruppo dell’Alleanza progressista di Socialisti e Democratici ha solo136 seggi e il Partito popolare europeo 188 seggi.
- Details
- Hits: 588

Palestina: Chi vince?
di Alessandro Mantovani
La storia dello stato di Israele è una storia di guerra. Come tutti i colonialismi d’insediamento, in cui la popolazione indigena viene rimossa o sostituita da una comunità di coloni che si insedia stabilmente nel territorio, la guerra è innanzitutto un atto fondativo; ma, diversamente da quanto accaduto nel caso degli altri colonialismi di tale natura (Nord America e Australia), che hanno potuto portare a termine la eliminazione/sostituzione della popolazione autoctona anche grazie al fatto che non vi fossero paesi confinanti ove questa fosse presente, Israele si è collocata in un contesto regionale nel quale è invece circondata da paesi con la medesima composizione etnica della popolazione originaria del territorio occupato. Pertanto, la guerra è stata non solo necessaria per l’instaurazione dello stato ebraico, ma è divenuta anche una necessità difensiva, nel senso che è lo strumento attraverso il quale Israele impedisce il suo rigetto come corpo estraneo, rispetto al contesto regionale.
Sino agli anni ’70, ciò ha significato fondamentalmente due guerre, quella dei sei giorni (nel 1967) e quella dello Yom Kippur (nel 1973), condotte contro alcuni degli stati arabi vicini. Guerre che hanno tra l’altro consentito di occupare ulteriori territori, annettendoli allo stato israeliano. E queste due guerre si sono intrecciate con tutta la prima fase della lotta di liberazione palestinese, quella definibile come del nazionalismo laico, che comportarono tra l’altro una invasione del Libano, con l’assedio di Beirut.
- Details
- Hits: 730
Il “piano di pace” di Trump è una truffa
di Fabrizio Marchi
A due anni dall’inizio della carneficina di Gaza l’attuale capo politico dell’impero occidentale (ma ricordiamo sempre che nell’Occidente non è la politica a comandare ma il capitale che sta dietro le quinte) ha deciso che Netanyahu e la sua banda di nazisti assassini, per ora, devono darsi una calmata e addivenire a degli accordi, con chi e perché, lo dirò fra poco. Ma è e sarà vera pace? La risposta è ovvia ed è no, perché si tratta di una trappola per i palestinesi.
Vediamo cosa c’è dietro questa “proposta di pace”.
Il Medio Oriente è un’area strategica per gli Stati Uniti, per questioni economiche, commerciali, energetiche e geopolitiche, di conseguenza non possono mollarla, costi quel che costi. Andiamo per ordine.
La Palestina è, diciamo così, l’ultima “stazione” dell’IMEC (India-Middle East-Europe Economic Corridor), meglio conosciuta come “Via del Cotone”. La “Via del Cotone” è una grande rete di infrastrutture, ferrovie, porti, strade, pipeline, gasdotti, corridoi digitali ed elettrici che parte dall’India e arriva fino all’Europa passando, appunto, per la Palestina e da lì in Europa. Un progetto gigantesco finalizzato, oltre che alla crescita economica e commerciale dei paesi interessati, al trasporto di una enorme quantità di merci dall’India, come dicevo, fino all’Europa. Gli stati che hanno promosso questo progetto sono Stati Uniti, Unione Europea, Francia, Germania, Italia, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti.
- Details
- Hits: 578
Ciò che precede
Appunti intorno a Finché la vittima non sarà nostra di Dimitris Lyacos
di Andrea Carnevale
La tempesta primordiale
L’Angelus Novus di Klee è per Benjamin la figura della storia che avanza inesorabile, sospinta dalla tempesta primordiale, e distrugge inevitabilmente ad ali spiegate ogni cosa. Il suo volto guarda all’indietro, capace solo di contemplare le macerie che si lascia alle spalle. Finché la vittima non sarà nostra pare evocare proprio questa figura. Pare soltanto però, perché l’Angelo della storia di Benjamin è una metafora, il nuovo libro di Lyacos —salvo che per un unico aspetto, su cui occorrerà tornare — no.
Il lettore inizia così a cercare nel caleidoscopio delle categorie letterarie quella, o quelle, entro cui poter inserire l’opera per riuscire a definirla: distopia, favola nera, opera mondo… Nomi della letteratura. Ma Finché la vittima non sarà nostra gli scappa via, è uno strano liquido che, appena lo si prova a versare in qualche contenitore letterario, si rapprende, si solidifica, si oppone.
Più facile allora concentrarsi sul contenuto. E qui non si può sbagliare: l’opera ha per oggetto e tema la violenza. Facile. No, difficile: quale violenza? Nelle diverse inquadrature, nell’autonomia (che non è indipendenza) dei capitoli, la violenza messa in scena da Lyacos (in un procedere assemblato che è insieme testimonianza e rappresentazione) progredisce infatti reinventando sé stessa: dal cannibalismo all’omicidio religioso, dalla guerra dall’esilio e dalla tortura fisica alla rarefatta coercizione della Legge, dalla disciplina carceraria e dall’isolamento al massacro industriale e al lavoro forzato.
