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ilcovile

L'altro Marx

di Armando Ermini

nel mirCon Laltro Marx, Della Porta Editori 2014, Ettore Cinnella, ripercorre l’evoluzione del pensiero di Marx nell’ultimo decennio della sua vita. Un Marx che, per l’autore, non ha piú le certezze dello scienziato sociale, né quelle dell’impegno politico. È piuttosto uno studioso acutissimo capace di ripensarsi fino a, scrive nell’introduzione,

mettere in forse alcune leggi generali della formazione del mondo capitalistico da lui individuate e descritte nelle opere della maturità […] Bisognerebbe quindi […] gettare alle ortiche le sue disastrose ricette politiche e cercare di trarre invece frutto dal suo acume intellettuale. Egli fu pensatore poliedrico e contraddittorio, secondo me ancora da scoprire e conoscere. Questo libro […] vuole mostrare anzitutto che la visione della storia e della rivoluzione di Marx è assai meno monolitica di quanto si creda1

aggiungendo poi, in accordo col marxista britannico Teodor Shanin,2 che alle tradizionali fonti del pensiero marxiano – la filosofia tedesca, il socialismo francese e l’economia politica britannica – occorrerebbe aggiungere il populismo rivoluzionario russo. Cinnella ricostruisce l’evoluzione del pensiero marxiano, in assenza, causa la morte, di un’opera che ne sistematizzasse le conclusioni, tramite l’attenta e documentatissima analisi del carteggio che Marx ebbe coi giovani socialisti rivoluzionari, che testimonia anche la stima e l’amicizia che lo legò ad alcuni di loro. Essi ebbero il merito non solo di fargli conoscere importanti aspetti della realtà russa, oltre quanto era direttamente reperibile in Europa occidentale, ma anche di stimolarlo a studiare meglio quel paese, con le possibili implicazioni sul piano teorico.

 

La Russia

È dunque il rapporto con la Russia che appare cruciale per seguire, e capire, l’evolversi del pensiero di Marx, in quanto proprio la scoperta delle comunità di villaggio russe costituí lo spunto per lo studio dell’antropologia e per l’allargamento della riflessione all’intero mondo primitivo, nonché al ruolo storico del colonialismo europeo nella sua distruzione. Cinnella documenta come, ancora alla metà degli anni cinquanta dell’ottocento, il giudizio di Marx e di Engels sulla Russia e sul mondo slavo in generale era particolarmente severo e tagliente, in sintonia col mondo liberale e progressista. Essi erano considerati come il baluardo della conservazione, e una scaturigine del

pantano sanguinoso della schiavitú mongola […] di cui la Russia moderna non è che una metamorfosi,3

come appunto scriveva Marx.4 Del resto Engels estende la condanna ad ogni istanza di opposizione all’affermarsi del moderno capitalismo industriale, anche in altre parti del globo. Circa la guerra degli Stati Uniti contro il Messico per il possesso della California, afferma ad esempio che è combattuta «unicamente e soltanto nell’interesse della civiltà».5 Entrambi pensavano dunque alla funzione civilizzatrice della borghesia (rottura di ogni legame comunitario e sviluppo delle forze produttive sociali, come condizione necessaria per il comunismo), di fronte alla quale ogni altro principio passava in second’ordine.6 E lo pensavano secondo il noto schema della Prefazione (Vorwort) del 1859 a Per la critica dell’economia politica:

A grandi linee, i modi di produzione asiatico, antico, feudale e moderno possono essere designati come epoche progressive della formazione economica della società,

schema secondo cui, scrive Marx nella prefazione alla prima edizione tedesca del Capitale, «il paese industrialmente sviluppato mostra a quello meno sviluppato l’immagine del suo avvenire»,7 secondo una ferrea legge di movimento della storia.

Se l’abolizione della servitú della gleba dello Zar Alessandro II8 attirò in un primo momento l’interesse di Marx, il quale sperava che l’opposizione della nobiltà accendesse un movimento rivoluzionario, in assenza del quale tornò a pensare alla Russia di sempre come ad «una potenza barbarica», fino a disinteressarsi – ammette in risposta ad una domanda dell’amico Engels (siamo nel 1866) – anche di come la riforma agraria procedesse.

