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sinistra

Lettere dal Sahel XIX

di Mauro Armanino

 

Patrie

Niamey, marzo 2025. Dimentichiamo troppo spesso che tutti, in questa terra, siamo stranieri. Arriviamo da clandestini, transitiamo come migranti, viviamo spesso da rifugiati e partiamo senza documenti di viaggio. Le frontiere che delimitano i Paesi, le Nazioni o le Patrie sono delle costruzioni politiche validate dalle consuetudini o come realtà riconosciuta dal diritto. Tutto è precario nell’assunzione dell’inevitabile fragilità che attraversa tutte le umane istituzioni. Eppure ci si ostina a rendere eterno, immortale, divino e dunque atto a richiedere sacrifici umani un’entità in balia di contingenze storiche.

Non casualmente, a l’occasione della festa che ricorda la nascita della nazione, si organizzano spesso sfilate militari che vorrebbero rassicurare i cittadini della protezione contro i nemici, interni e soprattutto esterni della patria. D’altronde il dizionario ricorda bene che... Il termine patria deriva dal latino pater «padre» e indica in generale la terra natale, la terra dei padri, vale a dire il Paese, il luogo e la collettività cui gli individui si sentono affettivamente legati per origine, storia, cultura e memorie. Si tratta di una paternità esclusiva dove l’identità del cittadino si lega a quella della patria.

Da questo termine derivano gli altri che conosciamo, patriota, patriottismo, combattente per la patria o traditore della patria. Naturalmente il significato dipende dal momento, dai rapporti di forza, dai condizionamenti culturali, ideologici o religiosi. Gli organizzatori delle guerre e cioè i fabbricanti di armi, di confini e di interessi legati al mutevole capitalismo globale, usano con dovizia gli accenti romantico- identitari che la patria offre ai migliori acquirenti.

In certe parti del mondo mettere assieme armi, bandiere e migliaia di morti è un tutt’uno. I nemici si troveranno al tempo opportuno.

Conosciamo bene la curiosa tendenza a gestire la politica con alleanze ‘sacre’ , il mercato come divino, le guerre ‘sante’ e la patria come il simbolo vivente della perennità. Morire sul lavoro o dopo una lunga e penosa malattia, di incidente o semplicemente di vecchiaia, non è lo stesso che morire sul ‘campo d’onore’ per la patria. Solo quest’ultima morte sarà degna di nota, di ricordo o di un monumento funerario. Morire per la giustizia e la verità non è comparabile al morire per la patria. Nella mentalità comune la divinità incarnata nella patria abbisogna di sacrifici umani.

Fu così che nacquero e si svilupparono le conquiste coloniali e la ‘madrepatria’ da esportare dove necessario, in nome del popolo e nel nome di Dio. In questa stessa ottica furono mandati al macello migliaia e milioni di giovani, armati per difendere, proteggere o estendere i confini della patria. I grandi decidono le guerre, riescono a convincere la gente comune e sono i poveri coloro che ne soffrono le conseguenze. Divinizzare ciò che per sua natura è una costruzione umana comporta riesumare un termine talvolta passato di moda eppure sempre attuale. Si tratta dell’idolatria.

Adorazione tributata a oggetti o a immagini a cui si attribuiscano caratteri e poteri divini...ciò è quanto ricorda la definizione classica del termine. Il denaro, il potere, la violenza salvifica, la guerra ‘santa’ e in generale quanto diventa il dio a cui sacrificare, può definirsi idolatria. Come tutti gli idoli queste realtà non vedono, non parlano e non ascoltano. Si limitano a divorare o consumare chi diventa loro suddito. Non hanno un cuore ma solo interessi e contribuiscono a conservare il sistema di dominazione in buona salute. 

Ridare relativittà a concetti resi assoluti. Desacralizzare tutto ciò che è di umana fabbricazione e mettere al centro di tutto la fragilità e la sacralità della vita. Perchè di quest’ultima non siamo nè creatori nè proprietari ma solo umili testimoni.

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Il potere dei senza potere

Niamey, Marzo 2025. Nel mondo comandano le armi e il denaro al quale tutto è funzionale. Le guerre sono concepite per rigenerare e perpetuare l’economia dei ricchi, della quale le cicliche crisi del capitale svelano i meccanismi di espropriazione. La ‘distruzione creativa’ è in realtà un gioco al massacro nel quale le categorie umane più fragili, cominciando dai bambini, sono, fin dall’inizio della rivoluzione capitalista, le prime vittime. Comandano i militari, con o senza uniforme e sono presi, abbastanza spesso, come liberatori dalle ‘inutili’ e ‘corrotte’ democrazie dei partiti politici di cui le Costituzioni sono considerate pietose espressioni.

Dio non ha più nessun potere. Viene usato, abusato, manipolato, integrato e soprattutto pregato di lasciar fare a coloro che ne difendono gli interessi, i valori e la credibilità. Si trova a essere ostaggio di chi si arroga il diritto di defendere la sua causa. Non da oggi in esilio volontario, preferito allontanarsi dai santuari, templi e monumenti costruiti, a sua insaputa, per un onore che non ha mai cercato. Presente in tutte le assenze e i tradimenti dell’umano non si lascia arruolare tra i richiedenti asilo e meno ancora nelle interminabili statistiche volte a definire i ‘vulnerabili’ del momento.

I contadini dei villaggi adiacenti alla cittadina di Makalondi, a meno di 100 kilometri dalla capitale Niamey, sono stati espulsi dalle loro case, campi e averi, non senza aver pagato la tassa rituale prevista, in nome, appunto, di Dio. Nell’assordante silenzio stampa, da qualche giorno, altre decine di famiglie hanno raggiunto i campi di raccolta di persone definite ‘sfollate’ e nella realtà sradicate dallo propria terra. A loro è affidato il potere della storia perchè di essa i poveri hanno ricevuto la versione definitiva. Sulla sabbia sta infatti scritto che i ‘potenti sono rovesciati dai troni e gli umili innalzati’ nel vento. Da lontano e senza darlo a vedere, il Dio volontariamente confinato tra gli sfollati, sorride.