- Details
- Hits: 701
La “democrazia” occidentale va al patibolo
di Dante Barontini
Zitto zitto, quatto quatto, è saltato il tappo che conteneva il malessere sociale nella gabbia della passività E altrettanto in silenzio – ufficiale, per lo meno – è saltato il mantra che descriveva il “guardino occidentale” come “democrazie” contrapposte, soprattutto sul piano valoriale, alle “autocrazie”.
Ci avete fatto caso? Non c’è più un ospite di talk show che provi ad avventurarsi su questo terreno paludoso…
il “merito” – si fa per dire – è del veloce scivolamento delle istituzioni occidentali, al di qua e al dà dell’Atlantico.
In Gran Bretagna il governo sedicente “laburista” di Starmer do la caccia agli attivisti per la Palestina arrestando sia in strada a che a casa, anche quando vivono ormai in carrrozzella.
In Francia il banchiere Macron, forse sulla porta d’uscita dall’Eliseo, ha fatto sempre caricare qualsiasi protesta con grande profusione di flashball ad altezza d’uomo e manganellate come se piovesse.
In Italia si risparmia sulle flashball, ma per nulla sulle manganellate, al punto che gli agenti di polizia si colpiscono spesso tra loro ma comunque rimediano qualche giorno di “malattia” grazie a medici e superiori compiacenti.
In Germania le cose non vanno meglio, con un plus idologico paranazista che anticipa l’arrivo al potere dei nazisti veri (ormai al 30% nei sondaggi), che si troveranno un mega-riarmo già apparecchiato per ricreare “il più forte esercito d’Europa”.
- Details
- Hits: 580

Ecco perché Ursula Von Der Leyen doveva essere sfiduciata
di Umberto Franchi
Le mozioni di sfiducia presentate il 6 ottobre con le motivazioni sono due: la prima, sui dazi in quanto è stata firmata la resa commerciale dell’Europa; la seconda in quanto la Commissione Europea presieduta dalla Von Der Leyen è complice nel genocidio commesso a Gaza dagli Israeliani.
Ma vediamo razionalmente la storia di ciò che è avvenuto e le motivazioni.
DAZI USA
Allo stato attuale non è chiaro se la guerra commerciale voluta da Trump abbia come fine la nuove barriere commerciali protezionistiche per arginare la concorrenza mondiale o anche come mezzo di intimidazione internazionale al fine di altri obbiettivi politici. Sta di fatto che le potenze giunte ai patti con Trump come l’Unione Europea, il Giappone, Cora del Sud, ed in parte la Gran Bretagna (ma non la Cina) , hanno ceduto alle sue principali richieste e subiscono un significativo aumento dei dazi , uscendo dal confronto con gli USA con “le ossa rotte”.
La storia dei dazi da quando Trump è diventato Presidente, ha visto: prima ad aprile, la dichiarazione di guerra commerciale “Liberation Day”, ma al primo panico finanziario aveva proclamato una tregua di tre mesi.
- Details
- Hits: 680
Gaza: la Pax Americana
di Alex Marsaglia
In queste ore le abilità diplomatiche di Trump, che avevamo già visto durante il suo primo mandato sulla questione coreana, si sono nuovamente rivelate. Dopo aver messo assieme una coalizione di Stati arabi di peso per il Medio Oriente tra cui Qatar, Egitto e Turchia e aver portato al tavolo delle trattative Hamas e Israele sui 20 punti proposti è riuscito a ottenere la firma sulla prima fase di attuazione dell’accordo.
La Pax Americana
I principali punti riguardano lo scambio di prigionieri, il cessate il fuoco con il ritiro delle forze dell’IDF sulla linea gialla all’interno della Striscia di Gaza e l’apertura di cinque canali umanitari. Hamas e Israele cercano di portare a casa rivendicazioni vittoriose, con la prima che annuncia di non rinunciare alla libertà, indipendenza e autodeterminazione della Palestina, anche se Israele che si attesterà sulla “linea gialla” avrà derubato metà della terra palestinese di Gaza. Viceversa Netanyahu ha definito l’accordo una “vittoria nazionale e morale”, ma in questa prima fase non ha ottenuto né lo scioglimento di Hamas né il controllo su Gaza City e deve ancora far passare il piano di pace sotto l’ala oltranzista del suo governo. Insomma, come da 77 anni a questa parte, la pace da queste parti sembra soltanto una tregua dell’opera di colonizzazione israeliana che prosegue di missione in missione.
- Details
- Hits: 793
Tendenze della guerra globale: la depurazione dei fronti interni negli Stati Uniti e in Palestina
di Antiper
Esiste oggi un riconoscimento quasi unanime sul fatto che il dominio strategico – economico, finanziario, militare, culturale – del Nord Globale [1] stia per finire e che stia nascendo una nuova configurazione multipolare del sistema-mondo. Si tratta di uno scenario da incubo per l’imperialismo che su quel dominio aveva fondato la propria capacità di contrastare la tendenza storica al declino del saggio di profitto nei settori produttivi.
