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la citta futura

Il Venezuela fra fiction e realtà

di Ascanio Bernardeschi

Le radici dello scontro, non solo elettorale, fra il governo bolivariano di Maduro e le oligarchie locali sostenute dall’imperialismo americano. Di fronte a questo scontro dobbiamo stare dalla parte della rivoluzione

9492d34aeaff0c196b67b67d4c27f695 XLIl quadro Latinoamericano

Fin dalla scoperta del Nuovo Continente, l'America Latina è stata oggetto di predazione da parte delle maggiori potenze economiche. I nativi, in gran parte annientati, si videro prelevare decine di milioni di chilogrammi d'argento e centinaia di migliaia di chilogrammi d'oro nel secolo successivo alla scoperta. Ne seguì la colonizzazione da parte delle popolazioni europee, Spagna e Portogallo in particolare, con la collaborazione della Chiesa cattolica, intenzionata ad evangelizzare i popoli nativi. Le terre, che spesso erano in regime di proprietà comune, vennero recintate. Furono deportati schiavi dall’Africa.

Verso la fine del '700, grazie anche alla diffusione dell'illuminismo, iniziarono a formarsi movimenti antischiavistici e per l'indipendenza di tutta l'America del Sud. Agli inizi del secolo successivo, Simon Bolivar si pose l'obiettivo di riunificare e liberare tutta l'America Latina. La Grande Colombia, da lui fondata e successivamente disgregata, comprendeva anche l’attuale Venezuela. Successivamente alcune nazioni, a partire dal Brasile, ottennero l'indipendenza, senza però modificare il modello economico dei colonizzatori.

Intanto gli Stati Uniti cominciarono a proporsi di estendere la loro egemonia al Subcontinente e nel 1823 introdussero la “dottrina Monroe” - “l'America agli americani” - per sostituirsi alle potenze europee. ll caso più emblematico della trasformazione dell'America meridionale nel “cortile di casa” degli Usa fu, verso la fine dell’‘800, la loro ingerenza nella guerra di indipendenza di Cuba contro la Spagna che permise agli Stati Uniti di estendere il loro dominio economico, militare e politico.

A cominciare da Haiti (1791), per finire col Brasile (1888) fu formalmente abolita la schiavitù sul continente sudamericano. Però le oligarchie dei bianchi e i regimi razzisti continuarono a dominare. In Venezuela, prima dell'avvento di Chavez, la maggior parte della popolazione povera, di colore o indigena non era neppure censita a fini elettorali. Gli unici Presidenti degli stati sudamericani non bianchi sono stati Ugo Chavez ed Evo Morasles in Venezuela.

Tre secoli di saccheggi coloniali, interrotti solo dalla rivoluzione cubana, hanno impedito uno sviluppo economico e sociale e favorito le più feroci dittature.

Sotto la presidenza di Nixon fu varata l'Operazione Condor, per tutelare l'establishment del Sudamerica, impedire l'influenza comunista e reprimere le varie opposizioni ai governi amici, con il ricorso sistematico alla tortura e all'omicidio. Ecco un elenco incompleto degli interventi precedenti e successivi a questo piano: 1954 in Guatemala; 1959 ad Haiti; 1961, fallito sbarco della Baia dei porci e boicottaggio tuttora in atto a Cuba; 1964 in Brasile; 1965, intervento dei Marines a Santo Domingo; 1967, organizzazione della cattura e dell'uccisione di Che Guevara in Bolivia; 1971, cospirazione in Bolivia; 1969, si addestrano in Uruguay militari e polizia per estorcere confessioni ai Tupamaros; 1970, il presidente americano Nixon ordina alla CIA di impedire con ogni mezzo l’insediamento del presidente Cileno Allende, appena eletto, o di rovesciarlo, cosa che avverrà poco dopo con il golpe di Pinochet; 1976, collaborazione con la dittatura sanguinaria del generale Videla in Argentina; 1980, contenimento dell'avanzata del Fronte Farabundo Martì nel Salvador; 1983, invasione di Grenada governata dal marxista di Maurice Bishop; 1989, invasione per rovesciare Manuel Noriega a Panama; a partire dal 1990, organizzazione di forze paramilitari per combattere Sendero Luminoso.

Da parte sua, il Fondo Monetario Internazionale ha condizionato i propri prestiti all'adozione di politiche neoliberiste e gli stati si son trovati privati delle aziende nei settori strategicamente più rilevanti.