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Quando le parole (ri)fondano la realtà nel Sahel

Niamey, marzo 2025. Il primo colpo di stato nel Niger è stato operato nel 1974 da un gruppo di miltari riuniti sotto il segno del Consiglio Militare Supremo, CMS condotto dal colonnello Seyni Kountché, capo di stato maggiorer delle Forze Armate Nigerine. Il gruppo ha rovesciato il primo presidente del Paese, Diori Amani la cui sposa fu uccisa al momento del putch. Il secondo golpe è sopraggiunto nel 1996. Un altro gruppo di ufficiali, guidati dal capo di stato maggiore delle Forze Armate Nigerine, operando in nome del Consiglio Nazionale di Salvezza, CNS, ha rimosso il presidente Mahamane Ousmane, eletto tre anni prima. Il colonnello Ibrahim Baré Mainassara che prese il potere per la circostanza, fu assassinato all’aeroporto di Niamey nel 1999 dal terzo colpo di stato. Un gruppo di militari, riuniti nel Consiglio di Riconciliazione Nazionale, CRN, diretto dal capo della guardia presidenziale, il comandante Daouda Malam Wanké, mise fine alla sua vita e al suo potere.

Nel febbraio del 2010 si registra il quarto colpo di stato diretto dal Consiglio Supremo per la Restaurazione della Democrazia, CSRD, con a capo il comandante Djibo Salou, responsabile di una compagnia militare di Niamey. Il presidente esautorato fu Tandja Mamadou, militare in pensione che aveva tentato di andare oltre i due mandati presidenziali canonici. Arriviamo al quinto colpo di stato, in meno di cinquanta anni, effettuato contro il presidente Mohamed Bazoum il 26 luglio del 2023. Operato dal capo della guardia presidenziale e attuale capo dello stato, il generale di brigata Abdourahamane Tiani, a nome di un gruppo di militari sotto il nome del Consiglio Nazionale per la Salvaguardia della Patria, CNSP. Ogni volta, i militari hanno giustificato i golpe col pretesto di una deleteria gestione di governo economico, sociale, politico e securitario, per l’ultimo putch.

Dal Consiglio Militare Supremo si passa al Consiglio Nazionale di Salvezza per andare al Consiglio di Riconciliazione Nazionale e sfociare nel Consiglio Supremo per la Restaurazione della Democrazia. L’ultimo in ordine di tempo, come citato, è il Consiglio Nazionale per la Salvaguardia della Patria. Di Consiglio in Consiglio, Supremo o comunque Nazionale soprattutto con la Patria, ultimo concetto per ridefinire o meglio, rifondare la sovranità nazionale. Consigli militari e dunque affidati alle canne dei fucili per convincere e soprattutto conservare il potere. Mentre ci si basa sulla carta della transizione o rifondazione per i prossimi 60 mesi, con possibilità di ulteriori variazioni, il presidente spodestato è ancora prigioniero nel palazzo presidenziale con la sua signora. Quando il fine giustifica i mezzi è opportuno preoccuparsi perché tra i due esiste un’inscindibile complicità.

L’attuale regime militare al potere preferisce parlare di ‘rifondazione’ dello stato, della repubblica, della vita politica e soprattutto del cittadino. Rifondare è l’azione di fondare di nuovo e soprattutto in ambito politico designa l’azione per la quale si punta a rinnovare i principi sui quali si basa un’organizzazione o un sistema. Rifondare per adattare alla nuova situazione esistente. La carta riposa, tra l’altro, su un certo numero di valori e principi tra i quali il patriottismo, la disciplina, il civismo, l’inclusione, la solidarietà, la fraternità...l’integrità, l’onore, il rispetto del bene comune, la tolleranza, il dialogo e il perdono. Poi la giustizia, la riconciliazione, la dignità, il lavoro, l’onestà e il coraggio. Tutto ciò era gia stato detto, scritto e professato nelle precedenti costituzioni ma la rifondazione presume che quanto costruito finora era fuori luogo oppure non compiuto. Tra nuovo e antico ci sono loro, i militari dalle attraenti uniformi che, di Consiglio in Consiglio, rifondano le parole.

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Sabbia, vento e tempesta. 14 anni di polvere nel Niger

Niamey, 5 aprile 2025. Ci siamo intesi subito fin dall’inizio. La sabbia sembrava offrire più che una metafora del Paese ‘scoperto’ al mio arrivo, un 5 aprile del 2011. Conoscevo la sabbia della riva del mare Mediterraneo e, con minore cordialità, quella analoga dell’oceano Atlantico durante il soggiorno in Costa d’Avorio e Liberia. Un breve passaggio nel Benin mi ha fatto conoscere la ‘Porta di Non ritorno’ degli schiavi detenuti prima del viaggio verso le Americhe. Il monumento in questione è piantato nella sabbia di fronte al mare. Non si tratta però della sabbia che avrei esperimentato nella capitale Niamey, coi migranti e in generale durante il soggiorno nel Paese.

La vita, la storia, le migrazioni, la politica e i colpi di stato che hanno caratterizzato il transito in questione sono, della sabbia, simbolo, espressione e contenuto. Troppe volte, ascoltando le storie dei migranti di ritorno dal ‘Sud di Lampedusa’, non rimaneva che lei, la sabbia, sulle piastrelle dell’ufficio. I migranti di ritorno custodivano le loro borse, troppo spesso vuote e le loro storie, mescolanza di dolore e delusione che anni di tentativi, irti di ostacoli nel deserto, avevano reso un’avventura irripetibile. La sabbia rimane, muta e fedele, come unico testimone del vissuto quotidiano di migliaia di migranti che avrebbero voluto diventare cittadini di un mondo dove le frontiere non siano muri e reticolati. Immaginavano che un mondo differente fosse possibile e a portata di ‘migrazione’ per accorgersi, invece, che il mondo antico si era attrezzato per respingerli al mittente col pretesto dell’illegalità. La sabbia ricorda, a tutti gli umani, che essa li genera e che a lei, alla sabbia, torneranno lasciando Paesi, città, palazzi, monumenti, conquiste, imperi e confini creduti eterni.

