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palermograd

Una spirale in continuo sviluppo

Rosa Luxemburg e l'accumulazione del capitale

di Giovanni Di Benedetto

Luxemburg Accumulazione 472x330Ciò che Marx presuppone non è la fantasia bambinesca di una società capitalistica sull’isola di Robinson, che fiorisce nel chiuso, «isolata» da continenti con popoli non-capitalistici, di una società in cui lo sviluppo capitalistico ha raggiunto il più alto grado immaginabile (…) e che non conosce né artigianato né contadiname e non ha rapporti col mondo circostante non-capitalistico. Il presupposto di Marx non è un assurdo della fantasia, ma un’astrazione scientifica. Marx anticipa la tendenza realedello sviluppo capitalistico; ammette come già raggiunto quello stato di dominio generale assoluto del capitalismo su tutto il mondo, quell’estrema dilatazione del mercato mondiale e dell’economia mondiale, verso cui il capitale e l’intero suo sviluppo economico e politico odierno realmente tende.

(Rosa Luxemburg, Ciò che gli epigoni hanno fatto della teoria marxista. Una anticritica)

Quando, all’inizio del proprio discorso, nel mese di Gennaio del 1919, alcuni giorni dopo l’assassinio di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, Grigorii Zinoviev, presidente del Soviet di Pietrogrado, li commemorò, ebbe a dire, pressappoco, che la Luxemburg era appartenuta a quella rara schiera di affiliati al movimento dei lavoratori che aveva avuto non solo il merito di divulgare le idee di Marx ma anche di contribuire, con la propria parola e il proprio pensiero, all’arricchimento della stessa teoria marxiana della critica dell’economia politica.

Allo scoccare del secolo dal terribile eccidio del 15 Gennaio 1919, ordinato dal socialdemocratico Gustav Noske ed eseguito dai Freikorps, questo lapidario e solenne giudizio non sembra, col passare del tempo, aver perso di vitale veridicità. Tutt’altro, considerato che, a partire dalla metà degli anni ’20 del secolo scorso, l’ortodossia stalinista aveva condannato all’oblio e a una sostanziale rimozione, l’eredità luxemburghiana. Eppure, oggi, l’opera intellettuale di Rosa Luxemburg dimostra una forza e una lucidità non comuni e, forse, una produttività, agli occhi di molti, inaspettata.

All’interno di quella grande esperienza pratico-teorica che fu l’intera esistenza della Luxemburg, il libro del 1913 L’accumulazione del capitale[1] appare, al lettore contemporaneo privo dei pregiudizi della scolastica marxista-leninista che ammantavano e mistificavano lo scritto e che ne hanno a lungo condizionato la ricezione, un’opera feconda, in grado di esprimere chiavi di lettura ancora oggi capaci di decifrare, al di là di facili e superficiali schematizzazioni, la crisi della congiuntura presente e le sue drammatiche contraddizioni.

A dire il vero, all’opera venne riservata, fin da subito, un’accoglienza e una ricezione a dir poco singolari, incontrando, sostiene Oskar Negt, “una quasi unanime disapprovazione da parte degli «esperti» dell’ortodossia marxista, con alla testa gli austromarxisti e Kautsky”[2]. La Luxemburg stessa, nella sua anticritica, confessò di essere rimasta vittima di un malinteso, sorpresa per il modo in cui il libro fu accolto da parte della stampa socialdemocratica che lo stroncò senza pietà ritenendolo sbagliato da cima a fondo. E dire che l’autrice era convinta di avere semplicemente sviluppato la teoria marxiana in modo coerente, adeguandola agli sviluppi storici sfociati nell’imperialismo.

Nonostante il fatto che a lungo si sia quasi voluto attribuire al testo il carattere del romanzo storico-filosofico, contrassegnato storicisticamente dall’idea che il capitalismo fosse deterministicamente e irreversibilmente destinato al crollo, L’accumulazione del capitale esprime spunti interpretativi che possono gettare nuova luce sulle più importanti questioni del nostro tempo. Dall’analisi de L’accumulazione del capitale, infatti, emergono, sugli attuali indirizzi della corrente economia mondiale, suggestioni e riflessioni che, a parere di chi scrive, risultano essere, oggi, ancora più pressanti che non al tempo in cui operò l’agitatrice e lottatrice spartachista.

 

Riproduzione semplice e riproduzione allargata

Presupposto dell’elaborazione della teoria di Rosa Luxemburg sull’accumulazione del capitale è l’analisi della circolazione del capitale e degli schemi di riproduzione formulati da Marx nel secondo libro del Capitale. Marx illustra nei suoi schemi sulla riproduzione il dato che, tenute ferme una serie di precondizioni, gli scambi di capitale con forza lavoro e merci (nella forma di mezzi di produzione e mezzi di consumo), devono avere luogo sulla base di precisi rapporti di equivalenza e proporzionalità. Posto che è possibile dividere tutte le merci in mezzi di produzione e beni di consumo, ne consegue che all’interno della sfera della produzione si possono schematicamente individuare due sezioni: la sezione I, che produce mezzi di produzione, e la sezione II, che produce beni di consumo. Perché il sistema proceda senza ostacoli, non è solo necessario che la domanda totale eguagli l’offerta totale, ma occorre anche che la domanda di prodotti di ogni sezione possa eguagliare l’insieme della produzione della sezione stessa. Là dove vengono a mancare tali equivalenze deve necessariamente subentrare uno squilibrio e dunque una crisi. Il processo della riproduzione (semplice e allargata) è un sistema complesso che non funziona come una linea retta ma, circolarmente, “consta di movimenti che agiscono l’uno sull’altro”[3], “si intrecciano reciprocamente”[4]. Il funzionamento del modo di produzione capitalistico è sistemico. È importante notare come si tratti di un meccanismo che gli economisti borghesi, scrive Marx, stentano a capire o capiscono poco[5].