Nel nuovo millennio si è tuttavia aperta una nuova stagione di lotte e azioni politiche, iniziate con l'affermazione di Chavez alle elezioni presidenziali venezuelane del 1998, a cui si sono via via affiancati altri governi che, pur con diverse sfumature e fra alterne vicende, hanno rappresentato un'alternativa al dominio statunitense (Argentina, Cile, Bolivia, Uruguay, Ecuador, Paraguay, Nicaragua, Panama, Guatemala, Honduras, Salvador).

Recentemente però questo fronte si è incrinato a seguito dell'avvento della destra in Argentina, dell'estromissione del colpo di mano giudiziario in Brasile, della vittoria di Cartes in Paraguay del 2013. Gli effetti maggiori li ha subiti il Mercosur, al cui interno il blocco dei paesi di destra è maggioritario e ha chiesto l'espulsione, ottenendo solo la sospensione, del Venezuela da quel consesso. Il prestigioso esponente della teologia della liberazione, Frei Betto, ha commentato la situazione latinoamericana con le seguenti parole: «Prima hanno deposto Zelaya in Honduras, poi Lugo in Paraguay. E adesso Dilma in Brasile, dopo aver fatto eleggere Macrì in Argentina e fatta pressione contro Maduro in Venezuela. Il processo golpista mira a disarticolare il Mercosur, l'Alleanza bolivariana, la Celac e l'Unasur».

 

Il Venezuela

Il Venezuela possiede la più grande riserva petrolifera del mondo. Oltre il 95% delle sue esportazioni consistono nel greggio e servono a finanziare le importazioni di manufatti, alimentari, tecnologie ecc. Gli Stati Uniti sono fra i principali consumatori di derivati del petrolio, che devono importare per il 60 per cento. Una buona parte proviene dagli alleati dell'Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti, con i quali mirano ad egemonizzare il mercato. Questi interessi – insieme alla strategia volta all'isolamento degli antagonisti Russia, Cina e loro alleati – sono la base materiale di molti dei conflitti in Medio Oriente. Ma questa politica tende anche all'isolamento dei paesi antagonisti produttori di petrolio in America Latina, come il Brasile e, soprattutto, il Venezuela.

La storia Venezuelana è fortemente influenzata da questo interesse. Nel 1958 il “Pacto de Punto Fijo” fra i due maggiori partiti politici dell'epoca, se prevedeva la possibilità della loro alternanza al potere, tendeva a stabilizzare gli interessi dell'oligarchia, l’esclusione delle classi sfruttate e l’offerta di petrolio a basso costo agli Stati Uniti.

Nel 1989 il governo, nel tentativo di reprimere le crescenti proteste, ordinò di sparare contro i dimostranti, uccidendone alcune migliaia. Fra i militari che si rifiutarono di eseguire l'ordine vi fu Chavez, il quale cercò, senza riuscirci, di rovesciare il governo attraverso una ribellione militare. Chavez tuttavia si candidò e vinse le elezioni del '98 divenendo Presidente della Repubblica.

Di origini umili e di ascendenza india, dette rappresentanza agli “invisibili” e li condusse a partecipare da protagonisti alla vita pubblica attraverso organi di autogoverno politico e produttivo come le comunas, le cooperative e i consigli di fabbrica.

Nei 15 anni di rivoluzione bolivariana il popolo ha votato ben 21 volte e 19 volte ha visto Chavez o il suo successore prevalere. La democrazia rappresentativa è stata integrata da quella partecipativa.

Sul piano sociale vi sono stati importanti progressi. La povertà è più che dimezzata (dal 54 per cento del '95 al 24 del 2012), così pure la mortalità infantile. Più di un quinto del bilancio dello stato è devoluto al sistema sanitario pubblico che dispone di professionalità e tecnologie avanzate grazie ai fecondi rapporti con Cuba. L'accesso all'istruzione universitaria è più che triplicato e l'analfabetismo è stato sradicato. Sono state distribuite ai contadini le terre incolte o mal coltivate che già stavano occupando, sono state costruite 700 mila case popolari e più che quadruplicato il numero dei pensionati.