Dunque, fino all’inizio del decennio successivo, la posizione di Marx non mutò nella sostanza. Cinnella cita in proposito ciò che egli scrisse (nel 1870, quando era già entrato in contatto coi Socialisti Rivoluzionari – populisti, che avevano fondato la Sezione Russa della I Internazionale chiedendo a Marx stesso di rappresentarli) in risposta ad un articolo pubblicato sul Narodnoe delo, il loro organo di stampa, La riforma contadina e la proprietà comunitaria della terra. Nell’articolo si affermava che la comune contadina (Obščina) poteva svolgere un ruolo essenziale nella trasformazione del paese e che dovesse quindi essere difesa, ma Marx lo bocciò con queste parole: «la proprietà comunitaria russa può coesistere con la barbarie russa, non con la civiltà borghese».9

E tuttavia, Cinnella mostra che fu proprio grazie allo stimolo di quei giovani populisti, come fra gli altri Lopatin, la Tomanovskaja e soprattutto Nikolaj Francevic Danielson (autore della traduzione in russo del primo libro del Capitale) ed alla stima e simpatia personale che gli ispirarono (anche per la comune battaglia contro Bakunin), che Marx iniziò ad approfondire meglio la questione russa e, lentamente, a maturare idee diverse su quel Paese.10

 

Il ripensamento

Le prime avvisaglie di un ripensamento del precedente rigido schema evolutivo, sono contenute nell’edizione francese del Capitale (uscita a fascicoli fra il 1872 e 1875), nella quale il processo di accumulazione primitiva e l’espropriazione dei piccoli produttori agricoli quale avvenuto in Inghilterra non è piú il modello universale applicabile ovunque:

Dopo aver scoperto […] il forte radicamento della comunità di villaggio e la mancata espropriazione degli agricoltori in quel gigantesco paese, Marx parve incline a vedere in una diversa luce il processo di accumulazione primitiva […], si svolgeva in tempi e modi diversi […] soltanto nell’Europa occidentale. Quel che accadeva o sarebbe accaduto altrove non poteva essere dedotto dalle leggi formulate nell’ultima sezione del Capitale, la quale descriveva piuttosto un preciso e concreto processo storico, verificatosi in una ben delimitata area geografica.11

Nel 1877 (cinquantanovenne, non poi cosí vecchio: morirà sei anni dopo) è lo stesso Marx in una lettera (mai spedita)12 alla redazione della rivista russa Annali della patria in risposta al pubblicista Nikolaj K. Michajlovskij, a negare «recisamente di aver mai voluto costruire una teoria storico-filosofica generale»13 con queste parole:

Il capitolo sull’accumulazione primitiva [del Capitale.] intende solo mostrare per quale via, nell’Europa occidentale, l’ordinamento economico capitalistico è uscito dal grembo dell’ordinamento feudale. […] Ora, quale applicazione alla Russia poteva dedurre il mio critico da questo schizzo storico? Solo questa: se la Russia aspira a diventare una nazione capitalistica seguendo l’esempio dell’Europa Occidentale […], non vi riuscirà senza prima aver trasformato in proletari buona parte dei suoi contadini; dopo di che, caduta nella morsa del sistema capitalistico, dovrà subirne le leggi inesorabili, come altri popoli profani. Questo è tutto. […] La conclusione a cui sono giunto è la seguente: se la Russia continuerà a battere il sentiero imboccato dopo il 1861 perderà la piú bella occasione che la storia abbia mai offerto a un popolo, e subirà tutte le fatali peripezie del sistema capitalistico.

