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sinistra

La sindrome di Hamas

Malattia contagiosa della propaganda imperialista

di Raffaele Tuzio

L’asse principale della propaganda degli stati occidentali per giustificare l’eccidio e la deportazione della popolazione palestinese, si incardina su un punto di fondo condiviso sia dalle anime più esplicitamente votate allo sterminio dei palestinesi che da quelle “buone” e “sensibili” alle loro sofferenze e agli “eccessi” della repressione.

Su questo “principio” convergono le varie anime:

“è necessario che i palestinesi si liberino della direzione politica di Hamas”.

Il giuramento su questa “necessità” è richiesto nei salotti col fucile della propaganda mainstream in ossequio agli ordini di Washington, ma è esplicitato in una sorta di auto-castrazione anche da quei solidali che precisano “non siamo qui in piazza per sostenere Hamas, ma la popolazione palestinese”. Giuramenti che non a caso sono stati richiesti nei confronti del demonio Putin nella contemporanea offensiva della Nato contro la Russia in Ucraina, e la richiesta si estende a tutti i popoli e gli “Stati canaglia” (Iran, Hezbollah libanesi etc.).

Nella sostanza Hamas viene presa a pretesto per imporre la dissociazione dalla battaglia e dall’operazione Diluvio di Al Aqsa” che oggi come non mai prima è sostenuta dalla totalità della popolazione Palestinese (e non solo) e dall’intero schieramento delle organizzazioni politiche e militari (a eccezione di Fatah).

Si dirà le intenzioni sono opposte: gli uni (i propagandisti dello sterminio degli “incivili”) utilizzano Hamas per giustificare la repressione e la politica di assoggettamento dei palestinesi, gli altri intendono denunciare questo utilizzo e sgombrare l’ “equivoco”. Ovvero intendono chiarire che la lotta di liberazione nazionale è “universalmente giusta”, pregna di vera democrazia e “diritto” e non può essere inficiata di “brutalità”, “islamismo”, “arretratezza” come nelle direzioni attuali che i palestinesi si sono scelte.

Riconoscendo le “buone intenzioni”, che buone non sono, si dovrebbe perlomeno convenire che questa speculare convergenza si allinea su un “ragionamento” ed un “sentimento” condiviso con il nemico, almeno nella definizione, che si basa sull’assunto che la resistenza palestinese non è come “dovrebbe essere”. Di conseguenza uno schieramento “senza condizioni preventive” sugli episodi di resistenza palestinese risulterebbe equivoco e dannoso per la stessa popolazione palestinese. Tralasciando la letterale corrispondenza con le elucubrazioni di un qualsiasi “cinegiornale luce” occidentale, sorgerebbe spontanea la domanda: ma come dovrebbe essere una resistenza giusta?

Sappiamo che per l’imperialismo occidentale una resistenza giusta è quella che non resiste; che delega alle buone intenzioni degli accordi internazionali e degli sponsor occidentali la speranza che venga concesso un futuro ai palestinesi. Ma anche il più distratto e fiducioso adepto del “diritto” internazionale non può che prendere atto che questa strada ha condotto alla disgregazione di ogni realtà territoriale palestinese, al campo di concentramento che è la striscia di Gaza, alla colonizzazione della Cisgiordania. Un “errore” delle democrazie occidentali? Una conseguenza dell’ala più intransigente del sionismo? Basterebbe una settimana premio per questo adepto del diritto internazionale nella striscia di Gaza per indurlo a riflessione su cosa abbia voluto dire la favola di 2 popoli e 2 stati.

Non di errore si tratta ma di necessità e volontà dell’imperialismo internazionale di schiacciare ogni resistenza delle masse sfruttate del medio oriente all’ordine che ha consentito e consente lo sfruttamento delle sue risorse e della sua popolazione. Lo Stato di Israele è stato costruito ed è finanziato per tale scopo. Per esercitare il diritto del più forte.

In realtà la domanda che ci si dovrebbe porre è come mai la grande massa dei palestinesi non crede più in queste promesse e si sceglie Hamas come rappresentante delle proprie esigenze di sopravvivenza prima che di liberazione.

Un’estensione della vacanza premio in Cisgiordania aiuterebbe alla comprensione di come l’autorità palestinese e le prospettive di un riconoscimento di uno Stato Palestinese viene vissuto dalla popolazione locale. Le recenti repressioni operate dalla polizia dell’Autorità Palestinese a Ramallah contro le manifestazioni in favore della resistenza nella Striscia di Gaza la dicono lunga. L’autorità palestinese è finanziata e tenuta in piedi per giustificare la politica di espansione coloniale di Israele e funziona come un qualsiasi governo quisling utilizzato per garantire l’ordine.

