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“Alla ricerca della banca perduta” di Marco Onado

di Gianluca Piovani

Recensione a: Marco Onado, Alla ricerca della banca perduta, Il Mulino, Bologna 2017, pp. 280, 15 euro (scheda libro)

Il cuore del testo di Marco Onado è la storia dell’evoluzione del settore finanziario globale a partire dagli anni Ottanta fino al presente con un particolare focus sulla crisi del 2008. Con questo lavoro Onado affronta un notevole numero di temi e così facendo si propone in sostanza di analizzare le cause e gli effetti della crisi. Il libro propone riflessioni riguardo la finanziarizzazione delle banche, i derivati e le securitization, il rapporto del settore bancario con l’economia reale, i salvataggi effetto della crisi e il rapporto con i governi, la regolamentazione, le reazioni dei regolatori e delle autorità competenti, gli approcci economici teorici ai problemi posti dalla crisi. È evidente lo sforzo dell’autore per raccogliere in modo strutturato tali temi. Il risultato è un vero e proprio sistema di analisi riguardo il mondo della finanza: nel corso della lettura risulta chiaro un filo conduttore ed emerge un’analisi ordinata e acuta.

Altro pregio del volume è l’accuratezza nella documentazione. Le affermazioni di Onado sono costantemente supportate dall’analisi di dati numerici e l’impianto teorico sottostante, come dimostrano la bibliografia ed i frequenti richiami nel corso del testo, è ricco di spunti e valido. Per riuscire a seguire agevolmente il filo del discorso e comprendere in modo completo le argomentazioni dell’Autore è consigliabile avere alcune conoscenze economiche, non necessariamente specialistiche ma quanto meno basilari. Avere un’idea di cosa siano stato patrimoniale e conto economico di un bilancio, avere un’idea di cosa sia un’obbligazione o un’azione o magari di cosa si intenda con teorie economiche liberiste dà al lettore la possibilità di godere pienamente di quest’opera.

L’analisi di Onado è impostata come una critica ai sistemi economici neoliberisti imperanti a livello globale a partire dagli anni Ottanta. La tesi è che siano stati questi a causare la crisi del 2008. Tali modelli e teorie liberiste sono ancora molto diffusi se non dominanti e questo testo si colloca in modo schierato all’interno di una discussione accademica molto attuale.

 

Onado a proposito di banche, liberismo e finanziarizzazione

Il liberismo si fonda sull’ipotesi di mercato perfetto. In sostanza questa ipotesi consiste nel ritenere l’attività economica privata il modo migliore di organizzare un’economia: se lasciati liberi di agire, i privati massimizzeranno la propria utilità la quale in realtà coincide anche con quella della società nel suo insieme. Lasciare il massimo della libertà (da cui la parola liberismo) agli operatori economici relegando lo stato ad un ruolo secondario secondo queste teorie permette all’economia di autogestirsi in modo perfetto come se fosse guidata da quella che in letteratura viene chiamata una “mano invisibile”. La regolamentazione è quindi in genere vista in modo molto negativo come un’inutile ed anzi dannosa pastoia; in accordo a tale visione a partire dagli anni Ottanta si è assistito a una grande liberalizzazione del sistema finanziario che ha permesso l’unificazione dei due fino ad allora separati modelli di banca tradizionale ed universale causando un enorme incremento delle dimensioni delle principali banche ed una forte finanziarizzazione.

La grande libertà concessa agli operatori ha d’altra parte avuto come effetto una massimizzazione dell’utilità predatoria e basata sul breve termine che nella pratica economica è stata costruita tramite l’accumulazione di debito. Il debito permette infatti di godere di ricchezze non possedute scaricando sul futuro il problema di ripagarlo. Il debito crea inoltre un meccanismo di così detta leva (o in inglese leverage); per spiegarlo ricorrerò ad un esempio. Consideriamo un investimento che fra un anno renderà 120 euro e che richieda di impiegare nel presente 100 euro. Nel caso tale investimento sia finanziato con denari propri, il tasso di rendimento sarà chiaramente pari al 20%. D’altra parte è possibile utilizzare diciamo 90 euro di debito e solamente 10 euro propri; si consideri il caso in cui il debito costi il 10% e quindi fra un anno debba essere estinto con un pagamento di 99 euro. Rimarranno quindi 21 euro di profitti, i quali commisurati ad un capitale proprio di 10 costituiscono un profitto del 110%. Non male comparato con il precedente 20%!

Sfortunatamente però l’indebitamente presenta anche alcune problematiche. Si consideri il caso in cui l’investimento vada male e renda non i 120 euro attesi ma solamente 90 euro. Nel caso di non indebitamento si avrà una perdita del 10% mentre invece nel caso di indebitamente si brucerà completamente il capitale investito e rimarrà ancora un buco di 9 euro equivalente cioè ad un ulteriore 90% del capitale iniziale. In altre parole la leva è un moltiplicatore che finché le cose vanno bene le farà andare molto bene, ma quando invece le cose vanno male le farà andare molto male.