Nella famosa lettera alla populista Vera Zasulich (siamo nel 1881), nonché nelle minute e negli abbozzi rinvenuti dopo la sua morte, Marx è ancora piú esplicito nell’ipotizzare la possibilità che l’Obščina potesse evolversi in senso socialista senza passare dalle «forche caudine» del capitalismo:

In questo movimento occidentale si tratta dunque della transizione da una forma di proprietà privata ad un’altra forma di proprietà privata. Presso i contadini russi, invece, bisognerebbe trasformare la loro proprietà comune in proprietà privata. L’analisi data nel Capitale non offre dunque motivi né a favore né contro la vitalità della comune rurale, ma lo studio speciale che io vi ho dedicato […], mi ha convinto che questa comune è il fulcro della rigenerazione sociale in Russia», scrive Max nella lettera inviata; mentre nelle minute cosí si esprime, «Se essa [l’Obščina] ha nella proprietà comune del suolo la base ‹naturale› del possesso collettivo, il suo ambiente storico – la contemporanea esistenza della produzione ca pitalistica – le offre bell’e pronte le condizioni materiali del lavoro su larga scala. Essa è dunque in grado di assimilare le conquiste positive del sistema capitalistico, senza passare attraverso le sue forche caudine. […] ciò che minaccia la vita della Comune russa, non è né una fatalità storica, né una teoria: è l’oppressione da parte dello Stato e lo sfruttamento da parte d’intrusi capitalisti che lo Stato stesso ha reso potenti a spese dei contadini.

Le minute e abbozzi di risposta alla Zasulich, di cui alcuni sono «veri e propri saggi storico-filosofici (pur se incompiuti)»,14 per Cinnella sono importanti anche perché modificano sostanzialmente la tipologia delle società precapitalistiche dei Grundrisse:

Delle forme asiatica (con la sua variante slava), antica e germanica non resta adesso quasi piú niente. L’Obščina russa viene equiparata alla comune agricola germanica dei primi secoli dell’era cristiana e alla comunità di villaggio indiana,15

privilegiando cosí una piú generica distinzione fra società primarie (le comunità rurali arcaiche) e secondarie (le società schiavistiche, ma anche il feudalesimo), nella quale sbiadisce il ruolo del modo di produzione asiatico come sostrato piú antico «della formazione economica della società» (come Marx riteneva alla fine degli anni cinquanta). In questo contesto il concetto di «despotisme central», legato dapprima a uno specifico sistema di produzione, viene ora collegato piuttosto all’ambiente, ossia a specifici fattori geografici e politici. Sono l’isolamento fisico e la mancanza di reciproci legami fra le comunità rurali, fattori che tuttavia, per Marx, non si trovano «dappertutto come carattere immanente del tipo primitivo», che fanno sorgere «al di sopra delle comuni un dispotismo centrale». Per questo le comunità germaniche, chiosa Cinnella, restarono libere, «mentre in Russia l’Obščina divenne la base economica di uno Stato autocratico».16

Ed è ancora per merito di un altro giovane studioso russo, Maskin Maksimovic Kovaleskij, che Marx legge, nel 1880, i lavori dell’antropologo Lewis Henry Morgan sulle forme comunitarie primitive, che gli fanno estendere il giudizio positivo sull’Obščina alle comunità arcaiche di altre parti del mondo e condannare con decisione, ad esempio, l’operato inglese in India non meno che la distruzione delle comunità di nativi nell’America del Nord.

Nella prima fase del suo ripensamento, scrive Cinnella, Marx ammetteva che l’Obščina potesse, a certe condizioni, divenire uno strumento della trasformazione socialista della Russia, ma continuava a pensare alla classe operaia occidentale come motore della rivoluzione, mentre il ruolo e l’importanza per il movimento socialista della rivoluzione in Russia era limitato all’abbattimento di quel regime assolutistico che aveva sempre svolto le funzioni di gendarme europeo.