In effetti il problema della crisi capitalistica rimanda all’eventualità, sempre incombente, che la rotazione del capitale venga interrotta. Vi sono, ovviamente, nella spiegazione delle cause dell’interruzione della rotazione molti fattori e, per così dire, molti livelli di criticità. In altri luoghi della sua ricerca teorica Marx insiste nel sottolineare che il problema della crisi è principalmente connesso al tema della valorizzazione del plusvalore nella sfera della produzione. È nella sfera del processo di produzione che bisogna individuare quegli elementi che costituiscono problema e da cui occorre partire per avere consapevolezza dello svolgimento sistemico del capitale inteso nella sua totalità. Tuttavia, nel secondo libro del Capitale, Marx considera processo di produzione e processo di circolazione come inseparabili, come costituenti un’unità nella quale ciascuno di questi due processi trova nell’altro le sue stesse condizioni di realizzazione e, insieme, un ostacolo. Se da una parte per il capitale lasciare il processo di valorizzazione significa perdere il legame vitale con lo sfruttamento della forza lavoro, dall’altra parte è nella sfera della circolazione che, attraverso lo scambio della vendita e della compera, è possibile realizzare il valore e il plusvalore prodotti nello stadio della produzione. In particolare, nei capitoli 20 e 21 del secondo libro del Capitale, Marx approfondisce l’esame delle relazioni tra le differenti branche della produzione. Lo studio della riproduzione semplice, a livello del quale il capitale si riproduce mantenendo un eguale ammontare complessivo, e della riproduzione allargata, al livello del quale, invece, si assiste a un aumento del capitale totale, deve illustrare le condizioni che devono essere rispettate affinché dal lato dell’offerta e dal lato della domanda si possano incontrare, a livello di mercato, da un lato i beni che sono richiesti e dall’altro quelli che sono prodotti. In tal senso, potenziali sproporzioni tra le differenti branche produttive possono inceppare il movimento della rotazione del capitale. A questa possibilità si deve associare anche lo studio dei fattori riguardanti il livello della domanda in rapporto alla capacità produttiva.

Dunque, se il problema è che, affinché si possa conservare e riprodurre un equilibrio fra il settore relativo ai mezzi di produzione e quello relativo ai mezzi di consumo, devono essere mantenuti determinati livelli di reciproca proporzionalità, risulta vero, tuttavia, che, nella realtà, è molto difficile che tali condizioni di equilibrio rispettino i requisiti della massima esattezza e della massima precisione. I singoli attori della produzione si muovono unilateralmente perseguendo il proprio utile immediato, senza che l’intero sistema conosca la mediazione di un controllo e un governo consapevoli. Nel modo di produzione capitalistico non viene considerata l’estrema complessità della struttura della domanda e dell’offerta né, tanto meno, la necessità che sia raggiunto un equilibrio tra le differenti frazioni in cui si suddivide ciascuna branca produttiva. Da qui il rischio concreto di squilibri e sproporzioni difficilmente riconducibili entro l’alveo del regolare e circolare funzionamento della rotazione del capitale

Le cose si complicano ancora di più se si passa al livello della riproduzione allargata, dove si deve dare la possibilità che, attraverso la vendita di un plusprodotto, si formi un capitale monetario potenziale addizionale. Entro il regime della riproduzione allargata solo una aliquota del plusvalore prodotto nelle due sezioni produttive può essere impiegato da parte dei capitalisti come reddito per rifornire i loro fondi di consumo individuale, mentre l’altra frazione può essere capitalizzata, ossia tramutata in capitale addizionale, investendola in nuovo capitale variabile e nuovo capitale costante, ossia nell’acquisto di nuova capacità lavorativa e di nuovi mezzi di produzione. Marx spiega che ci deve essere una sorta di dirottamento vero e proprio, almeno parziale, del capitale costante di I verso l’acquisto di mezzi di produzione (Ic) piuttosto che mezzi di consumo (IIc).

A parere di Marx “all’interno della riproduzione semplice viene prodotto il substrato materiale della riproduzione allargata”[6]. Il prodotto della riproduzione materiale su scala allargata è dato dal fatto che gli elementi della riproduzione semplice assumono una connotazione qualitativa differente. La base materiale per conseguire una riproduzione allargata è data dalla presenza di un’eccedenza che possa essere convogliata come capitale monetario virtuale piuttosto che scambiata come reddito per il consumo di mezzi di consumo. Dunque, l’eccedenza qui viene dirottata verso capitale produttivo addizionale[7]. Va precisato, innanzitutto, che questo dirottamento significa anche una mutata funzione del denaro circolante che da mezzo di circolazione assume, attraverso un’azione di tesaurizzazione, la funzione di capitale monetario “virtualmente nuovo, in via di formazione”[8]. Esso, in quanto tale, è crisalide monetaria che si va formando a poco a poco e per questo, almeno inizialmente è “assolutamente improduttivo”[9]. Ma il processo di accumulazione di capitale in senso proprio si deve configurare come processo di riproduzione allargata, il che vuol dire che “l’ampliamento della produzione dipende dalla trasformazione di plusvalore in capitale addizionale, e quindi anche da un ampliamento della base di capitale della produzione”[10]. I nuovi lavoratori salariati reclutati tramite l’impiego di capitale variabile addizionale originano un ampliamento della domanda di beni di consumo. La creazione di un tale plusprodotto non è altro che il prodotto del pluslavoro degli operai. Dall’altra parte, tramite l’accrescimento del plusvalore i capitalisti avranno la possibilità di aumentare la domanda di beni di consumo senza compromettere l’origine dell’accumulazione.