Il vento, invece, mi è apparso più tardi e a seconda delle stagioni. Solo col tempo si è fatto visibile, consistente, reale, pervasivo e seconda particolare metafora del soggiorno nel Paese fino a diventare insostituibile narrazione del vissuto. I nomi, i volti, le storie, gli avvenimenti e persino le speranze è al vento che sono affidate per arrivare dove avrebbero voluto. Il vento porta lontano i pensieri, i desideri e soprattutto le parole con le quali si vorrebbe imprigionare la realtà. Le ideologie e le religioni, quando a esse si accodano e di esse si avvalgono, sono patetici e talvolta drammatici strategie per ingabbiare la realtà e farla a propria immagine. Fortuna arriva il vento, imprevisto e imprevedibile, a scombinare i piani di controllo delle vite dei poveri da parte dei potenti che si immaginano di poter governare il mondo. Il vento senza direzione, scopo apparente e finalità incerta si offre come un simbolo di libertà in movimento volto a scompaginare le dittature militari.

La tempesta arriva improvvisa. Un vento forte, la sabbia e, con rapidità, anche il sole si oscura di rosso profondo e poi scende la notte in pieno giorno. Ci si abitua col tempo ma la prima volta la sorpresa e il timore impressionano l’immaginazione. Quanto durerà la tempesta di sabbia e quando tornerà infine la luce del sole ad illuminare il mondo. Siamo nel 2015 il mese di gennaio. Le chiese e istituzioni cristiane ( e in parte interessi francesi) sono attaccate a Zinder e Niamey. Era un venerdì e un sabato mattina dopo la pubblicazione controversa di una vignetta dal giornale satirico francese del profeta dell’Islam, ‘Charlie Hebdo’. Erano scoppiati disordini in varie parti del mondo e nel Niger, complice una situazione politica tesa, si era arrivati all’estremo. Le comunità cristiane d’un colpo rifiutate, perseguitate, ferite e stigmatizzate. Una tempesta sulle strade quel giorno e, tre anni dopo, il rapimento dell’amico e confratello Pierluigi Maccalli a opera dei gruppi terroristi armati di interpretazione islamica. Due lunghi anni di prigionia nel deserto tra solitudine e condizioni di vita estreme fino alla liberazione avventuta, assieme ad altri prigionieri, nel 2020.

Catene di libertà, scrisse Pierluigi nel libro-diario dei due anni di prigionia nel deserto del Sahara. Soprattutto per ricordare, in conclusione del libro citato, di imparare a ‘disarmare le parole’ perchè da esse, armate, scaturiscono le guerre e tutto ciò che ferisce la dignità della persona. Maccalli è tornato a salutare la gente che ha pregato per lui nel tempo della prigionia solo per accorgersi che, nel frattempo, la situazione legata ai gruppi armati era drammaticamente peggiorata. Intere zone e regioni del Paes e e delle Tre Frontiere, il Niger, il Mali e il Burkina Faso sono letteramente ostaggio dei gruppi armati che dettano la legge delle armi per applicare la loro versione dell’Islam. La tempesta continua perché a tutt’oggi migliaia di persone sono straniere, sfollate nella propria terra. Solo rimane la fuga per salvare i figli e portarsi dietro la paura di altre eventuali minacce ed esazioni finanziarie.

Ecco perché è la polvere, in definitiva, quella che meglio descrive, rendendolo opaco, il vissuto. Ha ragione lo scrittore, poeta e filosofo della Martinica, Edouard Glissant quando afferma che c’è il diritto, per le persone, le culture (e Dio), all’opacità. La polvere invade, leggera, incontenibile, non misurabile, la vita vissuta nel quotidiano. Si adatta, infiltra, giace, penetra, si accomoda, giace e si ferma dappertutto quanto basta. Le relazioni umane, la politica, l’economia, le promesse dei commercianti di futuro e gli imprenditori di guerre. Pensieri, parole e religioni più o meno rivelate non ne sono immuni. Sembra detenere la chiave dell’eternità anche per la sua pervasiva e inafferrabile presenza. La polvere attraversa gli anni, marca con la sua opacità cose, persone, fatti e avvenimenti. Si afferma come contributo alla verità della vita, mistero nascosto da una leggera coltre di polvere di infinito.

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Alla ricerca del tempo perduto. Meditazioni dal Sahel

Niamey, aprile 2025. Ognuno ha il suo tempo e forse ognuno è il suo tempo. Anche il saggio diceva che c’è un tempo per tutto e tutto per un tempo. I calendari, le stagioni, gli orologi e, per certi versi i cimiteri, sono inventati o accettati come patetici tentativi per misurare il tempo. Operazione necessaria quando si deve viaggiare coi mezzi pubblici, organizzare compleanni, festeggiare avvenimenti o semplicemente fare memoria di eventi passati. Questo è il tempo ufficiale che naturalmente non coincide affatto col tempo personale che si apparenta ad un mistero incalcolabile perchè bagnato di eternità.

Per ogni cosa c’è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo. C’è un tempo per nascere e un tempo per morire, un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante. Un tempo per uccidere e un tempo per guarire, un tempo per demolire e un tempo per costruire.
Un tempo per piangere e un tempo per ridere, un tempo per gemere e un tempo per ballare.
Un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli, un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci.
Così meditava e scriveva il saggio Qoelet.