Certamente non siamo a Cuba: non si tratta ancora di socialismo. Tuttavia si aboliscono le politiche liberiste, si nazionalizzano le industrie strategiche, si rifiutano i condizionamenti politici da parte dei creditori. Le popolazioni andine e i lavoratori, in Venezuela, contano politicamente e pretendono determinate garanzie perfino nelle “zone economiche speciali”, istituite sul modello cinese, per attrarre gli investimenti esteri.

Anche la difesa dell'ambiente, nel quadro dell'impegno per superare le contraddizioni del capitalismo, fa parte del “programma strategico” del governo bolivariano e le proposte in merito dei popoli indigeni vengono portate ai vertici mondiali.

Chavez non solo rappresentava un punto di riferimento e una speranza per tutti i popoli sfruttati dell'America Latina, ma attivamente si adoperò, con successo, per costruire alleanze sul piano economico e politico con le altre nazioni protagoniste dei successivi cambiamenti. Nascono in quegli anni l'Alba, l'Unasur, Petrocaribe. Quest’ultimo organismo economico ha consentito di fornire ai paesi aderenti il petrolio venezuelano a prezzi agevolati e di farli uscire dalla crisi del 2008. Tutto ciò mentre l’accordo di libero scambio fra le Americhe (Alca), che avrebbe favorito nettamente gli Usa per il suo carattere asimmetrico), è fallito costringendo Bush junior e Obama a intessere rapporti bilaterali con i singoli paesi, nel tentativo di dividere il fronte indipendentista.

Gli Stati Uniti non potevano accettare la minaccia alla loro egemonia costituita dal progetto di Chavez di liberare l'America Latina dal giogo imperialista. Né il tentativo di soppiantare il dollaro nella vendita del petrolio venezuelano. Nel 2002 sostennero palesemente un colpo di stato militare, che per due giorni issò al potere l’affarista Pedro Carmona, prima che venisse sventato grazie alla mobilitazione popolare e alla presa che il Chavez aveva sull'esercito, profondamente trasformato. Gli Usa furono allora costretti a cambiare tattica, ma non strategia e iniziarono la guerra economica contro il Venezuela. Promossero uno sciopero del settore petrolifero con il sostegno dell'oligarchia, dotata dei principali mezzi di comunicazione di massa. Anche questo tentativo di destabilizzazione fallì.

 

Lo scontro odierno

Quello che è avvenuto negli ultimissimi anni è in continuità con questo tentativo di “golpe morbido”, che si è avvalso della notevole dipendenza dell'economia venezuelana dall'esportazione di petrolio, anche perché il prezzo del petrolio, più che dimezzato per una precisa scelta politica di Usa e paesi arabi subalterni, ha ridotto i margini per il finanziamento delle tutele sociali introdotte e ha quasi azzerato quelli per gli investimenti necessari alla riconversione economica.

Ne sono derivati ingenti problemi valutari. L'impossibilità di pagare tutte le importazioni di cui ha bisogno il Venezuela ha prodotto gravi contraccolpi e una crisi economica devastante, di cui ha cercato di approfittare l'oligarchia fomentata dagli Usa. Alcune industrie asservite agli interessi statunitensi hanno ridotto la reperibilità di generi di prima necessità, mentre altri settori legati alle importazioni hanno speculato in valuta nordamericana per accentuare le difficoltà finanziarie e per alimentare un gigantesco processo inflazionistico. La penuria, provocata ad arte, ha favorito l’organizzazione di tumulti da parte della destra che preme per privatizzare i settori nazionalizzati, limitare il diritto di sciopero e cancellare molti diritti e tutele dei ceti svantaggiati. La mobilitazione violenta delle oligarchie è andata a vantaggio della coalizione dei partiti legati agli Usa, la Mesa de Unidad Democratica (MUD).

L'altro pilastro del golpe morbido è stato la manipolazione mediatica che mira a dipingere il governo di Maduro come repressivo e irrispettoso delle garanzie democratiche. Non siamo di fronte a una novità: i media asserviti agli USA hanno sempre demonizzato l'avversario di turno, sia stato esso Saddam, Gheddafi, Milosevic, preparando l'opinione pubblica alle successive guerre o ingerenze. E pazienza se le armi di distruzione di massa in mano a Saddam si sono poi rivelate una colossale bufala o se Milosevic è stato assolto post mortem per i crimini di guerra in Bosnia dal tribunale internazionale o, infine, se gli interventi in Medio Oriente hanno devastato le società e gli stati, aprendo spazi al terrorismo, non sappiamo in che misura fomentato dalle stesse potenze occidentali.