Il metodo adottato da Marx nei suoi esempi è estremamente complicato e svolto a un livello di astrazione molto elevato. Tuttavia, proprio l’alta improbabilità con cui dovrebbe essere soddisfatta una tale condizione di proporzionalità della circolazione del capitale rende aleatoria e fortuita la sua realizzazione. Da qui la crisi e, dunque, il fatto che la riproduzione del capitale sociale su scala allargata non può che realizzarsi in modo violento e caotico, attraverso mutamenti improvvisi e depressioni periodiche che ne possano ristabilire quelle condizioni di equilibrio che, nel frattempo, sono venute a mancare. È lo stesso Marx a ricavare, da una tale, complessa e articolata, illustrazione della forma della riproduzione, la possibilità che, in un sistema regolato esclusivamente dalla logica del libero scambio, scaturiscano e si sviluppino quelli che lui stesso definisce “motivi per uno svolgimento anormale”[11] e “possibilità di crisi”[12].

 

Alla ricerca del fuori

Secondo Sweezy, la logica fondamentale del processo di riproduzione allargata fu colta con esattezza da Rosa Luxemburg. Il problema, tuttavia, risiede nel fatto che ne L’accumulazione del capitale la Luxemburg “negò insistentemente che lo schema fosse una fedele rappresentazione della realtà capitalistica”[13], sostenendo che nell’esposizione degli schemi di riproduzione non si sarebbe tenuto in debito conto dell’esistenza di un fuori, ossia di un’inevitabile necessità del capitalismo di ricorrere a sistemi non capitalistici da sfruttare, espropriare, saccheggiare e rapinare. Secondo la Luxemburg, Marx non avrebbe avuto l’accortezza di considerare la differenza tra gli schemi della riproduzione allargata in grado di riflettere un ipotetico capitalismo teorico colto nella sua purezza, in quanto composto esclusivamente da capitalisti e operai, e le dinamiche storiche dell’accumulazione e dell’imperialismo. Ancora nell’anticritica, l’appendice rivolta agli epigoni della teoria marxista, la Luxemburg, a sottolineare che il processo di accumulazione del capitale richiede incessantemente un corrispondente allargamento di mercati di sbocco, scrive:

“Gira e rigira, finché si rimane fissi all’ipotesi che nella società non esistano strati al di fuori dei capitalisti e dei lavoratori, riesce impossibile ai capitalisti come classe di smaltire le loro merci eccedenti per trasformare il plusvalore in denaro e così accumulare capitale. Ma l’ipotesi marxiana è solo un’astrazione teorica destinata a semplificare e facilitare l’indagine. In realtà, la produzione capitalistica, come tutti sanno e come lo stesso Marx mette in rilievo nel Capitale, non è affatto l’unica, né il suo dominio è esclusivo e totale. (…) Infine, accanto all’Europa e all’America del Nord capitalistiche, esistono giganteschi continenti nei quali la produzione capitalistica ha appena cominciato a metter radici in piccoli punti sparsi, mentre per il resto i loro popoli presentano tutte le forme economiche possibili, dalla comunistica primitiva alla feudale, contadina, artigiana. Tutte queste forme sociali e produttive vivono e sono vissute non soltanto in pacifica contiguità spaziale col capitalismo, ma fin dall’inizio dell’era capitalistica si è sviluppato fra loro e il capitale europeo un attivo e particolare ricambio organico”[14].

Da qui la considerazione che il modo di produzione capitalistico non avrebbe la forza di determinare una domanda aggiuntiva in grado di porre le condizioni per una riproduzione allargata e, dunque, per l’accumulazione. Di conseguenza, esso sarebbe portato a cercare uno sbocco attraverso il quale provvedere al collocamento del sovraprodotto. Se è vero che a questa osservazione si è risposto che il capitalismo, nella determinazione di una domanda in grado di indurre l’accumulazione, si serve sia della richiesta di un surplus di beni di consumo da parte dei salariati sia di un surplus di investimenti da parte dei capitalisti, potendo risolvere pertanto la questione senza la necessità di ricorrere per lo smercio futuro ad un fuori rispetto agli ambiti I e II, è pur vero che oggi sono a tutti chiari e evidenti processi di accumulazione capitalistica che sembrano fondarsi sulla penetrazione e incursione, si potrebbe dire sulla colonizzazione mercificante, di spazi geografici e ambiti della vita ancora non del tutto assoggettati al modo di produzione.

“Ma che cosa e chi sono gli acquirenti del sovraprodotto di I e II? Anche solo per realizzare il plusvalore di I e II, è necessario, secondo quanto abbiamo detto, che sia già presente uno sbocco all’infuori di I e II. Ma quello che si sarebbe così ottenuto è soltanto la conversione del plusvalore in denaro. Perché il plusvalore realizzato possa esser fatto ulteriormente servire all’allargamento della produzione, all’accumulazione, è necessaria la prospettiva di uno smercio futuro ancor maggiore, pur esso all’infuori di I e II. Il collocamento del sovraprodotto deve dilatarsi anno per anno della frazione accumulata di plusvalore. O, viceversa, l’accumulazione può compiersi solo nella misura in cui lo smercio al di fuori di I e II si allarga”[15].

L’accumulazione del capitale è legata ad ambienti non-capitalistici, dice la Luxemburg. Per questa ragione, fin dalle origini del capitalismo si determinò, fra il modo di produzione e il fuori non-capitalistico, un rapporto di scambio che permise al capitale di realizzare il proprio plusvalore ai fini di un’ulteriore capitalizzazione in denaro, di approvvigionarsi delle merci indispensabili per l’allargamento della sua produzione e, infine, di integrare e assimilare nuova forza-lavoro ridotta a una condizione di proletarizzazione tramite la dissoluzione delle forme di produzione non-capitalistiche[16].

