
Significato e scopo dell’attacco israelo-americano all’Iran
di Eros Barone
«Raptores orbis, postquam cuncta vastantibus defuere terrae, mare scrutantur: si locuples hostis est, avari, si pauper, ambitiosi, quos non Oriens, non Occidens satiaverit: soli omnium opes atque inopiam pari adfectu concupiscunt. auferre trucidare rapere falsis nominibus imperium, atque ubi solitudinem faciunt, pacem appellant.» 1
Discorso di Calgàco, re dei Caledoni (Tacito, Agricola, XXX).
Torna di attualità la vignetta pubblicata dal quotidiano “la Repubblica” diversi anni fa. In quella vignetta Francesco Tullio-Altan raggiungeva, come spesso gli accadeva, una precisione folgorante nel definire la connessione tra la crisi economico-finanziaria e l’imminente attacco che gli Stati Uniti d’America e altri paesi imperialisti dell’Unione Europea (Gran Bretagna, Francia, Germania e Italia) si preparavano a sferrare contro l’Iran. Fra due ‘mutanti’ dal profilo di iguana, che sfoggiano giacche blu e cravatte a stelle e strisce, si svolge questo dialogo: replicando a quello che osserva preoccupato: “Borse in crisi”, l’altro avanza la seguente proposta: “Attacchiamo l’Iran?”. Sennonché, dopo le tre guerre del Golfo (1980-1988, 1991, 2003), dopo l’intervento nel Kossovo (1999) e dopo quelli in Afghanistan (2002), in Libia (2011) e in Ucraina (iniziato nel 2013 e tuttora in corso) dovrebbe essere chiaro che le cause per cui l’imperialismo scatena una guerra sono sempre più di una. Pesano, infatti, almeno tre fattori: l’economia, la geopolitica e la storia. Rispetto a due di questi fattori (storia ed economia), determinanti per la conquista e il mantenimento dell’egemonia, gli Stati Uniti stanno segnando il passo. E questa è la ragione per cui sono sempre più pericolosi. Consideriamo dunque il fattore geopolitico.
Nel ‘limes’ lungo circa 10.000 chilometri che, saldamente presidiato dalle forze armate statunitensi, parte dalla Turchia e, passando attraverso l’Iraq e l’Afghanistan, giunge al confine nord-occidentale della Cina, escludendo l’Afghanistan, paese isolato e isolazionista, c’è solo un anello che manca: l’Iran. Ma non è forse assolutamente chiaro che il vasto attacco di sorpresa lanciato contro i siti nucleari e le principali città dell’Iran segna l’inizio della campagna militare che gli Usa stanno sferrando contro questo paese che, con la sua estensione di oltre un milione e seicentomila chilometri quadrati, con le sue risorse e con la sua posizione strategica, è il vero gigante del Medio Oriente? E non è forse assolutamente chiaro che la Cina, ormai diventata, con la sua progressiva ascesa economica, tecnologica e militare, il nuovo antagonista mondiale degli USA, è il vero obiettivo strategico della guerra americana?
Era dunque evidente che gli Usa avrebbero attaccato l’Iran, sostenendo, armando, finanziando e proteggendo il “cane pazzo” rappresentato dal sionismo millenarista israeliano. Ma quali sono le ragioni economiche e politiche per cui lo fanno? Il piano principale degli Usa prevede il controllo del petrolio nel Medio Oriente e la creazione di un dispositivo militare orientato in direzione della Cina. Finora soltanto due paesi si erano opposti a questo piano: l’Iraq e l’Iran. L’Iraq è stato neutralizzato con l’invasione militare e con la guerra civile; adesso è rimasto solo l’Iran a ostacolare il piano principale degli Usa. Nulla è allora più conveniente, per rinvigorire il consenso popolare declinante, di un’altra guerra di rappresaglia, ancor meglio se condotta per procura attraverso Israele. D’altra parte, il ritiro delle truppe statunitensi dall’Iraq è del tutto fuori discussione: un’azione simile equivarrebbe ad un’ammissione di debolezza, senza contare che gli Usa hanno compiuto grandi sforzi e speso molte risorse per andare in Iraq e costruirvi basi militari permanenti, e che tutto ciò si inscrive in una strategia di vasta portata che non riguarda solo il Medio Oriente. Essi vi resteranno pertanto a lungo.
