Print Friendly, PDF & Email
Print Friendly, PDF & Email

Le mille bolle del mercato finanziario

Emiliano Brancaccio e Marco Veronese Passarella

Il Nobel per l’Economia 2013 a Fama, Hansen e Shiller per le loro analisi sulla previsione degli andamenti dei mercati finanziari. Sebbene confutata sul piano scientifico, la tesi dei mercati finanziari efficienti continua a dominare la scena politica 

Gli americani Eugene Fama (Università di Chicago), Lars Peter Hansen (Università di Chicago) e Robert Shiller (Università di Yale) sono i vincitori del premio Nobel 2013 per l’Economia, in virtù delle loro analisi sulla previsione degli andamenti dei mercati delle attività finanziarie e immobiliari. Nel motivare la scelta di quest’anno, l’Accademia svedese delle scienze ha molto insistito sugli elementi di continuità tra le ricerche degli studiosi premiati. In realtà, come vedremo, il loro successo è derivato soprattutto dagli elementi di rottura tra le loro analisi e dall’ampia letteratura che si è sviluppata in questi anni intorno ad essi.

Appartenente a una famiglia di origine siciliana emigrata a Boston ai primi del secolo scorso, Eugene Fama è annoverato tra i più intransigenti difensori della libertà dei mercati finanziari e della loro completa deregolamentazione. Questa posizione politica viene solitamente giustificata dai suoi epigoni in base alla tesi secondo cui il mercato utilizza al meglio tutte le informazioni disponibili utili alla determinazione del prezzo delle attività, e ogni eventuale nuova informazione viene istantaneamente incorporata nei prezzi delle attività. Nel caso della borsa valori, per esempio, il prezzo corrente delle azioni riflette le informazioni disponibili circa il valore attuale dei dividendi futuri attesi. Se dunque i prezzi che scaturiscono dalle contrattazioni sono determinati in base a un impiego ottimale di tutte le informazioni disponibili, nessuno potrà sperare di utilizzare quelle stesse informazioni per speculare, cioè per “battere il mercato”.

Print Friendly, PDF & Email
quaderni s precario

Appunti sulla guerra valutaria

di Stefano Lucarelli

1. All’inizio del 2013, durante il vertice di Davos, la presa d’atto della nuova politica monetaria giapponese, impegnata a svalutare significativamente lo yen, aveva suscitato uno stato di agitazione che aveva condotto gli osservatori a dare per scontato che l’amministrazione Obama avesse tra i suoi obiettivi la perdita di valore relativo del dollaro.

Tanto il Giappone, quanto gli Stati Uniti – si diceva – vogliono da un lato recuperare quote nel commercio internazionale, e dall’altro ridurre il valore dei debiti che essi devono ai loro creditori (a seguito del probabile incremento dell’inflazione legata alla svalutazione delle proprie monete).

Dal momento che l’unica area economica priva di una vera politica valutaria è l’Eurozona, sembrava probabile che il dollaro si svalutasse proprio nei confronti dell’euro, aggravando i precari equilibri che caratterizzano i rapporti fra il modello di crescita tedesco – orientato alle esportazioni dei beni prodotti nei settori a più alto valore aggiunto – e i paesi mediterranei caratterizzati da deficit crescenti nella propria bilancia commerciale.

Se questa prospettiva si dovesse verificare, ciò accelererebbe la pericolosa tendenza che è comunque già presente tra i Paesi dell’Unione Monetaria Europea: ai Paesi periferici si continuerà a chiedere di ripagare i debiti a mezzo di deflazione salariale o attraverso la presenza rilevante dei capitali privati dei Paesi del Nord negli assetti proprietari dei settori potenzialmente redditizi:

Print Friendly, PDF & Email

Un fallimento ben meritato?

di Claus Peter Ortlieb

josef koudelka ireland 1976 pissing 1345142250 b25255b725255dAi primi di Novembre del 2012, Der Spiegel ha rivelato l'esistenza di un rapporto "segreto" della BND, secondo il quale il piano di salvataggio previsto per le banche cipriote avrebbe giovato, in primo luogo, ai detentori di conti correnti sui quali era depositato denaro sporco russo. Oligarchi, imprenditori e mafiosi russi, avrebbero depositato circa ventisei miliardi di euro sui loro conti bancari a Cipro. Dopo aver accuratamente taciuto la questione, i media on-line si sono improvvisamente scatenati a parlare solo di questi ventisei miliardi di euro. Quanto, esattamente, di questi depositi bancari era stato acquisito attraverso mezzi criminali? Chiaramente, proprio a partire dalla natura di questo genere di denaro, non si può sapere. Per cui, tutto il contenuto informativo del rapporto della BND si può dunque riassumere in questa sola cifra: ventisei miliardi di euro sui dei conti russi, di origine indeterminata. Il resto non aveva alcuna importanza, il fine della manovra era stato raggiunto e si poteva scatenare un "dibattito sull'equità".