“Lo stesso schema della riproduzione allargata, a osservarlo più da presso, ci rinvia, in tutti i suoi rapporti, a condizioni che escono dal quadro della produzione e accumulazione capitalistiche. Abbiamo finora considerato la riproduzione allargata da un solo punto di vista, cioè dalla domanda: come si realizza il plusvalore? È di questa difficoltà che gli scettici si erano finora esclusivamente occupati. In realtà, la realizzazione del plusvalore è per l’accumulazione capitalistica problema di vita. (…) la realizzazione del plusvalore richiede come prima condizione un cerchio di acquirenti all’infuori della società capitalistica. (…) L’essenziale è che il plusvalore non può essere realizzato né da lavoratori né da capitalisti ma da strati sociali o da società che non producono capitalisticamente”[17].

Il problema, per Rosa Luxemburg, non si risolve contrapponendo soltanto all’analisi del processo di accumulazione in un sistema puro, chiuso, e astratto, una trattazione che tenga conto della configurazione storicamente determinata del capitalismo. Per pagine e pagine, nella terza parte del suo libro, la rivoluzionaria polacca si sofferma a analizzare il fatto che il capitalismo non solo si origina entro un ambiente o contorno non-capitalistico ma si sviluppa e si alimenta costantemente in esso, anche nell’epoca del capitalismo contemporaneo. Marx ha sapientemente illustrato, nel capitolo XXIV del primo libro del Capitale dedicato alla cosiddetta accumulazione originaria, la scaturigine del modo di produzione capitalistico come effetto della transizione dal modo di produzione feudale. La Luxemburg afferma che l’ambiente e il contorno non-capitalistici non si configurano come condizioni di possibilità riferibili storicamente alla sola fase iniziale del capitalismo ma rappresentano la condizione di esistenza e, ad un tempo, il limite da superare, in ogni fase di sviluppo del capitalismo.

“Senonché, anche nella sua maturità piena, il capitalismo è legato in ogni suo rapporto all’esistenza contemporanea di strati e società non-capitalistici. Questo rapporto non è esaurito dalla semplice questione del mercato di sbocco per la «produzione eccedente», sollevata da Sismondi e dai successivi critici e scettici dell’accumulazione capitalistica. Il processo di accumulazione del capitale è legato alle forme di produzione non-capitalistica attraverso tutti i suoi rapporti materiali e di valore: capitale costante, capitale variabile, plusvalore; ed esse formano l’ambiente storico dato in cui quel processo si svolge. L’accumulazione non solo non può essere raffigurata nel presupposto del dominio esclusivo ed assoluto del modo di produzione capitalistico, ma è addirittura impensabile sotto ogni aspetto senza un ambiente non-capitalistico”[18].

A convalidare questa lettura della relazione di ricambio organico tra accumulazione del capitale e contesti, ambienti e forme non-capitalistiche come una relazione continua e incessante contribuiscono anche le seguenti osservazioni luxemburghiane:

“Comunque sia, l’accumulazione del capitale come processo storico è di fatto orientata, in tutti i suoi rapporti, verso strati e forme sociali non-capitalistiche. (…) La soluzione sta, nel senso della dottrina marxiana, nella contraddizione dialettica per cui l’accumulazione capitalistica esige come ambiente per il suo sviluppo formazioni sociali non-capitalistiche, procede innanzi in un continuo ricambio organico con esse, può esistere solo finché trova intorno a sé quell’ambiente”[19].

Secondo Rosa Luxemburg, si è visto, l’accumulazione in un ambiente esclusivamente capitalistico risulta impossibile. Ora, non è forse questo il luogo per appurare se la critica svolta dalla rivoluzionaria polacca agli schemi di riproduzione del secondo libro del Capitale colga nel segno. In questa sede è sufficiente limitarsi al fatto che tra i meriti da ascrivere all’analisi marxiana del processo di riproduzione sociale vi è quello relativo alla critica della teoria di Adam Smith che, tra i fattori del processo di produzione sociale totale, contemplava esclusivamente il capitale variabile e il plusvalore ma non il capitale costante. Vale comunque la pena rammentare quali fossero le ragioni che spinsero Rosa Luxemburg a impegnarsi così a fondo nella sua formulazione della teoria dell’accumulazione del capitale. Piuttosto che concentrarsi su Marx, nei confronti del quale Rosa Luxemburg non può che avere parole di profonda ammirazione, la sua polemica, sempre leale e cristallina, si volge nei confronti di chi, all’interno della II Internazionale, ha ridotto l’apparato teorico e l’insegnamento marxiano a una vuota e ridondante giaculatoria avulsa dai problemi concreti della vita reale. Come se, lo ricorda Oskar Negt, si scontrassero, sotto questo rispetto, due prospettive incommensurabili, quella dell’analisi logico-sistematica dei filologi marxisti e quella storico-empirica della Luxemburg[20].