In una prima fase la cosiddetta “globalizzazione” aveva permesso al Nord Globale di conservare alti livelli di rendita finanziaria e di consumo di massa, nonché di contrastare la sovrapproduzione di merci e capitali che si era manifestata tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70 e che aveva concorso a spingere Nixon verso il famoso “shock” del 1971.
Ma alcune aree del Sud Globale sono riuscite a sfruttare le opportunità derivanti dalle delocalizzazioni occidentali per far crescere le proprie economie e la propria indipendenza (politica, tecnologica…). L’esempio della Cina è eclatante.
Con il Nord Globale che declina e il Sud Globale che emerge la crisi dell’imperialismo accelera e con essa accelera la tendenza a ricorrere alla guerra come estrema ratio per conservare il proprio dominio. Quando infatti non si riesce più a dominare con le buone diventa inevitabile tentare di dominare con le cattive. L’avanzata della NATO verso la Russia si spiega come mossa preventiva in un’ottica di guerra per la distruzione di una potenza che dopo la fase servile degli anni ’90 aveva deciso di ricostruire la propria potenza politica.
- Details
- Hits: 548
L’arte di governo è eludere le responsabilità
di comidad
Al di là dei contesti radicalmente diversi, si può riconoscere lo schema ricorrente, l’invarianza; che in questo caso è la cosiddetta “arte di governo”, ovvero l’eludere le proprie responsabilità tramite il vittimismo, la contrapposizione pseudo-ideologica e la gazzarra da talk-show. L’arte di governo è trasversale ai vari governi e ai differenti schieramenti politici, che convergono nella pratica di non precisare i confini tra lecito e illecito. La trasparenza della contestazione e della sanzione dell’eventuale illecito viene sostituita con una generica colpevolizzazione dei cittadini, con la quale giustificare pressioni indebite, terrorismo psicologico e discriminazioni. In epoca psicopandemica si è costruito su queste basi di incertezza giuridica e linguistica una sorta di virtuale obbligo vaccinale, la cui attuazione è stata condotta con strumenti arbitrari di limitazione dei diritti civili. Persino quando l’obbligo vaccinale è stato apparentemente proclamato per legge, si è però continuato nella farsa di voler estorcere la firma al “consenso informato”, negando la somministrazione del siero a coloro che volevano aderire all’obbligo manifestando chiaramente il proprio dissenso. L’ossimoro dell’obbligo che presuppone il consenso, è stato però avallato e santificato dalla Corte Costituzionale nella sentenza 14/2023, per cui si è creata una sorta di giurisprudenza in funzione dell’irresponsabilità del governo e della colpevolizzazione generica del cittadino comune. Lo schema funziona all’incontrario del famoso aforisma dell’Uomo Ragno, perché più potere si ha e più si riesce a scaricare sugli altri ogni responsabilità.
- Details
- Hits: 646
Da una debacle all’altra: forse si apre il confronto nel M5S
di Gerardo Lisco
Dalla crisi dei consensi al Sud alla chiusura oligarchica: il Movimento 5 Stelle di fronte al proprio modello organizzativo.
Un movimento nato dal marketing politico
Una riflessione sul voto delle regionali in Calabria non può prescindere da un’analisi del Movimento 5 Stelle. Il movimento fondato come una pura e semplice operazione di marketing dal duo Grillo-Casaleggio nasce da una costola di Italia dei Valori e, come ha spiegato Antonio Di Pietro in un’intervista rilasciata a l’Espresso, è destinato — salvo sterzate dell’ultimo momento — a fare la stessa fine.
Il M5S, stando ai dati elettorali, si presenta come un movimento politico meridionale, il che non equivale a dire “meridionalista”. È passato dal 25,55% delle politiche del 2013 al 15,43% del 2022, perdendo in nove anni circa la metà degli elettori: da 8,7 a 4,3 milioni di voti.
Dalla crescita al Mezzogiorno al crollo nazionale
Nel 2013 il M5S registrava una percentuale omogenea in tutte le circoscrizioni, raramente al di sotto del 20%, con una media intorno al 25%. Il quadro cambia radicalmente nel 2018: al Nord il movimento conferma i dati del 2013, mentre nel Mezzogiorno supera il 40%, con punte prossime al 50%.
- Details
- Hits: 762
Homo homini lupus?
di Roberto Fineschi*
Smotrich avrebbe dichiarato: “Il diritto internazionale non si applica agli ebrei. Questa è la differenza tra il popolo eletto e gli altri”.
Si tratta evidentemente di una dichiarazione suprematista, atteggiamento già di fatto praticato nello sterminio in atto, ma qui c’è un passo in più: rivendicare formalmente di essere al di sopra di una legge uguale per tutti significa rinnegare l’universalismo, ovvero il pari diritto di individui e popoli a un trattamento analogo di fronte a essa.
Si rinnega in sostanza la civiltà del diritto, uno dei risultati più avanzati del mondo democratico prodotto dall’Occidente.