Negli ultimi anni della sua vita, tuttavia, conclude Cinnella, il giudizio di Marx sulla Russia e sulle comunità rurali arcaiche era mutato radicalmente, anche a causa della mancata rivoluzione proletaria nei paesi capitalisti avanzati. In effetti dalla fine degli anni settanta i suoi riferimenti alla rivoluzione socialista nei paesi industriali avanzati sono solo vaghi o del tutto assenti (sia nella lettera alla Zasulich sia in altri interventi).17

Tutto ciò, argomenta Cinnella, lo rese incline a pensare che il danno della perdita dei valori comunitari di cui erano portatrici le comunità rurali era superiore ai benefici delle conquiste materiali del capitalismo, e avvicinò le sue idee a quelle dei socialisti rivoluzionari, fino a ipotizzare nuove vie per la rivoluzione anticapitalista:18

La revisione delle ferree leggi economiche enunciate nel Capitale, la scoperta e lo studio del mondo primitivo, l’importanza attribuita all’‹ambiente storico›, la forte simpatia per il populismo di Narodnja volja: era questo il temporaneo approdo del travaglio intellettuale e politico dell’ultimo Marx, bruscamente inter- rotto dalla morte […] Era una visione della storia e della rivoluzione […] basata sull’idea fondamentale che la società futura sarebbe stata simile alle comunità piú arcaiche. Aveva i tratti dell’utopia, piú che dell’ideologia, e nasceva – oltre che da nuovi studi e riflessioni – dalla delusione e dall’amarezza per la mancata rivoluzione proletaria nell’occidente capitalistico.19

 

Reazioni

L'altro Marx ha suscitato, come prevedibile, reazioni di diverso tenore, ne citiamo alcune a titolo di esempio.

Dino Erba scrive che se gli spunti teorici del libro, ignorati, almeno in Italia, dagli ambienti marxisti rivoluzionari, di fronte alla débâcle del modo di produzione capitalistico assumono un grande significato politico,

la soluzione non può certo venire da una stanca ripetizione di formule che nel corso del novecento hanno mostrato la loro natura fallimentare, con conseguenze devastanti.20

Su una analoga linea di apprezzamento si muove anche Sandro Moiso, che in articolo dal titolo «Marx contro il marxismo»,21 afferma che il libro di Cinnella è

scomodo per i rigidi seguaci del suo pensiero, ma sicuramente anche per tutti coloro che negli ultimi anni hanno voluto darne una lettura liberale, desunta proprio dalle pagine riguardanti lo sviluppo della borghesia e del capitalismo contenute nel Manifesto e in altri scritti minori come il «Discorso sul libero scambio».

Piú critico è il commento della rivista Il Lato Cattivo.22 Dopo aver riconosciuto la completezza documentaria del libro, e soprattutto che ogni interpretazione di Marx, quindi anche la sua, è necessariamente filtrata «dall’appartenenza ad uno spazio e ad un tempo determinati», l’anonimo recensore si concentra su due punti essenziali. Il primo è che, sulla base delle stesse lettere alla Zasulich,

l’ineluttabilità del modo di produzione capitalistico – anche se ristretta all’area europeo-occidentale – non viene rimessa in causa da Marx nemmeno per un istante, e a giusto titolo; senza sviluppo capitalistico nell’area occidentale, nessuna possibilità anche solo teorica di saltare questa tappa nell’area russo-asiatica,

essendo comprensibile quella possibilità solo

sulla base dell’unità e sinergia che lega le due aree in un destino mondiale – unità oggettiva prodotta, ben prima della globalizzazione dalla prima area [quella a capitalismo avanzato. N.d.R.] e non dalla seconda.

Il secondo punto di critica della riscoperta dell’Obščina come possibilità di accedere direttamente al comunismo, coglie effettivamente un nodo teorico dal quale possono discendere conseguenze politiche per il recensore allarmanti, da cui la domanda (invero un po’ togliattiana) cui prodest? Una volta ammessa la non ineluttabilità del MPC, neanche il proletariato lo sarebbe, e la stessa lotta di classe. Sennonché, per il Lato Cattivo, in chiave soteriologica, il MPC

è storicamente necessario dal punto di vista del comunismo, perché solo esso poteva produrre la classe della rivoluzione comunista – rivoluzione radicale prodotta da catene radicali.