In realtà, la critica della Luxemburg era rivolta a quella autoproclamatasi ortodossia marxista che, imbevuta di idee positivistiche, avanzava la certezza che si sarebbe automaticamente transitati dal capitalismo al socialismo, per l’aggiunta in modo indolore e per via pacifica. E senza, peraltro, la necessità di un intervento soggettivo. Un orizzonte da traguardare che non poteva che risultare paradossale, se si pensa che una tale certezza sarebbe di lì a poco naufragata di fronte alla immane tragedia della Grande Guerra. Al cospetto dell’acquiescenza attendista e del tatticismo dal corto respiro della Socialdemocrazia tedesca, Rosa Luxemburg non solo esprimeva con forza la tesi che il fenomeno storico dell’imperialismo, stante la difficoltà di realizzazione del plusvalore, derivava dagli squilibri incontrati dall’accumulazione capitalistica. Ma, faccenda ancor più travolgente, denunciando l’atteggiamento passivo proprio del riformismo socialdemocratico, ispirava la concreta possibilità che il mondo del lavoro e degli sfruttati si facesse parte attiva nella lotta al capitalismo, individuando le condizioni di possibilità in grado di determinare per via rivoluzionaria un intervento soggettivo capace di porre rimedio a potenziali ed esiziali derive catastrofiche della civiltà occidentale e dell’intero pianeta.

 

Il processo di accumulazione del capitale non conosce limiti

Rosa Luxemburg afferma che, in senso sociale, per ricchezza si intende la somma dei valori d’uso prodotti non soltanto dal lavoro ma anche dalla natura che fornisce al lavoro umano la materia su cui si esercita e lo alimenta con le sue forze[21]. Si tratta, per citare il Marx del libro I del Capitale, di un dono gratuito della natura costituito, ribadisce la rivoluzionaria polacca, “in primo luogo della terra, con tutte le ricchezze minerarie del sottosuolo, coi campi, le foreste e le acque in superficie, col patrimonio zootecnico dei primitivi popoli allevatori”[22]. L’attenzione per il mondo della natura, quale grande patrimonio da salvaguardare perché in stretta relazione con la sopravvivenza stessa della vita umana, è un tratto caratteristico presente in molti degli scritti della rivoluzionaria polacca. È possibile rintracciare questa spiccata e preoccupata consapevolezza ecologica per le conseguenze distruttive del modo di produzione capitalistico sulla natura anche in molti luoghi de L’accumulazione del capitale. Come se la presa in carico dei problemi relativi alle aspirazioni di emancipazione e liberazione degli oppressi e quelli relativi alla distruttività dell’ecosistema da parte dei meccanismi di riproduzione economica andassero di pari passo.

“Il capitale non può fare a meno dei mezzi di produzione e delle forze-lavoro dell’intero globo; ha, per l’illimitato svolgimento del suo moto di accumulazione, bisogno delle ricchezze naturali e delle forze di lavoro di tutta la terra. (…) ne viene il poderoso impulso del capitale ad impossessarsi di tutte le terre e di tutte le società”[23].

Secondo Rosa Luxemburg, uno dei grandi meriti di Marx consiste nell’aver posto il problema della riproduzione del capitale sociale, ossia di avere di fatto approfondito l’indagine sulle modalità del rinnovarsi del dispositivo che ne costituisce il tratto distintivo, ossia quello della dinamica di consumo e produzione. In questa prospettiva un ruolo importante è assunto dal raggiungimento da parte della società di un certo grado di controllo sulla natura, controllo che viene realizzato in termini economici attraverso la produttività del lavoro. Marx ha rivelato come, per la produzione capitalistica, la produzione di merci, lungi dall’essere il fine, è il mezzo attraverso il quale si perviene all’appropriazione di plusvalore.

“Scopo e motivo animatore della produzione capitalistica non è infatti il plusvalore come tale, (…) ma un plusvalore senza limiti, in progressione continua, in quantità sempre crescenti, e ciò si può ottenere soltanto con lo stesso mezzo magico: con la produzione capitalistica, cioè con l’appropriazione di lavoro salariato non pagato nel processo della produzione di merci e con la realizzazione delle merci così prodotte. La produzione sempre rinnovata, la riproduzione come fenomeno normale, trova dunque nella società capitalistica un motivo determinante del tutto nuovo, sconosciuto in qualunque altra forma di produzione”[24].

Infatti, se per tutte le altre formazioni sociali, che si sono date storicamente, l’elemento determinante la riproduzione economica è costituito dal soddisfacimento dei bisogni primari tramite un consumo mai interamente realizzato, nel caso della riproduzione capitalistica il fattore decisivo è dato dalla domanda solvibile come mezzo finalizzato alla realizzazione del plusvalore. Certo, nel modo di produzione capitalistico è comunque contemplata la produzione di merci di consumo in grado di soddisfare una domanda solvibile. Ciò malgrado, l’appropriazione di plusvalore è il motivo determinante che spinge a rinnovare lo svolgersi della circolazione e della riproduzione.

“Questo processo di appropriazione può essere accelerato in un solo modo: allargando la produzione capitalistica, che appunto crea il plusvalore. (…) Ne risulta che il modo di produzione capitalistico genera non soltanto una continua spinta alla riproduzione, ma anche una spinta al continuo allargamento della riproduzione, alla ripresa della produzione su scala ogni volta maggiore”[25].

Ne L’accumulazione del capitale compare, per illustrare, in modo creativo e efficace a un tempo, il tema della riproduzione allargata, un’immagine suggestiva e perturbante, capace, se ci si pensa bene, di ingenerare un sentimento di tragica e soffocante ansietà. È l’immagine di una spirale in continuo sviluppo, che la Luxemburg mutua da Sismondi, a significare l’incessante, continuata e inarrestabile riproduzione del capitale totale sociale.

“Se infatti la riproduzione semplice è paragonabile a un circolo percorso sempre sulla stessa traccia, la riproduzione allargata somiglia, per usare l’immagine di Sismondi, a una spirale in continuo sviluppo”[26].

