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lantidiplomatico

Partecipazioni statali e la sudditanza italiana alle follie del neoliberismo

di Alessandro Volpi*

Abbiamo bisogno di politiche industriali per contrastare l'impoverimento della stragrande maggioranza della popolazione del nostro paese. Per realizzarle servirebbe una visione complessiva che sappia mettere a frutto le condizioni che, in parte, già esistono e sono totalmente snaturate. Il Ministero dell'Economia ha partecipazioni in 13 società quotate alla Borsa di Milano che hanno un valore di 263,5 miliardi, di cui poco meno di 90 sono di proprietà pubblica.

Si tratta di società fondamentali per la vita economica italiana, tra cui spiccano Enel, di cui lo Stato possiede il 23,6%, Eni il 28, Leonardo il 30, Poste il 66, Fincantieri il 72, Terna il 30, Saipem il 32, Italgas il 30. In pratica stiamo parlando di un pezzo fondamentale dell'energia e dell'industria che è stato oggetto nel corso del tempo di privatizzazioni, ma soprattutto che è stato affidato a gestioni finalizzate al rendimento finanziario in maniera del tutto autoreferente.

Per essere più chiari queste società hanno operato singolarmente preoccupandosi di remunerare gli azionisti, in larga parte grandi fondi privati, senza alcuna visione d'insieme. Lo Stato, in tale ottica, ha mirato solo a fare cassa, senza alcuna idea generale del futuro del paese. Così gli utili, sempre consistenti anche per la condizione di monopolio di cui alcune di tali realtà godono, sono stati tradotti in dividendi e gli azionisti sono stati remunerati anche con ricchi buy back. Solo per dare le dimensioni del fenomeno è possibile citare alcuni dati: nel 2024, Eni ha realizzato utili per 6,4 miliardi di euro, Enel 5,8, Poste 3, Italgas 500 milioni, Terna 1 miliardo, Snam 691 milioni.

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contropiano2

L’occidente vuole disarmare la Resistenza, i regimi arabi si accordano

di Giovanni Di Fronzo

Il nuovo mantra della diplomazia occidentale per alleggerire le pressioni internazionali sul regime sionista è “la resistenza deve disarmare”. Questo è, infatti, il filo rosso che unisce le ultime mosse su tre terreni, quello palestinese, quello libanese e quello iracheno.

In tutti e tre i casi si cerca di ottenere con la pressione diplomatica quello che con le guerre imperialiste non si è riuscito a ottenere, ovvero che rispettivamente le organizzazioni della Resistenza Palestinese, Hezbollah e le Forze di Mobilitazione Popolare depongano spontaneamente le armi; la motivazione “seducente” è il “ristabilimento della democrazia e della sovranità nazionale”, a beneficio delle rispettive autorità considerate legittime, ovvero l’Autorità Nazionale Palestinese, lo stato libanese e quello iracheno, che vengono attualmente dipinte come ostaggio, appunto, delle organizzazioni della resistenza e del loro agire come proxy dell’Iran.

Si tratta di una mistificazione totale perché la storia e la realtà sul terreno dicono che, nel caso in cui le varie organizzazioni della Resistenza dovessero lasciare indifese le loro comunità, queste verrebbero immediatamente fatte oggetto dell’espansionismo sionista o di massacri settari ancora di più di quanto non lo siano ora.

Senza che nessuno dei presunti difensori della “sovranità nazionale” dei loro paesi faccia nulla per aiutarle. Si veda cosa sta succedendo agli alawiti e alle altre minoranze in Siria o, per guardare indietro nel tempo, cosa successe a Sabra e Shatila.

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megachip

Il fallimento storico delle liberaldemocrazie

di Andrea Zhok

"L’egoismo individualista promosso dal liberalismo ha prodotto rappresentanti autoreferenziali, privatizzazione dei profitti e impotenza dei popoli, dal crac subprime al genocidio palestinese ignorato. La volontà popolare è svuotata, mentre media e istituzioni reprimono ogni dissenso. Un consolidando un sistema oligarchico travestito"

A partire dalla “crisi subprime” fino all’attuale genocidio palestinese in mondovisione, ciò che colpisce è la manifestazione conclamata del fallimento storico delle liberaldemocrazie.

Prima di addentrarci nel tema è necessario riflettere per un istante intorno a cosa renderebbe, di principio, qualitativamente migliore un regime democratico rispetto ad alternative autocratiche od oligarchiche.

Il vantaggio teorico dei sistemi democratici consiste nella potenziale maggiore elasticità e prontezza nel corrispondere ai bisogni della maggioranza. O, detto altrimenti, un sistema democratico può dirsi comparativamente migliore nella misura in cui consente una comunicazione facilitata tra l’alto e il basso, tra gli individui meno influenti e quelli più influenti, tra chi non detiene il potere e chi lo detiene.

I sistemi autocratici od oligarchici presentano il difetto di rendere l’ascolto dei senza potere una scelta opzionale di chi è al vertice. Non essendoci sistemi di comunicazione efficace dal basso verso l’alto (esistevano cose come le “udienze regali”, ma avevano un ovvio carattere di estemporaneità) bisogna confidare nell’interesse e nella benevolenza dei vertici affinché gli interessi del popolo vengano fatti.

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ilchimicoscettico

Debunker vs complottisti

di Il Chimico Scettico

 

Come nascono le teorie del complotto

Un lettore mi sfida mandandomi questo link e aggiungendo "Dimmi se non lo trovi condivisibile". Dico che mi sfida perché le mie opinioni su debunker e fact-checkers le ho manifestate chiaramente in piu di un'occasione (tipo qui e qui)

"Il tratto psicologico più comune tra chi crede nei complotti è il bisogno di sentirsi speciali", racconta Michelangelo Coltelli, fondatore di Butac, uno dei più longevi e autorevoli siti di debunking italiani. "Tanti sostenitori delle teorie del complotto che abbiamo analizzato negli anni hanno questa illusione: l’idea di essere tra i pochi a vedere i fatti per come stanno".