Lo stesso giorno della pubblicazione della notizia, il gruppo dell'SPD al Bundenstag dichiarava, per bocca del suo portavoce per la politica interna: "Prima che l'SPD dia il via libera al finanziamento degli aiuti per Cipro, bisogna parlare del modello economico di questo paese.

Print Friendly, PDF & Email

Il costo proibitivo del capitale

di Laurent Cordonnier

Può essere interessante ripercorrere il cammino barcollante, tortuoso e vacillante che ha attraversato l'Europa e che alla fine ha ridotto la causa di tutti i nostri mali a questioni di competitività e, poco a poco, a problemi di costo del lavoro. La crisi dei subprime, la crisi di liquidità bancaria, le colossali svalutazioni degli attivi, il crollo del credito, l'immobilismo della domanda, la trasformazione dei debiti privati in debiti pubblici, le politiche di austerità sono state tutte dimenticate.

 Come aveva ben spiegato già nel 2012 Ulrich Wilhem, all'epoca portavoce del governo tedesco, «la soluzione per correggere gli squilibri [commerciali] nella zona euro e stabilizzare le finanze pubbliche consiste nell'aumento della competitività dell'Europa nel suo insieme (1)».

Quando si fornisce una spiegazione, bisogna essere pronti a difenderla contro qualsiasi nemico, compreso il rigore aritmetico. Avendo ormai capito che i nostri squilibri interni non possono risolversi in una gara infinita e fratricida tra i ventisette paesi europei per guadagnare competitività gli uni contro gli altri - quel che si chiama, a rigore, un gioco a somma zero ... - il progetto che ci viene proposto ora mira ad aumentare la nostra competitività nei confronti del resto del mondo.

Print Friendly, PDF & Email

Cristina, la Francia e i tango-bond argentini

di Oscar Piovesan

"Corsi e ricorsi della storia", teorizzava nel XVII secolo il filosofo e giurista napoletano Gianbattista Vico. "Uno spettro s'aggira per l'Europa", assicurava il filosofo tedesco Carlo Marx cent'anni dopo, parlando del comunismo. Ora, in vari Paesi europei, tra cui l'Italia, ne aleggia un altro, anche se del tutto diverso: il default. In Argentina 'sto spettro l'abbiamo visto all'opera dalla surreale fine dicembre del 2001.

Quando l'appena designato presidente, il peronista Adolfo Rodriguez Saa - al posto del radicale Fernando de la Rua, involatosi in elicottero dalla Rosada dopo una repressione da una trentina di morti, ed il primo di 4 presidenti 4 succedutisi in pochi giorni - ha annunciato in Parlamento che l'Argentina, "per uscire dalla crisi economica, sociale e politica", sospendeva il pagamento del debito estero. I compañeros gli hanno fatto eco cantando il ''combatiendo el capital" della Marcia peronista! 'Sta telenovela dei tangobond - che ha visto in scena una grande marea di italioti, con occhietti alla Paperon de' Paperoni per i succulenti interessi che pagavano, ma bidonati dalle banche che si son guardate bene dall'avvertirli che l'Argentina da un paio d'anni correva verso il fallimento, non è ancora finita.

Vediamo. Il 93% del totale dei loro possessori ha aderito alle ristrutturazioni, con taglio del capitale attorno all'80%, escogitate, nel 2005 e 2010, dagli 'ingegneri' finanziari dell'estinto capo di Stato peronista Nestor Kirchner, Tra il restante 7% ci sono circa 400.000 tapini italiani.

Print Friendly, PDF & Email
marx xxi

Haussmanizzazione monetaria e lotte di barricate

di Pasquale Cicalese

“Il 6 febbraio lasciai Monaco, mi trattenni dieci giorni negli archivi dell’Italia settentrionale e arrivai a Roma sotto una pioggia torrenziale. L’haussmanizzazione della città aveva fatto grossi passi avanti”. H. von Petersdoff, citato da W. Benjamin in Passages de Paris.