L’accumulazione del capitale, una volta iniziata, si spinge meccanicamente innanzi, dice ancora la Luxemburg. L’ossessiva e martellante ricerca di un profitto sempre crescente, in grado di sopravanzare il capitale investito, costringe il capitalista a misurarsi con la perpetua necessità di allargare la produzione e, con essa, lo sfruttamento. La produzione capitalistica si estende sempre di più, assomigliando, quasi fosse regolamentata da una legge meccanica matematicamente misurabile, a una spirale in ininterrotta tensione verso l’alto:

“Il cerchio si è trasformato in una spirale tesa sempre più verso l’alto, come sotto la pressione di una legge naturale matematicamente misurabile”[27].

Rosa Luxemburg non manca di precisare che anche la produzione capitalistica, come tutte le altre forme storiche di produzione, si pone l’esigenza di rispondere, attraverso l’offerta di merci, alla domanda espressa dai bisogni della società. Del resto questa è la condizione che permette alle merci stesse di subire quella metamorfosi che consente loro di trasformarsi in denaro e al capitalista di accumulare profitto in forma monetaria destinato alla capitalizzazione e all’accumulazione. Tuttavia, il processo di riproduzione allargata funziona rispondendo a altre finalità che non a quelle di soddisfare la domanda solvibile. Lo scopo principale resta infatti quello, in regime di riproduzione allargata, dell’allargamento della sfera dell’accumulazione. Assomiglia a una giostra inarrestabile, che gira ininterrottamente estendendosi sempre di più e sottoponendo all’espansione mondiale del capitale tutto ciò che ancora non risulta colonizzato dalla logica dell’accumulazione. In regime di riproduzione allargata è implicito uno sviluppo del capitale inarrestabile e indefinito, uno sviluppo rivolto non soltanto a un allargamento della dimensione spaziale né tantomeno a una estensione della dimensione demografica ma la cui cifra è quella relazione di dominio economico e sociale in grado di addentrarsi fino alla colonizzazione delle coscienze e arrivare fino all’omologazione del vissuto degli individui.

Da qui lo sfruttamento perpetuo di tutte le risorse naturali, di tutte le ricchezze offerte gratuitamente dalla natura. L’intero orbe terracqueo, dice la Luxemburg, diventa un sostrato inerte di cui appropriarsi impunemente per disporre di un illimitato ventaglio di opzioni da individuare in funzione delle diversificate esigenze di sfruttamento delle forze produttive:

“D’altra parte, il continuo aumento della produttività del lavoro come principale metodo di elevazione del saggio del plusvalore implica l’utilizzazione illimitata di tutte le materie e risorse messe a disposizione dalla natura e dalla terra, ed è legata ad essa. Sotto questo aspetto il capitale non tollera, per sua natura e modo di esistenza, limitazioni di sorta. (…) La produzione capitalistica si basa fin dalle sue origini, nelle sue forme e leggi di sviluppo, sull’intero orbe terracqueo come serbatoio delle forze produttive. Nella sua spinta all’appropriazione delle forze produttive a fini di sfruttamento, il capitale fruga tutto il mondo, si procura mezzi di produzione da tutti gli angoli della terra, li conquista o li acquista in tutti i gradi di civiltà, in tutte le forme sociali. (…) Per l’impiego produttivo del plusvalore realizzato è necessario che il capitale abbia sempre più a disposizione l’intero globo in modo da avere una possibilità quantitativamente e qualitativamente illimitata di scelta nei suoi mezzi di produzione”[28].

​È il tema dell’assenza di limiti al processo di valorizzazione e accumulazione, che porta il capitale a saturare tutti gli ambiti e le sfere dell’esistenza e a coincidere tendenzialmente con l’intero pianeta. Si tratta di una tendenza che è immanente al modo di produzione capitalistico e che, potenzialmente, come individua per tempo la Luxemburg, è foriera di esiti catastrofici. Ma la previsione di una possibilità di esiti catastrofici non va scambiata con la convinzione che il capitalismo sia orientato irreversibilmente e deterministicamente alla rovina e al tracollo definitivi. Qui si corre il rischio, come supponevano, per citare ancora la Luxemburg, gli epigoni marxisti della II Internazionale, di intendere lo svolgimento storico come caratterizzato da un esito finalisticamente già predeterminato. Il fatto è che, piuttosto che significare necessariamente il crollo automatico e definitivo del sistema, la crisi coincide con la capacità del modo di produzione di superare gli squilibri e le sproporzioni per recuperare ad un livello differente, anche se spesso in maniera traumatica, una condizione di restaurato e implementato equilibrio complessivo. Che questo equilibrio complessivo venga raggiunto a spese della totalità naturale e a mezzo dello sfruttamento dell’intera umanità soggiogata e oppressa non rappresenta, dal punto di vista del capitale, una valida ragione perché esso debba arrestare la propria logica riproduttiva. Quel che è certo è che la crisi apre alla possibilità di un cambiamento radicale. Ma questa potenzialità di cambiamento, tuttavia, non può configurarsi come uno sbocco storico necessario e deterministicamente orientato. Essa si traduce in realtà sempre che emerga quella soggettività in grado di cogliere l’occasione per imprimere una svolta allo svolgimento degli eventi e fissare nella dimensione dell’alternativa storica, per dirla con Rosa Luxemburg, lo sbocco verso cui orientare l’urto decisivo e generale contro la dominazione capitalistica.