In questo caso, ebbene sì, lo trovo largamente condivisibile. Condivisibile ma parziale e di parte. Per esempio, proviamo a rigirare così le stesse parole dell´intervista:

"Il tratto psicologico più comune del pro-scienza è il bisogno di affermarsi manifestando superiorità nei confronti del complottista. Tanti pro-scienza che ho analizzato negli anni sui social erano soggetti la cui unica ragione di vita sembrava essere dare addosso ai complottisti, credendo così di essere dalla parte della la scienza". Piccolo problema: il più delle volte dimostrano lo stesso analfabetismo scientifico dei loro bersagli. Il prodotto standard della divulgazione/spettacolo sui media crede di aver capito e di sapere, ma non ha capito e non sa.

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piccolenote

Carestia a Gaza: l'ecatombe si approssima

di Davide Malacaria

L’inviato di Trump Steve Witkoff e l’ambasciatore Usa in Israele Mike Huckabee, dopo la visita in Israele, con annessa conversazione con Netanyahu, hanno visitato uno dei quattro centri per la distribuzione di aiuti gestito dalla Gaza Humanitarian Foundation (GHF) presso il corridoio di Morag. Scopo della visita, mettere a punto un piano made in Usa per far fronte alla carestia indotta dalle restrizioni israeliane.

Due criticità in questo. Anzitutto il fatto che, essendo corresponsabili di questa ecatombe tramite la loro GHF, gli Usa dovrebbero lasciare fare ad altri, meno conniventi con Tel Aviv e più capaci. Il secondo è che appare difficile che un immobiliarista come Witkoff possa porre rimedio a una carestia, che non si risolve solo inviando più cibo (per inciso, neanche gli aiuti paracadutati via aerea, benché benvenuti, possono farvi fronte).

Per capire quanto ciò sia errato e quanto sia complessa la situazione basta leggere un articolo di Haaretz che lo spiega fin dal titolo: “La pasta non servirà a niente. Gaza è sull’orlo di un aumento esponenziale delle morti per fame”. A lanciare questo allarme non è un semplice cronista, ma Alex de Wall, il più autorevole esperto di carestia del pianeta.

Anzitutto la situazione attuale: “L’ONU è molto prudente nel dare i dati e i numeri [sulla malnutrizione e sui decessi] sono sospettosamente bassi. Uno dei motivi è che lo screening è stato effettuato solo in aree limitate, dove è possibile operare. Non sappiamo quali siano le condizioni dei bambini a cui non è stato possibile accedere. Quindi quei dati non sono in realtà così gravi come ci si aspetterebbe che fossero in queste circostanze“.

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contropiano2

Dazi e scelte politiche, intreccio fatale per un impero in crisi

di Francesco Piccioni

Il commercio mondiale non deve obbedire più, neanche formalmente, alle incerte leggi dell’”economia di mercato”, ma rispondere approssimativamente al tasso di subordinazione verso l’”impero centrale” accettato dai singoli paesi del resto del mondo.

Questa è l’impressione che resta dopo sei mesi di discussioni e trattative frenetiche sull’entità dei dazi che gli Usa – sotto il comando apparente di Trump – hanno deciso di far scattare operativamente dal prossimo sabato, 8 agosto.

Una scelta totalmente politica, come si evince dall’”ordine esecutivo” firmato dal tycoon nella notte del 31 luglio.

«Alcuni partner commerciali hanno accettato, o sono vicini ad accettare, impegni significativi in materia di commercio e sicurezza con gli Stati Uniti, segnalando così la loro reale intenzione di eliminare in modo permanente le barriere commerciali. Altri partner, pur avendo partecipato ai negoziati, hanno offerto condizioni che, a mio giudizio, non affrontano adeguatamente gli squilibri nelle nostre relazioni commerciali o non si sono allineati sufficientemente con gli Stati Uniti su questioni economiche e di sicurezza nazionale

Questioni economiche” e “questioni di sicurezza” vengono così esplicitamente intrecciate, senza lasciare alcuno spazio ad interpretazioni alternative. Il tentativo Usa è quello di imporre un “nuovo sistema commerciale” in cui la fedeltà politica alle scelte statunitensi consente condizioni tariffarie migliori, per quanto comunque punitive.

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lafionda

A che punto è la colonizzazione dell’Europa. Un aggiornamento

di Andrea Balloni

Mancanza assoluta di una prospettiva futura, totale assenza di una visione collettiva, accettazione acritica di un contesto di perenne disomogeneità sociale e di eterno precariato.

Questa è la condizione psicologica zombie dei popoli europei, dopo cinquant’anni di applicazione del programma didattico neocoloniale e neoliberista angloamericano, dove ogni ascensore sociale è fuori uso e i cittadini sono ormai incapaci di immaginare un piano sociale migliore di quello che gli è stato assegnato nel condominio; incapaci dell’ottimismo volitivo necessario alla propria emancipazione.¹

Correva l’anno 1987, quando Margaret Thatcher pronunciò le seguenti parole: “La società non esiste, esistono solo gli individui”, riassumendo con rara capacità di sintesi e con altrettanto rara potenza profetica la direzione che l’Occidente aveva preso e il cammino che i ceti dominanti volevano imporre anche al resto del mondo. Un punto di vista che prevedeva di pensare a se stessi prima che alla comunità, che dissolveva e negava la percezione della società come unione, oltre che di individui, di cultura, sentimenti, rispetto e solidarietà; un punto di vista, infine, che mortificava inevitabilmente e definitivamente l’immagine positiva, costruttiva e progressiva che per necessità informa il pensiero socialista: l’immagine dell’uomo, in altre parole, come animale sociale, come essere che si realizza nelle relazioni interpersonali e nella costruzione della propria società.²

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mondocane

Antisemita a chi? Putiniano perchè?

di Fulvio Grimaldi

Herzog: Mattarella, un vero amico.

“ Spunti di riflessione” Paolo Arigotti intervista Fulvio Grimaldi

Antisemita a chi? Con Fulvio Grimaldi @MondocaneVideo

https://www.youtube.com/watch?v=Q_N881lWI-k

https://youtu.be/Q_N881lWI-k 

Intanto di semiti tra gli ebrei ce ne sono pochini, come ci spiega lo storico ebreo Shlomo Sand nel suo fondamentale “L’invenzione del popolo ebraico”, dove ci si racconta come quanto di ebraico è giunto in Palestina, goccia a goccia, dagli inizi del secolo scorso e poi, con più impeto, dopo la seconda guerra mondiale, di semita ne ha poco. Vengono dal Caucaso, dove all’ebraismo si sono convertiti in massa per fare un dispetto allo zar, ortodosso e oppressore, e si sono diffusi per tutto l’Occidente. Dal quale, vista l’occasione, dopo che all’Occidente era scappato un mondo di colonie, hanno avuto la delega di ricominciare la conquista a partire dalla Palestina. Poi, hai visto mai, Eretz Israel, Grande Israele e il Medioriente, quanto meno, torna nostro. E a chi cià da dì quarcosa, “antisemita!”