* * * *

Nota del redattore

A giudizio di chi scrive, il lavoro di Cinnella presenta piú di un motivo d’interesse.

Un primo spunto di riflessione: se fossero stati marginali e ininfluenti rispetto al corpo principale delle sue opere mature, perché quelle ultime posizioni di Marx furono tenute a lungo nascoste, e non solo dal marxismo staliniano risultato vincente, dal trotskismo e dal bordighismo pure in lotta fra loro proclamando ciascuno la propria lettura di Marx come l’unica veritiera, ma anche dalla stessa Zasulich che lo aveva sollecitato ad esprimersi sul destino dell’Obščina, come documenta Cinnella?23 Qualsiasi siano le risposte che daranno gli storici, ci sembra che non possano prescindere dal fatto che quelle riflessioni e ripensamenti avrebbero in effetti scalfito le certezze granitiche su cui si stavano formando i partiti che a Marx si richiamavano. Certezze vitali, rimozioni necessarie? Sta di fatto che tale occultamento rimanda alle implicazioni e prospettive teoriche di quei suoi ultimi scritti, che ci riconducono anche all’attualità.24

Dopo che, con il crollo dell’Unione Sovietica e il trionfo planetario del capitalismo, il tema di una società costruita su fondamenta diverse dall’individualismo liberale sembrava definitivamente esaurito, (La fine della storia, secondo il celebre libro di Francis Fukuyama del 1992), oggi assistiamo ad una sua ripresa, in forme se possibile piú radicali. E ciò perché risulta sempre piú evidente l’incapacità del capitalismo a mantenere le sue promesse di pace e di benessere diffusi. Solo chi non vuole vedere la realtà può pensare che i motivi di conflitto geo- politico, le guerre guerreggiate che si susseguono, l’esplodere di differenze economiche inaccettabili fra i diversi paesi e all’interno di essi, siano dovuti alle resistenze reazionarie e oscurantiste contro la società liberalcapitalista e non consustanziali alla stessa.

La globalizzazione, insomma, ha acuito i problemi anziché risolverli, e questo sta generando una reazione, piú o meno confusa, e insieme la ricerca di una via di rigenerazione della società, e addirittura – dato che di questo ormai si tratta – di salvezza della specie umana. Da questa angolazione le riflessioni di Marx sulla possibilità che le comunità rurali potessero costituire la base per il socialismo, e il suo avvicinamento al populismo, offrono spunti di riflessione utili e pertinenti. In sintesi:

1) La lotta di classe, per tutti i marxismi a fondamento del susseguirsi dei modi di produzione (e delle corrispondenti formazioni sociali) assume una valenza molto diversa. In particolare la lotta fra borghesia e proletariato industriale, dalla quale soltanto sarebbe potuto nascere il comunismo, non ne è piú l’elemento imprescindibile.

2) Emerge la tematica del comunitarismo, contro il quale si sono sempre battuti i partiti comunisti, considerandolo espressione di arretratezza culturale, in specie del mondo contadino, e ostacolo al pieno dispiegarsi della libertà dell’individuo. Sta di fatto che quella reazione e ricerca di cui sopra si manifestano come risorgere del populismo, e questa è proprio l’accusa principale che viene mossa dalle élites progressiste di destra e di sinistra al potere, a quelle forze e quei movimenti, anch’essi di destra e di sinistra, (cosí usandoli, sottolineo l’assoluta insignificanza di tali termini) che si oppongono, talvolta confusamente e contraddittoriamente, al liberalcapitalismo. Ora, come argomenta in un suo articolo Pier Paolo Poggio, le tematiche del populismo russo, che egli considera una forma di socialismo agrario, sono esattamente tematiche comunitariste, il che non significa fra l’altro, precisa, che i populisti rifiutassero a priori il progresso tecnico e scientifico; volevano piuttosto

innestarlo, ibridarlo, con le forme comunitarie, l’organizzazione sociale non capitalista e antistatalista radicatasi storicamente nelle campagne russe e di tutto il mondo dove non aveva ancora trionfato l’individualismo borghese.25