È il motivo per cui non si concede il termine genocidio: l’olocausto (in questa prospettiva alla quale fortunatamente molti ebrei non aderiscono) non è un crimine contro l’umanità, ma un crimine contro gli ebrei, una prevaricazione contro un popolo in quanto tale, non in quanto espressione del genere umano. Dunque, per coerenza, lo stesso crimine perpetrato verso altri non è lo stesso crimine perché non è l’atto in sé che conta, ma il soggetto contro cui viene perpetrato.
Senza girargli intorno: è semplicemente la legge del più forte e il “diritto” è di chi riesce a imporla.
Questo modo di ragionare ha ovviamente delle controindicazioni: se qualcuno volesse ripagare con la stessa moneta un domani a che cosa ci si potrebbe appellare per dire che non è giusto? Perché gli altri dovrebbero muoversi in difesa degli offesi? In base a quale criterio condannare chi in passato non si è mosso in difesa degli offesi se ciò dipende non dal principio ma dalla particolarità di chi subisce violenza?
- Details
- Hits: 668
Piano di pace, piano di resa o piano della disperazione?
Paolo Arigotti intervista Fulvio Grimaldi
https://www.youtube.com/watch?v=0e-Ihl2BeO4
https://youtu.be/0e-Ihl2BeO4
(Nel video inquadrature alternative alla vulgata sul Piano di Pace)
L’etichetta che invita a comprare è “Piano di pace”, la sostanza dentro all’involucro è “Piano di resa incondizionata”, il nocciolo della proposta è “Piano della disperazione”.
Hamas e le altre componenti della Resistenza hanno ovviamente dato disponibilità al “Piano di Pace”. Non farlo avrebbe potuto far pensare che il loro è un cinico accanimento sulla guerra a spese dell’olocausto in atto del loro popolo. E’ palese, con Hamas, l’esistenza di una formazione bicefala, con una dirigenza, da anni a Doha, incline ad ascoltare con attenzione gli indirizzi dell’emiro che la ospita, e i più autonomi successori di Hanijeh e Sinwar sul campo di battaglia a Gaza (presenti con minore evidenza anche in Cisgiordania). Consapevoli, questi ultimi, di essere il fattore determinante perché il piano sia stato innescato, se non dalla disperazione, da un’urgenza di sopravvivenza del progetto sionista, con relative ripercussioni sul futuro del Grande Israele e, più in là, della restaurazione colonialista nell’area e in generale.
Il piano del trinomio Trump-Netanyahu-Blair arriva a poca distanza da quando, secondo la delicata definizione euro-atlantica, Israele stava terminando il “lavoro sporco” a Gaza e in giro per il Medioriente.
- Details
- Hits: 1259
“Chi c'è dietro, chi c'è dietro?” L'Algoritmo del Sospetto: 10 passaggi per dimostrare che il gatto ti sta manipolando
di Geraldina Colotti
In un eccellente libro intitolato La era del conspiracionismo (L'Epoca del complottismo), Ignacio Ramonet analizza, in prospettiva storica e attuale, come le teorie complottiste, diventate potenti armi ideologiche e politiche, stiano sempre più occupando spazio. A favorirle, sono le reti sociali, terreno fertile per la veloce diffusione di fake news che, con il loro continuo bombardamento, alimentano l'ossessione e il fanatismo dei dietrologi: per loro, c'è sempre “qualcosa dietro” e, va da sé che loro sanno sempre chi sia.
Smontare la granitica convinzione di un terrapiattista dimostrandogli che la terra è rotonda, è fatica di Sisifo, giacché ti dirà che la scienza è frutto di un grande complotto, eccetera eccetera. La società statunitense, dice Ramonet, concentrandosi soprattutto sull'assalto al Campidoglio del primo governo Trump, è stato lo scenario più propizio per questa vecchia strategia, e il presidente Trump il suo artefice.
Al proposito, però, l'Italia non ha nulla da invidiare, essendosi allenata sul tema per tutto il grande ciclo di lotta degli anni '70. Già prima del 1973 – quando, dopo il golpe in Cile contro Allende, Berlinguer riconobbe la Nato e lanciò il “compromesso storico” con la Democrazia cristiana – il Pci chiamava “fascisti rossi” i movimenti studenteschi e operai che ne contestavano, dall'estrema sinistra, l'autorità. Era, ovviamente, un modo per delegittimare politicamente e moralmente chi metteva in questione la “stabilità democratica” che il Partito comunista più forte d'Europa andava assumendo come dogma.
- Details
- Hits: 624
Perù in fiamme, Bolouarte sotto accusa: contestata all’ONU e nelle piazze
di Geraldina Colotti
All’ottantesima Assemblea Generale dell’Onu, la rappresentante del Perù, Dina Bolouarte, ha concluso il suo intervento a microfoni spenti. Guasto tecnico o sordina intenzionale? Intanto, fuori dal Palazzo di Vetro, si facevano sentire i peruviani risiedenti a New York. Come molti concittadini immigrati in altri paesi, i peruviani che vivono negli Stati uniti non hanno perso occasione per protestare contro quella che considerano non la presidente, ma un’”usurpatrice”, che governa dal 7 dicembre del 2022, a seguito di un “golpe istituzionale” contro il maestro Pedro Castillo. L’ex presidente è tutt’ora in carcere e i manifestanti, che hanno denunciato la dura repressione subita dal 2022 a oggi, inalberavano le foto delle oltre 80 vittime e chiedevano la liberazione di Castillo.