La pratica imperiale dell’haussmanizzazione nella Parigi post Comune del 1871 consisteva nello sventramento dei quartieri proletari finalizzato ad impedire un qualsiasi ritorno di lotte di barricate. Partendo dal concetto urbanistico e storico-sociale si può trovare un’analogia dal lato monetario. Le due date sono il 1971 e il 1972. Con la prima Nixon suggella lo sganciamento del dollaro dall’oro e l’inaugurazione della “fiat money”, la moneta fiduciaria, con la Federal Reserve impegnata nella dollarizzazione del mondo e nella ultraquarantennale pratica di asset inflation, vale a dire gonfiamento del valori dei titoli di carta, che siano azioni, bond o bolle edilizie. Nessuno ferma questa pratica, né la crisi borsistica del 1987, né il crollo della new economy del 2000, né il grande crack del 2007. Imperterrita, la Riserva Federale continua a dollarizzare il pianeta e a gonfiare corsi azionari, posticipando il momento del redde rationem ma provocando una forte inflazione degli asset, temperata dalla deflazione salariale a cui segue la pratica del ricorso a debito.

Nel 1972, invece, interviene in Europa un’altra haussmanizzazione: la deflazione reale. Ufficialmente per contrastare l’asset inflation statunitense, in realtà avendo una logica di dominio, nonché una logica di sterminio, dell’apparato finanziario tedesco. Tale logica si espleta solo nel 1986 con l’Atto Unico Europeo, timidamente, e con sfacciata durezza nel 1991, all’indomani del crollo dell’Urss, con il Trattato di Maastricht, seguito dai trattati di Amsterdam del 1997 e di Lisbona del 2000. La deflazione reale implica un abbassamento generalizzato dei salari reali ed un impoverimento della classe lavoratrice europea, resa feroce nelle zone periferiche dell’Est prima e del Sud poi. La tesi che il Piano Werner, appunto del 1972, fosse la logica conseguenza della dollarizzazione del mondo del Nixon del 1971 cozza con la realtà dei fatti, tant’è che anche in Europa si assiste all’asset inflation e al gonfiamento dei titoli di carta con eguale immane distruzione di ricchezza al pari di quella statunitense.

Print Friendly, PDF & Email
fatto quotidiano

Finanza: masters of Universe

Ovvero una banda di ladri

di Giulietto Chiesa

Il crollo della Borsa di Tokyo (-7,32%) è stato il più alto e drammatico dopo Fukushima di 2 anni fa. Conferma che i due trilioni di yen, creati dalla Banca Centrale del Giappone con la cura Abe,  non sono serviti a nulla, se non a procurare un primo disastro. Visto che il nuovo premier giapponese annuncia il raddoppio della propria massa monetaria da qui alla fine del 2014, che Dio gliela mandi buona, a lui e a tutti noi.

Anche perché sta continuando la danza assurda della Federal Reserve, che continua a “stampare” (cioè a creare al computer) 85 miliardi di dollari al mese. Quosque tandem,  Ben Bernanke, abutere patientia nostra?

Non lo sa neanche lui. Affermano, Bernanke e Abe, di voler stimolare l’economia (leggi la finanza) stampando banconote, in attesa di Godot, che però non arriverà più. Per due motivi: perché stimolare la finanza non fa più crescere l’economia, e perché i limiti alla crescita sono ormai apparsi sulla scena e non andranno più via.

Tutte chiacchiere, naturalmente. Il crollo di Tokio e di tutte le Borse europee (per quanto valga poco come segnale) viene dai dati cinesi:  la crescita cinese rallenta. E questo produce il rallentamento di tutti i mercati.