La conclusione è che per l’amministrazione statunitense rimane soltanto una via: l’‘escalation’. Una nuova guerra contro l’Iran distoglierà infatti l’attenzione da altri scacchieri e consoliderà, in controtendenza al decrescente consenso attuale, l’appoggio dell’opinione pubblica a favore di Trump e del suo partito. Naturalmente, vi sono delle controindicazioni e chi afferma che l’Iran si vendicherà fomentando l’insurrezione in Iraq e minacciando il trasporto di petrolio attraverso il Golfo Persico non manca di segnalarle, mettendo in guardia dalle conseguenze che provocherà l’attacco della diade Usa-Israele all’Iran. Chi afferma ciò pensa che gli Stati Uniti non metteranno in pericolo la vita dei loro soldati in Iraq e che non correranno il rischio di far salire il prezzo del petrolio per imporre la propria volontà politica sull’Iran. Ma chi pensa così sbaglia. Uno degli obiettivi che gli Stati Uniti si prefiggono nel Medio Oriente è il controllo del petrolio, costi quel che costi. Dunque sarebbero disposti a sacrificare qualche migliaio di soldati in Iraq? Certamente. E che cosa succederebbe se l’Iran riuscisse a rallentare o fermare il flusso di petrolio attraverso il Golfo Persico? Ancora una volta, questo fatto potrebbe tornare a vantaggio degli Usa, poiché nel frattempo le compagnie petrolifere beneficerebbero di una riduzione globale delle scorte di petrolio e negli ultimi anni si è visto che, quando il petrolio è salito di prezzo, i profitti delle compagnie petrolifere sono saliti altrettanto vorticosamente.
Vi è poi chi argomenta contro la possibilità di un attacco contro l’Iran osservando che gli Usa, a causa del problema della “sovraestensione”, ossia dei limiti delle proprie forze armate, possono in pratica attaccare l’Iran solo per via aerea, il che non risulterebbe molto efficace se limitato ai bersagli “militari”. Da qui il via libera all’attacco israeliano contro l’Iran. Tutto ciò è vero, ma il punto è che l’iniziale attacco aereo sarebbe solamente il primo passo di quella che gli Usa e Israele probabilmente puntano a trasformare in una guerra più ampia. Perché? Perché l’unico modo che gli Usa hanno per riuscire a neutralizzare con successo l’Iran è sganciare un paio di bombe nucleari sulla popolazione civile, costringendo l’Iran alla resa incondizionata. Naturalmente, il mondo intero si indignerà dinanzi a un simile atto, ma, dopo qualche mese di mistificazione dei fatti attraverso i “mass media”, probabilmente gli Usa riusciranno a placare il disprezzo nei loro confronti. Sì, sto proprio dicendo che gli Usa (o la loro controfigura israeliana) lanceranno un paio di bombe nucleari sopra un paio di città iraniane di medie dimensioni, proprio come fecero in Giappone ottant’anni fa. E useranno le stesse giustificazioni di un tempo: accelerare la fine della guerra. Ovviamente il mondo sarà indignato, ma che cosa potrà fare se non deplorare virtuosamente (e ipocritamente) quanto sarà accaduto? L’Iran si arrenderà e gli Usa assumeranno il pieno controllo del Medio Oriente e di due dei suoi più importanti paesi produttori di petrolio: l’Iraq e l’Iran. Così, eccezion fatta per l’Afghanistan, l’anello mancante del ‘limes’ sarà finalmente inserito in una catena imperialista il cui ultimo anello giunge al confine con la Cina. 2






































tattico-strategico che costò a Gheddafi, e rischia ora di costare all’Iran ("quod deus avertat!") la sconfitta militare: la mancanza della bomba atomica, unico scudo efficace per proteggere il proprio paese dall’arroganza e dalla barbarie senza limiti dell’imperialismo israelo-statunitense.