Non a caso alcuni analisti hanno battezzato come ‘Plan Condor 2.0’ lo stesso tipo di strategia golpista e interventista in America Latina.

La sconfitta di Maduro alle elezioni legislative del 2015 è dovuta, oltre che all’ingerenza Usa a sostegno delle oligarchie, alla difficoltà di portare avanti il programma di costruzione del socialismo, anche a causa dei rapporti di classe che vedono ancora importanti settori della borghesia svolgere un ruolo non secondario nella vita economica del paese. Il blocco della transizione al socialismo ha portato all'astensione di molti chavisti. Alle già richiamate difficoltà, si è aggiunta la generale contrazione della domanda mondiale. Inoltre, come già richiamato più sopra, sono venuti meno i margini per attuare riforme strutturali in campo economico e sociale. In campo economico è stato mantenuto un modello di tipo ‘estrattivo’, pesantemente esposto ai capricci della politica estera Usa. In quello sociale hanno prevalso le politiche redistributive, senza intaccare sufficientemente il potere delle classi privilegiate.

Permangono i forti squilibri sociali ed economici ereditati dal neocolonialismo. Il 5% della popolazione possiede gran parte delle attività produttive e commerciali del paese, fatta eccezione per l’estrazione di petrolio, di cui i capitalisti cercano costantemente di rimpossessarsi. La costituzione venezuelana del 1999 tutela la proprietà privata, favorendo la classe sociale privilegiata, di fronte alla povertà dell’enorme maggioranza della popolazione. Nonostante i miglioramenti degli anni passati il 42% della popolazione vive in baracche e rischia di vedere peggiorata la propria situazione. È evidente che deve essere fatto un balzo in avanti in direzione del socialismo.

L'impasse riguarda anche gli aspetti istituzionali. Il sistema venezuelano del ‘99 è basato su una pluralità di poteri: potere esecutivo, esercitato dal governo presieduto dal Presidente della Repubblica, eletto a suffragio universale; potere legislativo, esercitato dall'Assemblea nazionale del Venezuela, eletta a suffragio universale garantendo la rappresentanza di ogni unità federale e delle popolazioni indigene; potere giudiziario, esercitato dal Tribunal Supremo de Justicia de Venezuela; potere pubblico, esercitato sotto il controllo di un organismo difensore del popolo, il Consejo Moral Republicano; il Potere Elettorale, esercitato dal Consejo Nacional Electoral.

Dopo le elezioni del 2015, il potere legislativo è passato in mano all'opposizione ma l'esecutivo aveva il diritto di governare, sia pure con difficoltà, come avviene in genere nelle democrazie presidenziali (si veda il caso Usa che non raramente vede il Presidente essere “anatra zoppa”, avendo almeno un ramo del parlamento contro). Ma qui la maggioranza parlamentare non ha usato la dialettica tipica delle repubbliche presidenziali per condizionare l'esecutivo. Ha rifiutato l’invalidazione da parte della magistratura di tre eletti, che non le avrebbe comunque tolto la maggioranza semplice ma solo quella qualificata, e si è ribellata a tutti gli altri poteri, paralizzando ogni decisione, usando potere legislativo come leva per tornare al regime precedente la rivoluzione e alle ricette neoliberiste.

L'oggettiva difficoltà e lo scatenamento contro il nuovo corso venezuelano di tutte le armi a disposizione, quelle vere e proprie usate dalle violente bande anti-chaviste, quelle del sabotaggio economico e quelle non meno letali dell'informazione ormai controllata al 90 per cento e più a livello planetario da un unico centro, hanno reso arduo il compito di salvaguardare la rivoluzione “bolivariana”. Mentre nei quartieri privilegiati di Caracas e provincia esplodeva la ribellione, gli episodi di violenza venivano raccontati a senso unico, tralasciando l'uccisione di militanti del partito di Maduro ed enfatizzando o stravolgendo episodi che purtroppo possono verificarsi su entrambi i fronti quando lo scontro politico è così acuto.