Print Friendly, PDF & Email
marx xxi

Il capitale finanziario mondiale stronca il sanfedismo economico italiano

di Pasquale Cicalese

Consueto bollettino di guerra, questa volta il report Congiuntura Flash di aprile di Confindustria. Due grafici balzano agli occhi. Il primo, livello di liquidità delle imprese italiane rispetto all’operatività corrente: esso è passato da punti 20 del 2011 a punti 4 del primo trimestre del 2013. Come a dire, con questi livelli non garantisci gli stipendi né, figurarsi, i costi di magazzino. E’ il crollo del capitale circolante. Secondo grafico, credito concesso. Le imprese che comunicano il rifiuto di credito bancario sono passate dal 5% del 2011 al 15% del 2013. Contemporaneamente in questo periodo la diminuzione di credito alle imprese industriali è crollata di 47 miliardi di euro. Devi prendere le analisi degli industriali con le pinze, i padroni italiani non la dicono tutta. Facciamo un passo indietro, fine 2002. In quel periodo la Banca dei Regolamenti Internazionali, BRI, la banca delle banche centrali, con sede a Basilea, assieme alle principali banche centrali del mondo adotta un nuovo sistema di classificazione dei rating creditizi da applicare alle aziende e obbliga le banche ad un maggior “immagazzinamento di capitale” rapportato ai prestiti concessi. E’ il meccanismo di Basilea 2.

I rating sono classificati universalmente a tutte le aziende. Essi implicano per le aziende che chiedono credito una buona patrimonializzazione aziendale, buon flusso di liquidità ed una solidità aziendale data dall’ammontare di ordini, fatturati e profitti.

Quell’accordo, in vigore dalla fine del 2006, è stato la tomba del sanfedismo italiano.

Print Friendly, PDF & Email

Come ci hanno deindustrializzato

Claudio Messora intervista Nino Galloni

MESSORA: Nino Galloni, economista, ex direttore del Ministero del Lavoro; uno che di cose in questo paese ne ha viste tante. Nino, buongiorno.

GALLONI: Buongiorno!


MESSORA: Benvenuto su byoblu.com, a queste interviste volute dalla rete. Io ero rimasto molto colpito dalla tua affermazione in un convegno che ripresi e misi su Youtube, intitolando il video “Il funzionario oscuro che fece paura a Kohl”. Nel tuo racconto del processo con il quale siamo entrati nell’euro, tratteggiavi questa decisione assunta dalla politica italiana di un vero e proprio progetto di deindustrializzazione del nostro paese. E mi sono sempre chiesto: ma perché mai, alla fine, la politica avrebbe dovuto decidere questo strangolamento, questo inaridimento, la morte del nostro tessuto produttivo? Ho cercato, via via, delle risposte nel tempo, ma oggi che sei qua forse queste risposte ce le puoi dare tu. È un processo, quello di deindustrializzazione, che parte da molto lontano. Riesci a farci una carrellata di eventi e poi arriviamo al focus?

GALLONI: Credo che la data dalla quale dobbiamo necessariamente partire sia il 1947, quando al Trattato di Parigi De Gasperi cede una parte della nostra sovranità, ma in cambio ottiene il riassetto di certi equilibri. La componente socialcomunista esce dal governo, ma manterrà una grande influenza nel campo creditizio e questo, vedremo, sarà un fattore decisivo una trentina di anni dopo.


MESSORA: gli Stati Uniti hanno avuto un bel ruolo in questa decisione.


GALLONI: Gli Stati Uniti hanno avuto un bel ruolo perché chiaramente gli aiuti del Piano Marshall erano condizionati all’uscita dei comunisti dal governo.

Print Friendly, PDF & Email
marx xxi

Apologia della banca pubblica

di Vladimiro Giacché

Con la grande crisi scoppiata nel 2007-8 l’intero sistema finanziario del mondo occidentale è giunto sull’orlo del collasso. È stato salvato dall’intervento dell’autorità pubblica, spesso attraverso l’ingresso dello Stato nel capitale delle banche in difficoltà. Solo in Italia questa opzione è stata sempre esclusa anche solo dal novero delle possibilità. Qui da noi è ancora ben radicato il dogmatismo ideologico che portò alla dissennata stagione delle privatizzazioni degli anni Novanta. È giunto il momento di cambiare rotta.


La via italiana ai salvataggi bancari: pagare senza controllare


«L’Europa riscopre la banca di Stato». Con questo titolo il Sole-24 Ore del 2 febbraio scorso ci ha informato della nazionalizzazione del gruppo bancario-assicurativo olandese Sns Reaal. Costo dell’operazione: 3,7 miliardi di euro. Vale a dire 200 milioni in meno di quanto costano allo Stato italiano i Monti-bond per salvare il Monte dei Paschi di Siena. Ma con una differenza non piccola: mentre lo Stato olandese potrà subito entrare nel capitale e quindi nella gestione di Sns Reaal, questo in Italia avverrà solo e soltanto se Mps non sarà in grado di rimborsare il prestito e pagare gli interessi.

