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sinistra

La filosofia come «Kampfplatz» e l’intervento di Lenin nella “crisi delle scienze”1

di Eros Barone

lenin e bogdanovNeppure una parola di nemmeno uno di questi professori – capaci di produrre le opere più preziose in campi particolari della chimica, della storia, della fisica – può essere creduta quando si passa alla filosofia. Perché? Per la stessa ragione per la quale neppure una parola di nemmeno uno dei professori di economia politica- capaci di produrre le opere più preziose nel campo delle indagini particolari condotte sui fatti – può essere creduta quando si passa alla teoria generale dell’economia politica. Poiché quest’ultima, nella società contemporanea, è una scienza di parte, come la gnoseologia.

V.I. Lenin, Materialismo ed empiriocriticismo, Editori Riuniti, Roma 1970, pp. 336-337.

Il libro di Lenin contro l’empiriocriticismo è, secondo me, davvero eccellente.

K.R. Popper, Alla ricerca di un mondo migliore, Armando Editore, Roma 2002, p. 104.

  1. La lotta teorica marxista in una congiuntura storica controrivoluzionaria

Materialismo ed empiriocriticismo fu scritto da Lenin nel 1908, in esilio, dopo la sconfitta della rivoluzione del 1905-1907. Sotto l’imperversare del terrore controrivoluzionario, in condizioni estremamente dure, i bolscevichi lottavano per dare ordine alla ritirata, per indietreggiare senza panico e sbandamento, per conservare i quadri, raggruppare le forze, ricostituire le file. Allora, nel momento in cui, battuta la rivoluzione, maggiore era la disgregazione tra i ‘compagni di strada’ della classe operaia e più profondi l’abbattimento e la confusione tra gli intellettuali, l’offensiva controrivoluzionaria venne sferrata anche sul fronte teorico e ideologico. Nel giro di poco tempo si moltiplicarono i tentativi di revisione del marxismo e la ‘critica’ del materialismo dialettico divenne un fatto alla moda.

A questi tentativi presero parte anche intellettuali aderenti al partito bolscevico e che si professavano marxisti, come Bogdanov, Bazarov e Lunaciarski, che nel 1905 avevano militato nelle file del partito, e Iusckevic e Valentinov, che aderivano al partito menscevico, iniziarono un attacco simultaneo al materialismo storico e dialettico, e la loro critica, condotta in forma velata ed elusiva, con l’apparenza di difendere le posizioni marxiste, si rivelò ben presto più insidiosa delle altre. «Nei fatti: abbandono completo del materialismo dialettico, cioè del marxismo. A parole: infiniti sotterfugi, tentativi di eludere l’essenza della questione, di mascherare la loro ritirata, di mettere, al posto del materialismo in generale, un qualunque materialista; rifiuto categorico di esaminare direttamente le innumerevoli affermazioni materialistiche di Marx ed Engels». Dunque, una vera e propria «rivolta in ginocchio», ma diffusa e massiccia se dette alla luce in meno di sei mesi, come Lenin ricorda, «quattro volumi dedicati in principal modo e quasi interamente ad attacchi contro il materialismo dialettico»; quattro volumi, che portavano l’offensiva generale contro il marxismo nel seno stesso del partito bolscevico.

Come in altre occasioni era già accaduto con le varie filosofie accademiche alla moda (ad esempio, con il neokantismo), così anche allora, in nome della “teoria contemporanea della conoscenza” o della filosofia “moderna” di E. Mach e di R. Avenarius, si tentò di scalzare le basi teoriche del marxismo, di liquidarne il fondamento materialistico, di “sviluppare” il pensiero di Marx e di Engels fino a “conciliarlo” con le affermazioni confuse ed intricate della cosiddetta filosofia empiriocriticista. Sennonché, pur essendo nato per battere in breccia il revisionismo russo, Materialismo ed empiriocriticismo ha oltrepassato di molto l’occasione polemica da cui è nato. Il libro non è solo la critica di A. Bogdanov e compagni, e dei loro maestri in filosofia Avenarius e Mach; né è solo l’esame più vivo ed articolato che si conosca delle correnti positiviste dominanti in Europa tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento; ma è innanzitutto una difesa e una ripresa classica dei princìpi del materialismo dialettico: la prima grande opera teorica, scritta dopo la morte di Marx e di Engels, che raggiunge di colpo l’altezza dell’Antidühring, della Miseria della filosofia, della Dialettica della natura.

Tuttavia, non si comprenderebbe pienamente il valore di Materialismo ed empiriocriticismo se, dopo averne sottolineato lo stretto legame con le opere più alte del pensiero marxista, non si precisasse che diversa è la congiuntura storica in cui il libro è maturato, mutati gli avversari, trasformati e approfonditi i termini stessi della lotta. Per comprendere questo aspetto tanto significativo occorre, infatti, considerare quello che è l’obiettivo principale degli scritti filosofici di Marx e di Engels. Tale obiettivo rimane, in fondo, lo stesso degli anni di formazione del marxismo, di quando cioè i due fondatori del materialismo storico avvertirono più vivamente il bisogno di fare i conti con la loro “anteriore coscienza filosofica” e di chiarire quindi il contrasto tra il nuovo modo di vedere e la vecchia concezione ideologica della filosofia tedesca. In sostanza, questo obiettivo è sempre, per un verso, la critica ad Hegel visto come il coronamento e l’apice della “filosofia classica tedesca”, e, per un altro verso, la critica a Feuerbach che rappresenta la prima rottura consapevole con la filosofia tradizionale e l’antecedente immediato del materialismo storico e dialettico. La filosofia insediatasi nelle università e dominante nella Germania della seconda metà del secolo riscuote da parte di Marx e di Engels, a differenza dell’economia, della storia e delle scienze della natura che assorbono sempre più, col passar degli anni, il loro interesse, un’attenzione marginale e sporadica e solo nella misura in cui essa dimostra la decadenza della cultura borghese. Marx stigmatizzerà, sì, nel poscritto alla seconda edizione del Capitale (1873), «i molesti, presuntuosi e mediocri epigoni» che spadroneggiano «nella Germania colta» e trattano Hegel come «un cane morto». 2 Engels satireggerà nella prefazione all’Antidühring (1878) «i sistemi di cosmogonia, di filosofia della natura in generale, di politica, di economia ecc. che spuntano come i funghi a dozzine». 3 Ma questi riferimenti critico-polemici non andranno mai oltre il limite di brevi notazioni. E anche quando, come accadrà una quindicina di anni dopo nel Feuerbach e il punto d’approdo della filosofia classica tedesca (1888), l’attenzione si concentrerà sulla decadenza della filosofia borghese e si tradurrà nella denuncia del modo in cui «i rappresentanti ufficiali di questa scienza sono diventati gli ideologi aperti della borghesia e dello Stato odierno (...) in un momento in cui l’una e l’altro sono in contrasto con la classe operaia», l’intento generale non sarà mai quello di sottoporre ad esame il «misero minestrone eclettico che viene servito nelle università sotto il nome di filosofia», bensì, come Engels avverte nella nota preliminare, solo quello di fornire «un’esposizione breve e sistematica» dei rapporti intrattenuti da lui e da Marx con Hegel e con Feuerbach, tornando così a descrivere un nodo teoretico già toccato nel vecchio manoscritto del 1845-1846. 4

 

  1. Fare i conti con la filosofia borghese nella fase della sua degenerazione: empiriocriticismo e revisionismo

Prevale, in sostanza, nei due fondatori del socialismo scientifico, la convinzione, del resto giustissima, che ormai la filosofia non possa più progredire oltre Hegel se non per la via che conduce al marxismo. E «se ciò nonostante i neokantiani si sforzano di dare una nuova vita in Germania alla concezione kantiana, e gli agnostici di dare una nuova vita alla concezione di Hume in Inghilterra (...), ciò rappresenta per la scienza – avverte Engels -, rispetto alla confutazione teorica e pratica che da tempo queste concezioni avevano ricevuto, un passo addietro». 5 Scomparso, insieme con la filosofia classica, il vecchio spirito teorico spregiudicato e subentrati al posto di esso «un eclettismo vuoto di pensieri, le ansie e le preoccupazioni per la carriera e per il guadagno, giù giù, fino all’arrivismo più volgare», l’elaborazione scientifica della filosofia passa ormai nelle mani della classe operaia, là dove, cioè, «si mantiene intatto il senso teorico tedesco». 6 Di qui la constatazione che non si debba più guardare alla filosofia borghese come a una scienza ma solo come al “mezzo” (dirà J. Dietzgen) adottato dai signori professori per difendersi dal socialismo. E di qui il disinteresse di Marx e di Engels per essa negli anni in cui più vivamente li assorbe l’elaborazione del nuovo materialismo e la sua verifica nel campo dell’economia, della storia e delle scienze della natura.

Ancora qualche decennio, tuttavia, e il compito di fare nuovamente i conti con la filosofia borghese nella fase della sua degenerazione acquisterà un carattere urgente. Quella che Mehring chiamava la filosofia “postclassica” tedesca acquisterà infatti, tra il 1880 e la fine del secolo, un nuovo carattere, talché, a poco a poco, prenderà gradualmente risalto, tra le varie filosofie universitarie ed eclettiche, fino a divenire motivo centrale e loro unica ragion d’essere, la lotta contro il materialismo moderno. Così, nel momento in cui ha inizio la fase nuova e suprema del capitalismo, e la filosofia borghese, già storicamente esausta e ormai svuotata di ogni valore scientifico, diviene uno strumento al servizio diretto dell’imperialismo, il prodotto più tipico della filosofia accademica, l’eclettismo, è ora utilizzato, da una parte, per assolvere la funzione di amalgama tra le varie ideologie delle classi possidenti che il capitale finanziario – per le gigantesche dimensioni assunte, per la sua concentrazione in poche mani, per la fitta e ramificata rete di relazioni e di collegamenti – ha cominciato a mettere alle proprie dipendenze, e, dall’altra, la funzione di veicolo dell’ideologia imperialista all’interno stesso della classe operaia. Parimenti, mentre sul terreno pratico comincia a stringersi quel legame tra l’imperialismo e l’opportunismo nel movimento operaio che Lenin denuncerà nella grande analisi del 1917, sul terreno ideologico ha inizio la nuova fase della filosofia borghese diretta, dapprima, ad alimentare le varie forme di revisionismo e poi, quando la situazione sarà divenuta più difficile, a produrre le forme estreme e più torbide di oscurantismo.