Il Sahel, spazio particolare dell’Africa subshariana nel quale ho avuto il privilegio di vivere, ha ed è il suo tempo. Dettato, per i più, dalla quotidiana avventura per la sopravvivenza e da anni di azioni destabilizzanti dai definiti Gruppi Armati Terroristi, chiamati banditi da coloro che ne soffrono i soprusi. Sono centinaia di migliaia le persone che hanno visto il loro tempo occupato dalla paura, confiscato dalle armi e venduto agli imprenditori delle guerre. C’è il tempo sospeso dei bambini perchè i gruppi armati hanno costretto la chiusura di 13 250 scuole e, secondo l’UNICEF, circa 2 milioni e mezzo di scolari sono estromessi dal processo educativo. Sono i figli dei contadini.

Il tempo dei contadini, nelle zone coinvolte dal conflitto importato, subito e poi assunto, si trova nelle mani di altri che decidono arbitrariamente chi può rimanere al villaggio, coltivare, pagare le tasse ai banditi e non sapere nulla del domani. Un tempo espropriato che, messo assieme a quello di coloro che vivono nei campi per sfollati, costituisce come una passerella tra un passato che non tornerà più e un futuro ancora incerto. Un tempo sospeso tra l’attesa di cibo, medicine e condizioni di vita degne e il timore di perdere quel poco di vita che rimane mentre la politica rimane a guardare.

Le strade della capitale Niamey sono un quotidiana metafora dei tempi che accomunano e dividono i cittadini. C’è il tempo delle auto diplomatiche o dei ministri, quello delle ambulanze che annunciano l’urgenza, quello delle migliaia di taxi che si fermano d’improvviso. C’è il tempo dei dromedari che ritmano l’andatura degli autisti dei camion di legna e, infine, il tempo degli asinelli che tirano l’immancabile carretto a colpi, intermittenti, di bastone. Poi c’è il tempo dei semafori che funzionano a seconda dei giorni feriali o festivi e il tempo dei venditori di canarini verdi tenuti in gabbia.

C’è il tempo dei militari al potere nell’Alleanza degli Stati del Sahel, denominatasi AES. Un tempo rassicurante perchè fissato a cinque anni di governo e magari rinnovabili o modellabili a seconda delle circostanze che verranno. Un tempo di promesse che, come sempre in politica, impegnano soprattutto chi le ascolta e dunque un tempo militarizzato da armi, uniformi e gradi da distribuire a piacimento per i meritevoli. Quanto al tempo dei poveri, unico nel suo genere, non interessa a nessuno e nessuno potrebbe definirlo. Un tempo appeso tra silenzi, sofferenze e minute speranze.

Sotto il sole del Sahel c’è un tempo per cercare e un tempo per perdere, un tempo per serbare e un tempo per buttar via. Un tempo per stracciare e un tempo per cucire, un tempo per tacere e un tempo per parlare . Un tempo per amare e un tempo per odiare, un tempo per la guerra e un tempo per la pace, Così meditava e scriveva il saggio Qoelet.

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Nel Niger, per i detenuti è vietato risorgere

Niamey, Pasqua 2025. Per la seconda volta in quattordici anni di permanenza nel Niger non passerò la Pasqua in prigione. Sembrerà strano non trovarmi tra i detenuti della casa di arresto e correzione di Niamey la mattina di Pasqua, dietro i muri. Sarò meno libero del solito perché solo in carcere si capisce cosa voglia dire una tomba aperta e una pietra rovesciata. La prima volta fu a causa delle misure restrittive legate all’improbabile gestione del Covid e la presente in seguito all’applicazione della nota ministeriale sulle prigioni. E’ dal 29 maggio del 2024 che il ministro della giustizia, della giunta militare, aveva vietato le visite e le attività di enti o associazioni nelle prigioni del Paese. Una misura ‘provvisoria’ e giustificata per motivi di sicurezza, ordine e controllo negli istituti penitenziari da parte delle autorità militari al potere da fine luglio 2023, in seguito al colpo di stato.

Secondo l’ong ‘Prigionieri senza frontiere’ alla data del 31 maggio 2023, su una popolazione di oltre 22 milioni di abitanti, il Niger conta 41 prigioni che ‘ospitano’ oltre 13 mila detenuti dei quali 8 400 sono in attesa di giudizio. Tra loro si contano 608 minori e 406 donne. Come per altri Paesi si registra una sovrapopolazione carceraria e un tasso di occupazione del 128 per cento. La nota ministeriale citata, vietando le visite e gli aiuti ai prigionieri, rende le condizioni di vita dei detenuti ancora più disumane di quanto esse siano. Con meno controlli da parte di associazioni sono anche i diritti umani a essere erosi o confiscati. Tra questi c’è anche il diritto a risorgere, ossia a celebrare l’unica buona notizia che apre le porte ad un futuro differente dal passato. Le nuove autorita militari hanno approvato la nuova ‘Carta della Rifondazione’ senza pensare alla carta della ‘risurrezione’.

Vero, Ci sono problemi gravi legati all’insicurezza e un’evasione di prigionieri in un carcere di massima sicurezza invita alla prudenza e all’accortezza. La confusione tra mezzi e il fine costituisce uno degli ostacoli maggiori a una autentica società democratica. Siamo ancora in un regime di eccezione che dovrebbe durare almeno cinque anni ed è per questo che sarebbe saggio permettere di celebrare la risurrezione in carcere. La rifondazione della storia passa da gente liberata dalle catene del passato.

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L’isola dei bambini mai arrivati

Niamey, 25 aprile 2025Molti di loro sono certamente passati dal Niger, Terra di Mezzo. Li abbiamo incontrati e poi dimenticati. Erano accompagnati da uno o entrambi i genitori oppure confusi tra fratelli, amici e conoscenti d’occasione. Hanno attraversato non si come il deserto e, per gli strani sentieri del destino, sono riusciti a imbarcarsi e tentare il Mare di Mezzo, il Mediterraneo. Secondo l’ultimo rapporto dell’agenzia onusiana per la protezione dell’infanzia l’UNICEF, in dieci anni, circa 3 500 bambini hanno perso la vita nel mare, sulla rotta del Mediterraneo centrale. Questa porzione di mare è riconosciuta come la frontiera più mortale del mondo.