Altri feriti – giornalisti e giovani manifestanti – si sono aggiunti in questi giorni a Lima, a seguito dei violenti scontri con la polizia, che ha duramente contrastato la manifestazione del movimento “Generazione Z”. A scendere in piazza sono stati i ragazzi cresciuti nell’era digitale che si organizzano attraverso piattaforme virtuali, innalzando simboli culturali come la bandiera di One Piece. La bandiera di One Piece, o Jolly Roger, è l’emblema del protagonista dell’omonima serie manga e anime giapponese, creata da Eiichiro Oda. Nella serie, è il simbolo della ciurma di pirati guidata da Monkey D. Luffy. Indica libertà, avventura e ribellione contro il potere costituito dal governo mondiale, che i pirati li considera criminali.
- Details
- Hits: 842
Il flop di DSP
di Fabrizio Marchi
Un mio amico appartenente a quella che fu l’area cosiddetta “sovranista” mi ha chiesto quali sarebbero le ragioni, secondo il mio punto di vista, dell’ultimo flop elettorale di DSP (la formazione guidata da Marco Rizzo e Francesco Toscano), nel caso specifico nella regione Calabria dove ha ottenuto circa lo 0,9% (c’è anche da considerare che è la regione di Francesco Toscano dove infatti era candidato). Questa di seguito è stata la mia risposta che ho pensato di rendere pubblica.
Qualche settimana fa ho ascoltato su Facebook un brevissimo video/spot di Marco Rizzo in cui testualmente diceva:”Ma quale invasione della Russia, qui l’invasione è quella degli immigrati!”.
Ora, posso capire l’esigenza della sintesi, di lanciare un messaggio breve ed efficace che faccia presa sull’elettorato ma questa è una frase che potrebbe stare in bocca al più inveterato leghista o a qualsiasi catenaccio di estrema destra, anche di un militante di Casapound o di Forza Nuova.
Un comunista o un socialista dovrebbero entrare un po’ più nel merito e spiegare quali sono le cause strutturali dell’immigrazione, e cioè lo sfruttamento e il saccheggio a cui sono sottoposti i paesi della periferia del mondo a opera dei paesi ricchi, cioè sostanzialmente dell’Occidente a guida USA ma anche di altri, penso ad esempio al Qatar o all’Arabia Saudita che vivono anch’essi sullo sfruttamento dei lavoratori immigrati oltre che dai proventi del petrolio.
- Details
- Hits: 588
Migranti e capitale
di Alberto Giovanni Biuso
Il significato del marxismo come analisi volta a comprendere la realtà e come spinta rivoluzionaria a trasformarla sta anche e specialmente nel rifiuto costante che Marx oppose a ogni prospettiva moralistica e sentimentale, proponendosi invece di pervenire a una comprensione quanto più oggettiva e fredda del divenire storico e dei conflitti tra le classi.
Das Kapital rappresenta il vertice di questa intenzione che è stata ed è feconda non in quanto ‘scientifica’, aggettivo che ricorre spessissimo nei testi marxiani ma che ne mostra la dipendenza dal clima positivistico dell’epoca, bensì in un fitto ragionare e argomentare, fondato su una miriade di dati statistici, di analisi sociologiche, di resoconti evenemenziali. Tutti trasformati poi in categorie generali dell’economia politica.
C’è nel Capitale una sezione che affronta un argomento centrale per comprendere il funzionamento e gli obiettivi del modo di produzione capitalistico. Si tratta della VII sezione del I libro, più esattamente del § 3 del capitolo n. 23. Il titolo del capitolo è La legge generale dell’accumulazione capitalistica (Das allgemeine Gesetz der kapitalistichen Akkumulation), quello del paragrafo è Produzione progressiva di una sovrappopolazione relativa ossia di un esercito industriale di riserva (Progressive Produktion einer relativen Übervölkerung oder industriellen Reservearmee).
In queste poche ma fondamentali pagine Marx applica la distinzione tra capitale costante (i macchinari e le materie prime) e capitale variabile (la forza lavoro, gli operai) alla relazione tra il plusvalore e i cicli di maggiore o minore impiego della forza lavoro, individuando in tale relazione una delle fonti più importanti dell’accumulazione capitalistica.
- Details
- Hits: 925
Due anni, la Storia
di Enrico Tomaselli
Oggi sono passati due anni da quel fatidico 7 ottobre 2023, e ora che con il piano Trump si apre uno spiraglio – non ancora di pace per il Medio Oriente, ma forse di tregua per Gaza – si può fare un bilancio, anche se certamente non ancora definitivo. E poiché si tratta di una questione assai articolata e complessa, questo primo bilancio sarà diviso per comodità in due parti. In questo articolo esaminerò, sia sotto il profilo politico che militare, questi due anni di guerra, e soprattutto cosa ne emerge; in un articolo successivo invece esaminerò la vexata questio del via libera calcolato, da parte del governo israeliano, affinché l’attacco palestinese fungesse da giustificazione per il successivo genocidio. E cercherò di farlo non a partire da una posizione preconcetta – pro o contro questa tesi – ma da un esame quanto più oggettivo possibile, e sottolineo possibile, delle informazioni certe di cui a oggi disponiamo. Per il momento, mi limito a osservare che, se davvero l’operazione Al Aqsa Flood ha potuto essere messa in atto grazie a una decisione del governo di Tel Aviv, possiamo oggi affermare, con tutta evidenza, che in tal caso si sarebbe trattato della decisione più folle, più errata e più controproducente dell’intera storia di Israele.