Tipico in questo senso è il caso dell’empiriocriticismo, che nasce tra la fine dell’Ottocento e il primo decennio del nuovo secolo come una filosofia accademica, insieme con la scuola neokantiana di Marburgo, con la cosiddetta “filosofia dei valori” e con l’“immanentismo” di Schuppe, Schubert-Soldern e Rehmke. Se si volesse prescindere dal suo legame con le posizioni revisionistiche di Bogdanov e compagni, si potrebbe a prima vista considerarlo come un’innocua elucubrazione professorale, come una filosofia destinata a circolare solo nella cerchia ristretta di un’università. Sennonché è un dato di fatto, ammesso oggi da qualsiasi manuale, che tutte le tesi dell’empiriocriticismo contengono ‘in nuce’ i tratti salienti del neopositivismo, del fenomenismo, del pragmatismo, della psicofisica, di tutte le forme più o meno larvate, in breve, del solipsismo e dell’irrazionalismo moderno. È sufficiente, ad esempio, prendere la celebre tesi empiriocriticista sulla “coordinazione fondamentale”, cioè sulla “coordinazione indissolubile del nostro Io e dell’ambiente”, per cui tanto l’Io quanto l’ambiente sarebbero dati come termini connessi e inseparabili di un unico e primordiale “insieme dell’essere”; o la concezione della verità come “forma organizzatrice dell’esperienza umana”, la tesi cioè secondo cui il mondo fisico, anziché costituire il presupposto e la condizione dell’esperienza collettiva, si identificherebbe con questa stessa esperienza “socialmente coordinata, socialmente armonizzata, socialmente organizzata”; oppure ancora le negazione dell’esistenza di leggi oggettive nel mondo della natura (ossia la tesi, affermata specialmente per l’influenza di Mach, secondo la quale le leggi naturali vengono considerate soltanto come affermazioni di esperienze, cioè di un susseguirsi di sensazioni); o, infine, la concezione secondo cui “la materia è una possibilità costante di sensazioni” (formula a suo tempo coniata da J. Stuart Mill), vale a dire semplice oggetto virtuale del nostro pensiero. Tutte queste concezioni dell’empiriocriticismo, alle quali se ne potrebbero aggiungere ancora molte altre, sono divenute patrimonio di correnti del Novecento come il neorealismo americano, l’ontologia esistenziale di Heidegger, il pragmatismo di Dewey ecc. E patrimonio di tutte o quasi queste correnti filosofiche è diventata la stessa tesi fondamentale dell’empiriocriticismo, cioè la sua pretesa di “superare” l’alternativa classica di materialismo e idealismo, di considerare come un problema “mal posto” il grande problema fondamentale di tutta la filosofia e, segnatamente, della filosofia moderna: il problema del rapporto del pensiero con l’essere. 7

 

  1. L’antinomia tra idealismo e materialismo e la ricerca di una “terza via”

Orbene, tutti questi laboriosi tentativi di trovare ad ogni costo un punto di vista “nuovo” in filosofia (che è appunto la caratteristica di fondo comune a tutta la filosofia borghese dell’età imperialista) dimostrano non solo la povertà di spirito e l’eclettismo costituzionale (analogo a quello dei tentativi di creare una “nuova” teoria del valore, una “nuova” teoria della rendita ecc.) di questa filosofia, ma anche la sua profonda decadenza rispetto alla grande tradizione del pensiero classico. Mentre, infatti, in tutti i propri argomenti antimaterialistici e in tutte le sue idee sull’eliminazione “economica” della “materia” l’empiriocriticismo rivela la sua dipendenza da una filosofia vecchia di oltre due secoli come l’idealismo soggettivo del vescovo G. Berkeley, per la forma, invece, esso tenta ad ogni costo di mascherare questa dipendenza, facendo ricorso a una terminologia nuova e complicata. Così, se Bazarov, tanto per fare un esempio, usa in sostanza contro Plechanov, sul problema dell’esistenza fuori di noi, gli stessi argomenti formulati da Berkeley contro il materialismo, per la forma, invece, in cui questi argomenti vengono presentati, Bazarov, Avenarius, Mach e tutti i moderni fabbricanti di nuovi sistemi si differenziano profondamente da Berkeley, poiché, mentre quest’ultimo delinea le due correnti fondamentali della filosofia (materialismo e idealismo) «con la nettezza, la chiarezza e la franchezza che distinguono i filosofi classici», 8 essi, al contrario, si sforzano in tutti i modi di occultare l’esistenza di questa alternativa e di nascondere, quindi, il carattere chiaramente idealistico delle loro proprie posizioni. «Attraverso tutti gli scritti di tutti i machisti – afferma Lenin – passa, come un filo rosso, l’ottusa pretesa di “elevarsi al di sopra” del materialismo e dell’idealismo, di superare questa contrapposizione “invecchiata”, ma in realtà tutti questi compari cadono a ogni piè sospinto nell’idealismo, poiché conducono una lotta ininterrotta e inflessibile contro il materialismo. Le raffinate escogitazioni gnoseologiche di un qualsiasi Avenarius restano invenzioni professorali, tentativi di fondare una “propria” piccola setta filosofica, ma in realtà, nelle condizioni generali della lotta delle idee e delle tendenze della società contemporanea, la funzione obiettiva di questi artifici gnoseologici è una e soltanto una: spianare la via all’idealismo e al fideismo, mettersi fedelmente al loro servizio». 9

Non una filosofia nuova, dunque, ma una filosofia che ritorna a Berkeley, che si riporta, cioè, alla fase iniziale della cultura moderna per cercare ispirazione proprio là dove l’esercizio del pensiero è ancora posto sotto la giurisdizione della fede, lo spirito critico ancora esitante, la ragione ancora incerta. Tutto ciò contribuisce ad attribuire alla filosofia una funzione ancillare rispetto alla fede religiosa: ecco che cosa è l’empiriocriticismo. Laddove questa predisposizione si manifesta non tanto nelle singole affermazioni, contrassegnate ora dalla ricerca di un compromesso “filosofico” con la religione ora dall’aperto riconoscimento della religione, che pure emergono con una certa frequenza nei testi dei vari scrittori machisti; ma per la ragione oggettiva e ben più profonda che fa del fideismo (indipendentemente dalla consapevolezza del singolo pensatore) lo sbocco necessario e conseguente di ogni posizione idealistica, di ogni negazione cioè dell’esistenza di un mondo esterno al di fuori della nostra coscienza. Se, infatti, il ‘prius’ non è il mondo ma il pensiero, se, cioè, «la natura è derivata, va da sé – argomenta Lenin – che essa non può derivare che da qualcosa di più grande, più ricco, più vasto, più potente della natura, da qualcosa che esiste...fuori della natura». «Nel linguaggio comune questo qualcosa si chiama Dio»; nella filosofia idealistica è indicato con le espressioni «idea assoluta, spirito universale, volontà universale». 10 Viene pertanto stabilito un legame organico e indissolubile tra l’idealismo e la religione: un legame che, già presente in Hegel per il quale condizione necessaria dell’“essere di Dio” è la “nullità dell’essere del mondo”, diviene ancora più palese ed operante in tutta la filosofia borghese post-hegeliana sia per il carattere soggettivistico che in essa torna ad assumere l’idealismo (il che spiega il prevalente richiamo a Fichte, a Kant o addirittura alla scepsi di Hume, anziché ad Hegel), sia per il diverso rapporto in cui questa filosofia viene ora a trovarsi con la ricerca scientifica coeva. E infatti, mentre nel suo sforzo di fornire un quadro complessivo del mondo l’idealismo classico si trovò a dover escogitare collegamenti immaginari tra i diversi campi della realtà quasi sempre in assenza di nessi che fossero già accertati dall’indagine scientifica (formulando il più delle volte, tuttavia, ipotesi e intuizioni verificate successivamente dalla scienza), l’empiriocriticismo, al contrario, svolge una funzione frenante rispetto alla ricerca scientifica proprio quando quest’ultima conosce il suo massimo sviluppo e «i periodi transitori di malattia» che essa attraversa si configurano come «malattie di crescenza», dovute soprattutto «al crollo improvviso dei vecchi concetti tradizionali». 11

 

  1. L’empiriocriticismo e la “crisi delle scienze”

Indicativa in questo senso è la funzione assolta dal machismo nella cosiddetta crisi della fisica contemporanea. E infatti, se la nebbia delle “indeterminazioni” che ristagna sulla fisica odierna è per lo più originata dall’incompiutezza stessa della teoria nella sua forma attuale e rappresenta quindi qualcosa di temporaneo e di storicamente transitorio nello sviluppo di questa nuova concezione, l’idealismo che penetra all’interno della fisica vi opera proprio con l’intento di elevare questi limiti congiunturali dell’attuale indagine scientifica (ad esempio, l’“indeterminazione” nella descrizione delle particelle elementari) al livello di una “indeterminazione di principio”, trasformando poi quest’ultima in una vera e propria “inconoscibilità di principio”. Approfittando del fatto che la conoscenza di aspetti nuovi e fino ad ora insondati della realtà ha determinato l’improvvisa caduta della concezione classica del mondo fisico, l’empiriocriticismo si sforza di spacciare come una confutazione del materialismo e come una riprova della cosiddetta “scomparsa” della materia, il fatto che si siano rivelate come relative alcune proprietà e alcune leggi fondamentali della materia, considerate per lungo tempo come immutabili. Così, mentre proprio «il materialismo dialettico insiste sul carattere approssimativo, relativo di ogni teoria scientifica sulla struttura della materia e le sue proprietà; insiste sull’inesistenza, in natura, di limiti assoluti, sul passaggio della materia in movimento da uno stato a un altro che, apparentemente, dal nostro punto di vista, è incompatibile col primo», 12 i teorici machisti della nuova fisica tentano di attribuire proprio al materialismo moderno quel riconoscimento di certi elementi immutabili, dell’“essenza immutabile delle cose” ecc., che caratterizza soltanto il vecchio materialismo metafisico e antidialettico.

