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contropiano2

Tra guerra e pace, con poche scelte

di Francesco Piccioni

Cercare un ordine nel caos, di solito, è un’impresa per premi Nobel… E se dovessimo prendere per egualmente buone tutte le “voci” o le dichiarazioni in chiaro dei vari protagonisti, il secondo vertice “per la pace” – quello di oggi a Washington, dopo l’Alaska e prima di un eventuale “trilaterale” che comprenda gli ucraini – andrebbe descritto come “un racconto narrato da un idiota, pieno di rumore e furia, che non significa nulla”.

Partiamo dal poco che sembra sicuro. I vertici di oggi saranno almeno due: il primo sarà – salvo sorprese – quello tra Trump e Zelenskij. Subito dopo saranno ammessi al briefing anche i nanerottoli europei (i leader di Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia, più von der Leyen come presidente della Commissione, il finlandese Stubb come presidente di turno, il pupazzo Rutte come segretario della Nato).

Abbastanza chiara anche l’intenzione Usa di tener distinte le posizione di Kiev e degli europei, per il banale fatto che se l’Ucraina si dovesse mostrare disponibile a un certo tipo di compromesso allora le obiezioni UE conterebbero meno di zero.

Altrettanto chiara la speranza europea, opposta, di impedire che il già periclitante “percorso di pace” faccia passi avanti verso una soluzione diversa dal sogno di una “sconfitta russa”. Ci si interroga sullo stato di salute mentale di questa armata brancaleone che non riesce neanche a vedere la realtà sul campo, ma persiste nel vaniloquio del wishful thinking.

Del resto è dura – per chi aveva condiviso il “non possiamo permetterci che la Russia vinca” pronunciato quasi quattro anni fa da Mario Draghi – dover mettere da parte l’ambizione di disgregare la Federazione che va fino al Pacifico per appropriarsi delle sue favolose risorse minerarie e non.

Per costoro si tratta di dover chiudere in pesantissima perdita un “investimento” di centinaia di miliardi che non porterà alcun frutto ma, anzi, ulteriori spese per la “ricostruzione” e l’integrazione nella UE di un paese impoverito e distrutto.

Prima di rassegnarsi a un finale simile, le provano tutte. Aggravando la situazione…

E’ manifestamente con questo spirito che ieri si sono riuniti prima di volare verso la Casa Bianca, ribadendo le solite formule (“non si cambiano i confini con la forza” – l’hanno appena permesso all’Azerbajgian nei confronti dell’Armenia, per non dire di Israele che continua ad allargarsi di crisi in crisi) che significano in concreto “nessuna pace se non ci guadagniamo”.

L’oggetto del contendere – l’Ucraina, sciaguratamente rappresentata da Zelenskij e la sua junta infarcita di nazisti dichiarati – sembra però ora un po’ meno disponibile a farsi spennare in una guerra senza speranze. E ieri, per la prima volta, all’ex attore comico sono sfuggite parole che gli analisti più attenti hanno immediatamente registrato: Abbiamo bisogno di veri negoziati, il che significa che possono iniziare da dove si trova ora la linea del fronte“.

Tradotto in chiaro: “non accettiamo di concedere alla Russia quel che ci è rimasto degli oblast di Donetsk, Zaporizha e Kherson – meno di un quarto dell’insieme – ma ci mettiamo l’animo in pace per quel che è già stato perso” (ossia la Crimea, tutto il Lugansk e i tre quarti del resto).

Il che appare abbastanza simile – con tono diverso, ovviamente – a quel che Trump aveva appena sparato sul suo social Truth: “Il presidente Zelenskyy dell’Ucraina può porre fine alla guerra con la Russia quasi immediatamente, se lo vuole, o può continuare a combattere. Ricordate come è iniziata. Niente restituzione della Crimea regalata da Obama (12 anni fa, senza che venisse sparato un solo colpo!), e NIENTE INGRESSO DELL’UCRAINA NELLA NATO. Alcune cose non cambiano mai!!!

Messa così – perché le cose tra gli Stati interessati stanno così (per i popoli bisognerebbe fare tutt’altri discorsi) – è evidente che i protagonisti di terza fila come i nanerottoli europei sono arrivati a un passo dal dover decidere come e quanto perdere.

E questo a dispetto della ridicola postura ufficiale assunta al termine della riunione di ieri: “I partecipanti alla coalizione hanno ribadito la loro disponibilità a schierare forze di sicurezza dopo la cessazione delle ostilità, nonché a contribuire a garantire la sicurezza dello spazio aereo e marittimo dell’Ucraina e a ricostruire le Forze Armate Ucraine”, si legge nella dichiarazione finale dopo la riunione della “coalizione dei volenterosi”.

Non che sia questa una posizione “unitaria”, oltretutto. Pure la Meloni ha dovuto invitare i partner fare un mini-bagno di realismo, anche se parecchio strabico: “La Russia ha 1,3 milioni di soldati… Noi quanti dovremmo inviarne?”. Nel confronto con una superpotenza nucleare, infatti, non conta tanto il numero dei soldati ma quello delle testate nucleari (6.000 per Mosca, forse 200 tra Parigi e Londra).

Dunque, al di là delle chiacchiere bellicose, c’è ormai da scegliere quali siano i termini “meno peggio” nella sconfitta.

Un’alternativa che persino il Wall Street Journal, testata ufficiale del capitale finanziario Usa, da sempre schieratissimo con Biden e l’Ucraina, è arrivata a mettere nero su bianco (per Kiev, e di conseguenza per la UE):

1.“Partizione con Protezione”:

L’Ucraina perde territorio ma sopravvive come stato sovrano, anche se ridotto.

La Russia ottiene il controllo de facto sui territori già conquistati, mentre l’Ucraina riceve garanzie di sicurezza.

2.Partizione con Subordinazione:

L’Ucraina viene smembrata e persino lo “stato residuo” diventa un “protettorato” russo.

Presumibilmente, l’Ucraina verrebbe demilitarizzata e governata da un governo fantoccio filo-russo.

Dopo di che per l’Unione Europea suonerà comunque la campana a morto

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