Una delle cose che scrissi, nell’immediatezza dell’attacco palestinese del 7 ottobre, fu che quella operazione rappresentava la definitiva sconfitta politica del progetto sionista; e che, a quel punto, restava soltanto da attendere la sconfitta militare. Che, a due anni esatti di distanza, e anticipata da due fondamentali passaggi (il conflitto con Hezbollah, settembre-novembre 2024, e il conflitto con l’Iran, giugno 2025), è ora arrivata. Nell’arco di questo biennio, Israele ha semplicemente fatto a pezzi il progetto sionista, lo ha sbriciolato in un modo che rende semplicemente impossibile rimettere insieme i pezzi, e quando la spinta cinetica del conflitto si arresterà, la società israeliana sarà semplicemente squassata sino alle fondamenta dall’onda d’urto di questi due anni.Quando le formazioni combattenti della Resistenza palestinese lanciano l’attacco, il contesto geopolitico regionale – e non solo, ma questo al momento, lo lasciamo da parte – è caratterizzato fondamentalmente da due elementi.
- Details
- Hits: 660
Aria frizzante. Un punto di vista dalla provincia sulla marea del «Blocchiamo tutto»
di kamo
0. Ci sono giorni che valgono anni. Le ultime settimane, dal 22 settembre al 4 ottobre, sono state tra questi. Anche a Modena.
1. Due scioperi generali che hanno travalicato le appartenenze (o non appartenenze) sindacali e fermato, rallentato, sabotato, la fabbrica della guerra che è nel suo complesso il sistema-Italia e di cui Modena è uno dei suoi reparti più avanzati. Una composizione eterogenea e trasversale di massa e diffusa che ha utilizzato strumentalmente e pragmaticamente le scadenze di sigle, collettivi e delle più svariate infrastrutture organizzative per scendere in mobilitazione permanente. Che, capillarmente, dai territori metropolitani a quelli provinciali, su livelli di intensità variabile da territorio a territorio, ha occupato le strade, le piazze, le facoltà, le scuole, i magazzini, gli stabilimenti, le stazioni, le tangenziali, tentando di praticare con slancio e determinazione l’obiettivo del “blocchiamo tutto”. Una oceanica manifestazione nazionale che ha fatto tremare, per la prima volta, un governo di postfascisti, atlantisti e sionisti – scappati fuori Roma – a digiuno di opposizione. Per non parlare, appunto, delle imbelli, inutili e ipocrite opposizioni della Sinistra, atlantista e sionista, saltate a bordo all’ultimo – citofonare Landini e Schlein – per timore di rimanere naufraghe.
2. L’avevamo percepito il lunedì di sciopero generale che l’aria non era più la stessa. Certe cose le senti: ti lasciano il sapore dell’elettricità in bocca. Il 22 settembre abbiamo assaporato un gusto che non sentivamo da molto tempo a Modena.
La manifestazione degli studenti è rumorosa e con numeri (circa 400-500) che non si vedevano da decenni – anche se a maggioranza liceali e con poco apporto di seconde generazioni – portati per la gran parte dal “lavorio invisibile” di un gruppo di giovani senza pregressi politici nato, più o meno spontaneamente, un paio di settimane prima, “Giovani di Modena per la Palestina”. Piazza Grande è ingrossata da lavoratori delle più disparate categorie: operai della logistica e non solo, professionisti e partite iva, insegnanti, impiegati dell’industria, tecnici, precari, operatori delle cooperative, tirocinanti, universitari, perfino i funzionari della CGIL. La manifestazione arriva a contare circa 3000 persone e si carica di un’energia che neanche i soliti, interminabili comizi al microfono riescono a spegnere.
- Details
- Hits: 635
IA è compatibile con noi?
di Riccardo Fedriga
Immaginiamo di vivere in un mondo popolato da umani perfettamente razionali, chiamiamoli Penelope, che convivono con altrettanti Ulisse, macchine artificiali deferenti e utili: la convivenza tra le due specie non sarebbe un problema. Ulisse passa la vita a imparare, con discrezione e pazienza, le preferenze della sua padrona, diventandone l’assistente perfetto. Ma la realtà è ben diversa: l’umanità non è un blocco monolitico, bensì una costellazione di individui contraddittori, invidiosi, irrazionali, incoerenti e complessi. Una moltitudine che si evolve, si scontra, cambia direzione, pretende di ottenere tutto e subito per ciascuno. Qui nasce il dilemma. Come far coesistere preferenze individuali e interessi collettivi e istruire le intelligenze artificiali così che soddisfino i requisiti per il bene comune? Come può Ulisse prendere le misure per soddisfare i capricci egoistici e le pretese degli umani? Ce ne parla Compatibile con l’uomo, pubblicato oggi da Einaudi e uscito nel 2019 dalla penna di Stuart Russell, informatico e direttore del Center for Human-Compatible Artificial Intelligence a Berkeley. Insisto sul 2019 non per sottolineare ritardi dell’editore quanto per rilevare come sia incredibile che un volume, uscito solo sei anni fa, possa già essere considerato un classico.