Che è poi tutto un equivoco. Per chi ci crede, Noè aveva tre figli: Sem, Cam e Jafet. Ne ha fatto i capistipiti di tutti i popoli della Terra: Sem, di quelli di Nord Africa e Medioriente, dove allora c’erano i mesopotami, gli Abbasidi, gli Omayyadi, i mammalucchi, tutti arabi e poi musulmani; Cam, di quelli a Sud, in Africa e Jafed di tutti gli altri, interpretati come indoeuropei (perché i cinesi a Noè non si erano ancora palesati).

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officinaprimomaggio

Milano: al nocciolo della questione

di Sergio Fontegher Bologna

Sono nato a Trieste ma vivo a Milano da una vita (da 65 anni, per la precisione). Mi riesce difficile far finta di nulla davanti alle inchieste della magistratura, che stanno scuotendo la città. E soprattutto tacere di fronte all’urlìo assordante di coloro che esaltano “il modello Milano” e tacciano i magistrati come sabotatori di un futuro radioso e denigratori di un passato strabiliante. Con “Il Foglio” di Giuliano Ferrara a guidare il baccanale dell’osceno.

Non mi sono mai occupato di urbanistica ma mi chiedo se non sia sufficiente la condizione di “abitante” per avere il diritto a parlarne.

Negli anni Settanta era il gruppo di Alberto Magnaghi alla Facoltà di Architettura del Politecnico a darmi i parametri interpretativi della questione dell’abitare e della trasformazione urbana. Come autore/ricercatore, e con mia figlia Sabina alla macchina da presa, nel 2006/2007 abbiamo realizzato un documentario intitolato “Oltre il ponte” sulla trasformazione del quartiere dove abito, Porta Genova, passato da zona di altissima concentrazione operaia (circa 14 fabbriche medio-grandi) a zona della moda e del design. E tutto sommato avevamo dato un giudizio positivo. Oggi quegli stessi luoghi che abbiamo filmato sono completamente cambiati. In peggio. Al posto di fondazioni d’arte o laboratori artigiani i soliti squallidi show room del prêt-à-porter, con interminabili file di attaccapanni pieni di stracci. Ci sono rimasti gli Armani, però, coi loro “silos”, le aiuole ben curate, quelli che fanno cucire le borse a sub-sub-appalti di poveri cinesi pagati 3-4 euro l’ora.

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lantidiplomatico

Cyberdisastro per la Difesa francese (ed europea)

di Giuseppe Masala

Come abbiamo visto in questi anni, il sistema della Difesa francese, inteso sia come apparato militar-industriale che come Forze Armate in senso stretto sta attraversando un momento di gravissima crisi, a nostro avviso paragonabile all'aggiramento tedesco della Linea Maginot, iniziato il 10 Maggio del 1940, che costò alla Francia la sconfitta e l'occupazione nazista.

In questi anni abbiamo infatti visto come la Francia abbia sostanzialmente perso la presa sulla cosiddetta Françafrique che si è sostanziata sia con il ritiro militare da paesi quali il Niger, il Burkina Faso, il Mali e il Senegal, sia con la sostanziale fine del Franco CFA. Da notare peraltro che questo ritiro non si è verificato per autonoma scelta politica di Parigi ma per l'effetto di eventi avversi sullo scacchiere geopolitico, basta notare che la Francia in questi paesi è stata sostanzialmente sostituita, sia dal punto di vista commerciale che militare, da aziende e reparti militari provenienti dalla Federazione Russa.

Ma a questo enorme smacco diplomatico, militare, commerciale e monetario subito in Africa vanno anche aggiunte cocenti sconfitte in senso industrial-militare che hanno posto in dubbio la qualità dei prodoti dell'industria militare francese. Ci riferiamo innanzitutto al fiasco subito dal sistema antiaereo franco-italiano SAMP-T che nelle intenzioni doveva essere la risposta europea al sistema Patriot americano ma che, nella battaglia aerea in Ucraina contro le forze russe, non è stato all'altezza delle attese subendo molte avarie (anche di natura informatica) e non riuscendo a far fronte neanche parzialmente ai furibondi attacchi delle forze missilistiche russe.

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contropiano2

Le crepe nella NATO: un’analisi

di Biljana Vankovska*

La mia analisi sulle prime crepe nella NATO è stata pubblicata con un leggero ritardo, sufficiente per diventare obsoleta. Avevo segnalato i due referendum proposti in Slovenia – uno sulla spesa militare e l’altro sull’adesione all’Alleanza – quando la situazione è improvvisamente cambiata.

Con sorpresa di chi non conosce bene la politica di questo piccolo paese, il parlamento sloveno ha annullato la decisione sul primo referendum, proposto dal partner di coalizione Levica, per motivi procedurali: la domanda referendaria non era stata formulata correttamente!

Questo ha dato al Primo Ministro Robert Golob il pretesto perfetto per ritirare la sua stessa proposta frettolosa ed emotiva di un secondo referendum (che chiedeva ai cittadini se fossero favorevoli a rimanere o uscire dalla NATO).

Sembra che le speranze di un vero dibattito in qualsiasi paese sulla richiesta insensata, o meglio suicida, della NATO di destinare il 5% del PIL a scopi militari si siano dissolte. Come dice il vecchio adagio latino: Parturient montes, nascetur ridiculus mus (Le montagne partoriscono e nasce un ridicolo topolino).

I colleghi sloveni che ho consultato sostengono che la saga del referendum non è finita, poiché i proponenti potrebbero ancora “correggere” la domanda e chiederne uno nuovo. Tuttavia, alcuni osservatori realistici fanno notare che si tratterebbe di un referendum consultivo, cioè non vincolante, il che significa che, anche se generasse un dibattito pubblico, rimarrebbe solo una tempesta in un bicchiere d’acqua – senza alcun effetto legale o politico concreto.