Il tema degli aspetti comunitaristi del pensiero di Marx, e quindi del rapporto fra comunità e libertà individuale, ha sempre affascinato i marxisti eretici. Costanzo Preve, ad esempio, vi dedicò, fra gli altri suoi scritti sul tema, un libro apposito, Elogio del comunitarismo. D’altronde appare difficile non collegare a forme di proprietà comunitaria (quindi non statalistica o collettivista sul modello dei Sovcoz) il concetto marxiano di Gemeinwesen, da cui prende le mosse anche la ricerca e l’elaborazione di Jacques Camatte.

C’è poi il difficile tema, che mi limito ad indicare, della forma-valore. Per come era organizzata e funzionava la comunità rurale russa (proprietà comunitaria della terra, assegnazione in uso di essa ai singoli contadini in funzione delle loro necessità e in modo che ognuno fosse destinatario di appezzamenti di terreno similmente fertili) credo si possa affermare che in essa non si dispiegava, per usare le parole di Jacques Camatte, il fenomeno del valore cioè della tendenziale mercificazione di tutto. Pensare ad una sua evoluzione nella società comunista senza passare dalla fase capitalistica, significa allora la smentita preventiva, anche sul piano teorico, che nel primo periodo storico dopo la rivoluzione (socialismo) la cosiddetta «legge del valore» non solo non dovesse estinguersi, ma addirittura svilupparsi, sia pure sotto la direzione del partito (ciò che fu definito il mercato socialista), come teorizzato e tentato di attuare in Unione Sovietica con gli esiti che sappiamo.