Partendo da un dibattito filosofico che affonda le sue radici nelle ricerche sviluppate dagli utilitaristi tra la metà del XVIII secolo e il XIX, Bentham e Mill su tutti, Stuart Russell ripercorre per temi le tappe di un’area di studi, che certo non è nata nel 2020 con il lancio di GPT-3, ma che pochi oggi hanno la capacità di disegnare in modo organico. Dalle discussioni avviate da Alan Turing alla metà degli anni Trenta del secolo scorso (che sfociarono nel congresso del 1956 al Darmouth College - New Hampshire, con McCarthy, Minsky, Shannon, Rochester, Newell e Samuel) il libro, che per chiarezza, attendibilità e capacità di organizzare gli argomenti dovrebbe essere adottato ovunque si studi intelligenza artificiale, ne ripercorre la storia sino alle AI generative e ai modelli linguistici di grandi dimensioni (LLM).
Compatibile con l’uomo, tuttavia, non è solo un viatico autorevole tra storia e problemi dell’intelligenza artificiale. È soprattutto una proposta su come l’uomo possa pensare non meglio o peggio ma con essa: una soluzione ‘compatibilista’ che presenta molti aspetti su cui vale la pena di soffermarsi.
- Details
- Hits: 878
Il prossimo 14 ottobre, a Udine, si giocherà la partita di calcio tra Italia e Israele…
di Docenti per Gaza
Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa presa di posizione di “Docenti per Gaza” su (e contro) questo prossimo evento sportivo, che di autenticamente sportivo avrà ben poco, e sarà al centro di un’ampia contestazione di massa. Quanto alle leggi e alla Costituzione del 1948, all’occorrenza, come in questo e altri mille casi, lo stato non esita a mettersele sotto i piedi. Carta straccia, come le infinite risoluzioni ONU di condanna dello stato sionista. (Red.)
Il prossimo 14 ottobre, a Udine, si giocherà la partita di calcio tra Italia e Israele valevole per le qualificazioni ai campionati mondiali del 2026.
Incuranti degli appelli che si susseguono, ormai da mesi, per chiedere la sospensione di questo evento, FIGC, prefettura e governo ritengono che non ci sia nulla di male a ospitare la squadra che rappresenta un’entità coloniale che da decenni occupa il territorio palestinese illegalmente, costringendo i suoi abitanti a vivere sotto assedio, e che negli ultimi due anni ha accelerato e inasprito a dismisura un progetto dichiaratamente genocidiario.
“Cosa c’entra lo sport?”, qualcuno si domanda. Tante, forse troppe persone non sono a conoscenza del fatto che molti dei componenti della squadra israeliana sono membri effettivi dell’esercito, e che non perdono occasione per esaltare le ignobili “imprese” dell’IDF; la propaganda sionista e la copertura al genocidio in atto passano anche per manifestazioni come questa.
- Details
- Hits: 649
Gli “scontri” di Roma. Come ti cucino un falso
di Redazione Contropiano
Il governo Meloni non regge le critiche, si sa. I suoi quasi-avversari liberal fanno notare che non dà interviste da una vita (quelle di Bruno Vespa non possono onestamente essere considerate tali…), che non risponde mai a nessuna domanda, che il suo stile comunicativo è praticamente autistico.
Ma nella pratica di governo – nella concretezza delle decisioni, prima e più che nelle dichiarazioni – è solarmente evidente che sta velocemente passando dalla “tolleranza occhiuta” del dissenso alla repressione pura e semplice.
Pensare di fermare così un movimento di popolo capace di portare in piazza due milioni di persone in due giorni – oltre che di dar sostanza a due sciopero generali in meno di 15 giorni, che hanno portato realmente a “bloccare tutto” come promesso – è miope. Quasi autolesionistico.
Perché l’indignazione morale che ha mosso tanta gente davanti a un genocidio in diretta può solo crescere, se messa davanti a plotoni di celere che pestano gente inerme (anche se poi tutti – ma proprio tutti – i giornalisti li definiscono “scontri”; come del resto chiamano quel che accade a Gaza una “guerra”, anche se lì c’è un esercito tecnologicamente avanzato che martella su una popolazione civile e qualche miglio di combattenti armati al massimo di fucili, qualche bazooka e trappole esplosive mimetizzate tra le macerie).