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mutanteassoluto

Pubblicità dell'indicibile*

di Nicola Licciardello

Per mesi non sono intervenuto su “Sinistra in Rete”, pur continuandola a leggere, per le troppe cose in sospeso: la morte di papa Francesco e l’elezione del nuovo, Trump in Usa e Ursula II in Europa. Il loro avvento costituisce un salto d’epoca: Carlos Xavier Blanco non smentisce l’estremo trans-umanesimo di Franco Berardi Bifo, il quale pensa i comandi dell’intera società delegati alla AI bellica, la quale mira all’annientamento umano - logica soluzione al caos politico.

Scrive Xavier Blanco: “Il popolo viene privato di tutto ciò che aveva guadagnato in due secoli di barricate, rivoluzioni, sofferenze e abnegazione. Privato di un’assistenza sanitaria e di un’educazione di qualità. Privato della capacità di sposarsi e procreare. Privato della capacità di possedere una casa. Delocalizzazione e terziarizzazione dell’economia europea cancellano il proletariato. Emerge un sottoproletariato di migranti, indifesi e disuniti (...) in via d’annientamento la classe media: con il capitalismo della sorveglianza, non essendo più necessaria all’elite, scende alla base della piramide. Nel 99% della popolazione, cioè fra i poveri, le differenze saranno marcate a livello animale: poter mangiare o no, essere una cosa o meno, esser sacrificabile. Il modello Auschwitz-Hiroshima si sta rinnovando a Gaza”1.

Il punto zero però non arriva, si trascina: perché ciò che è iniziato non si compie ora, subito? La sociologia, e la fisica classica direbbero per la resilienza di controspinte, resistenze, forze e interessi di segno opposto. Diciamo anche per la non calcolabile resistenza umana.

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lantidiplomatico

Perché non ha (mai) senso parlare di un'Italia "con o senza l'Europa"

di Andrea Zhok

Due considerazioni di passaggio sul tema dei rapporti tra Italia e UE.

1) Spesso si tende a opporre due immagini astratte, da un lato l'Europa vista come coincidente con l'UE, dall'altra l'immagine dell'Italia, fragile fuscello affidato ai marosi della politica internazionale e dell'economia dei Big Players.

Una volta che il discorso prende questa piega è facile chiedersi retoricamente: dove potrà mai andare l'Italia da sola, come se giocassimo la partita Italia-Resto del Mondo.

Questo visualizzazione è completamente fuorviante.

Non ha mai senso parlare di un'Italia "con o senza l'Europa".

Forme di trattati di cooperazione europea ci sono sempre stati, da quando l'Italia esiste come stato unitario.

Il problema non è rappresentato dai trattati europei o internazionali in generale, ma dalle specifiche caratteristiche del trattato di Maastricht (e poi di Lisbona), con l'istituzione di un modello di relazioni assai specifico, votato a politiche neoliberali, mercantiliste, rivolte a massimizzare l'export a scapito del mercato interno, inteso a indebolire le capacità autoorganizzative delle istituzioni nazionali nel fornire servizi di interesse pubblico, punitivo nei confronti delle industrie di stato e premiale verso le operazioni di privatizzazione.

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lafionda

L’appello che non basta

di Elena Basile

Ritengo doveroso spiegare come mai non abbia aggiunto la mia firma all’appello sulle iniziative da intraprendere verso Israele, promosso dall’ex Ambasciatore in Algeria e Direttore Generale degli Affari Politici, diplomatico stimabile e attento, al quale si deve peraltro l’unico tentativo di mediazione tra Ucraina e Russia da parte di un Paese occidentale, sponsorizzato dall’allora Ministro degli Esteri Di Maio e precocemente abortito all’ONU.

Avrei unito la mia firma, turandomi il naso – come diceva qualcuno – se l’appello avesse avuto qualche probabilità di essere efficace, e di spingere il Governo Meloni a rivedere la propria linea di politica estera nei confronti del Governo Netanyahu. L’appello, per quanto condivisibile nei contenuti, non avrà conseguenze concrete. Rimane dunque un’operazione di pura propaganda, nella misura in cui offre l’illusione che il genocidio a Gaza sia responsabilità esclusiva di Netanyahu e del suo Governo, nonché di Trump e delle destre europee che sostengono brutalmente e senza infingimenti la politica imperialistica statunitense in Medio Oriente, fino alle sue estreme conseguenze.

Le cause profonde di quanto sta accadendo in Medio Oriente sono invece rimosse dalla maggioranza dei firmatari dell’appello. Non credo che le classi dirigenti europee che si raccolgono intorno alla Presidente della Commissione Europea abbiano visioni realmente differenti in politica estera, se non per dettagli secondari.

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sollevazione

Dalla sottomissione immaginaria a quella reale

di Leonardo Mazzei

Esattamente dieci anni fa, usciva il romanzo “Soumission” (Sottomissione) di Michel Houllebecq, nel quale lo scrittore immaginava un futuro di sottomissione della Francia all’Islam. Un assoggettamento “soft”, favorito anche dalla complicità e dall’opportunismo di una parte dell’establishment. Il successo internazionale dell’opera fu immediato, andando così ad alimentare il vento islamofobo che appesta l’occidente da decenni.

Dieci anni dopo, il primo ministro francese François Bayrou ha così commentato la capitolazione europea davanti ai dazi e alle arroganti pretese di Trump: «E’ un giorno buio quello in cui un’alleanza di uomini liberi, riuniti per affermare i propri valori e difendere i propri interessi, si rassegna alla sottomissione».

Sottomissione, basta la parola! Al netto della retorica europeista, alla quale pure lui evidentemente non crede più, l’ammissione di Bayrou è davvero interessante. Sottomessi sì, ma stavolta sul serio. E non all’islam come nelle fantasie di un romanziere allucinato, bensì alla concreta prepotenza degli Stati Uniti d’America, come ben si è visto nell’inginocchiamento davanti all’imperatore della signora Ursula Pfizer von der Leyen.

La cosa curiosa – il diavoletto della storia è sempre all’opera! – è che nel racconto di Houllebecq (che mescola personaggi reali ad altri immaginari) sarebbe stato proprio un governo presieduto da François Bayrou, propiziato dalla vittoria alle elezioni presidenziali del 2022 di un fantasioso Mohammed Ben Abbes, a introdurre una sorta di “Sharia moderata”.