Da questo punto di vista, l’errore del machismo in generale e della nuova fisica machista consiste nell’ignorare che «il materialismo e l’idealismo differiscono per la diversa soluzione che essi danno al problema dell’origine della nostra conoscenza, dei rapporti tra la conoscenza (...) e il mondo fisico». Perciò, quando essi dicono che «la materia scompare», ciò può significare e significa solo – dice Lenin - «che scompare il limite al quale finora si arrestava la nostra conoscenza della materia, significa che la nostra conoscenza si approfondisce; scompaiono certe proprietà della materia che prima ci sembravano assolute, immutabili, primordiali (impenetrabilità, inerzia, massa ecc.) e che ora si dimostrano relative, inerenti soltanto a certi stati della materia». «L’elettrone non è meno inesauribile dell’atomo, la natura è infinita, ma esiste infinitamente e questo riconoscimento – unico riconoscimento assoluto, unico riconoscimento categorico – della sua esistenza fuori della coscienza e delle sensazioni dell’uomo distingue il materialismo dialettico dall’agnosticismo relativista e dall’idealismo». «Poiché l’unica “proprietà” della materia il cui riconoscimento è alla base del materialismo filosofico, è la proprietà di essere una realtà obiettiva, di esistere fuori della nostra coscienza». Questa è l’unica cosa immutabile che vi sia: «il riflesso nella coscienza umana (quando esiste una coscienza umana) del mondo esterno, che esiste e si sviluppa indipendentemente da essa». 13 In una parola, l’idealismo “fisico” dei nostri giorni ha fatto breccia in un ramo delle scienze naturali non già perché la scoperta di nuovi aspetti della sostanza e della forza, della materia e del movimento, autorizzino in qualche modo conclusioni idealistiche, ma solo perché una scuola di scienziati non ha saputo elevarsi dal materialismo metafisico (che era la vecchia concezione dominante nella scienza ottocentesca) al materialismo dialettico; e, in particolare, perché essa non ha saputo interpretare alla luce della dialettica di relativo ed assoluto il principio del relativismo, della relatività della nostra conoscenza, che è il principio che si impone ai fisici con particolare vigore in un periodo di crollo repentino delle vecchie teorie. Sono dunque chiari e indubbi i difetti del vecchio materialismo, e cioè l’incomprensione della relatività di tutte le teorie scientifiche, l’ignoranza della dialettica, la sopravvalutazione della concezione meccanicistica ecc. E tuttavia sarebbe un errore – e un errore da cui deve preservare proprio l’attenta lettura dell’opera di Lenin – estendere la portata della critica al materialismo metafisico fino al punto di sostenere (come pure talvolta è stato sostenuto) che il marxismo è un superamento tanto della filosofia idealistica quanto di quella materialistica, o meglio ancora che esso è il tertium datur di cui discorre l’empiriocriticismo. Infatti, è vero che Marx ed Engels hanno sempre condannato il cattivo materialismo (e, in primo luogo, il materialismo antidialettico), ma essi lo hanno condannato a partire dal punto di vista del “nuovo materialismo” (Xª tesi su Feuerbach), 14 del materialismo dialettico, del materialismo più elevato, e non da quello di Hume e di Berkeley. A Büchner e soci Marx ed Engels non hanno rimproverato «d’essere stati materialisti, come pensano gli ignoranti, ma di non aver fatto progredire il materialismo», di non aver compreso il materialismo storico, di aver cioè conservato l’idealismo “in alto”, nel campo della scienza sociale. «Su tutte le altre questioni, più elementari, del materialismo (snaturate dai machisti) non c’è e non può esserci nessuna differenza tra Marx ed Engels da una parte e tutti i vecchi materialisti dall’altra». 15

 

  1. Il materialismo dialettico al primo posto

«Marx ed Engels, come anche Joseph Dietzgen, entrarono nel campo della filosofia quando tra gli intellettuali avanzati in generale, e negli ambienti operai in particolare, dominava il materialismo. È perciò del tutto naturale che Marx ed Engels rivolgessero tutta la loro attenzione a non ripetere le vecchie cose, ma a promuovere un serio sviluppo teorico del materialismo, ad applicarlo alla storia, cioè a completare la costruzione dell’edificio della filosofia materialistica fino alla sommità. È del tutto naturale che, nel campo della gnoseologia, si limitassero a correggere gli errori di Feuerbach, a deridere le banalità del materialista Dühring, a criticare gli errori di Büchner (si veda a tale proposito J. Dietzgen), a sottolineare ciò che faceva particolarmente difetto a questi scrittori, che erano i più diffusi e i più popolari negli ambienti operai, e precisamente: la dialettica. Marx, Engels e J. Dietzgen non si preoccupavano delle verità elementari del materialismo, intorno alle quali volgarizzatori ambulanti strillavano in decine di pubblicazioni; ma rivolgevano tutta la loro attenzione a evitare che queste verità elementari del materialismo non fossero rese volgari, non fossero eccessivamente semplificate, non conducessero a un ristagno del pensiero (“materialismo in basso, idealismo in alto”), non facessero dimenticare il frutto prezioso dei sistemi idealistici, la dialettica hegeliana...Se ci si fa un’idea un po’ concreta delle condizioni storiche in cui sono nate le opere filosofiche di Engels e di J. Dietzgen, diviene del tutto chiara la ragione per cui essi si sono separati nettamente dai volgarizzatori delle verità elementari del materialismo, piuttosto che difendere queste stesse verità». Parimenti, Marx ed Engels si sono separati dai volgarizzatori delle rivendicazioni fondamentali della democrazia politica piuttosto che difendere essi stessi queste rivendicazioni». 16 Ma, se per il particolare momento storico in cui si trovarono ad operare Marx ed Engels rivolsero la loro maggiore attenzione al compito di sviluppare il materialismo e di renderlo più completo e coerente liberandolo da tutte quelle incrostazioni idealistiche “in alto”, che sono il complemento immancabile e il contrappasso inevitabile di ogni concezione meccanicistica, e perciò rivolsero il loro interesse più verso la concezione materialistica della storia che verso la gnoseologia materialistica, misero a preferenza l’accento sul materialismo dialettico anziché sul materialismo dialettico, più sul materialismo storico che non sul materialismo storico; profondamente diverso è il compito che dall’epoca di Lenin in poi, cioè dall’epoca dell’imperialismo, si pone al pensiero marxista. In questo periodo, infatti, «la filosofia borghese si è particolarmente specializzata nella gnoseologia e, assimilando in forma unilaterale e travisata alcune parti costitutive della dialettica (per esempio, il relativismo), rivolge un’attenzione preponderante alla difesa e alla rinascita dell’idealismo in basso e non dell’idealismo in alto». Questa constatazione, che è assolutamente vera quanto meno per il positivismo in generale e il machismo in particolare che «si sono dedicati molto di più a falsificare sottilmente la gnoseologia, contraffacendo il materialismo, avvolgendo l’idealismo in una terminologia pseudo-materialistica, e hanno prestato poca attenzione alla filosofia della storia», ha fatto sì – incalza Lenin – che taluni intellettuali, giunti al marxismo in questo periodo, abbiano «imparato meccanicamente la teoria economica e storica di Marx, senza comprenderne la sostanza, cioè il materialismo filosofico», 17 abbiano cercato di essere materialisti “in alto” senza evitare un confuso idealismo “in basso”.

 

  1. «Il mondo come lo contemplarono gli ittiosauri e gli archeopterigi»: gli empiriocriticisti a Jurassic Park

Nel quarto paragrafo del primo dei tre capitoli che dedica al confronto tra la teoria della conoscenza nell’empiriocriticismo e nel materialismo dialettico, Lenin elabora un’argomentazione particolarmente efficace ed elegante per confutare una delle tesi idealistiche implicite nell’impostazione soggettivistica che i machisti e i loro compagni dànno al seguente quesito: «Esisteva la natura prima dell’uomo?».

Egli osserva, per prima cosa, che tale quesito è particolarmente scottante per la filosofia di Mach e Avenarius. In effetti, nota Lenin, le scienze naturali affermano con sicurezza che la terra esisteva in condizioni tali che né l’uomo né in generale qualsiasi altro essere vivente esisteva e poteva esistere su di essa. Di conseguenza, non esistendo ancora la materia organica che è frutto di un lunghissimo sviluppo, non vi era né una materia dotata di sensibilità, né i «complessi di sensazioni» che sono, secondo l’empiriocriticismo, gli elementi costitutivi delle nostre conoscenze, né tampoco un Io «indissolubilmente» legato all’ambiente, come presume la teoria di Avenarius. Lenin ribadisce pertanto la tesi fondamentale secondo cui la materia è primordiale, mentre il pensiero, la coscienza e la sensazione sono il prodotto di uno sviluppo molto elevato della materia, e sottolinea che tale tesi caratterizza la teoria materialistica della conoscenza, sulla quale poggiano istintivamente le scienze naturali. Quindi, enunciata questa premessa, pone la domanda cruciale: «Hanno i più noti rappresentanti dell’empiriocriticismo notato questa contraddizione fra la loro teoria e le scienze naturali?». La risposta è che l’hanno notata, e però hanno posto apertamente la questione: con quali ragionamenti si può eliminare questa contraddizione? Lenin ritiene che tre modi di trattare tale questione presentino un particolare interesse dal punto di vista del materialismo: quello dello stesso Avenarius e quelli dei suoi allievi J. Petzoldt e R. Willy. In questa sede è sufficiente, per avere un’idea dello stile argomentativo di Lenin, soffermarsi sul ragionamento ‘ad hoc’ svolto da Avenarius per “conciliare” la teoria empiriocriticista della conoscenza con i risultati delle scienze naturali.

Orbene, Avenarius cerca di eliminare la contraddizione con le scienze naturali per mezzo della teoria del termine centrale «potenziale» della coordinazione. La coordinazione consiste nel legame «indissolubile» tra 1’Io e l’ambiente. Per eliminare l’assurdità evidente di questa teoria, il suo autore introduce l’idea del termine centrale « potenziale ». Come spiegare, per esempio, lo sviluppo dell’uomo dall’embrione? È possibile affermare che l’ambiente (= controtermine) sussiste se il «termine centrale» è rappresentato da un embrione? Il sistema embrionale C - risponde allora Avenarius - è «il termine centrale potenziale nei confronti del futuro ambiente individuale». Il termine centrale potenziale non è mai eguale a zero, anche quando i genitori non esistono ancora, ma esistono soltanto le «parti costitutive dell’ambiente»...suscettibili di diventare genitori. In tal modo la coordinazione è indissolubile e l’empiriocriticista è obbligato ad affermare ciò al fine di salvare le basi della sua filosofia: le sensazioni e i loro complessi. L’uomo è il termine centrale di questa coordinazione e, quando l’uomo non esisteva, quando esso non era ancora nato, il termine centrale non era ciononostante eguale a zero, era solo...un “termine centrale potenziale”. A questo punto, Lenin esclama: non si può che meravigliarsi che vi sia della gente capace di prendere sul serio un filosofo che offre simili ragionamenti! Come si può di fatto parlare seriamente di una coordinazione, la cui indissolubilità consiste nel fatto che uno dei suoi termini è potenziale? Questo non è forse misticismo, non è forse la soglia stessa del fideismo? Se si può concepire un termine centrale potenziale nei riguardi dell’ambiente futuro, perché non concepirlo nei riguardi dell’ambiente passato, cioè dopo la morte dell’uomo? Voi direte: Avenarius non ha dedotto tale conclusione dalla sua teoria. Sì, per questo però la sua teoria assurda e reazionaria non è diventata migliore, ma soltanto più pusillanime. Nel 1894 Avenarius non esponeva sino in fondo la sua teoria, oppure temeva di esporla, di portarla fino alle

sue ultime conseguenze. Ma ecco che Schubert-Soldern nel 1896 si basa appunto su questa teoria, proprio per trarre conclusioni teologiche, che provocarono nel 1906 l’approvazione di Mach.