Ma, per inciso, i buoni propositi per la ricerca di una “resistenza giusta” e il disvelamento dell’arcano Hamas dovrebbero richiedere la risposta a ulteriori domande. Per esempio perché l’imperialismo occidentale, o almeno una parte dei suoi Stati compresa l’Italia si sono spinti in passato a giustificare e “coprire” il terrorismo dell’Olp mentre oggi sono spietatamente attive contro ogni forma di resistenza sotto lo scudo della lotta alla “barbarie islamista”. Ai tempi di Sigonella l’Olp non riconosceva l’esistenza dello Stato di Israele e utilizzava apertamente le azioni terroristiche. Quello che è cambiato non è l’inclinazione dei dirigenti occidentali contemporanei, che oggi come allora pretendono che qualsiasi resistenza si assoggetti e subordini completamente ai protettori, ma l’inasprimento indispensabile dello scontro internazionale contro gli sfruttati dell’area (e non solo) e l’impossibilità di garantire l’ordine senza soffocare qualsiasi anelito di indipendenza. La piramide imperialista occidentale è divenuta ancora più compatta e verticale, dispotica e aggressiva nello scontro con Stati, popoli e sfruttati che si contrappongono alle sue necessità attuali. Per i nostalgici di Craxi e Andreotti che rivendicano la compatibilità della causa palestinese con gli interessi nazionali italiani e i principi dell’autodeterminazione dei popoli riconosciuti dal diritto internazionale, non resterebbe che prendere atto che gli aerei che riforniscono Israele e le portaerei americane di armi e munizioni per la mattanza dei palestinesi partono anche da Sigonella, come quelli che prendono parte attiva alla Guerra in Ucraina.

Ma la strada per determinare le caratteristiche di una “resistenza giusta” sono varie e articolate e qualche volta si tingono di internazionalismo. Poiché certe sindromi scavano nel profondo delle viscere della “sensibilità” occidentale. E’ infatti la natura islamista reazionaria un’altra delle caratteristiche di Hamas (non a caso accomunata all’Isis) da bandire in testa a qualsiasi sostegno ai palestinesi. Non è un mistero che la propaganda occidentale punta proprio su questa “minaccia” per imporre, quando non lo si assimila di propria sponte, il primato del progresso occidentale rispetto alla “barbarie e l’arretratezza” medio orientale (a questo punto vista l’offensiva contro Cina e Russia…alla “barbarie” dell’intero Oriente e del Sud del mondo). E’ un mantra antico che nel caso della resistenza palestinese si estende alla questione ebraica per sottolineare quanto la democrazia israeliana e il proprio “ruolo di progresso” in Medio Oriente sia da tutelare di fronte ai “subumani” che minacciano di imporre un reazionario nuovo pogrom contro gli ebrei. Le pochissime voci che dallo Stato di Israele (dagli Usa…e dal povero Ovadia) sottolineano come la realtà sia esattamente opposta e denunciano la natura apertamente razzista dello Stato, le sue angherie, sono ormai messe alla gogna. Ma di questo non c’è da stupirsi. E’ casomai sconcertante ascoltare l’indignazione di quegli internazionalisti che denunciano il pari orrore di fronte alle azioni dei due contendenti. Entrambi “lontani” da una vera soluzione di classe di fraternizzazione proletaria. In attesa che prima di sostenerli gli abitanti di Gaza si acconcino a comprendere come un insediamento dal carattere apertamente militare che li espropria e gli spara contro sia un Kibbutz comunitario a cui rivolgere un messaggio di fraternizzazione, sarebbe il caso di porsi davvero il problema di perché l’unico riferimento di solidarietà che essi hanno trovato sulla loro tormentata strada sia stato quello della “comunità islamica”. Dato il tipo di solidarietà condizionata che proviene da occidente.

In ultimo ma non meno grave e reazionaria deficienza delle masse palestinesi che non si dissociano da Hamas sarebbe l’indiscriminato uso della violenza contro civili. Ma davvero si può pensare che sia innocente chi occupa, nella forma e nell’organizzazione militare degli insediamenti, senza sapere di chi è quella terra ed a quale vessazioni è soggetto? Davvero si può pensare che siano innocenti quei giovani che esercitano il loro diritto di ballare e cantare di fronte ad un filo spinato che incarcera centinaia di migliaia di coetanei? L’incursione palestinese è stato un assalto a insediamenti militari in cui gli stessi civili sono usati come parte dello schieramento dell’esercito israeliano. E ammesso e non concesso che ci siano state indiscriminate uccisioni (e pure che ci si beva la propaganda di guerra dell’indimostrata strage dei bambini decapitati), sarebbe questo l’orrore da non perdonare e giustificare che rende pari i contendenti?

Ma si sa che una direzione borghese e nazionalista, per giunta “barbaramente islamica”, non fa differenza tra proletari e borghesi nemici. Una guerra con una prospettiva rivoluzionaria proletaria saprebbe “distinguere” utilizzando metodi e i messaggi giusti. E mettiamoci pure l’umanità dei comunardi che a Parigi ai tempi si distinguevano per la generosità, mal ripagata, nei confronti dei protagonisti della feroce repressione. Non si comprende comunque dove è questo esercito proletario che si contrappone a quelli ben armati degli Stati imperialisti. E soprattutto quale separazione i giovani palestinesi vedono tra i loro carnefici ed i giovani e proletari a cui dovrebbero riferirsi se perfino coloro che sbandierano la soluzione vera e rivoluzionaria alle loro sofferenze si adoperano per separarsi dalla loro sorti perché mal indirizzate. Senza contare che questa schizoide equiparazione giunge perfino a negare la stessa oppressione al loro popolo ed a lanciare un “bel messaggio” agli stessi sfruttati di qui che i nostri Stati intendono intruppare sotto le bandiere della guerra imperialista in nome della difesa della civiltà occidentale.In conclusione, la sindrome di Hamas è probabilmente una malattia molto più profonda della semplice allergia alle “incongruenze” della direzione borghese palestinese. Una malattia che è, essa si, incongruente, e i cui gravissimi sintomi impediscono un minimo di coerenza nella battaglia contro l’imperialismo. Genera deliri immaginari sulla realtà dello scontro e pretesti per prendere le distanze dalla battaglia reale degli sfruttati e oppressi palestinesi.

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