Ciò significa, sempre per il rapporto citato, che in questi ultimi 10 anni ogni giorno un bambino è scomparso nel mare. Mancava perfino la mano di uno dei genitori a dare l’utimo aiuto. Sette bambini su dieci che hanno effettuato la traversata viaggiavano soli. Quanti sono giunti sull’altra riva e interrogati hanno confessato che, durante il viaggio, molti di loro hanno sofferto violenze fisiche e altri sono stati arbitrariamente detenuti. Sono fuggiti da guerre, conflitti, violenze, miseria e soprattutto l’abbandono di una parte d’ Africa che ha tradito e venduto il loro futuro ai commercianti di vite umane. I bambini fanno parte delle oltre 20 mila persone morte o disperse nel corso egli ultimi dieci anni nello stesso Mare.

L’isola dei bambini si è creata da sè, come per caso, un giorno feriale di un anno che nessuno ricorda. Il numero degli piccoli migranti mai arrivati aumentava al quotidiano e si rese necessario, col tempo, organizzare la vita della colonia e far sentire i nuovi arrivati come a casa loro. All’inizio non è stato facile perché i bambini cercavano di imitare quello che ricordavano della società dei grandi. Armi, guerre, muri come frontiere e parole armate generatrici di violenza e divisione. Si organizzò dunque una prima assemblea consultiva aperta a tutti i residenti senza distinzione. Si decise all’unanimità che l’isola sarebbe stata guidata senza più tener conto del sistema creato dai grandi.

Inventarono strade, cortili, piazze, giochi e feste. Alcuni dei più grandi che già avevano imparato un mestiere si industriarono a trasmettere ad altri il loro sapere. Le bambine più grandi organizzavano la cucina, la cura dei più piccoli e rallegravano la vita dell’isola con canti e danze improvvisate. L’isola dei bambini mai arrivati era anch’essa migrante e, in realtà, non andava da nessuna parte. Si muoveva, invisibile o visibile secondo le stagioni e, come esse, mutevole nei colori e nella forma. Quando, da lontano, spuntava un’imbarcazione i bambini migranti innalzavano una bandiera inesistente e accendevano fuochi sperando che il fumo avrebbe segnalato la loro presenza.

L’isola è ben là fino a tutt’oggi e continua a ricevere nuovi ospiti ai quali viene chiesto il nome, l’età e il Paese di origine. Nel caso di neonati i nomi sono scelti a seconda dei giorni di sole, di pioggia e di vento. Non c’è una rotta prestabilita perchè l’isola inventa ogni giorno nuovi orizzonti e c’è chi giura d’averla vista passare ma c’era nebbia quel giorno. Alcuni dei primi residenti immaginano che un giorno l’isola dei bambini si trasformerà in un continente che avrà dimenticato per sempre l’arte della guerra.

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Finché c’è un nemico ci sarà speranza (per il potere)

Niamey, maggio 2025. Nel Sahel i nemici non mancano. Dal caldo torrido di stagione, alla polvere permanente per arrivare alle inedite inondazioni di questi ultimi anni, i nemici non mancano. Ma non si tratta di questi, tutto sommato ciclici. I nemici di cui non è proprio possibile fare a meno sono altri. La storia di questa porzione d’Africa, tra le due rive così come il nome Sahel indica, è successione di guerre, Jihad, imperi, colonizzazioni e fragili tentativi di liberazione. Come dire che la figura del nemico è stata coltivata in modo assiduo e creativo in tutti questi secoli. Non ci si dovrebbe dunque stupire di loro, i nemici che anzi fanno parte del paesaggio storico, culturale e politico del Sahel.

I colpi di stato militare e i conseguenti regimi di eccezione che a tutt’oggi marcano il Sahel Centrale appaiono come una semplice e conseguente applicazione del titolo sopra enunciato. Finché ci saranno nemici i giorni felici dei militari al potere non saranno prossimi a finire. Nel Niger, ad esempio, il colpo di stato militare del luglio del 2023 è stato giustificato dalla minacciosa presenza di due nemici. L’insicurezza crescente nel Paese dovuta ai ‘gruppi armati terroristi’ e alla pessima gestione della cosa pubblica e le risorse dello Stato. Entrambi nemici veri, agguerriti e pronti, secondo i fautori del golpe, a far perfino sparire il Niger come entità autonoma e repubblicana, dalla cartina.

Poi, strada facendo, il nemico è andato precisandosi. Nuovi e inediti scenari hanno offerto al grande nemico nuovi orizzonti. La cacciata della base militare francese dal cuore della capitale Niamey, gli interessi francesi, la storia coloniale francese e i suoi inenarrabili soprusi e umiliazioni, sono stati un tempo forte di identificazione e di vittoria sul nemico principale. Altri nemici sono in seguito apparsi. Il neocolonialismo occidentale e la complicità della Comunità degli Stati dell’Africa Occidentale con le sanzioni economiche. Di lì a identificare l’imperialismo come nemico permanente esteriore da combattere il passo è stato breve. Ottenere un visto per il Niger dai Paesi incriminati è un percorso da combattente. Giunti all’aeroporto il vostro passaporto sarà confiscato per il tempo necessario.

Dai nemici esterni, assai ben identificati in numero e qualità crescenti, si passa ai nemici ‘interni’. Si tratta dei politici, istituzioni e regole della democrazia liberale con elezioni regolari ad essere demonizzati. La corruzione, la svendita del Paese e le sue ricchezze alle potenze straniere sono senz’altro l’altro nemico da abbattere. I partiti sono sospesi così come la vita politica del Paese e la stessa libertà di associazione è sotto controllo. La parola chiave di questa fase sarà dunque ‘rifondazione’ che si usa appaiata con ‘sovranità nazionale’ in tutti gli ambiti. Alimentare, militare, economica, culturale, umanitaria, educativa, sportiva, informativa e, naturalmente, religiosa.