Dopo aver ricordato che Engels aveva pienamente ragione di attaccare Dühring, ateo dichiarato, per il fatto che questi lasciava in modo inconseguente degli spiragli aperti al fideismo nella sua filosofia, Lenin, rivolgendosi ai sostenitori ‘marxisti’ della filosofia empiriocriticista, osserva causticamente: e vi è da noi gente che vorrebbe passare per marxista e diffonde tra le masse una filosofia che porta diritto al fideismo! Sennonché, nella stessa pagina citata da Lenin, Avenarius scrive quanto segue: «Si potrebbe credere che proprio dal punto di vista dell’empiriocritìcismo le scienze naturali non hanno diritto di porre la questione riguardo a quei periodi del nostro ambiente attuale che hanno preceduto nel tempo l’esistenza dell’uomo». E risponde: «Colui che pone questa questione non può evitare di aggiungere mentalmente se stesso. Infatti, - continua Avenarius - ciò che vuole lo scienziato si riduce in sostanza solo a questo: come si dovrebbe configurare la terra...prima dell’apparizione degli esseri viventi o dell’uomo se io mi aggiungo mentalmente come spettatore, pressappoco come se noi dalla nostra terra potessimo osservare con l’aiuto di strumenti perfezionati la storia di un altro pianeta o anche di un altro sistema solare». L’oggetto non può esistere indipendentemente dalla nostra coscienza: «Noi vi aggiungiamo sempre mentalmente noi stessi come intelletto che cerca di conoscere l’oggetto».

Questa teoria della necessità di « aggiungere mentalmente » la coscienza umana ad ogni cosa, alla natura anteriore all’uomo, è – incalza Lenin - un sofisma cosi evidente che è perfino imbarazzante esaminarlo. Se noi «aggiungiamo mentalmente» noi stessi, la nostra presenza sarà immaginaria, mentre l’esistenza della terra prima dell’uomo è reale. Infatti l’uomo non ha potuto, per esempio, osservare come spettatore la terra incandescente, e «pensare» la sua presenza sulla terra incandescente è oscurantismo esattamente allo stesso modo che se uno si mettesse a difendere l’esistenza dell’inferno con l’argomento: se io mi «aggiungessi mentalmente» in qualità di osservatore, potrei osservare l’inferno. Insomma, la “conciliazione” dell’empiriocriticimo con le scienze naturali consiste in ciò, che Avenarius acconsente graziosamente ad « aggiungere mentalmente » qualche cosa, la cui possibilità è esclusa dalle scienze naturali.

Lenin conclude la sua confutazione, rilevando che nessun uomo appena istruito e sano di mente può mettere in dubbio che la terra esisteva quando in essa non vi poteva essere vita, sensazione, «termine centrale», e di conseguenza tutta la teoria di Mach e Avenarius, secondo la quale la terra è un complesso di sensazioni («i corpi sono complessi di sensazioni»), oppure un «complesso di elementi nei quali il fisico e lo psichico sono identici», oppure un «controtermine il cui termine centrale non può mai essere eguale a zero», è oscurantismo filosofico, è riduzione all’assurdo dell’idealismo soggettivo.

Dopo aver preso in esame, discusso e confutato i tentativi in senso idealistico e in senso solipsistico compiuti rispettivamente da Petzoldt e da Willy per far quadrare i conti della teoria empiriocriticista con i risultati delle scienze naturali, Lenin giunge a concludere che la soluzione può essere soltanto una: riconoscere che il mondo esterno riflesso nella nostra coscienza esiste indipendentemente dalla nostra coscienza. Soltanto questa soluzione materialistica, ribadisce Lenin, è compatibile effettivamente con le scienze naturali.

Lenin passa quindi ad esaminare la posizione dei machisti russi, così come emerge nei Saggi intorno alla filosofia del marxismo di V. Bazarov, il quale scrive: «A noi ora non resta che discendere, guidati dal nostro fedele vademecum [si tratta di Plechanov, il marxista russo allora più autorevole], nell’ultimo e più terribile girone dell’inferno solipsista, in quel girone dove tutto l’idealismo soggettivo è, secondo Plechanov, minacciato dalla necessità di rappresentarsi il mondo come lo contemplarono gli ittiosauri e gli archeopterigi. “Trasportiamoci mentalmente - scrive Plechanov - all’epoca in cui sulla terra esistevano soltanto i lontani avi dell’uomo, per esempio nell’epoca secondaria. Si chiede: che ne era allora dello spazio, del tempo, della causalità? Di chi, questi, erano allora forme soggettive? Forme soggettive degli ittiosauri? E quale spirito dettava allora le sue leggi alla natura? Lo spirito degli archeopterigi? A queste domande la filosofia di Kant non può dare nessuna risposta. Ed essa deve essere scartata come assolutamente inconciliabile con la scienza contemporanea”». Qui Bazarov interrompe la citazione, tratta da un testo di Plechanov su Feuerbach, proprio prima di una frase che è, come si vedrà, molto importante: «L’idealismo dice: senza soggetto non c’è l’oggetto. La storia della terra dimostra che l’oggetto esisteva molto tempo prima che apparisse il soggetto, cioè molto tempo prima che apparissero organismi dotati di un minimo di coscienza...La storia dell’evoluzione dimostra la verità del materialismo».

A questo punto, Lenin prosegue citando la critica che Bazarov ritiene di poter muovere al concetto della ‘cosa in sé’ richiamato da Plechanov: «Ma la cosa in sé di Plechanov ci dà essa la risposta cercata? Ricordiamoci che noi non possiamo, nemmeno secondo Plechanov, avere una qualche idea delle cose quali sono in sé; noi conosciamo solo le loro manifestazioni, soltanto i risultati della loro azione sui nostri organi dei sensi. “Oltre questa azione esse non hanno nessuna forma”. Quali organi dei sensi esistevano all’epoca degli ittiosauri? Evidentemente soltanto gli organi sensori degli ittiosauri e dei loro simili. Solo le rappresentazioni degli ittiosauri erano allora le vere, reali manifestazioni delle cose in sé. Quindi il paleontologo, se vuole rimanere sul terreno “reale”, deve, anche secondo Plechanov, scrivere la storia dell’epoca secondaria sotto forma di contemplazione del mondo da parte degli ittiosauri. E quindi non facciamo neanche qui un passo in avanti in confronto al solipsismo».

In altri termini, Bazarov ritiene di aver preso Plechanov con le mani nel sacco. Se le cose in sé, - obietta Bazarov a Plechanov - non hanno alcuna forma oltre l’azione sui nostri organi dei sensi, significa che esse non esistevano nell’epoca secondaria altrimenti che come «forma» degli organi dei sensi degli ittiosauri. E questo sarebbe il ragionamento di un materialista?! Se la «forma» è il risultato dell’azione della ‘cosa in sé’ sugli organi dei sensi, ciò significa forse che le cose non esistono indipendentemente da qualsiasi organo dei sensi?

Dal canto suo, Lenin ribatte in modo dialetticamente inesorabile: «Ma ammettiamo per un istante (per quanto improbabile sia quest’ipotesi) che Bazarov “non abbia veramente compreso” le parole di Plechanov, che queste gli siano apparse confuse. Ammettiamo che sia cosi. Domandiamo: Bazarov si esercita forse in giochi di prestigio contro Plechanov (che poi i machisti proclamano unico rappresentante del materialismo!) oppure intende chiarire una questione riguardante il materialismo ? Se Plechanov vi è apparso confuso o contraddittorio, ecc., perché non prendete altri materialisti? Perché non ne conoscete? Ma l’ignoranza non è un argomento.

Se in realtà Bazarov non sa che il postulato fondamentale del materialismo è l’ammissione del mondo esterno, dell’esistenza delle cose al di fuori della nostra coscienza e indipendentemente da essa, allora in effetti siamo in presenza di un caso di estrema ignoranza veramente eccezionale. Ricordiamo al lettore che Berkeley nel 1710 rimproverava ai materialisti di ammettere gli “oggetti in sé” esistenti indipendentemente dalla nostra coscienza che li riflette. Naturalmente ognuno è libero di mettersi dalla parte di Berkeley e di non importa chi contro i materialisti. Ciò è incontestabile, ma è altrettanto incontestabile che parlare di materialisti e mutilare o ignorare il postulato fondamentale di tutto il materialismo, significa introdurre nella questione una confusione imperdonabile. È giusto, come ha detto Plechanov, che per l’idealismo non c’è oggetto senza il soggetto e che per il materialismo l’oggetto esiste indipendentemente dal soggetto che lo riflette più o meno giustamente nella sua coscienza? Se non è giusto, ogni persona che abbia un po’ di rispetto per il marxismo avrebbe dovuto indicare questo errore di Plechanov e prendere, per ciò che riguarda il materialismo e la natura anteriore all’uomo, non Plechanov ma qualcun altro, per esempio Marx, Engels, Feuerbach. Se invece è giusto, o comunque se voi non siete in grado di trovare qui l’errore, il vostro tentativo di imbrogliare le carte, di confondere nella testa del lettore la più elementare concezione del materialismo nella sua distinzione dall’idealismo, è un atto di disonestà intellettuale.»

Nella conclusione di questo paragrafo letterariamente gustoso e filosoficamente incisivo di Materialismo ed empiriocriticismo Lenin richiama perciò un passo di Feuerbach in cui questi, trattando lo stesso tema della discussione che qui è stata riasssunta, replica a R. Haym.