Note:
[1] R. Luxemburg, L’accumulazione del capitale. Contributo alla spiegazione economica dell’imperialismo. Appendice. Ciò che gli epigoni hanno fatto della teoria marxista. Una anticritica, Pgreco Edizioni, Milano, 2012.
[2] O. Negt, Rosa Luxemburg e il rinnovamento del marxismo, p.331 in AA.VV, Storia del marxismo, Vol. 2, Il marxismo nell’Età della Seconda Internazionale, Einaudi, Torino, 1979, pp.315-355.
[3] K. Marx, Il Capitale. Critica dell’economia politica, Libro II, Editori Riuniti, Roma, 1989, p.511.
[4] Ivi, p.516.
[5] Ivi, p.518.
[6] Ivi, p.517.
[7] Ivi, pp.526-527.
[8] Ivi, p.518.
[9] Ibid.
[10] Ivi, p.522.
[11] Ivi, p.516.
[12] Ivi, p.515.
[13] P. M. Sweezy, Introduzione in L’accumulazione del capitale, cit., p.XVII.
[14] R. Luxemburg, Una anticritica in L’accumulazione del capitale, cit., pp.487-488.
[15] R. Luxemburg, L’accumulazione del capitale, cit., p.124.
[16] Ivi, p.488.
[17] Ivi, p.345.
[18] Ivi, p.360.
[19] Ivi, p.361.
[20] O. Negt, Rosa Luxemburg e il rinnovamento del marxismo, cit., p.331.
[21] R. Luxemburg, L’accumulazione del capitale, cit., pp168-169.
[22] Ivi, p.365.
[23] Ivi, p.360.
[24] Ivi, pp.15-16.
[25] Ivi, p.17.
[26] Ivi, p.100.
[27] Ivi, p.103.
[28] Ivi, pp.351-352.
[29] Ivi, p.586.