Note
  1. Ettore Cinnella, L’altro Marx, Della Porta Editori 2014, p. X, XI
  2. Late Marx and the Russian Road. Marx and the peripheries of capitalism, A case presented by Teodor Shanin (editor), Routledge & Kegal Paul, London 1984, cit. a p. XI.
  3. Marx, Storia diplomatica segreta del XVIII secolo,La Pietra, Milano 1978, p. 69, cit. a p. 9.
  1. Marx, F. Engels, Werke (MEW), Band 6, Dietz Verlag, Berlino 1968, «il panslavismo non è solo un movimento per l’indipendenza nazionale: è un movimento che tende ad annullare ciò che è stato creato da un millennio di storia […] All’Europa non resta che un’alternativa: sottomettersi agli slavi o distruggere per sempre la loro forza offensiva, cioè la Russia». E. C. cit., p. 7.
  2. Ivì
  3. Scrive Engels «L’indipendenza di alcuni abitanti spagnoli della California e del Texas può averne sofferto, la «giustizia» e altri principi morali possono essere stati qua e là violati; ma cosa conta di fronte a tali fatti di portata universale?» L’articolo è in MEW, .
  4. C., cit., p. 87.
  5. Nel 1861 entrò in vigore la riforma liberale con cui lo Zar Alessandro II abolí la servitú della gleba; per le modalità con cui fu attuata significò però la privatizzazione a favore dei grandi latifondisti delle antiche proprietà comuni delle terre di cui i contadini potevano disporre e la loro proletarizzazione. Fu in sostanza la premessa allo sviluppo capitalistico della Russia.
  1. La risposta di Marx è in B.P. Koz’min, Russia sekcija Pervogo Internacionala, Izdatel’stevo Akademii nauk SSSR, Moskva 1957, pp. 252–253, e riportata da Cinnella a p. 30.
  2. Al carteggio fra Danielson e Marx, Cinnella dedica un interessantissimo capitolo nel quale racconta quanto il giovane russo insistesse sulle potenzialità dell’Obščina e sui pericoli per essa costituiti dalla penetrazione del capitalismo nelle campagne e dal- la conseguente distruzione dell’antica proprietà co- munitaria.
  3. Ettore Cinnella, , p. 89.
  4. I motivi della mancata spedizione non sono mai stati chiariti del tutto, rileva Cinnella a p. 93. Un’ipotesi è che Marx temesse di nuocere alla rivista già sotto gli occhi della censura zarista, ma lo studioso giapponese Haruki Wada (Late Marx and the Russian Road), avanza l’ipotesi che «dopo aver riletto la missiva, si accorse che qualcosa non andava nella sua critica di Michajlovskij». In altre parole, che fosse troppo in contraddizione con lo schema sviluppato nel Capitale.
  5. Ibidem, p. 92.
  6. Ibidem, p. 145.
  7. Ibidem, p. 152.
  8. Ibidem, p. 153.
  9. «L’Europa e gli Stati Uniti – scrive Cinnella – vi compaiono, ma la loro presenza serve solo a ricordare le conquiste materiali della società moderna o a mostrare che il capitalismo è ormai ‹in lotta con la scienza, con le masse popolari e con le stesse forze produttive da esso generate›. Vi si dice anche che l’attuale crisi del mondo capitalistico dovrà finire ‹con il ritorno delle società moderne al tipo arcaico della proprietà comunitaria, ma non viene specificato per quale via […] Leggendole [le lettere e le interviste. d.R.], si ha la netta impressione che egli vi credesse sempre meno». Ibidem, p. 165.
  10. «Roso dall’atroce sospetto che il capitalismo, là dove era piú avanzato, non generasse spontaneamente il suo becchino (come aveva fino allora creduto), Marx andava in cerca di nuove vie rivoluzionarie. Il naufragio delle certezze politiche che lo avevano sorretto negli anni della stesura del Capitale e dell’attività dell’Internazionale, gli fece scoprire le società primitive e l’avvicinò ai sogni rivoluzionari dei populisti russi». Ibidem, p. 170.
  11. Ibidem, p. 171 e 172.
  12. «Marx e la Russia. Ovvero: che c’azzecca Marx con i bolscevichi?», in Jàdawin di Atheia del 7 Agosto 2014.
  13. In Carmilla del 3 settembre 2014.
  14. «Marx e la comune agricola russa: cui prodest?», in Il Lato Cattivo del 21 dicembre 2014.
  15. La Zasulich, scrive Cinnella alle pp. 139-143, quando pose i noti quesiti a Marx era già assalita da dubbi sulla vitalità della comune rurale, e fu sorpresa dalla risposta. Tanto sorpresa che, consigliata da Plechanov, (il quale si stava allora già distaccando dal movimento populista) a cui l’aveva prontamente inviata, non ne fece cenno. I quattro abbozzi furono rinvenuti nel 1911, mentre la lettera spedita emerse solo nel 1923.
  16. All’attualità accenna anche l’autore con qualche opinabile inciso sulla minaccia costituita dalla Russia «per la libertà e il progresso dell’Europa» e sui chierici affascinati dalla «sirena russa» che chiudono «gli occhi dinanzi alla ripresa dell’aggressivo imperialismo moscovita», p. XI. Osservazioni che curiosamente, giusta la lettura del libro, ci riportano alle posizioni di partenza di Marx.
  1. «Il populismo russo: percorsi carsici» in Sinistra in rete, 27 dicembre 2017. La concezione del padre fondatore del populismo russo, Aleksander Herzen, si fondava, scrive Poggio, sulla necessità da un lato di «valorizzare la coesione sociale intrinseca al comunitarismo contadino, dall’altro di raccogliere la piú alta eredità della civiltà occidentale: il libero sviluppo dell’individualità, il diritto alla diversità e all’autonomia personale. Il populismo di Herzen è rivoluzionario e decisamente antiborghese, è una risposta a quella che considera la vittoria ormai certa della borghesia sul proletariato.». E prosegue con questo attualissimo passaggio: «la peculiarità del pensiero russo e la sua originalità, per noi quasi inaf- ferrabile eppure attuale, è data dal legame indissolubile che in esso si stabilisce fra il singolo e la comunità, dalla ricerca costante di una conciliazione fra l’uomo e la natura, tra le popolazioni e il pianeta in cui abitano».

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