Feuerbach scrive: «La natura, che non è oggetto dell’uomo o della coscienza, è per la filosofia speculativa o almeno per l’idealismo una cosa in sé kantiana [riparleremo dettagliatamente della confusione che i nostri machisti fanno tra la cosa in sé kantiana e la cosa in sé materialistica, - avverte Lenin], un’astrazione priva di ogni realtà, ma è appunto la natura che porta l’idealismo al fallimento. Le scienze naturali, almeno nel loro stato attuale, ci portano necessariamente a un punto in cui non esistevano ancora le condizioni dell’esistenza umana, in cui la natura, cioè la terra, non era ancora un oggetto di osservazione per l’occhio e la coscienza umana, in cui la natura era per conseguenza un’entità assolutamente non umana. Al che l’idealismo può replicare: ma questa natura è una natura pensata da te. Certo, ma ciò non vuol dire che questa natura non sia realmente esistita, in un certo periodo di tempo, come dalla circostanza che Socrate e Platone non esistono per me se io non li penso, non discende che Socrate e Platone non siano realmente esistiti una volta senza di me». 18

 

  1. Materialismo ed empiriocriticismo: una ricapitolazione del contenuto e alcune osservazioni sulla forma 19

«Una falsificazione del marxismo sempre più raffinata, una presentazione sempre più raffinata di dottrine antimaterialistiche in veste marxista: ecco ciò che caratterizza il revisionismo moderno sia nell’economia politica che nelle questioni della tattica, sia nella filosofia in generale che nella gnoseologia e nella sociologia». 20

Scritte centodieci anni orsono, queste parole conservano oggi tutto il loro valore di fronte ai tentativi, divenuti prassi costante, di “conciliare” il marxismo con i più recenti indirizzi della filosofia borghese. Basta pensare quanto l’idealismo eserciti ancora profondamente la sua influenza non tanto nella versione tradizionale quanto in quelle (oggi in voga) del neopositivismo, dello strumentalismo e dell’ermeneutica, senza contare lo sfruttamento massiccio di quel serbatoio dell’irrazionalismo che è offerto dai testi di Nietzsche e l’imperversare dell’eclettismo che contrassegna le varie tendenze del “pensiero debole” e dell’ontologia esistenziale di ispirazione heideggeriana; basta pensare a tutto ciò, si diceva, per comprendere l’importanza che questa opera di Lenin può avere ai fini di un radicale rinnovamento della nostra cultura.

E, in realtà, Materialismo ed empiriocriticismo ha in sé la forza per costituire il nucleo propulsivo di una ricerca filosofica e scientifica innervata dalla dialettica materialistica. La sua rigorosa coerenza, la sua “durezza”, l’assenza di mezzi termini fanno di quest’opera la pietra di paragone ideale per tutte quelle posizioni che sinceramente mirano a un superamento dell’idealismo nelle sue forme più cangianti: essa segna il discrimine tra il vecchio e il nuovo; è un pungolo che deve spingere i ricercatori e gli studiosi a riflettere sulla loro pratica filosofica e scientifica, prendendo almeno visione del sua sottotitolo («Note critiche su una filosofia reazionaria»); rappresenta uno stimolo potente a mettere in discussione le posizioni attuali della filosofia borghese; è, in ogni caso, un’opera che non va rimossa o relegata in soffitta, ma meditata pagina per pagina e posta al centro di un rilancio chiaro, conseguente e deciso del pensiero marxista. 21

Il tratto distintivo della prosa di Lenin è, come ha giustamente osservato Gramsci, il “sarcasmo appassionato”. 22 Va detto, a questo riguardo, che non saremo mai abbastanza grati alla dea latina Prorsa della regolarità dei parti cui presiede, così come ai classici del socialismo scientifico dei servigi che hanno reso a questa dea. Ma va anche ricordato che uno dei campi in cui il “sarcasmo appassionato” di leniniana e gramsciana memoria si è espresso è, oltre a quello, assai noto, della polemica politico-ideologica, quello, assai meno conosciuto, della pratica filosofica.

Data l’importanza strategica che rivestono nella lotta politica e teorica le questioni affrontate a questo livello, è quindi il caso di riservare una congrua attenzione all’attività dispiegata dal grande rivoluzionario russo in campo filosofico e, segnatamente, al libro intitolato Materialismo ed empiriocriticismo che di tale attività è il frutto più sostanzioso e vi occupa il posto senza dubbio centrale. Questo libro, il cui vigore polemico e il cui valore teoretico sono potenziati dallo stile antiaccademico e, per certi versi, rude ed elementare che lo contrassegna, fu scritto nel 1908 nel periodo di riflusso e di ripiegamento che seguì la rivoluzione del 1905. La documentazione su cui poggia comprende una gran mole di scritti filosofici e scientifici, tra cui figurano, oltre a quelli prodotti da pensatori classici come Berkeley, Hume, Kant e altri ancora, quelli composti da esponenti tuttora importanti dell’epistemologia scientifica contemporanea, come Mach, Duhem, Poincaré, Boltzmann, Hertz, Helmholtz e altri.

Il fulcro di quest’opera è la teoria della conoscenza, nell’àmbito della quale Lenin difende il punto di vista del materialismo o, come oggi si ritiene più corretto dire, del realismo. 23 La tesi che l’autore sostiene è che gli oggetti  quali che essi siano: bicchieri, tavoli o sedie, non meno che atomi o molecole  esistono fuori e indipendentemente dal pensiero, anziché essere soltanto rappresentazioni della nostra mente. Il punto di vista opposto, che Lenin combatte, è quello rappresentato dall’empiriocriticismo di Mach e Avenarius  una forma di positivismo fenomenistico , sotto il cui influsso si trovavano allora alcuni comunisti, come Bogdanov, Bazarov ed altri, che, avendo adottato l’epistemologia di Mach, erano diventati, all’interno della frazione bolscevica, il bersaglio della polemica di Lenin. 24

La tesi che l’empiriocriticismo sostiene è quella secondo cui affermare l’esistenza di oggetti esterni, al di là delle nostre sensazioni, significa applicare all’esperienza e alla scienza una metafisica illegittima. Per gli esponenti di questo indirizzo di pensiero, infatti, ciò che è dato e verificabile sono solo le nostre percezioni (senza distinzione di ‘dentro’ e ‘fuori’). Sennonché l’obiezione principale che Lenin rivolge a questa variante dell’“idealismo soggettivo” è che una simile tesi risale alla dottrina dell’immaterialismo spiritualistico del vescovo anglicano Berkeley, la quale si può riassumere nella celebre formula: “Esse est percipi” (l’essere delle cose coincide con il loro essere percepite da un soggetto). Grazie a questa obiezione Lenin coglie due piccioni con una fava: da un lato, mostra che l’empiriocriticismo, il quale presume, attenendosi ai soli dati della percezione, di costituire una ‘terza via’ rispetto all’alternativa tra idealismo e materialismo, è invece figlio del fideismo religioso; dall’altro, prova il nesso di implicazione che intercorre fra il materialismo, posizione filosofica esente da ipoteche religiose, e l’ateismo.

Il binomio Mach-Berkeley può apparire sorprendente, se si considera che Mach, oltre che un filosofo, è stato un fisico importante, a cui la ‘teoria della relatività’ di Einstein deve non poco, e che il vescovo Berkeley fu un nemico della scienza, da lui considerata fonte del materialismo e dell’ateismo. Tuttavia, l’argomentazione di Lenin non è affatto riduttiva o peregrina, come potrebbe apparire a prima vista. Proprio perché afferma con forza il valore conoscitivo della scienza e non la considera solo uno strumento o un artefatto pratico, proprio perché vede in essa, per quanto incompiuta, provvisoria e perfettibile possa essere, una descrizione della realtà e, quindi, una forma fondamentale della conoscenza, Lenin congiunge indissolubilmente il materialismo con l’ateismo: il primo, infatti, negando il ruolo delle cause finali nella conoscenza della natura, costituisce, indipendentemente dal grado di consapevolezza dello scienziato, il presupposto e il ‘modus operandi’ della scienza, di cui il secondo, sempre per gli stessi motivi, è il correlato organico e, per così dire, strutturale.

È dunque difficile disconoscere la straordinaria importanza della tesi leniniana, che assume un ancor maggiore risalto se si considera che il libro in cui essa è esposta in modo ampio, approfondito e pugnace fu scritto nel pieno della ‘crisi dei fondamenti’ della meccanica classica e della nascita dei nuovi indirizzi, di cui tenne conto: la scienza implica necessariamente il materialismo, poiché, in assenza di questo, viene a mancare l’oggettività a cui riferire le teorie scientifiche. Questa è la ragione profonda per cui la sorte dell’ateismo appare intrecciata a quella della scienza: “simul stabunt, simul cadent”.

Ma l’importanza della tesi che afferma il valore conoscitivo della scienza si può pienamente apprezzare anche attraverso il confronto con la posizione di Mach, per il quale la scienza non descrive e non spiega nulla, è solo uno strumento per correlare le sensazioni tra di loro e, in tal modo, realizzare un’“economia di pensiero” (questo è lo ‘strumentalismo’ che sarà combattuto da Popper, il maggior filosofo della scienza che abbia prodotto il Novecento). Va detto, peraltro, che la visione della scienza, che ebbe Mach, apparve riduttiva già a grandi fisici come Boltzmann, le cui riflessioni epistemologiche erano ben note a Lenin, e come Planck che, nello stesso anno in cui Lenin scrisse Materialismo ed empiriocriticismo, affermò, in aperta polemica con Mach e in consonanza con le successive prese di posizione dello stesso Einstein, che la scienza, senza realismo, 25 si dissolve.

Ma in Materialismo ed empiriocriticismo vi sono altre due teorie di Lenin, che sono costitutive del materialismo dialettico e che qui possono soltanto essere accennate.

La prima è la ‘teoria del rispecchiamento’, ove Lenin ripropone la stessa istanza della ‘verità come corrispondenza’, che è quanto dire della priorità dell’essere rispetto al pensiero, fatta valere da Aristotele nel libro IX della Metafisica, in cui è dato leggere quanto segue: «Non perché noi ti reputiamo bianco, tu sei bianco davvero, ma, all’incontro, perché tu sei bianco, pensiamo il vero noi che ti diciamo tale». 26

La seconda teoria concerne il rapporto tra scienza e filosofia, a proposito del quale il rivoluzionario russo, dimostrando un acume sorprendente in un uomo che, pur essendo di altissima levatura, non era un professionista della ricerca filosofica (ma quanto spesso accade di trovare gemme di autentica filosofia nelle attività e nelle riflessioni dei ‘non-filosofi’!), distingue tra il “concetto filosofico” e il “concetto scientifico” di materia, laddove il primo si riduce ad affermare la semplice esistenza di una realtà indipendente dal pensiero, senza dire in che cosa essa consista, perché non spetta alla filosofia il cómpito di determinare come la realtà sia fatta, mentre il secondo è interamente deputato alla scienza, che è la sola che possa stabilire se quella realtà sia un corpuscolo, un campo elettromagnetico o un’altra entità ancora.