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megachip

L'accordo commerciale dell'UE è una capitolazione all'America

di Thomas Fazi

Le condizioni punitive (per l’Europa) dell’accordo commerciale UE-USA sono l’esempio lampante del fatto che l’Unione Europea ha imposto una subordinazione strutturale agli Stati Uniti mai vista nel dopoguerra

Domenica, l’Unione Europea e gli Stati Uniti hanno finalizzato un accordo commerciale che impone una tariffa del 15% sulla maggior parte delle esportazioni dell’UE verso gli Stati Uniti, un accordo che il presidente americano Donald Trump ha trionfalmente definito “il più grande di tutti”. Sebbene l’accordo abbia scongiurato una tariffa ancora più severa del 30% minacciata da Washington, molti in Europa lo considerano una sonora sconfitta, o addirittura una resa incondizionata, per l’UE.

È facile capirne il motivo. Il dazio del 15% sulle merci UE che entrano negli Stati Uniti è significativamente più alto del 10% che Bruxelles sperava di negoziare. Nel frattempo, come si è vantato lo stesso Trump, l’UE ha “aperto i propri paesi a dazi zero” alle esportazioni americane. Fondamentalmente, l’acciaio e l’alluminio UE continueranno a essere soggetti a un dazio schiacciante del 50% quando venduti sul mercato statunitense.

Questa asimmetria pone i produttori europei in una posizione di grave svantaggio, aumentando i costi per settori strategici come l’automotive, il farmaceutico e il manifatturiero avanzato, settori che sostengono le relazioni commerciali transatlantiche dell’UE, pari a 1.970 miliardi di dollari.

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sinistra

La proiezione del trauma e la colpa rovesciata

L'autorità morale di Liliana Segre contro la verità di Gaza

di Lavinia Marchetti

So bene che non si avvertiva la necessità di un mio punto di vista sull'intervista a Liliana Segre, ne avrete letto ovunque e tutto e il contrario di tutto. Non volevo scriverne perché ho già letto interventi perfetti, fondati storicamente, però dopo averla letta stamattina ho avvertito un fastidio, un'irritazione che mi è rimasta addosso tutto il giorno. Le sue parole mi hanno fatto sentire inadeguata. Come se il solo fatto di nominarle mi sporcasse, mi collocasse in un angolo sbagliato della Storia. Quel negazionismo sottile, garbato, mi spingeva in una posizione di vergogna. Mi sono chiesta: perché?

Uno dei meccanismi psicologici più radicati nelle relazioni di potere è quello della proiezione, che agisce in tandem con un senso di colpa instillato, mai dichiarato ma onnipresente. Lo riconosco perché funziona così: qualcuno parla da un luogo di dolore indiscutibile e trasforma quel dolore in fondamento per delegittimare il tuo sguardo. In questo caso, chi siamo noi per dire che ha torto? Lei è stata ad Auschwitz, ha attraversato l'inferno. Il genocidio lo ha conosciuto sulla pelle.

Ma proprio qui sta la torsione manipolativa: quando una vittima storica parla, ogni sua parola viene accolta come sacra. E se quella parola nega il genocidio altrui, ti fa sentire un bestemmiatore. L'autorità morale dell'esperienza viene usata per zittire, non per illuminare. Questo è il primo punto dove il meccanismo agisce: quando dice che la parola genocidio è usata per vendetta, che c'è sotto un risentimento verso la memoria della Shoah. Qui, implicitamente, chi nomina il genocidio a Gaza viene accusato di rivalsa.

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comidad

La bolla vittimo-sionista

di comidad

Anche il più vessatorio dei contratti deve fondarsi su risorse esistenti o almeno potenzialmente esistenti; quindi ciò che i media hanno spacciato come un accordo tra la von der Leyen e Trump, si rivela assolutamente irrealistico; in effetti è soltanto uno spot pubblicitario che consente allo stesso Trump di tornare a casa da trionfatore e da vindice dei presunti torti subiti dagli USA. Per decenni gli USA hanno vissuto in un mondo ideale, scambiando beni reali con carta che stampavano all’occorrenza; questo paradiso se lo sono distrutto da soli indebitandosi a dismisura per fare guerre. Ora Trump pretenderebbe di vendere agli europei GNL, GPL e armi che non è in grado di produrre, in cambio di soldi che non ci sono e non ci potranno essere nel momento in cui si deindustrializza l’Europa imponendole dazi e disinvestimenti. La narrativa vittimistica consente a Trump di fare spot molto suggestivi ma i dati di fatto non sono suggestionabili; e in questo caso il dato di fatto è un nulla di fatto, perché Trump potrebbe in qualsiasi momento cambiare idea e far saltare tutto, ma soprattutto perché ciò che ha firmato la von der Leyen in Scozia non è vincolante per nessuna delle parti. In altre parole, in Scozia si è messo in scena un evento enfatico ma vuoto, che i vari governanti e oligarchi europei possono eventualmente usare come spot per promuovere altri prodotti tossici.

Anche per il sionismo la grande risorsa autopromozionale è sempre stata il vittimismo, perciò è necessario che la discussione venga continuamente spostata su dicotomie vuote, del tutto mitologiche e sorrette da mera impudenza; insomma, una “capezzonizzazione” del dibattito.

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altrenotizie

Ucraina, il gioco degli ultimatum

di Mario Lombardo

L’ennesima giravolta di Trump sulla guerra in Ucraina ha lasciato commentatori e governi di tutto il mondo nuovamente a chiedersi quale possa essere la “strategia” della Casa Bianca per arrivare a una soluzione negoziata di una crisi che dura ormai da più di 40 mesi. Riproponendo la sua abituale vocazione agli ultimatum, il presidente americano ha ridotto lunedì da 50 a “10 o 12 giorni” quello da poco imposto alla Russia per accettare una tregua, pena una raffica di sanzioni “secondarie” che, però, nessuno o quasi, incluso il governo di Mosca, ritiene realmente applicabili.

Non è da escludere che l’uscita più recente di Trump sia stata stimolata dal successo – o presunto tale – incassato il giorno prima sull’Europa in materia di dazi. Trump ha infatti consegnato alla stampa la sua decisione sull’ultimatum alla Russia sempre dalla stessa location dell’incontro avvenuto con Ursula von der Leyen, ovvero il “resort” golfistico scozzese di sua proprietà, e al termine di un faccia a faccia con un altro vassallo di Washington, il primo ministro britannico, Keir Starmer.