Siamo l’unico paese europeo che non è voluto entrare, neanche nell’emergenza, nel capitale delle banche in difficoltà.

Print Friendly, PDF & Email

Tutte le banche centrali stanno per trasformarsi in “bad banks”*

R. Jellen intervista Ernst Lohoff e Norbert Trenkle sulla crisi economica e finanziaria (I parte)

Nuvole nere all'orizzonte: mentre in Europa le economie rischiano di cadere come le pedine del domino e la fine dell'euro è in vista, le contro-misure politiche adottate1 sembrano per contro, nonostante le dimensioni assurde della crisi (la Germania ha, ad esempio, attualmente2 per un debito complessivo € 644.000.000.000), destinate ad essere sempre meno efficaci.

Qualsiasi soluzione al problema sembra trasformarsi di fatto in un problema ancora più grande e continuare ad aggravare ed approfondire la crisi economica, debitoria e finanziaria. Questa crisi3, con la prospettiva del crollo dell'ultima bolla finanziaria rimasta, cioè quella del credito statale con la minaccia dell'inflazione, potrebbe far apparire il Venerdì nero del 1929 come una piacevole passeggiata in una soleggiata Domenica di Pasqua. Pubblichiamo qui un colloquio con Ernst Lohoff e Norbert Trenkle del gruppo Krisis, che individuano nel loro libro “La grande svalutazione”4 la nostra epoca come il momento storico in cui l'economia borghese incontra i suoi limiti definitivi.



-Che cosa si capisce con Marx sulla crisi attuale5 meglio che con altri teorici?

Ernst Lohoff: Innanzitutto è necessario tenere presente il dibattito attuale sulla crisi, che è caratterizzato da una bizzarra discrepanza. Da un lato si afferma che si tratta di una crisi di “proporzioni storiche”, e ogni due settimane c'è un nuovo vertice alla fine del quale i principali leader annunciano che avrebbero salvato l'economia mondiale proprio poco prima della caduta definitiva.

Print Friendly, PDF & Email

L’esercizio del credito nella Repubblica italiana

Stefano D'Andrea

Immagine 161Molti si entusiasmano per l'Unione bancaria: sostengono che l'Unione bancaria sarebbe "una svolta". Per altri sarebbe un passaggio necessario, che tuttavia comporta rischi. Per tutti è un bene. Nessuno che dica: è una scelta politicamente o economicamente sbagliata. Invece, se la creazione dell'Unione bancaria sia costituzionalmente legittima, questo è un problema che non solleva nessuno.

Ed effettivamente non è un problema. Perché esiste una disposizione costituzionale così precisa, così calzante, così chiara, così bella, così completa, così profonda, capace di dire cose immense con poche parole, che non c'è proprio niente da discutere

"La Repubblica… disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito" (articolo 47 della Costituzione italiana).

La Repubblica disciplina il credito; non possono essere organi dell'Unione europea a disciplinare il credito; né possono essere soggetti privati. Le limitazioni della sovranità, previste dall'art. 11 della Costituzione, a parte ogni altra considerazione, possono riguardare soltanto l'esercizio della sovranità nell'ambito di ciò che è prescritto dalla Costituzione; non la possibilità di esercitare la sovranità delegata al di fuori della Costituzione.

Print Friendly, PDF & Email

Tanto denaro per nulla

La vertigine della finanza creativa

Luigi Pandolfi

Rovistando nei materiali analitici e tra le notizie relative a questa speciale crisi economica che sta sconvolgendo le nostre società, mi è tornata alla mente una frase di Karl Marx contenuta nel secondo libro de Il Capitale: “Il processo di produzione appare soltanto come termine medio inevitabile, come male necessario per far denaro. Tutte le Nazioni a produzione capitalistica vengono colte perciò periodicamente da una vertigine, nella quale vogliono fare denaro senza la mediazione del processo di produzione”.

Un’asserzione tanto straordinariamente attuale da sembrare un commento a ciò che ci sta passando sotto gli occhi oggigiorno. Di certo essa costituisce una dimostrazione lampante dell’utilità del pensiero marxiano nella sua parte critico-interpretativa, a fronte della fallacità delle sue componenti profetico-deterministiche.