In conclusione, le osservazioni finora svolte dovrebbero essere sufficienti a comprovare, per un verso, l’inconsistenza delle critiche rivolte all’opera di Lenin dal cosiddetto ‘marxismo occidentale’, spesso tanto sofisticato quanto intriso di idealismo, e, per un altro verso, la notevole affinità, sul piano filosofico, tra l’opera di Lenin e l’epistemologia di Popper, che deriva, in buona sostanza, dalla comune posizione del realismo gnoseologico 27e trova un esplicito e puntuale riscontro in un passo del libro di Popper, Alla ricerca di un mondo migliore, 28ove è dato registrare questo giudizio: «Il libro di Lenin contro l’empiriocriticismo è, secondo me, davvero eccellente».

 

8. Da Materialismo ed empiriocriticismo ai Quaderni filosofici: svolta o continuità?

L’apertura simultanea di diversi fronti, che caratterizza il testo filosofico di Lenin, se ne rende difficile la lettura, non implica però né confusione né dispersione degli argomenti. In effetti, Lenin si batte su tutti i fronti, ma sempre con le stesse armi. La principale di queste è una tesi che conferisce coerenza e unità al sistema delle posizioni difese dal pensatore russo: la tesi cosiddetta del riflesso, attinta da Engels, che costituisce l’oggetto di una ripetizione instancabile nella prima parte di Materialismo ed empiriocriticismo e che si può enunciare in questi termini: il pensiero è il riflesso del mondo esterno che esiste fuori e indipendentemente dalla nostra coscienza.

Come è noto, questa tesi centrale del riflesso, che viene esposta e argomentata nei tre primi corposi capitoli dell’opera, ha dato ansa ad una controversia circa il significato filosofico, la portata politica dell’intervento del 1908 e, segnatamente, la continuità del pensiero filosofico di Lenin. I termini di tale controversia si possono riassumere nella forma di un’alternativa: è vero o no che nella prima parte di Materialismo ed empiriocriticismo Lenin sostiene contro i suoi avversari una teoria sensistica della conoscenza?

A questo proposito, alcuni interpreti pongono in risalto il fatto che l’unico riferimento filosofico preciso e particolareggiato che Lenin introduce è quello concernente Diderot come antagonista di Berkeley, e citano passi come il seguente: «La materia è ciò che, agendo sugli organi dei nostri sensi, produce la sensazione; la materia è la realtà obiettiva data a noi dalle sensazioni», 29 e altri passi analoghi, i quali sembrano confermare che Lenin ha adottato il punto di vista del sensismo e persino, per usare le sue stesse espressioni, del “sensismo obiettivo”. Altri interpreti tentano di derubricare questi passi considerandoli come una manifestazione di ingenuità filosofica o addirittura come un “errore” di Lenin rettificato ed emendato, sei anni più tardi, nei Quaderni filosofici grazie ad una lettura critica della Scienza della logica di Hegel.

Insomma, la critica di Materialismo ed empiriocriticismo, formulata dal punto di vista dei Quaderni filosofici, è un ‘leitmotiv’ di quell’ossimoro teorico che è il revisionismo (anti-) marxista contemporaneo. Perfino uno studioso comunista serio come Luciano Gruppi è stato incapace di prendere le distanze da essa scrivendo una prefazione nettamente derogatoria a Materialismo ed empiriocriticismo, nella quale declassa il testo a «polemica riaffermazione della teoria della conoscenza materialistico-dialettica» e arriva a confinare nelle pagine interne (per l’esattezza a pagina 13) il fondamentale sottotitolo: Note critiche su una filosofia reazionaria, peraltro espunto drasticamente dalla prima pagina della copertina.

Altri studiosi, infine, si rifiutano a ragione di scorgere in Materialismo ed empiriocriticismo il frutto di una esagerazione polemica, ne sottolineano invece la radicale novità che esso rappresenta nella storia della filosofia e vedono nel “sensismo” di Lenin un problema di terminologia e, più profondamente, un problema di strategia filosofica connesso al fatto che Lenin si trovò ad affrontare i suoi avversari sul loro terreno e non sul proprio. Sennonché, come fa giustamente rilevare Lecourt nel suo importante saggio su Lenin e la crisi delle scienze, 30 la problematica del “riflesso” sarà ripresa, esposta negli stessi termini, nei Quaderni filosofici, le cui tesi – è bene ripeterlo - non sono affatto in contraddizione con le tesi di Materialismo ed empiriocriticismo.

 

9. “Identità della identità con la non identità”: Lenin con Hegel contro il soggettivismo kantiano e la ‘cosa in sé’

La critica hegeliana della cosa in sé ha per Lenin il merito di mostrare che nel concetto di ‘cosa in sé’ può scorgersi l’effetto tipico della soluzione che Kant dà al duplice, e congiunto, problema del rapporto tra essere e pensiero (= problema ontologico) e del carattere oggettivo delle conoscenze (= problema gnoseologico): cioè la subordinazione idealistica del primo problema al secondo problema, che, in modo implicito e preliminare, risolve il primo problema nel senso del primato del pensiero sull’essere.

Si ha qui una convergenza tra il percorso seguito da Lenin e il percorso seguito da Hegel nella critica a Kant. Tuttavia si delinea subito anche una divergenza, perché Lenin risolve il problema ontologico in un senso opposto a quello hegeliano. Lenin infatti concorda con Hegel nel criticare la ‘cosa in sé’ come una “vuota astrazione”, perché la ritiene una realtà fantastica, ossia la posizione in sé contraddittoria di un essere la cui esistenza è stata cancellata dalla subordinazione idealistica del problema ontologico al problema gnoseologico. Scrive Lenin a tale proposito: «Il ‘Ding an sich’ di Kant è una vuota astrazione, ma Hegel esige astrazioni che corrispondano alla Sache [cosa]», e poco più oltre precisa: «Hegel esige (...) una logica in cui le forme siano ‘gehaltvolle Formen’, forme del contenuto vivente, reale, connesse inseparabilmente con il contenuto». 31 Ma quando Hegel sviluppa la sua critica per mostrare che la ‘cosa in sé’ impedisce di pensare che nella conoscenza umana è l’essere come logos che si esprime, l’idea assoluta che parla, Lenin sorride e passa oltre. Esprime invece il suo accordo quando Hegel osserva che porre la ‘cosa in sé’ come inconoscibile significa arrestare la dinamica della conoscenza e non poter concepire il pensiero come movimento, giacché in tal modo si assolutizza quello che è soltanto il momento di un processo.

Un altro fattore di convergenza tra il percorso di Lenin e il percorso di Hegel sul terreno della lettura di Kant consiste in ciò, che Lenin della critica di Hegel conserva l’idea secondo cui la conoscenza è un processo e i suoi oggetti sono solo momenti di trapasso. Sennonché, quando questo movimento giunge con Hegel a partorire la natura, Lenin scoppia a ridere: “ah-ah!”, chiosa in margine. Indubbiamente la concordanza tra Lenin ed Hegel risiede nella centralità della critica del soggettivismo kantiano, il che risulta evidente quando, riprendendo un passo di Hegel sulla ‘cosa in sé’, Lenin lo commenta in questi termini: «L’essenza dell’argomentazione è, a mio giudizio, che...in Kant la conoscenza separa (esclude) la natura e l’uomo, mentre in realtà li congiunge». 32 In breve, Lenin ripropone dal suo punto di vista tutto ciò che nella critica hegeliana dissolve la categoria di soggetto.

È qui palese il carattere dialetticamente ancipite della critica di Lenin, che, nel rivolgersi contro l’idealismo assoluto di Hegel, ad un tempo supera e conserva il suo oggetto, estrapolandone tutte le posizioni in cui l’assoluto lavora contro il soggettivo, nel mentre respinge la categoria di assoluto nella sua configurazione hegeliana. Parimenti, a proposito della figura teoretica che riveste un ruolo fondamentale nel sistema hegeliano, vale a dire «il concetto dell’unità dell’esser differente e del non esser differente, - oppure quello dell’identità della identità con la non identità», «concetto che si potrebbe riguardare – scrive Hegel – come la prima e più pura (cioè più astratta) definizione dell’assoluto», 33 ecco il commento di Lenin: «Hegel è (secondo Engels) il materialismo posto con la testa all’ingiù: elimino quindi in gran parte il buon Dio, l’assoluto, l’idea pura, ecc.». 34 Lenin accetta l’assoluto hegeliano in ciò che esso ha di antisoggettivistico e ‘traduce’ quest’ultimo nei termini di un “oggettivismo” che ritiene essere ìnsito nella concezione di Hegel. Eliminare “in gran parte” l’assoluto di Hegel significa allora prendere atto del bisogno che Hegel ha di questa categoria per dissolvere il soggettivismo della teoria kantiana della conoscenza, scartando ciò che di idealistico è contenuto nell’uso hegeliano di tale categoria.

Muovendo da quanto ha enucleato da Hegel in base ad un’interpretazione oggettivistica, Lenin definisce il processo hegeliano come intrinseco e necessario. Egli scrive con l’enfasi che accompagna le scoperte filosofiche importanti: «Movimento e “automovimento” (NB questo! Un movimento per impulso proprio (autonomo), spontaneo, intrinsecamente necessario), “mutamento”, “movimento e vitalità”, “principio di ogni automovimento”, “impulso” (‘Trieb) al “movimento” e all’“attività”, opposizione al “morto essere”: chi crederebbe che questa è l’essenza dell’“hegelismo”, dell’astratto e ‘abstrus’ (pesante, assurdo?) hegelismo?? Questa sostanza bisogna scoprire, capire, ‘hinüberretten’, liberare dalla scorza, depurare, cosa che hanno fatto Marx ed Engels». 35

Nello scritto intitolato A proposito della dialettica il concetto or ora esposto viene così sviluppato: «L’identità degli opposti (o, forse, è meglio dire: la loro “unità”? [...]) è il riconoscimento (la scoperta) di tendenze contraddittorie, che si escludono reciprocamente, opposte, in tutti i fenomeni e processi della natura (spirito e società compresi). Condizione della conoscenza di tutti i processi del mondo nel loro “automovimento”, nel loro sviluppo spontaneo, nella loro vivente realtà, è la conoscenza di essi come unità degli opposti. Lo sviluppo è “lotta” degli opposti». 36 La dialettica si configura perciò, a questo punto, come l’orizzonte rivoluzionario dell’anticriticismo hegeliano: un orizzonte mobile che emerge in ultima analisi da una concezione dinamica del primato dell’essere e acquista la propria autonomia teoretica con lo sganciamento di quest’ultimo da quella subordinazione al problema gnoseologico che Kant ha istituito attraverso la teoria della conoscenza e il correlativo primato del soggetto.