Si passa in seguito ai gruppi armati che minano la sicurezza e la cosiddetta e mai ben definita ‘coesione sociale’ di centinaia di migliaia di persone nel Paese. Risultano necessarie armi sofisticate, investimenti bellici e forze militari ben preparate e motivate per combattere il nemico in una guerra complessa e asimmetrica. I costi in vite umane nei confronti di questo nemico spesso invisibile e mobile sono rilevanti. Giovani soprattutto che, in ambo i campi, perdono la vita per Altri che, più grandi di loro, spesso prosperano altrove e profittano dell’economia di guerra per arricchirsi. Si tratta di nemici che assicurano un futuro assai promettente per i venditori e i commercianti d’armi.

Nemici esterni, interni e dunque ‘eterni’. Sembra piuttosto difficile, per un regime nel quale le armi sono una garanzia di continuità, che i nemici vengano un giorno a finire. Sarebbe per molti un vero dramma ma non c’è da temere. Come dice il noto proverbio...’chi cerca trova’.

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Perchè nulla cambi

Niamey, maggio 2025. La cosa migliore è quella di cambiare tutto. Lo scrisse in un noto passaggio Tomasi di Lampedusa nel’ Il gattopardo’ . Dal mio arrivo, nel 2011, il Niger viene classificato agli ultimi posti nell’Indice dello Sviluppo Umano. Il rapporto annuale, pubblicato recentemente dalle Nazioni Unite, seppur sfumando i dettagli, conferma che l’Africa subsahariana conserva in classifica le posizioni di coda . I fattori presi in considerazione per stilare la graduatoria sono tre. Si tratta della speranza di vita, l’indice di istruzione e il prodotto interno lordo pro capite. I regimi militari seguono quelli civili che sfociano in colpi di stato a loro volta creatori di periodi di eccezione e terminare, per ora, nella ‘rifondazione’ del Paese. Tutto ciò passa e il Niger rimane, nel rapporto citato, non lontano dall’ultimo posto della lista.

Paese incastonato nel Sahel Centrale, il Niger, per la sua posizione geografica, è una Terra di Mezzo, uno degli spazi di passaggio verso l’Africa del Nord. Non casualmente fu proposto e in parte ‘imposto’ dall’Unione Europea come argine ufficiale alla mobilità dei migranti proveniente dalla costa atlantica o l’Africa Centrale. Il Niger divenne come una frontiera mobile, invisibile e reale per migliaia di persone che tentavano di tradurre a proprio conto il diritto di viaggiare così come sancito dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani al numero 13. Secondo l’attuale ministro della Giustizia e dei Diritti Umani nel rapporto periodico del Niger a Ginevra, il Paese ha ricevuto 1 844 661 migranti nel 2018 e 451 857 nel 2022. L’attuale regime ha abolito la legge che criminalizzava e dissuadeva la mobilità dei migranti.

Ciò cambia tutto e non cambia nulla perché la confinante Algeria continua ad arrestare, spogliare di tutti i beni, deportare, espellere e abbandonare migliaia di migranti nel deserto che la separa dal Niger. Sono migliaia i migranti che sopravvivono in condizioni al limite dell’umano nella cittadina nigerina frontaliera di Assamaka. Le cose non vanno meglio in Tunisia anche grazie agli accordi con l’Unione Europea con l’Italia in testa. Peggio ancora in Libia dove, dalla guerra della Nato e l’assassinio di Mohammed Kaddafi, nel 2011, ha ridotto in macerie incattivite un Paese che godeva di un livello di vita notevole. Da anni ormai i migranti, i rifugiati, i richiedenti asilo e le persone in cerca di lavoro in Libia sono detenuti e usati da schiavi in campi di concentramento più volte denunciati dall’ONU.

Nel 2025, l’Ufficio per la Coordinazione degli Affari Umanitari delle Nazioni Unite, stima che 4, 8 milioni di persone, il 18,31% della popolazione, avrà bisogno di aiuto umanitario. Di questi più di 3 milioni avranno bisogno di aiuto alimentare d’urgenza per la prossima stagione di passaggio. Inoltre, secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, il Niger accoglie un numero importante di rifugiati, richiedenti asilo e sfollati. Quest’anno ancora circa un milione di persone si trovano nel Paese, in particolare nelle regioni di Tillaberi, Diffa e Tahoua. Un Paese povero che si trova ad accogliere altri ancora più poveri. Anche in questo nulla è cambiato in questi anni dove tutto cambia perché niente cambi. Gli attacchi dei gruppi armati si intensificano e creano nuovi sfollati.

Proprio stamane è passato un migrante liberiano, vecchia conoscenza del nostro servizio. Dice di essere appena tornato dallo ‘snodo’ migrante che è la città di Agadez. Ha passato due anni in carcere con l’accusa di terrorismo perchè si trovava al posto sbagliato nel momento sbagliato. E’ stato finalmente rilasciato perchè l’accusa era infondata. Torna a Niamey, dove nulla è cambiato, senza una casa, abiti, cibo e un futuro da inventare sulle incertezze del passato. Mostra la carta d’identità che lo ha salvato e, prima di partire, chiede una croce perchè ha smarrito quella che portava.

* * * *

Le ambiguità del potere

Niamey, maggio 2025. In qualunque ambito umano di cui si ha conoscenza il potere porta con sè una dose ineludibile di ambiguità che a prima vista appare connaturata all’uso dello stesso. Intendiamo il potere politico per passare a quello economico, culturale, relazionale, fisico e religioso. Il potere, inteso come facoltà di far compiere ad altri azioni che altrimenti non avrebbero forse effettuate è, storicamente, attraversato da qualcosa che lo corrompe. Di natura strutturale, ontologica, storica o congiunturale il potere, che si declina in varie forme, si coniuga troppo spesso e tragicamente con l’abuso, la menzogna e si apparenta più a un fine che a un mezzo. Quando il potere si ‘istituzionalizza’ e cioè diventa espressione, salvaguardia o perpetuazione di un’istituzione, tende ad assolutizzarsi. I noti sistemi per evitare o moderarne l’uso non sempre raggiungono l’obiettivo perchè spesso sono esautorati dal loro compito regolatore. Le brevi note che seguono si riferiscono ad una specifica istituzione che è la Chiesa cattolica e si vogliono come pensieri custoditi, sedimentati e infine espressi. Lo scopo è quello di contribuire a riflettere sull’eventuale uso e abuso del potere in relazione alla maniera con la quale il Cristo l’ha vissuto secondo i vangeli.