Fare denaro senza la mediazione del processo di produzione”. Ecco: non è forse quello che è accaduto, e che sta accadendo, nella parte più “attempata” del capitalismo mondiale? Certo che sì. Basta un solo esempio per suffragare questo assioma. Quante volte abbiamo sentito parlare, a proposito dell’economia finanziaria, di “economia di carta”, di quella sfera separata dall’economia reale in cui il denaro si tira fuori dal denaro stesso? Immagino tante volte. E di “cartolarizzazioni”? Un po’ meno, credo. Eppure tra le due espressioni c’è una stretta correlazione, ancorché la prima sia nata con valore dispregiativo, mentre la seconda rimandi al linguaggio tecnico-ufficiale del mondo finanziario e degli analisti economici. La correlazione consiste nel fatto che entrambe sottendono concetti affini (“Carta” nel senso di moneta, titoli, ecc.), e che la seconda ha in un certo senso riscattato la prima.

Print Friendly, PDF & Email

Dietro lo scandalo Montepaschi*

La mafia finanziaria, il ruolo delle banche e quello di Mario Draghi

di Bruno Amoroso

Dobbiamo dire un grazie a studi come quelli di Ascheri, perché ci aiutano a capire cosa è successo e cosa succede, sia nell’economia che nella politica. Questo è necessario perché politica ed economia sono come due iceberg. 

Degli iceberg noi vediamo, si e no, 1/3, i 2/3 sono sott’acqua —non andate mai a sbattere contro un iceberg, anche se vi sembra piccolo, perché quello che c’è sotto è un continente, che si trascina. 

Il punto è quindi riuscire a vedere meglio cos’è la politica e cos’è l’economia. Cosa che non avviene nei dibattiti economici e politici, perché nei dibattiti economici gli economisti litigano su ciò che si vede, che è relativamente insignificante rispetto al potere di questo iceberg.  Questo avviene anche nella politica, ormai, diventata sempre meno visibile e trasparente, in cui tutti i processi sono processi inutili. Cosa apprendiamo da studi come quello di Ascheri, anzitutto sull’economia? Io ho due osservazioni. 
Sul piano dell’economia, si sapeva tutto, tra l’altro certi economisti avevano detto ciò che si stava manifestando. In pochi anni, in pochi decenni, il rapporto tra economia reale espressa in valori ed economia finanziaria è diventato non più confrontabile, ovvero c’è una massa monetaria in giro per il mondo ottenuta grazie alla globalizzazione, quindi ai famosi processi di liberalizzazione e privatizzazione, che ha creato una montagna finanziaria che oggi domina l’economia e non solo.

Print Friendly, PDF & Email

Vincoli alla circolazione dei capitali e principi costituzionali*

Stefano D'Andrea

La disciplina che vincolava la circolazione dei capitali, vigente in Italia fino al 1988, non diversamente da altre discipline simili, non svolgeva la semplice funzione di assicurare allo Stato uno strumento per tenere sotto controllo la bilancia dei pagamenti, come superficialmente si potrebbe essere indotti a credere, bensì anche altre svariate e fondamentali funzioni, attuative di principi costituzionali.


1
Intanto, un ordinamento giuridico che richieda autorizzazioni ministeriali per eseguire compravendite volte ad importare merci (art. 2 D. L 6 giugno 1956 efficace fino al 1988 e abrogato nel 1989), svolge di fatto la funzione di promuovere la produzione interna. Per promuovere la produzione interna delle merci, si sacrifica la “sovranità del consumatore”, ossia il diritto del consumatore di acquistare ogni bene prodotto in qualunque luogo della terra al minor prezzo possibile nonché il diritto di acquistare beni “prodotti” in Italia con componenti provenienti dall’estero, e quindi a più basso prezzo.

Infatti, molti imprenditori tenderanno a non rischiare di veder negata l’autorizzazione e a non attendere i tempi richiesti dal procedimento amministrativo. Pertanto acquisteranno sul mercato nazionale i beni strumentali e gli elementi che compongono la merce da essi prodotta e venduta. Lo stesso mestiere di importatore sarà più complesso e rischioso, sicché in molti tenderanno, almeno nei casi in cui il giro di affari non è notevole, ad acquistare sul mercato nazionale il tipo di beni che intendono ri-vendere, anziché acquistarli all’estero.

Di fatto, dunque, la disciplina vincolistica, fondata sulle autorizzazioni ministeriali, svolge l’efficacia di promuovere la produzione interna e quindi l’occupazione. Pertanto, essa concorre a promuovere maggiori salari, considerato che i salari crescono al crescere dell’occupazione e stagnano o diminuiscono nei periodi di elevata disoccupazione.