Le cose sono andate relativamente bene fino al 2008. Nel lasso di tempo tra anni Ottanta e 2008 le banche hanno incrementato le loro dimensioni usando il debito, la finanza e i derivati. Il ciclo economico positivo è stato moltiplicato a tal punto da rendere la concessione del credito incontrollata ed incorporata in strumenti finanziari opachi impacchettati a loro volta all’interno di altri strumenti finanziari ancora più opachi (le cosiddette securitizzazioni) che in base ad equazioni complesse risultavano avere qualità elevata e rischio basso.

Regolatori ed accademici hanno plaudito a questo sviluppo senza moderazione ritenendolo alla luce delle teorie liberiste un’espansione desiderabile del settore privato che non poteva che aumentare il benessere della società. Tale giustificazionismo ha creato un senso di potere universale e di impunità che ha avuto effetti deleteri sugli ambienti manageriali delle grandi istituzioni finanziarie. Vari recenti scandali finanziari descrivono bene tale cultura: l’aggiotaggio dei più rilevanti mercati al mondo (LIBOR-EURIBOR e FOREX) da parte di gruppi informalmente auto denominatisi il cartello o la mafia, scandali riguardanti la vendita a consumatori di prodotti incomprensibili e complessi poi risultati truffe, riciclaggio di denaro proveniente da paesi sospetti di finanziare il terrorismo ed altre attività illecite, le perdite di 6 miliardi derivanti dall’attività incontrollata di un unico trader (denominato la balena londinese) di JP Morgan nel 2013.

 

La crisi del 2008 e il sistema finanziario

La bolla gonfiata dagli eccessi del settore finanziario è infine scoppiata nel 2008. D’altra parte ci si è rapidamente resi conto dell’impossibilità di far pagare la crisi a chi l’aveva causata: le banche erano diventate troppo grandi per fallire (too big to fail) mentre d’altra parte i loro manager avevano già incassato lauti stipendi e, sebbene la loro condotta fosse moralmente riprovevole, non avevano giuridicamente commesso reati ma solo massimizzato nel breve termine i profitti delle società di cui erano a capo. In conclusione è stato quindi necessario ricorrere ad aiuti di stato più o meno mascherati per sostenere il sistema finanziario globale in crisi. Tali aiuti sono in parte provenuti dai governi nazionali, pesando così sui debiti pubblici, ed in parte dalle banche centrali che si sono caricate di responsabilità enormi (che invece sarebbero dovute essere politiche) per salvare il sistema dal tracollo.

Sfortunatamente, a seguito dei salvataggi bancari, gli stati non hanno avuto sufficienti risorse per intraprendere anche politiche di sostegno alla domanda che permettessero finalmente l’uscita dalla crisi. In sostanza i denari disponibili sono stati usati per salvare le banche mentre al contrario i consumatori venivano lasciati a loro stessi e negli USA l’espropriazione delle case acquistate con mutui insostenibili diveniva un fenomeno di massa. Passato il momento di emergenza è stato facile rispolverare le vecchie teorie liberiste per mostrare come gli stati siano in effetti degli spendaccioni inefficienti il cui intervento non ha portato a niente se non ad accumulare enormi debiti durante la crisi. Il passo conseguente è stato riprendere ad insistere sulle liberalizzazioni e deregolamentazioni che sono infatti parte del programma elettorale non solo dell’amministrazione Trump.

Il libro si chiude tracciando alcuni possibili interventi da adottare per riportare il sistema finanziario al servizio dell’economia reale. Tra questi l’imposizione di una tassazione sulle transazioni finanziarie, il divieto di sottoscrivere CDS (credit default swap) nel caso non si possegga anche il sottostante, il ritorno al passato con il ripristino della separazione tra banche tradizionali e di investimento, il ripensamento dei modelli di rating interni di Basilea accusati di lasciare decidere al regolato stesso le regole cui sottoporsi. Le proposte sono interessanti e vale la pena riflettervi; tuttavia, come lo stesso Onado riconosce, in ambiente accademico non è ancora iniziato un vero e proprio radicale ripensamento del sistema finanziario. La soluzione alla crisi sono stati interventi ad hoc degli stati poi nuovamente ritiratisi per lasciare campo libero ai privati. Le esperienze di altri stati con crisi bancarie, come ad esempio i paesi scandinavi e l’Islanda, mostrano come la nazionalizzazione delle banche possa invece avere effetti positivi per riformare il settore. In altre parole ripianare i buchi creati dalla finanza senza poi intervenire direttamente in qualità di stato e fare invece affidamento a una regolamentazione ancora troppo soft e comunque derivata da una matrice teorica liberista non è sufficiente.

Nel complesso l’opera di Onado offre una visione comprensiva e chiara delle dinamiche del sistema finanziario dagli anni Ottanta fino al presente. La sistematicità dell’analisi è evidente e molto apprezzabile e l’argomentazione è precisa ed ordinata. La visione che emerge non è particolarmente ottimista, ma certamente si tratta di un testo importante per comprendere la configurazione attuale delle banche e dei sistemi finanziari e il loro ruolo nell’economia globale.


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