Le bande dell’opposizione hanno preso d'assalto i centri di assistenza sociale, i ministeri chiave, gli organi giudiziari, gli ambulatori gratuiti, gli spacci statali a basso prezzo, le scuole e gli asili, i piccoli esercizi, le caserme. I “dimostranti”, che portano sinistri simboli richiamanti al nazismo, hanno maschere antigas e armi da fuoco, cospargono di benzina e danno alle fiamme decine di chavisti, picchiano, denudano, torturano. I nostri organi di informazione intanto accusano di tutto ciò la repressione governativa. Un profondo conoscitore delle dinamiche in quello scacchiere, Gianni Minà, ha dichiarato: “Bisogna avere in mano i dati dei morti, prima di parlare. Io ce li ho questi dati e dicono che di morti ammazzati l’opposizione ne ha fatti molti più del governo. Intellettuali e combattenti come l’argentino Adolfo Pérez Esquivel (premio Nobel per la Pace nel 1980) o il brasiliano Frei Betto hanno espresso solidarietà a Maduro: sono forse amici dei criminali?”.

Forse alcuni episodi di violenza, talvolta evitabili, avvenuti in Italia durante la Resistenza, per mano dei nostri partigiani – che oggi si tende a strumentalizzare per supportare un'operazione di revisionismo storico – possono oscurare le ragioni della guerra di liberazione e le responsabilità del nazifascismo?

La rivoluzione, ebbe ad affermare Mao, non è un pranzo di gala. Quando un percorso rivoluzionario avviato entra in crisi, il rischio che venga risucchiato da una controrivoluzione è immenso e l'immobilismo non aiuta certo ad evitarlo. Occorrono coraggio, determinazione, idee e iniziativa per rafforzarlo e sconfiggere i controrivoluzionari, contrattaccando se è necessario. Come ha affermato il comunista portoghese Albano Nunes, “Una rivoluzione che non si difenda con tutte le armi a sua disposizione è una rivoluzione perduta”. E per difendersi la rivoluzione dovrà operare ancora altre rotture rispetto allo status quo e a un sistema economico ancora ampiamente garante dei “diritti” della proprietà. Per dirla con leparole di Rosa Luxemburg citate a proposito dalla compagna Geraldina Colotti, “o avanzare con molta celerità e decisione, abbattendo con mano ferrea tutti gli ostacoli e ponendosi sempre ulteriori mete, o essere ributtati assai presto dietro le alquanto indebolite posizioni di partenza, ed essere schiacciati dalla controrivoluzione. Fermarsi, segnare il passo, rassegnarsi con la prima meta raggiunta, sono fenomeni sconosciuti nelle rivoluzioni”.

Nell'impossibilità di governare, Maduro ha usato alcuni articoli della costituzione per convocare un’Assemblea costituente, che desse un nuovo ordine al Venezuela e rilanciasse gli scopi sociali della rivoluzione, istituzionalizzasse le forme di democrazia sorte spontaneamente dal basso e adottasse strumenti giuridici per procedere a una riorganizzazione economica. Il coro dei media non dice che la Costituzione del 1999 prevede il suo perfezionamento per approfondire il carattere popolare del processo bolivariano. In questo quadro costituente, l'elezione dell'Assemblea costituente è pienamente legittima ed è espressione del “potere originario” del popolo.

L'Assemblea costituente è stata eletta con metodi la cui democraticità nessun osservatore e nessuna agenzia imparziale ha potuto mettere in discussione. Nonostante il boicottaggio, otto milioni di venezuelani sono andati alle urne e hanno nominato 545 membri della Costituente. USA e UE hanno denunciato questi avvenimento come la premessa di una dittatura, ma già diciotto anni prima chiamavano “dittatoriale” la costituzione chavista che ora il popolo venezuelano vuole modificare.

La pericolosità della situazione è testimoniata dalle minacce di Trump di un intervento militare, annunciato dal segretario di stato Usa e dal capo della Cia, e dall'inasprimento delle sanzioni economiche. Entrambe le misure sono illegittime rispetto sia al diritto internazionale che a quello degli Stati Uniti, ma sappiamo come la legge possa essere piegata agli interessi imperialistici. L'imperialismo vuole rimpossessarsi del petrolio venezuelano, e per questo vogliono abbattere Maduro, a costo di bruciare vive le persone o incendiare ospedali e asili.