Assassinato dall’azione congiunta e complice del potere religioso e politico del momento, il Cristo è morto solo, abbandonato e tradito da una parte dei suoi amici. Un contadino ‘marginale’, spesso non capito perchè il tipo di mondo che immaginava per il suo popolo era stato mistificato dal potere religioso. I vangeli chiamano questo tipo di mondo ‘Regno di Dio’ e dunque ricco di una duplice valenza, spirituale e politica. Nel mondo ma non parte del ‘sistema’ ecco la sua incomoda posizione che in definitiva lo perderà. Non si attacca impunemente il potere con la verità della testimonianza libera di un mondo differente. Il dialogo tra lui e Pilato, riportato dal vangelo di Giovanni, è evidente(Gv 18, 33-38). Si sa poco della sua vita ma ciò che i vangeli condividono è sufficiente per arrendersi all’evidenza che la scelta dei ‘piccoli e senza potere’ ha accompagnato il suo ministero. La parola nel’annuncio delle ‘beatitudini’ nel vangelo di Matteo (Mt 5, 1-12), la proclamazione della sua missione nella sinagoga di Nazareth nel vangelo di Luca (Lc 4, 16-22) e la lavanda dei piedi nelvangelo di Giovanni (Jn 13, 1-15) evidenziano la sua unica opzione. Rendere visibile il volto misericordioso del Padre invisibile. Il solo potere che ha praticato sul male e quello del servizio radicale fino alla morte, La via tracciata è quella ricordata al numero 8 della Constituzione sulla Chiesa, Lumen Gentium. Il cammino scelto dal Signore per annunciare e liberare dovrebbe essere quella della Chiesa. Nella povertà e la peresecuzione.

Chi scrive è membro della Chiesa dalla quale è stato scelto e la cui missione e mandato ha ricevuto dalla Chiesa attraverso l’ordinazione sacerdotale. Grato e riconoscente per quanto vissuto, abbondantemente più di quanto potevo sperare in una vita come missionario, sono consapevole che essa, la Chiesa continua ad offrire al mondo la possibilità dell’incontro liberatore col Cristo stesso. Inoltre l’autore di queste linee non è esente dalle contraddizioni e ambiguità nell’esercio del potere che ha ricevuto come presbitero della Chiesa. Ho avuto il privilegio di vivere quasi la metà della mia vita nel ‘Sud del mondo’, nelle periferie della storia e dunque lontano dai centri geografici del potere. Ciò può facilitare una maggiore libertà di sguardo su se stessi e sulla realtà ecclesiale che si rappresenta e per così dire ‘incarna’ nella missione dove la povertà e talvolta la miseria sono il pane quotidiano della gente a cui si è inviati. Anche per questo si percepisce in modo ancora più stridente il ‘fossato’ che c’è tra voi e noi, come ben ricorda la parabola di Lazzaro e del ricco senza nome che il solo vangelo di Luca riporta. (Lc 16, 19-31).

In particolare desidero soffermarmi su alcuni aspetti, peraltro già evidenziati in un mio precedente articolo indirizzato al ’Vaticano’ e in seguito sugli sviluppi degli avvenimenti che hanno accompagnato la morte di papa Francesco e i primi passi di papa Leone XIV. Quanto accaduto mi ha lasciato perplesso e, in una certa misura, preoccupato per la piega presa dall’interpretazione dei fatti citati. Per quanto riguarda papa Francesco, ringraziando per suo servizio, per le ‘picconate’ date al sistema capitalista e all’interno della Chiesa, per l’eredità che ha lasciato alla Chiesa permangono, a mio giudizio, alcune perplessità. L’eccessivo protagonismo sui media, la presa di parola su tutto e tutti, la posizione perlomeno avventata al tempo del Covid, l’alleanza del vaticano per un capitalismo inclusivo e, non ultima la partecipazione al G7. Fa impressione veder seduto francesco coi finanziatori delle guerre contro le quali peraltro lui stesso è stato chiaro. Rimane infine la sua morte, o meglio la gestione mediatica della stessa. Evidenziare a dismisura la folla di persone per l’addio al corpo, il ‘computo’ compiaciuto delle delegazioni nazionali e non presenti alle esequie...Tutto ben calibrato e ‘ben venduto ‘ da parte dell’istituzione. Il funerale del papa è un’espressione evidente del tipo di potere che la Chiesa conserva, nell’attuale sfacelo delle istituzioni politiche. Quando muoiono i migranti, di cui Francesco ha preso le difese fin dall’inizio, nel deserto, nel mare o alle frontiere armate del Nord del mondo, non ci sono affatto delegazioni di Stati o folle in fila.

Organizzare lo spettacolo avendo i mezzi tecnici per farlo è una notevole espressione di potere. Morire soli è quanto di peggiore possa capitare a una persona, neppure una mano da stringere. Il potere dell’immaginario simbolico del media è senza comune misura. Accanto alla tomba di Cristo solo alcune donne fedeli e impaurite, arrivate di buonora la domenica mattina. Quanto accaduto dopo, il tempo di preparazione per i cardinali, le inevitabili speculazioni sull’identità del nuovo papa, i marchingegni per il camino e le ‘fumate’, il conclave. Il prezzo che si paga per la visibilità della Chiesa sembra eccessivo. L’elezione di un capo di stato appare, nel confronto, un gioco da ragazzi. La scelta di papa Leone, in parte una sorpresa e il compiacimento di tutti senza distinzioni di campo, non può non destare sospetti. Altro spettacolo mediatizzato dopo l’elezione è stata la prima celebrazione ufficiale di papa Leone a Roma con in allegato la lista dei partecipanti famosi e non. Nulla da ridire se non che si è trattato ancora di una manifestazione di potere globale da parte di colui che vuole imitare il Cristo, che inizia nel nascondimento il suo ministero. Tra le prime sue mosse si noterà l’adesione al profilo di Instagram, con l’adesione di circa 13 milioni di lettori...Anche questo è potere.