 

10. Continuità, coerenza e approfondimento del materialismo dialettico leniniano: il rapporto tra ontologia e gnoseologia

Come si è mostrato poc’anzi, non sussiste alcuna contraddizione tra Materialismo ed empiriocriticismo e i Quaderni filosofici. L’anticritica del criticismo kantiano sviluppata da Hegel nel secondo testo svolge infatti lo stesso ruolo assolto nel primo dal ricorso al “sensismo obiettivo” ‘giocato’ in funzione antimachista: in entrambi i casi si punta a situare il problema ontologico al giusto posto, riconoscendo il suo ruolo fondamentale e fondativo sia rispetto all’antinomia tra materialismo e idealismo, sia rispetto al problema della oggettività della conoscenza. Identico è il ruolo di alternativa e di contravveleno all’agnosticismo delle tendenze filosofiche e scientifiche moderne, svolto in entrambi i testi dalla filosofia hegeliana, fermo restando che la maggiore ampiezza con cui essa sarà analizzata e approfondita nei Quaderni filosofici rispetto a Materialismo ed empiriocriticismo è legata al differente obiettivo che caratterizza le due opere: prevalentemente storico-analitico e di elaborazione teorica in quelli (quindi sotto il segno della negazione della negazione), essenzialmente critico-polemico e di attacco al revisionismo in questo (quindi sotto il segno della soluzione delle contraddizioni). 37 Solo facendo riferimento a questa congiuntura eccezionale, unica nella storia della filosofia moderna, è allora possibile spiegare la valutazione positiva del pensiero hegeliano espressa dai fondatori del socialismo scientifico e la funzione che la Scienza della logica ha potuto assolvere nella storia del materialismo dialettico e del materialismo storico. Ben si comprende come Engels abbia potuto affermare, in un passo ripreso anche da Lenin, che «l’essenziale per la confutazione» della teoria agnostica kantiana «è stato già detto da Hegel nella misura in cui si poteva farlo da un punto di vista idealistico». 38 In tal senso il materialismo dialettico non dirà niente di più, ma lo dirà in modo diverso, cioè dal punto di vista del materialismo.

Sennonché, se la logica di Hegel ha svolto una funzione decisiva nella storia del marxismo, ciò dipende dal fatto che essa ha situato al suo giusto posto il problema ontologico. In tal senso è corretto affermare, ancora una volta, che tra i Quaderni filosofici e Materialismo ed empiriocriticismo non vi sono contraddizioni. E il problema che offre il punto di vista più idoneo per valutare lo sviluppo della concezione leniniana da Materialismo ed empiriocriticismo ai Quaderni è il problema dei rapporti fra teoria e prassi.

Non a caso, nell’opera del 1908, polemizzando con i machisti secondo i quali «soltanto il successo è in grado di distinguere la conoscenza dall’errore», Lenin scrive: «Per il materialista il “successo” della pratica umana dimostra la corrispondenza delle nostre idee con la natura obiettiva delle cose che percepiamo»; 39 in altri termini, tale successo è sì un criterio di verità per le teorie, ma questa verità consiste in qualcosa d’altro, ossia nella corrispondenza fra ciò che è asserito dalla teoria e ciò che esiste nella realtà. Pertanto, il tema dell’unità teoria-prassi, che diventa centrale nei Quaderni, era già presente in Materialismo ed empiriocriticismo e l’unica differenza è che nei Quaderni esso assume un accento nuovo in quanto viene esplicitamente ricollegato a Hegel.

Tuttavia, si tratta di un approfondimento e non di una vera e propria svolta per due ragioni: in primo luogo, perché Lenin, nel riprendere il tema dell’unità teoria-prassi, pone in risalto assai più il condizionamento esercitato da quella su questa che non il condizionamento inverso (così, ad esempio, ribadisce più volte l’inefficacia a cui si trova condannata la prassi se non tiene conto dei risultati raggiunti dalla conoscenza scientifica, mentre parla in termini ben diversi degli effetti della prassi sulla conoscenza giungendo perfino a definirli come “pregiudizi”); in secondo luogo, Lenin svolge, anche nei Quaderni, la tesi dell’unità teoria-prassi stabilendo un continuo e stretto legame con ciò che accade nelle scienze della natura.

 

11. Le tesi principali del materialismo dialettico 40

In conclusione, una volta esclusa l’esistenza di due filosofie di Lenin, è opportuno sottolineare che le principali tesi da lui sostenute in Materialismo ed empiriocriticismo e approfondite nei Quaderni rispetto al problema della realtà e della conoscenza, sono tesi dialettiche poste, per così dire, sotto la giurisdizione delle tesi materialistiche e fondate su di esse. Il nocciolo dell’intervento di Lenin consiste nel restaurare il giusto ordine tra queste tesi, in polemica con i bolscevichi ‘di sinistra’ che lo avevano ignorato. 41 Nei Quaderni ciò che muta è la prospettiva: le tesi dialettiche sono infatti enunciate senza schermi, a partire dalla lettura di Hegel.

Così, le diverse tesi formulate da Lenin in base al materialismo dialettico trovano la loro articolazione e la loro interconnessione in base al materialismo dialettico: la tesi fondamentale e fondativa del primato dell’essere sul pensiero; la tesi dell’antinomia tra materialismo e idealismo come caratteristica di tutta la storia della filosofia con la correlativa esclusione delle “terze vie”; la tesi della partiticità della filosofia con la correlativa esclusione della falsa neutralità della medesima; la tesi del riflesso (o rispecchiamento) come proprietà fondamentale della materia; la tesi sul carattere relativo di ogni conoscenza, in base alla quale le stesse conoscenze scientifiche, pur approssimando la realtà e avendo perciò un valore oggettivo, non riescono mai a fornircene un’immagine completa ed esauriente; la tesi secondo cui il susseguirsi di una teoria scientifica all’altra (per esempio, della fisica del Novecento al meccanicismo dell’Ottocento) non dipende dal loro carattere meramente convenzionale, bensì dal maggior approfondimento della realtà obiettiva conseguito dalle teorie nuove rispetto alle precedenti; la necessità che la prassi non si separi dalla conoscenza, se vuole davvero raggiungere le mete che si prefigge; la necessità che la teoria non proceda senza tenere conto della prassi, poiché è proprio questa a fornire le più valide verifiche dei risultati teorici; la non-definitività di alcuna prova, ragione per cui il campo delle nostre conoscenze risulta sempre aperto a nuove indagini.

A tale proposito, vale la pena di riportare il criterio metodologico che discende, quale nitido corollario, da quest’ultima tesi: «Non si deve dimenticare», questo è dato leggere in Materialismo ed empiriocriticismo, «che il criterio della pratica non può mai confermare o confutare completamente una rappresentazione umana, qualunque essa sia. Anche questo criterio è talmente “indeterminato” da non permettere alla conoscenza dell’uomo di trasformarsi in un “assoluto”; ma nello stesso tempo è abbastanza determinato per permettere una lotta implacabile contro tutte le varietà dell’idealismo e dell’agnosticismo». 42

In conclusione, se non si tiene conto della profonda continuità e insieme della differente prospettiva che caratterizza i due testi, è inevitabile finire col perdere di vista il loro oggetto e anche la natura e la portata del modo in cui Lenin interviene nel Kampfplatz filosofico per combattere il machismo e l’influenza che esso esercita sia nelle scienze contemporanee sia nelle file del partito bolscevico.

Ma in tal caso la linea portante di Materialismo ed empiriocriticismo, dove le tesi dialettiche sono subordinate alle tesi materialistiche e la “teoria della conoscenza” è posta sotto la giurisdizione di queste ultime, rischia di essere letta come la premessa di uno sviluppo in senso empiristico, e le tesi dei Quaderni come il contrassegno di una conversione di Lenin alla filosofia di Hegel. Se dunque per condurre a fondo quella lotta, Lenin ha ritenuto di potersi avvalere delle armi fornite da Hegel, la cosa non deve stupire, ove si ricordi che già Engels aveva seguito questa medesima via. Trasformare questa utilizzazione di Hegel in una conversione alla filosofia di Hegel sarebbe però assurdo, perché la realtà di cui parla Lenin è qualcosa di radicalmente diverso dalla realtà di cui parla Hegel; è senza dubbio altrettanto oggettiva, ma è essenzialmente materiale: è la realtà che viene via via rivelandosi attraverso le scienze moderne; non è una estrinsecazione dello spirito, ma è materia che produce cervello e in tal modo produce coscienza.