Se è improbabile che quest’ultimo, tra i più feroci sostenitori del regime di Zelensky, abbia avuto una qualche influenza sul cambio di atteggiamento verso la Russia di Trump, è più verosimile che l’ostentazione di impazienza nei confronti di Putin sia il risultato delle crescenti pressioni che i “falchi” negli Stati Uniti, inclusi quelli che affollano l’amministrazione repubblicana, stanno facendo sul presidente affinché si allinei totalmente alle politiche ultra-aggressive del suo predecessore.

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nicomaccentelli

Ognun per sé

di Nico Maccentelli

Spiace dirlo, ma davanti a un genocidio in atto, a un intero continente che va verso la guerra e a una crisi economica e sociale dilagante, nel nostro paese non si è capaci di unirsi in una lotta che è di fatto esistenziale. Soprattutto a sinistra abbiamo una pseudo opposizione che in modo surreale pone questioni completamente avulse dal vero terreno di scontro, ma per il semplice fatto che una gran parte di essa, quella istituzionale ma non solo, è politicamente aggregata all’europeismo bellicista, alla deriva autoritaria del neoliberismo sfrenato.

Abbiamo una sinistra “antagonista”, spesso centrosocialiara che si muove per la Palestina ma si fa equidistante sul fronte ucraino, paragonando la Russia a USA e NATO, senza alcuna analisi che fuori esca dal massimalismo parolaio e dottrinario nelle versioni libertaria o vetero-stalino-trotzkista (dal PMLI ai nipotini del quartointenazionalismo, tanto per fare un esempio). Abbiamo micro-forze politiche che si autorereferenziano a tal punto da battersi per misere egemonie in manifestazioni incapaci di aggegare il malcontento sociale e l’indignazione sempre più massiva (ma non rappresentata) verso la macelleria che va dalla Palestina al centro Europa, che producono due manifestazioni sugli stessi contenuti, dove ognuno gioca nel suo cortile e pretende che gli altri vengano nel suo. Un’imbecillità che ormai non è più rettificabile con una sana autocritica. Per non parlare della pletora di prime donne che avevamo già visto dentro il movimento contro il greenpass e che oggi sono all’opera sulla Palestina e su altri temi come la censura, che organizzano iniziative alla cazzo, senza alcuna cognizione politica.

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megachip

Tre schiaffi in tre giorni: Cina, Qatar e USA ridicolizzano l’UE di von der Leyen & Co.

di Pino Cabras

Chi semina guerra raccoglie vassallaggio. Tre giorni, tre schiaffi. Un’Unione Europea inginocchiata davanti al mondo, incapace di alzare la testa, buona solo a servire gli interessi americani e a vessare i propri cittadini

Tre giorni, tre schiaffi. Un’Unione Europea inginocchiata davanti al mondo, incapace di alzare la testa, buona solo a servire gli interessi americani e a vessare i propri cittadini.

Cosa resta del “Sogno Europeo”? Nulla. Se non una gigantesca macchina tecnocratica che disfa l’economia, umilia le nazioni e impone una cappa di censura, tasse e ora guerra permanente.

 

1. Cina: vertice-lampo, umiliazione piena

Von der Leyen, Costa e Kallas volano a Pechino come tre scolarette convinte di dettare legge. Si scomoda Xi Jinping con una maschera sfingea e impenetrabile. Tornano a casa con un pugno di mosche. La Cina li liquida in poche ore: zero accordi, massima irritazione. Pretendevano di impartire lezioni sui diritti umani, con l’economia europea in recessione e le industrie in fuga. Negli ultimi 25 anni, la Cina ha visto crescere la sua quota di PIL mondiale dal 3% a circa il 18%, affermandosi come colosso economico globale. Nello stesso periodo, l’Unione Europea è scesa da oltre il 20% a poco più del 13%, segnando un declino costante, che ora sembra avvitarsi.

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lafionda

Baizuo, conformisti e rossobruni

di Emanuele Maggio

Di recente ho ripreso alcune letture giovanili. Mi riferisco agli studi ormai classici che preannunciarono la piena americanizzazione della sinistra, e che negli anni 90/2000 furono già in grado di descrivere perfettamente i grotteschi esiti di oggi. Un breve elenco di questi testi si trova alla fine dell’articolo.

Se gli attuali militanti dei vari carnevali transfemministi, immigrazionisti eccetera, scoprissero che la loro egemonia culturale era stata perfettamente prevista venti anni prima, chissà se si farebbero qualche domanda. 

Se io venissi a sapere che esistono analisi in grado di prevedere ciò che penserò tra 20 anni, e poi tra 20 anni pensassi esattamente quelle cose, mi sentirei una marionetta senza cervello. Chissà, forse è proprio di marionette senza cervello che stiamo parlando.

Ovviamente quegli analisti non erano stregoni, ma studiavano la congiuntura strutturale della lotta di classe nella sua evoluzione storica, e dunque erano in grado di prevedere con discreta precisione la sovrastruttura ideologica che l’avrebbe in futuro sorretta. 

Cioè, appunto: l’attuale corpus di dogmi etico-politici condiviso dalla sinistra liberal e radical, la psicopolizia progressista delle apericene borghesi e delle serate fricchettone.

Il pensiero del conformista è scientificamente prevedibile come un’eclisse, come un qualsiasi accadimento inanimato della natura, perché manchevole di quel grado di misteriosa libertà che definisce l’umano.

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volerelaluna

Palestina. Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio

di Francesca Albanese

Il rapporto Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio di Francesca Albanese, relatrice speciale per i territori palestinesi delle Nazioni Unite, presentato il 30 giugno al Consiglio dei diritti umani dell’ONU, è un documento di straordinaria intensità e importanza che, non a caso, ha provocato reazioni durissime e sanzioni nei confronti dell’autrice da parte di Israele e Stati Uniti (a cui ha corrisposto la proposta, proveniente da ampi settori della società, di attribuire a Francesca Albanese il premio Nobel per la pace).