Potremmo e dovremme seguire e domandari su cosa si fonda il titolo di capo dello stato attribuito al papa. Re? Presidente? Quale titolo per colui che rappresenta il vaticano e come tale in grado di ricevere altri capi di stato. Uno stato che possiede lo statuto di osservatore nell’assemblea delle Nazioni Unite. Sappiamo inoltre che la diplomazia vaticana, vecchia di oltre due mila anni quanto ha saputo creare e tessere nelle geopolitiche del globo. Per non dimenticare i silenzi del magistero sul nazismo e gli orrori dello sterminio del popolo ebreo, la non posizione durante la dittatura militare in Argentina, il concordato col fascismo in Italia, i massacri nel Medio Oriente con timidi appelli a una pace senza contenuto. Come giustificare il tipo di regime monarchico assolutista del potere papale, inconcepibile per una persona umana fragile e fallibile nelle circostanze culturale e storiche del momento. Un peso insopportabile che di fatto rende poco credibile il compito della Chiesa e dei cristiani nel proporre la democrazia per gli altri ma non per sé. Di fatto lo stato vaticano, ad esempio, ha leggi sulle migrazioni da non invidiare nulla ai Paesi più rigidi in termini di rispetto e accoglienza. Non dovrebbe mancare un richiamo alla gestione delle finanze che, messe nel circuito dei flussi globali, entrano a pieno titolo nei criteri del capitalismo finanziaziario puro e duro.

Chi scrive non è uno ‘spiritualista’ che sogna un mondo irreale nel quale l’incarnazione iniziata dal Cristo sia poi vanificata in un un mondo interiore innoquo e pacificante. E’ consapevole delle contingenze storiche nelle quali si trova la Chiesa e tutt’altro che disposto a ridurla come spazio consolatorio per il futuro o garante dei sistemi politici che dicono di proteggere e difedere i principi che la animano. Chi scrive non ha soluzioni da offrire ma domande da proporre a sè e chi desidera immaginare un altro tipo di potere. Una Chiesa senza potere, così come il Signore al quale e dal quale trae l’identità, la missione e lo scopo stesso della sua esistenza.

Ecco perchè accanto agli ‘istituzionalisti’ che amano l’ordine e la perennità non sono mai mancati nella Chiesa e non mancheranno mai i ‘demolitori’ che, da buoni profeti, smascherano l’istituzione ogni qualvolta essa diventa fine a se stessa. Parliamo dei santi, dei ‘fondatori’ di (dis)ordini, dai gesuiti agli ordini mendicanti per arrivare a quelli contemplativi, di pastorale e missionari...Soprattutto parliamo dei martiri e cioè i testimoni privilegiati del ‘senza potere’, Cristo stesso. Ognuno, crediamo mosso dallo spirito, ha seminato ciò che papa Francesco chiamava una santa ‘pagaille’, confusione e destabilizzazione. Senza troppi calcoli, mezzi e programmi pastorali hanno innescato un modo diverso di intepretare la Chiesa, il potere e il suo cammino carismatico. Com’è noto, sono necessarie entrambe le dimensioni che permettono di durare nel tempo, carisma e istituzione dovrebbero ‘molestarsi’ e inquietarsi a vicenda.

Come Cristo ha compiuto la redenzione attraverso la povertà e le persecuzioni, così pure la Chiesa e chiamata a prendere la stessa via per comunicare agli uomini i frutti della salvezza. Gesù Cristo « che era di condizione divina... spogliò se stesso, prendendo la condizione di schiavo » (Fil 2,6-7) e per noi « da ricco che era si fece povero » (2 Cor 8,9): così anche la Chiesa, quantunque per compiere la sua missione abbia bisogno di mezzi umani, non è costituita per cercare la gloria terrena, bensì per diffondere, anche col suo esempio, l'umiltà e l'abnegazione. Come Cristo infatti è stato inviato dal Padre « ad annunciare la buona novella ai poveri, a guarire quei che hanno il cuore contrito » (Lc 4,18), « a cercare e salvare ciò che era perduto» (Lc 19,10), così pure la Chiesa circonda d'affettuosa cura quanti sono afflitti dalla umana debolezza, anzi riconosce nei poveri e nei sofferenti l'immagine del suo fondatore, povero e sofferente, si fa premura di sollevarne la indigenza e in loro cerca di servire il Cristo. (L.G. numero 8)


Note essenziali
https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2021-08/videomessaggio-sulle-vaccinazioni.html
https://valori.it/consiglio-capitalismo-inclusivo/
https://www.facebook.com/tg3rai/videos/g7-prima-volta-del-papa/476702764869770/
https://www.youtube.com/watch?v=WcJsXlk7lUE (intervista fazio, che tempo fa)
https://www.youtube.com/watch?v=JDunq7sMnTw (i grandi al funerale di papa Francesco)
https://www.reuters.com/article/world/vaticano-nega-silenzio-papa-francesco-durante-dittatura-argentina-idUSMIE92E01V/
Le Vatican a la politique migratoire la plus répressive d’Europe, Jean-Bapriste Noé, Conflits, 2025
https://stream24.ilsole24ore.com/video/mondo/papa-leone-xiv-leader-politici-mondo-san-pietro-la-messa-inizio-pontificato/AH71uXp?refresh_ce=1
https://www.fanpage.it/innovazione/tecnologia/papa-leone-xiv-apre-il-suo-profilo-instagram-come-trovarlo/

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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