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ernesto rossi
Thursday, 04 April 2019 15:54
Marx scrivendo il Capitale, descrisse il capitalismo ai capitalisti, i quali in una fase ancora microeconomica, appresero sul come comportarsi; gli epigoni non avranno altro che applicare ferreamente quella che comunque è una creazione e in quanto tale può essere cambiata. La ferreità di questo sistema e la fedeltà corrispondente, da parte dei succesivi, è dovuto anche all'errata considerazione della Filosofia Scientifica, come portatrice della Verità assoluta. Pretesa non vera ed appartenete alla precedente Filosofia Speculativa, visti sempre gli interessi truffaldini di questa che furono così e a tuttoggi, traslati sulla Scienza. Avrebbe fatto meglio a scrivere il Comunismo, deviando se non altro, l'immagine nella mente sul cosa fare, in maniera più opportuna. Chiarendo ovviamente sulla necessità di provare e regolare costantemente il Sistema. Poi esistono le ragioni della Forza, all'epoca favorevoli al popolo ed oggi non più; motivo per cui assistiamo sempre e solo al fenomeno degli intellettuali di Sinistra, che agiscono da dementi nei confronti degli idioti. Ricordo al lettore che "idiota", significa che il soggetto capisce ma in ritardo, il demente è solo più veloce ma capisce comunque dopo... La Destra crea incessante e i sinistri capiscono dopo; ci scrivono un libro che viene apprezzato dagli idioti che finalmente capiscono, senza però mai rendersi conto che ormai non serve a niente, al massimo il demente è riuscito a campare senza raccogliere pomodori e vive tronfio nella sua apposizione di scrittore e intellettuale. Intellettuale infecondo però e quindi inutile. Resta inscalfita la Questione Ecologica, mentre imperversa la sua pseudo soluzione cattolico-conservatrice, fatta propria anche dai sinistri, vuoi per opportunismo demente, vuoi per pura ignoranza di parte popolare. I raccoglitor di pomodori credono dunque che facendo gli straordinari come monnezzari, il cerchio è chiuso. I dementi invece, essendo imitatori degli epigoni degli epigoni, ormai ridotti a quasi robot, ci propinano pezzi svariati e a volte omnicomprensivi di una miriade di proposte, spesso confliggenti tra loro e comunque senza capo ne coda. Nessuno ha il coraggio di affrontare la Questione Ecoogica in ordine malthussiano, primo perchè finirebbero in galera o davanti alla porta di una Chiesa, per scoprire che questa è già occupata dai raccoglitor di pomodori, secondo che altrimenti come già detto bisognerebbe andare a raccoglier pomodori, dovee il serpente si mord la coda e il lavoro manca. Meglio dunque Architetti che sproloquiano di ecologia; solo che in questo modo il tempo passa e l'omicidio degli inutili idioti si conclude e passa inosservato...
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Franco
Thursday, 04 April 2019 13:42
Sono d'accordo con Rosa L."il futuro e' avvolto in una nebulosa di cui ci sfuggono i contenuti". E' fondamentale questa frase. " il Socialismo , il Comunismo" , non sono preconcetti, non sono "sfere" di pensiero e pratiche gia' determinate. Ci puo' essere una critica del Capitalismo, ma non una determinazione pratica di cosa e' il "mondo nuovo", perche' la prassi e' nelle mani, nella testa, nel cuore di sterminate masse umane. Non puo' essere solo nella testa del piu' grande "genio". E' un "processo" , che oltretutto non da' certezze. Una societa' mondiale "migliore" non e' affatto certa, anzi. E' solo una possibilita' tra le tante. Il capitalismo funziona a " vasi comunicanti" dentro un comune insieme di categorie storiche di base. Merce, denaro, valore, lavoro, mercato. La teoria dello sganciamento di Samir Amin non ha funzionato e non funziona. In SudAmerica, in Africa, per non parlare della Cina, alla fine sono finiti tutti in un "cul de sac", proprio perche' anche se ti riesci a "liberare" , almeno parzialmente, dal colonialismo, resti dentro il mercato mondiale perche' le sue categorie economico-culturali ti inglobano inesorabilmente. Non ci puo' essere il "Socialismo" in un solo paese. E' per questo che il capitalismo e' un sistema "insuperabile" ancora per molto tempo. Come minimo. Le sue immanenti aporie devono svilupparsi ancora di piu' in profondita' su tutto il globo, portando alla estreme conseguenze la possibilita' di esistenza del genere umano. Questa e' la sua folle forza. E la esercitera' fino in fondo. Cordiali Saluti.
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Enrico Galavotti
Thursday, 04 April 2019 11:04
La II Internazionale non poteva accettare quel libro di Rosa, poiché se il capitalismo ha bisogno del colonialismo per riprodursi, qualsiasi riformismo nelle aree metropolitane è un tradimento del socialismo. Idee come queste si ritrovano in Hosea Jaffe, Gunder Frank, Samir Amin, Vasapollo ecc. che non a caso sono sempre stati letti poco nella sinistra italiana.
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Franco
Thursday, 04 April 2019 09:53
Difficile non darle ragione Sig. Castaldo. E' puro buon senso il Suo. Oltre che la chiara realta' che abbiamo di fronte. Ma come Lei sa', il semplice e' difficile da vedere oltre che da farsi. Direi che il mondo e' pieno di "dotti" personaggi di ogni tipo che non fanno altro che "criticare" il capitalismo arrivando alla fine a riproporne la visione in forme aggiornate o tragicamente gia' viste. Forse e' la dialettica , come forma di filosofia e quindi di pensiero ,che va' rivista e analizzata criticamente. E' un'argomento gia' trattato e studiato. Ma tanti "marxisti" non vogliono proprio vederlo come problema. Vanno avanti imperterriti nella loro visione precostituita. Inseguendo e cercando un bandolo di matassa che non si puo' trovare. Si chiama circolo vizioso. E la dialettica Hegeliana forse lo e'. Ora, nella mia insignificanza, ne sono abbastanza convinto. O perlomeno, visto l'impasse teorico-pratico totale, mi sembra un'ipotesi sulla quale pensare. Ma sono in pochi quelli che, anche avendone le capacita', capiscono che bisogna cercare delle nuove strade. Oltre Hegel !?. Cordiali Saluti.
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michele castaldo
Wednesday, 03 April 2019 22:36
Caro compagno,
e meno male che c'è ancora chi legge e studia R. L. riproponendone l'attualità.
A mio parere tanto Lei quanto Marx vanno presi distinguendo il loro aspetto riguardante l'intervento politico, dalla loro analisi sulla natura del modo di produzione capitalistica.Se non si fa questa operazione si rischia di sovrapporre i due piani e ne vien fuori una confusione difficile poi da dipanare. Ciò premesso veniamo ai contenuti analitici ne L'accumulazione del capitale.
Innanzitutto va detto che i contenuti di questa straordinaria opera erano già presenti nei suoi scritti in Riforma sociale o rivoluzione contro Bernstein. La tesi
centrale era che il modo di produzione date le sue leggi era destinato al crollo. Successivamente i farisei hanno utilizzato questa tesi - scientificamente ineccepibile di un movimento storico del rapporto degli uomini con i mezzi di produzione - per infangarla di fatalismo, cioè di attendismo e tutto sommato di indifferentismo rispetto allo scontro di classe. Una vera e propria infamia perpetrata nei confronti di una grande combattente per la causa degli oppressi e sfruttati in nome del comunismo.
A giusta ragione qui viene riferito che
«la sua polemica, sempre leale e cristallina, si volge nei confronti di chi, all’interno della II Internazionale, ha ridotto l’apparato teorico e l’insegnamento marxiano a una vuota e ridondante giaculatoria avulsa dai problemi concreti della vita reale». Oggi purtroppo La si vuole usare in funzione sovranista di sinistra dato il suo "fatalismo".
Il suo ragionamento era semplice e lineare: proprio perché il capitalismo come movimento storico è un moto finito, è necessario avere una prospettiva contro di esso e sfruttare le sue difficoltà per dare uno sbocco rivoluzionario di tipo comunista al suo crollo.
Qual'è il paradosso? Quando cresceva l'accumulazione e si espandeva il modo di produzione capitalistico, lo si vedeva alla fine; oggi che quel moto va compiendo la sua parabola e sta entrando in crisi irreversibile sono scomparsi i teorici del comunismo.
«Il fatto è che, [...] Quel che è certo è che la crisi apre alla possibilità di un cambiamento radicale. Ma questa potenzialità di cambiamento, tuttavia, non può configurarsi come uno sbocco storico necessario e deterministicamente orientato. Essa si traduce in realtà sempre che emerga quella soggettività in grado di cogliere l’occasione per imprimere una svolta allo svolgimento degli eventi e fissare nella dimensione dell’alternativa storica, per dirla con Rosa Luxemburg, lo sbocco verso cui orientare l’urto decisivo e generale contro la dominazione capitalistica».
Purtroppo si tratta di un errore teorico che viene da lontano: il problema della soggettività, cioè della volontà di anticipare con la teoria programmatica lo svolgersi dei fatto storici.Da Kautsky a Lenin a Gramsci, a Mao, a Togliatti, a Che Ghevara, a Fidel e così via. Purtroppo ci cascano tutti, fin da Marx con l'11a tesi contro Feuerbach: " ..finora i filosofi hanno cercato di studiare il mondo, ora si tratta di cambiarlo".
Mentre Rosa Luxemburg ammoniva: "Il futuro è avvolto in una nebulosa di cui ci sfuggono i contenuti; noi siamo in grado solo di dire quel che non vogliamo, ma non possiamo ipotizzare quel che non vediamo".
Riuscire a spiegare che il capitalismo è un moto finito e che è destinato a implodere è il vero compito rivoluzionario di quest'epoca. La soggettività nasce e si sviluppa dall'araba fenice dell'implosione del modo di produzione capitalistico. Solo da cosa nasce cosa, per dirla con Giordano Bruno.
Michele Castaldo
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