- Details
- Hits: 528
Da Roma a Gaza: Palestina vincerà!
di Militant
Il 4 ottobre è stata una giornata figlia di un lungo percorso, durato due anni, che ha visto nel suo corteo oceanico uno dei momenti di apice per un movimento che in questo autunno ha iniziato a dispiegare tutta la sua capacità di mobilitazione. Una settimana lunga e intensa, inedita, che ha portato milioni di persone in piazza in tutta Italia e che ha saputo esprimere numerosi momenti di conflitto. Questa settimana ha dimostrato plasticamente che la società italiana è schierata convintamente per la Palestina e contro le politiche terroristiche di Israele, contro il sionismo colonizzatore, e contro un sistema di relazioni internazionali marcio e complice, che permette da 70 anni al sionismo genocida di annientare un popolo senza Stato, senza esercito e senza economia, armato solo della convinzione e della necessità di dover resistere per sopravvivere.
Un movimento ormai composto dai più diversi settori sociali e che rivendica con forza il proprio sostegno alla resistenza palestinese. Che ha preso le mosse dalle organizzazioni della diaspora palestinese che per prime si sono organizzate all’alba del 7 ottobre e che hanno avuto la capacità di generalizzare, nel pieno di una crisi di mobilitazione che durava da un decennio, le ragioni della Palestina e dell’opposizione all’operato del governo Meloni, uno dei più filo-irsraeliani d’europa, in piena e sostanziale sintonia con quello di Netanyahu.
- Details
- Hits: 670
Manifestare per Gaza significa
di Francesco Piccioni
Ai reazionari – dichiarati o camuffati – che in questi giorni fanno finta di chiedere “ma perché protestate per Gaza?” (sottinteso spesso urlato: “andate a lavorare!”) si può facilmente rispondere, e asfaltarli, mettendo in fila un po’ di notizie che in questi giorni di mobilitazione continua forse sono passate un po’ inosservate.
Prima notizia.
Nella vicinissima Grecia, che tanto ci somiglia da aver fatto coniare il detto “una faccia, una razza”, sono cominciati gli scioperi contro la nuova legge sul lavoro che il governo Mitsotakis sta cercando di far approvare dal Parlamento.
Non stupisce che si protesti. Il testo prevede – per i lavoratori che hanno un solo padrone, di innalzare l’orario di lavoro fino a 13 ore al giorno, per un massimo di 37 giorni all’anno, con l’unica limitazione formale (facilmente aggirabile, come sappiamo da sempre qui in Italia) che il lavoratore sia d’accordo e riceva un aumento del 40% della retribuzione.
Respirate un attimo, perché non è finita qui. Si prevede anche di innalzare l’età pensionabile a 74 anni, l’introduzione della settimana lavorativa di sei giorni, i licenziamenti senza preavviso nel primo anno di contratto, un periodo di prova fino a sei mesi, nonché sanzioni fino a 5.000 euro o sei mesi di carcere per chi blocca il lavoro altrui durante uno sciopero.
In pratica: lavorare sempre (se riesci a trovare un lavoro), fino alla morte (è davvero improbabile che lavorando 13 ore al giorno di possa arrivare a 74 anni), senza protestare mai se no finisci in galera.
- Details
- Hits: 700
Per Bruxelles la guerra è l'ultima possibilità e i giornali di regime vi si adeguano
di Fabrizio Poggi
La situazione internazionale, scrive la signora Alessandra Ghisleri su La Stampa del 7 ottobre «genera smarrimento, confusione e – forse più di tutto – paura», anche perché le persone sono costrette a «navigare un’informazione parziale, frenetica e spesso polarizzata». Vien da rispondere con la locuzione oraziana “de te fabula narratur”: è dei vostri giornali di regime che si parla, impegnati ad alimentare un clima di guerra, per preparare le coscienze ai “necessari” tagli a salari, pensioni, sanità e per convincere le masse che, come ha proclamato l'ex Segretario NATO, Jens Stoltenberg: «Un miliardo per la difesa dell'Ucraina è un miliardo in meno per assistenza sanitaria o istruzione. Ma, un prezzo più alto, sarebbe quello di permettere a Putin di vincere. Pertanto, dobbiamo farci carico dei costi e pagare per la pace».
E voi, giornali del bellicismo eurogovernativo, fate a gara a infuocare quella “confusione” e quella “paura”, bramosi di fare da megafono alle parole di Vladimir Zelenskij che, dite, «hanno avuto un effetto deflagrante. L’avvertimento che la guerra in Ucraina potrebbe estendersi oltre i suoi confini ha toccato le corde profonde delle paure collettive». Come no: è il vostro mestiere quotidiano, da mesi, quello di rinfocolare le “paure collettive” per alimentare la corsa al riarmo e alla militarizzazione della società. Così che non vedete l'ora di proclamare che «il 39,7% degli italiani teme che anche il nostro Paese possa diventare un potenziale obiettivo della Russia di Vladimir Putin» e per moltiplicare quei timori, non trovate niente di meglio che citare anche l'attuale segretario NATO Mark Rutte: «Siamo tutti minacciati dalla Russia, anche l’Italia». Orsù dunque, armiamoci e prepariamoci alla guerra, per difendere i «cieli e i confini della NATO» dalle fameliche orde iperboree.
Page 6 of 550























