La novità del rapporto sta nella documentata accusa alle principali aziende tecnologiche statunitensi (e non solo) di fornire un supporto decisivo alle operazioni militari di Israele a Gaza e nei territori occupati da epoca risalente e anche dopo le operazioni genocidiarie in atto a Gaza. Il rapporto si fonda, oltre che su documenti aperti e fonti pubbliche, su oltre 200 testimonianze raccolte dalla relatrice che hanno dato vita a un database di circa mille aziende coinvolte. «Ciò – precisa il rapporto – ha aiutato a tracciare una mappa di come imprese di tutto il mondo siano state coinvolte in violazioni dei diritti umani e crimini internazionali nei Territori palestinesi occupati. Oltre 45 entità citate nel rapporto sono state debitamente informate dei fatti che hanno portato la Relatrice speciale a formulare una serie di accuse: 15 hanno risposto. La complessa rete di imprese – e i legami spesso oscuri tra società madri e controllate, franchising, joint venture, licenziatarie ecc. – ne coinvolge molte altre. L’indagine alla base di questo rapporto dimostra fino a che punto le imprese sono disposte a nascondere la loro complicità».

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lantidiplomatico

L’ultima primavera di popolo in Iran

di Pino Arlacchi

Ho imparato molto lavorando con l’Iran durante il mio mandato all’ONU. E la mia testimonianza può forse aiutare a capire cosa succede oggi. Il mio osservatorio era privilegiato non solo per la mia posizione istituzionale, ma anche perché provenivo dal paese occidentale più simile all’ Iran.

Italia e Iran sono accomunate dal fatto di possedere una società civile matura, vibrante, creativa, che riesce ogni tanto ad esprimere un governo che la rispecchia. Ma è anche una società sfortunata, dentro cui alberga un male incurabile che la corrode. Mi riferisco alla classe dirigente di pessima fattura che governa – pur con qualche significativa interruzione – i due Paesi negli ultimi decenni. Una leadership scadente, prodotta da un residuo melmoso sottostante, una “società incivile” minoritaria e retrograda, che viene infiammata da capi spregiudicati e corrotti che stroncano i tentativi di cambiamento.

Ma andiamo con ordine, e iniziamo dal privilegio che ho avuto nell’incrociare il mio mandato con quello di Mohammad Khatami, il Presidente più aperto e progressista della storia dell’Iran. Ha lasciato un segno nella mia memoria quella limpida mattina del gennaio 1998 nella quale l’ambasciatore iraniano a Vienna, Mohammad Amirkhizi, mi invitava nel suo Paese, a nome del Presidente, per un soggiorno di una settimana. Avrei potuto vedere con i miei occhi lo sforzo che la Repubblica islamica stava compiendo al confine con l’Afghanistan per ostacolare l’ingresso degli oppiacei nel suo territorio, e quindi in Europa. “Abbiamo dislocato migliaia di guardie sul confine afghano per sorvegliare un muro lungo duemila chilometri costruito contro trafficanti armati fino ai denti.

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intelligence for the people

Il grottesco teatro dell’assurdo attorno allo sterminio per fame di Gaza

di Roberto Iannuzzi

L’inerzia occidentale stride con la mobilitazione che si ebbe per imporre sanzioni a Mosca anche al prezzo di pesanti perdite economiche per i paesi europei

La “pausa umanitaria” indetta da Israele in alcune zone di Gaza non deve illudere nessuno. Difficilmente le condizioni della popolazione nella Striscia miglioreranno.

La stessa designazione delle aree interessate dalla “pausa” la dice lunga sulla natura del provvedimento.

Le tre aree indicate, al-Mawasi, Deir el-Balah e Gaza City, erano già state definite da Israele come aree umanitarie. All’interno di esse, dunque, le forze armate israeliane non dovrebbero operare. Ma queste zone sono state bombardate come le altre.

Le “pause locali tattiche”, come sono state definite, avranno luogo inoltre solo dalle 10:00 alle 20:00, ora locale. Entro queste fasce orarie, dovrebbe essere permesso l’ingresso di aiuti internazionali che, attraverso “corridoi designati”, dovrebbero raggiungere coloro che sono sfollati in queste zone.

La durata complessiva della pausa umanitaria è incerta, ma fonti ONU parlano di appena una settimana, un lasso di tempo del tutto insufficiente a modificare la disperata situazione sul terreno.

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fuoricollana

Come uscire dalla crisi del neoliberalismo?

di Redazione

La ristrutturazione del sistema statale deve continuare in direzione di una maggiore concentrazione del potere nelle mani di una élite globalizzata, o la soluzione migliore è l’inserimento degli stati in un’architettura internazionale che rispetti la loro sovranità? È la questione posta dall’ultimo libro di Wolfgang Streeck.

Il capitalismo, come è noto, consiste nella moltiplicazione infinita di un capitale pronto e disponibile a moltiplicarsi. Una società a gestione economica di tipo capitalistico deve avvalersi di membri disposti a farsi trascinare in tale sistema, seppure il risultato dei loro sforzi e della tensione al miglioramento loro richiesta finisca secondo la natura del capitalismo, nelle mani di una piccola minoranza in forma di proprietà privata.

 

Le tecniche motivazionali del lavoratore

Affinché accetti di stare al gioco anche chi programmaticamente è escluso dai risultati prodotti dalla collettività – e incluso solo come fattore di costo nel calcolo del profitto altrui – si rendono necessarie efficaci tecniche motivazionali, riadattate di volta in volta a modi e a rapporti di produzione in continuo mutamento: sotto forma di “incentivi al lavoro”, ispirati alle promesse di salvezza della religione (Weber 2002 [1904-1905]), di minacce di sanzioni penali e prospettive di ristrettezza economica (Marx 1966 [1867), di finanziamenti per l’acquisto di una casa o il consumo, di salari superiori ai valori di mercato (efficiency wages, “salari di efficienza”), di politiche sociali di espansione dell’offerta lavorativa attraverso strategie push e pull (di anticipo e soddisfazione della domanda), di ascensori sociali dei mercati del lavoro interno”, di “bonus di rendimento” e, cosa ancor più importante al giorno d’oggi, di un’offerta infinita di beni di consumo, sempre nuovi e “migliori”.

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lantidiplomatico

Gaza, i "risvegli" tardivi e gli insegnamenti di Hannah Arendt

di Elena Basile*

Sembrerebbe che finalmente l'umanità sia tornata umana.