Note
1 Scrive Louis Althusser: «Rimane tuttavia ancora una questione fondamentale: che cosa ne è delle due grandi correnti che si affrontano nella storia della filosofia? Lenin dà a questo interrogativo una risposta selvaggia, ma sempre una risposta. Questa risposta è contenuta nella tesi celebre, e, bisogna pur dirlo, per molti scandalosa, della presa di partito in filosofia. Una tesi che suona come una parola d’ordine direttamente politica in cui partito starebbe a significare partito politico, partito comunista. Eppure basta leggere un po’ da vicino Lenin, non soltanto Materialismo ed empiriocriticismo, ma anche e soprattutto le sue analisi di teoria della storia e dell’economia per vedere che si tratta di un concetto, e non di una semplice parola d’ordine. Lenin constata semplicemente che qualsiasi filosofia prende partito, in funzione della sua tendenza fondamentale, contro la tendenza fondamentale opposta, attraverso le filosofie che la rappresentano. Ma nello stesso tempo constata che le filosofie, nella grande maggioranza, tengono moltissimo a dichiarare pubblicamente e a fornire la dimostrazione che esse non prendono partito perché non sta a loro prendere partito. Così Kant: il «Kampfplatz» di cui parla, va bene per le altre filosofie, precritiche, ma non per la filosofia critica. La sua filosofia si tiene fuori dal «Kampfplatz», in un altro luogo, di dove si assegna appunto la funzione di arbitrare i conflitti della metafisica in nome degli interessi della Ragione. Da quando esiste la filosofia, dal θεορειν di Platone, sino al filosofo «funzionario dell’umanità» di Husserl, e anche fino a Heidegger, in certi suoi testi, la storia della filosofia è dominata da questa ripetizione, che è la ripetizione di una contraddizione: la denegazione teorica della propria pratica e contemporaneamente giganteschi sforzi teorici per registrare questa denegazione in discorsi coerenti. La risposta di Lenin a questo fatto sorprendente, che sembra costitutivo della quasi totalità delle filosofie, consiste nel dirci semplicemente qualche parola sull’insistenza di queste misteriose tendenze che si affrontano nella storia della filosofia. Per Lenin, in definitiva, queste tendenze sono in rapporto con posizioni e quindi con conflitti di classe. Dico in rapporto perché Lenin non dice di più, e inoltre Lenin non dice mai che la filosofia si riduce alla pura e semplice lotta di classe, sia pure a quella che viene chiamata nella tradizione marxista la lotta di classe ideologica. Per non eccedere le dichiarazioni di Lenin, possiamo dire che ai suoi occhi la filosofia rappresenta la lotta di classe, ossia la politica. La rappresenta, il che presuppone un’istanza presso cui la politica è così rappresentata: questa istanza sono le scienze. Punto Nodale n. 1: rapporto tra la filosofia e le scienze. Punto Nodale n. 2: rapporto tra la filosofia e la politica. Tutto si decide in questo doppio rapporto. Possiamo allora avanzare la proposizione seguente: la filosofia sarebbe la politica continuata in un certo modo, in un certo campo, a proposito di una certa realtà. La filosofia rappresenterebbe la politica nel campo della teoria, per essere più precisi: presso le scienze, – e viceversa, la filosofia rappresenterebbe la scientificità della politica, presso le classi impegnate nella lotta di classe. Come poi questa funzione sia regolata, attraverso quali meccanismi sia assicurata, attraverso quali meccanismi possa essere falsata o finta, sia di regola falsata, Lenin non ce lo dice. La sua convinzione profonda è che in ultima analisi nessuna filosofia può evadere da questa condizione, sfuggire al determinismo di questa doppia rappresentazione, che la filosofia insomma esiste in qualche posto, come una terza istanza, tra queste due istanze maggiori, che la costituiscono appunto come istanza: la lotta di classe e le scienze».
Il testo da cui è tratta questa lunga, ma necessaria, citazione è reperibile in Rete al seguente indirizzo: https://www.marxists.org/italiano/althusser/leninfilosofia.htm.
2 K. Marx, Il Capitale, a cura di D. Cantimori, Editori Riuniti, Roma 1967, l. I, p. 44.
3 F. Engels, Anti-Dühring, Editori Riuniti, Roma 1985, p. 4.
4 K. Marx-F. Engels, Opere scelte, a cura di L. Gruppi, Editori Riuniti, Roma 1969, p. 1104.
5 Ibidem, p. 1116.
6 Ibidem, p. 1147.
7 Si veda ancora in Marx-Engels, Op. cit., p. 1114.
8 V.I. Lenin, Materialismo ed empiriocriticismo, prefazione di L. Gruppi, Editori Riuniti, Roma 1970, p. 23.
9 Ibidem, pp. 335-336.
10 Ibidem, p. 224.
11 Ibidem, p. 299.
12 Ibidem, p. 256.
13 Ibidem, pp. 254-257.
14 La Xª tesi su Feuerbach recita: «Il punto di vista del vecchio materialismo è la società borghese; il punto di vista del materialismo nuovo è la società umana o l’umanità sociale» (cfr. in Marx-Engels, op. cit., p. 190).
15 V.I. Lenin, Op. cit., pp. 235-236.
16 Ibidem, pp. 237-238.
17 Ibidem, pp. 324-325.
18 Ibidem, pp. 71-83. Nel riassumere il paragrafo in questione si sono omessi i riferimenti critico-bibliografici indicati da Lenin con la consueta precisione.
19 Questo paragrafo può essere letto, per la sua particolare angolazione storico-filosofica e per il suo carattere, ad un tempo, compendioso e programmatico in modo indipendente dal resto dell’articolo.
20 Ibidem, p. 325.
21 Il pensiero marxista non ha un unico punto di riferimento centrale, come il cerchio, bensì due fuochi come l’ellisse: essi sono il materialismo dialettico e il materialismo storico.
22 A. Gramsci, Quaderni del carcere, edizione critica a cura di V. Gerratana, Einaudi, Torino 1977, Quad. 26 (XII), § 5, pp. 2298-2302. In questo paragrafo Gramsci distingue finemente tra “ironia” e “sarcasmo”, precisando che «nel caso dell’azione storica, l’elemento “ironia”...indicherebbe una forma di distacco connessa allo scetticismo più o meno dilettantesco dovuto a disillusione, a stanchezza, a “superominismo”», mentre il “sarcasmo” è «l’atteggiamento caratteristico del distacco-comprensione». Proseguendo nella sua diairesi terminologica e concettuale applicata all’àmbito dell’azione storico-politica, Gramsci distingue ancora tre forme di sarcasmo: il “sarcasmo appassionato” che «nei fondatori della filosofia della prassi trova l’espressione più alta, eticamente ed esteticamente», il «sarcasmo appassionatamente “positivo”, creatore, progressivo», e «un sarcasmo di “destra”». La differenza tra queste due ultime forme consiste in ciò, che nella prima il sarcasmo viene esercitato «di fronte alle credenze e illusioni popolari (credenza nella giustizia, nell’eguaglianza, nella fraternità, cioè negli elementi ideologici diffusi dalle tendenze democratiche eredi della Rivoluzione francese)», laddove «si capisce che non si vuol dileggiare il sentimento più intimo di quelle illusioni e credenze, ma la loro forma immediata, connessa a un determinato mondo “perituro”, il puzzo di cadavere che trapela attraverso il belletto umanitario dei professionisti degli “immortali princìpi»; nella seconda forma, invece, «è sempre “negativo”, scettico e distruttivo non solo della “forma” contingente, ma del contenuto “umano” di quei sentimenti e credenze». Pertanto, il sarcasmo “positivo” «cerca di dare al nucleo vivo delle aspirazioni contenute in quelle credenze una nuova forma (quindi di innovare, determinare meglio quelle aspirazioni), non di distruggerle; al contrario, «il sarcasmo di destra cerca invece di distruggere proprio il contenuto delle aspirazioni».
23 In riferimento al termine “realismo” adoperato da uno degli scrittori da lui esaminati, Lenin pone in risalto l’ambiguità che ne caratterizza l’uso e la scelta conseguente di sostituirlo con il chiaro ed esplicito termine di “materialismo”: «Notiamo che il termine realismo è qui usato in contrapposizione all’idealismo. Seguendo Engels, uso in questo senso soltanto la parola materialismo e considero questa terminologia come la sola corretta, specialmente tenendo conto che la parola “realismo” è stata logorata dai positivisti e da altri confusionari oscillanti tra il materialismo e l’idealismo» (V.I. Lenin, Materialismo ed empiriocriticismo, Editori Riuniti, Roma 1970, p. 57).
24 Lenin nella prefazione a Materialismo ed empiriocriticismo definisce il sedicente “rinnovamento” della filosofia di Marx proposto da Bogdanov e dai suoi amici come un “revisionismo filosofico tipico” (Ibidem, p. 16).
25 Va da sé che in questo caso il termine “realismo” è, per quanto riguarda il significato, un mero allotropo del termine “materialismo”.
26 Aristotele, Metafisica, trad. it. a cura di A. Carlini, Laterza, Bari 1959, pp. 308-30 9.
27 Cfr. nota 25.
28 K.R. Popper, Alla ricerca di un mondo migliore, Armando Editore, Roma 2002, p. 104.
29 V.I. Lenin, Op. cit., pp. 142 e 168.
30 Cfr. D. Lecourt, Lenin e la crisi delle scienze, Editori Riuniti, Roma 1974. Riguardo al problema qui evocato, si veda in particolare il paragrafo sulla Ripresa leniniana delle posizioni antikantiane di Hegel (pp. 70-79).
31 V.I. Lenin, Quaderni filosofici, a cura di I. Ambrogio, Editori Riuniti, Roma 1971, pp. 91-92.
32 Ibidem, p. 91.
33 G. W. F. Hegel, Scienza della logica, trad. di A. Moni, t. I, Laterza, Bari 1974, p. 60.
34 V.I. Lenin, Quaderni cit., p. 101.
35 Ibidem, pp. 131-132.
36 Ibidem, p. 362.
37 Per la chiarificazione del differente ruolo dialettico svolto dai concetti di ‘negazione della negazione’ (o ‘negazione dialettica’) e di ‘soluzione delle contraddizioni’, si veda in questa stessa sede il paragrafo 8 del saggio dello scrivente, La Dialettica della natura di Engels: https://www.sinistrainrete.info/marxismo/16031-eros-barone-la-dialettica-della-natura-di-engels.html.
38 K. Marx-F. Engels, Opere cit., p. 1116.
39 V.I. Lenin, Materialismo cit., p. 136.
40 Quest’ultimo paragrafo è ampiamente mutuato, a livello testuale, dall’explicit del magistrale capitolo dedicato alla filosofia di Lenin nel sesto volume della Storia del pensiero filosofico e scientifico di Ludovico Geymonat. Esso vuol essere un omaggio a una personalità che - fatto assai raro nella storia degli intellettuali italiani - ha riunito nel proprio pensiero e nella propria azione le differenti, ma convergenti, figure del filosofo della scienza e dello storico della filosofia, del partigiano comunista e del militante marxista-leninista. Dal punto di vista teoretico, tuttavia, rispetto all’indirizzo prevalentemente gnoseologico di Geymonat - si parva licet... - il mio orientamento – e ritengo che ciò si avverta anche nell’impostazione del presente saggio – è prevalentemente ontologico, laddove sotto questo profilo è palese l’influenza di György Lukács. Riguardo infine all’importanza della lezione di Louis Althusser per lo scrivente (e per la generazione di marxisti a cui appartiene) è sufficiente rileggere l’incipit di questo scritto.
41 È da notare come una posizione ‘di sinistra’ in politica trovi sostegno in una posizione ‘di destra’ nella teoria.
42 V.I. Lenin, Materialismo cit., p. 139.
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