Dopo il successo elettorale di Maduro alle elezioni regionali, le elezioni presidenziali del 20 maggio saranno un importante banco di prova che potrà o rafforzare il percorso rivoluzionario o accrescerne le difficoltà. Le destre hanno manifestato segnali di divisione e il Mud ha deciso di non presentarsi e di boicottare le elezioni. L’avversario più temibile di Maduro è Henri Falcon, ex chavista e ora duro oppositore del successore di Chavez e che intende riportare il Venezuela a prima della rivoluzione. Anche nel caso di una vittoria di Maduro, il pericolo costituito dalla destra eversiva sostenuta dagli Usa rimane grave. Una sconfitta sarebbe invece letale.

Di fronte all'alternativa fra la normalizzazione del Venezuela e il chavismo bisogna pronunciarsi. Al di là delle contraddizioni, degli errori e dei limiti che hanno caratterizzato la rivoluzione in corso, i traguardi da essa raggiunti fanno pendere nettamente verso il positivo il suo bilancio ed è auspicabile che venga messa in salvo, sconfiggendo l'aggressore nordamericano e i suoi lacchè. Non dobbiamo stare in disparte e tanto meno allinearci ai pianti dell'informazione mainstream. Ci spetta manifestare il nostro appoggio alla rivoluzione bolivariana e ai comunisti venezuelani che sono alleati di Maduro e premere perché i nostri governi rimuovano le sanzioni economiche. La strategia Usa di riconquista di quello che considerano il proprio giardino di casa deve fallire. Non si tratta solo della doverosa solidarietà internazionale ma di un preciso interesse di chi si pone l'obiettivo di cambiare il mondo in senso socialista, perché intorno a queste vicende si giocano le prospettive del fronte antimperialista e antiliberista mondiale che ha molto da sperare e da apprendere dal laboratorio latinoamericano. “Se il Venezuela crolla, crolla l'umanità”, hanno sentenziato Noam Chomsky e John Pilger su Telesur.

E noi, stiamo a guardare?

Comments

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Aldo Zanchetta
Friday, 25 May 2018 22:23
Ascanio Bernardeschi in questo testo afferma: “dobbiamo stare dalla parte della rivoluzione”. Giusto, ma quale rivoluzione? Quella chavista o quella dei suoi successori? E senza esercitare uno spirito critico che la aiuti ad evitare errori e deviazioni? L’articolo contiene varie informazioni che condivido ma che trovo in molti punti troppo sommarie e in altri scorrette, aderenti a una narrazione ufficiale e prive di una ricerca seria di riscontri. Procedo molto sinteticamente correggendone alcune e introducendo qualche dato “dimenticato”.
Da un punto di vista geografico, Cuba e Haiti non sono nell’America meridionale ma nei Caraibi, area molto peculiare da molti punti di vista, e rigorosamente parlando il “cortile di casa” statunitense storicamente è imperniato soprattutto sull’America Centrale, anche se in senso lato comprende tutta l’America latina. Dettagli forse, su cui non insisto, ma che dimostrano una narrazione affrettata. Proseguo. In questo semicontinente vi sono stati altri presidenti non bianchi, anzi addirittura indigeni, quale Benito Juarez (benemerito), presidente in due tornate non consecutive (1861/63 e 1867/72) che liberò il Messico dal tentativo egemonico di Napoleone III, e più recentemente Alejandro Toledo (non altrettanto benemerito) in Perù (2001/06). Ancora dettagli, certo, ma che ripetuti rischiano di invalidare la credibilità dell’intero testo.
Veniamo al Venezuela. Leggo:. Un po’ datato. Oggi grazie all’ambientalmente disastroso fracking gli Stati Uniti sono autosufficienti ed anzi si profilano come esportatori di petrolio e gas naturale. Il che invita a rivedere le motivazioni attribuite al perché dell’ostilità attuale col Venezuela. La crescente presenza cinese e russa neppure sono ricordate. Sulle “zone economiche speciali” e sul preteso ambientalismo delle politiche governative meglio tacere, caro Bernardeschi, e documentarsi un po’. Come pure sulle politiche “indigeniste”, perfette nei principi espressi dalla nuova Costituzione chavista ma ben diverse nella pratica. Il sottoscritto animò una campagna internazionale a difesa del leader yupka Sabino Romero che incontrò la freddezza dell’allora ambasciatore venezuelano in Italia e che non salvò il leader di non lo salvò, privo di protezioni ufficiali, dal venire assassinato da sicari delle multinazionali del carbone nel 2013.
Infine la perla:
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