Su CNN e BBC si parla di genocidio. Obama e Macron rilasciano dichiarazioni pubbliche sul riconoscimento della Palestina. Calenda, Radio Radicale, Renzi tutti in fila per tre...

E la diplomazia non poteva mancare a seguito della politica.

Bene sono felice. Eppure un piccolo dubbio.

Una voce fastidiosa che vorrei zittire mormora nel mio animo. Shhh sei sempre la solita disfattista!

Ma come è possibile che fino a 50.000 morti ai bambini col cranio spaccato alle operazioni senza anestesia all uccisione di medici e giornalisti, alle torture dei Palestinesi rimanevano tutti zitti

E ora luce verde...

Persino la diplomazia ?

Ma non è che ci stiano nuovamente manipolando? Forse vogliono trasformare i cadaveri dei bambini nel loro politichese.

Attacco a Netanyahu Trump la Meloni? Sarebbero loro il problema poi tutto torna a posto?

Il genocidio non era cominciato con Biden? Ma no eravamo appena a 10.000 morti

Allora Israele aveva il diritto di difendersi!

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L’Unione Europea è un cane morto

di Francesco Piccioni

La scena in cui tale Ursula von der Leyen – aristocratica discendente di una famiglia nazista, dedita ai concorsi di equitazione nonché alla nobile missione della madre (7 figli) fin dopo i 40 anni, poi incomprensibilmente scelta per guidare il ministero della difesa di Berlino (con risultati talmente tragici da obbligare Angela Merkel a licenziarla) e quindi proiettata con un poderoso “boost” teutonico fino alla presidenza dell’Unione Europea – si prostrava davanti all’imperatore Trump e alla sua “proposta che non si può rifiutare” (citazione da Il padrino, ovviamente) resterà forse negli annali della politica che ha portato la UE e tutti i suoi membri alla scomparsa dai radar mondiali.

Gli analisti più schierati con l’euro-atlantismo non hanno potuto fare a meno di storcere il naso e anche altro davanti a un “accordo” che non contiene nulla che sia vantaggioso per l’economia continentale. Persino Francia e Germania, per bocca di Bayrou e Merz, hanno dovuto esprimere qualcosa più delle “perplessità” di prammatica.

Le associazioni imprenditoriali e i loro analisti hanno invece sparato ad alzo zero, facendo i conti sui miliardi persi e l’inesistenza di contropartite, tanto meno esigibili.

Lasciamo per un attimo perdere il dibattito sui contenuti, perché c’è fin troppa chiarezza sul disastro che attende i lavoratori europei (non c’è infatti alcun dubbio sul fatto che le imprese scaricheranno su di loro ogni problema, mentre i governi – a cominciare da quello “sovranista italiano” – promettono loro “aiuti” sacrificando altra spesa sociale sull’altare di una “competitività” che non è mai stata più impossibile).

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analisidifesa

I frutti della politica UE: diktat dagli USA, prezzi alle stelle e il Qatar minaccia lo stop al GNL

di Gianandrea Gaiani

Non bastava il “suicidio bellico” con cui l’Unione Europea ci ha privato dell’energia russa a buon mercato e in quantità infinita condannando il continente a de-industrializzazione e recessione.

Non bastava la recente, disastrosa e umiliante missione di Ursula von der Leyen in Cina mentre la “la guerra dei dazi” ha visto poche ore fa il trionfo di Donald Trump  che ha umiliato la signora von der Leyen imponendoci l’acquisto in tre anni di 750 miliardi di dollari in GNL e petrolio americani oltre a 600 miliardi di investimenti UE negli USA, con in aggiunta i massicci acquisti di armi “made in USA” già annunciati.

A queste disfatte la Commissione  von der Leyen aggiunge gli effetti sul mercato energetico delle sue folli politiche ambientali, un “suicidio green” della Ue che ha trovato il 26 luglio l’ennesima conferma nella minaccia espressa dal Qatar di interrompere le forniture di gas liquefatto (GNL) se Bruxelles non allenterà i vincoli ambientali contenuti nella nuova direttiva sulla due diligence aziendale (CSDDD).

Secondo quanto rivelato dal giornale tedesco Welt am Sonntag, il ministro dell’Energia qatariota, Saad Sherida al Kaabi, ha scritto a diversi governi europei e all’esecutivo di Ursula von der Leyen avvertendo che, in assenza di modifiche sostanziali alla norma, Doha e QatarEnergy potrebbero “valutare seriamente mercati alternativi al di fuori dell’Ue, più stabili e favorevoli alle imprese”.

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comuneinfo2

Staccare la spina alla guerra

di Paolo Cacciari

L’intreccio tra guerra ed energia è molto stretto. Per diversi motivi.

I militari hanno bisogno di molta energia, non solo per costruire armi sempre più sofisticate ad alta potenzialità distruttiva e per trasportare velocemente mezzi e truppe, ma anche per le reti di controllo, sorveglianza e di puntamento a distanza (“armi autonome”, le chiamano) che abbisognano di colossali apparati satellitari, informatici e l’uso di enormi data base. Tutte attività fameliche di energia.

Davvero interessante un passaggio della appassionante ricostruzione che fa Pietro Greco della corsa alla costruzione della bomba atomica tra Stati Uniti e Germania (Pietro Greco in L’Atomica e le responsabilità della scienza, edizioni L’Asino d’oro, 2025). Secondo il grande giornalista scientifico l’attenzione dei fisici nucleari nazisti era più orientata a capire come controllare la reazione atomica per produrre energia finale utile, piuttosto che a farne una bomba.

Sappiamo da alcune stime (peraltro tutt’altro che realistiche) che le attività militari assieme alla filiera dell’industria bellica, “in tempo di pace”, consumano il 10% dell’energia mondiale e, secondo altre stime, emettono tra il 5 e il 6% delle emissioni globali di gas climalteranti. Se fossero uno stato si situerebbero al quarto posto, dopo US, Cina e India. (Federica Frazzetta e Paola Imperatore, Clima di guerra, in Sbilanciamoci! 2025). Da notare che i dati sono segretati. Non vi è obbligo di comunicazione da parte delle forze armate, ma solo con l’Accordo di Parigi del 2015 gli stati sono invitati a fornire una rendicontazione volontaria.