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Apologia di Lukàcs

di Carlo Formenti

luk.jpgI miei ultimi lavori (1) devono molto alla interpretazione che l’ultimo Lukacs (2) ha dato del pensiero di Marx. Analizzando i concetti fondamentali della ontologia lukacsiana in un ciclo di lezioni che sto tenendo per il Centro Studi Domenico Losurdo (la più recente si può ascoltare all’indirizzo You Tube: https://www.youtube.com/watch?v=z6q7KhmGK5g ) mi sono reso conto che, in tutte le cose che ho sin qui scritto e detto su di lui, ho fatto solo brevi accenni alla sua biografia. È vero che, ragionando su un pensiero di grande spessore le considerazioni relative all’opera tendono a prevalere su quelle dedicate alla figura dell’autore, tuttavia, nel caso specifico, tale approccio non è del tutto appropriato. Non solo perché la sua vicenda umana ha incrociato eventi storici di enorme portata - la Prima guerra mondiale, le Rivoluzioni russa e ungherese, lo stalinismo, la Seconda guerra mondiale, l’insurrezione ungherese del 56 – e personaggi della statura di Georg Simmel, Max Weber, Thomas Mann, Ernst Bloch, Lenin e Stalin. Ma perché proprio il fatto di aver attraversato – uscendone indenne – queste grandi prove, ha fatto sì che critici e detrattori abbiano potuto attribuirgli una “prudenza” al limite della pavidità, se non di un vero e proprio opportunismo. Il tutto al fine malcelato di sminuire la portata del suo pensiero.

È per questo che ho deciso di rimettere mano a una sua lunga intervista autobiografica (Pensiero vissuto. Autobiografia in forma di dialogo) pubblicata in edizione italiana dagli Editori Riuniti nel 1983. Nelle pagine che seguono ne richiamerò alcuni passaggi perché ritengo che, da questa “confessione”, emerga un profilo di straordinaria coerenza personale, politica, ideale e morale, anche – se non soprattutto – nelle discontinuità e nei ripensamenti autocritici: la sua storia è quella di un intellettuale e militante comunista che, pur consapevole delle contraddizioni e delle storture emerse nel corso del grande esperimento sociale inaugurato nell’Ottobre 1917, non ha mai voluto “salvarsi l’anima” (e intraprendere una ricca carriera in qualche università occidentale) indossando i panni del “dissidente”, perché, dichiara, è sempre rimasto convinto che “sia meglio vivere nella peggior forma di socialismo che nella miglior forma di capitalismo”.

Nato a Budapest nel 1885, in una ricca (il padre dirigeva una banca di investimento) famiglia ebraica (ma pare che in casa vigesse una totale indifferenza per la religione) il piccolo Lukàcs manifestò una precoce insofferenza nei confronti di ogni forma di imposizione (rifiutava sistematicamente di sottoporsi al rigido “protocollo” domestico che la madre cercava di imporre). Le aspettative famigliari erano concentrate sul fratello maggiore che però, malgrado l’assiduo impegno nello studio, non ottenne mai grandi risultati, mentre a lui, dotato di una memoria prodigiosa, bastavano poche ore per eccellere a scuola (anche se evitava accuratamente di apparire come il primo della classe).

Ignorando il desiderio paterno di avviarlo a studi economico-giuridici (la sua prima laurea fu effettivamente in diritto, ma nell’intervista rivela di avere nutrito fin da giovanissimo un profondo disprezzo per il mondo della finanza e per i valori borghesi in generale), si appassionò soprattutto alla letteratura e al teatro (a quindici anni scriveva drammi che bruciò pochi anni dopo) ma ben presto, confessa, dovette prendere atto con sua grande delusione di non avere abbastanza talento per aspirare a essere uno scrittore o un regista. Il che non gli impedì di continuare a occuparsi di arte e letteratura, come testimoniano testi come L’anima e le forme e Teoria del romanzo, anche se la passione filosofica (in particolare per la grande filosofia tedesca - Hegel su tutti – della quale subirà l’influsso per tutta la vita) si accompagnerà sempre più alla passione letteraria, finendo per prevalere. Suo compagno di studi a Berlino, dove ebbe per maestro Georg Simmel (ma Lukàcs subì anche l’influsso di Max Weber) fu Ernst Bloch (un’amicizia destinata a durare tutta la vita, sia pure con momenti di allontanamento reciproco) al quale riconosce il merito di avergli insegnato a “filosofare al modo di Aristotele ed Hegel”.

L’avvicinamento al marxismo, e più in generale alla problematica politica, fu lento e progressivo. Negli anni precedenti alla Grande Guerra, viene a conoscenza del socialismo francese e riconosce nel teorico del sindacalismo rivoluzionario Georges Sorel “l'unico serio movimento socialista di opposizione”. Sconvolto dallo scoppio della Prima guerra mondiale, assume una posizione di condanna radicale nei confronti del carnaio provocato dalle potenze europee. In quegli anni, racconta, lui e la cerchia dei suoi amici pacifisti pensavano che se i regimi feudali avessero perso la guerra sarebbero caduti ma, a differenza della maggior parte degli altri, egli non condivideva l’auspicio che venissero rimpiazzati da regimi democratici.“Chi ci avrebbe difeso dalla democrazia occidentale?, pensavo, né ero disposto ad accettare come ideale il parlamentarismo inglese”. Così, quando scoppia la Rivoluzione russa del 1917, capisce immediatamente che quella è la vera alternativa e, a partire da quel momento, il suo interesse si rivolge esclusivamente ai temi etici e politici, cessando di attribuire importanza alle questioni estetiche al centro della sua attenzione nel decennio precedente.

Nel 1918 viene costituito il Partito Comunista ungherese e Lukàcs aderisce, anche se non fu fra i fondatori. Nell’intervista dichiara che la sua immagine del comunismo era allora “settaria e ascetica”, cioè fortemente connotata in termini morali e caratterizzata da aspettative “messianiche”, motivo per cui si trovò spesso in contrasto con Bela Kun che, dal suo punto di vista, incarnava la logica burocratica del funzionario di Partito (in alcune occasioni, in seguito a tale conflitto fu indotto a compiere autocritica). In ogni caso durante la Rivoluzione del 1919, in quanto figura intellettuale di spicco, viene chiamato a svolgere l’incarico di Commissario all’Istruzione e assume addirittura il ruolo di commissario politico di una divisione dell'esercito rosso (nell’intervista ricorda che, mentre esercitava tale funzione, ordinò di fucilare otto soldati di un reparto che si era ritirato senza combattere durante la guerra civile con i Bianchi).

Dopo il fallimento della Rivoluzione riparò a Vienna, dove ebbe modo di frequentare dirigenti e intellettuali comunisti di tutta Europa, e dove si rese conto che la sua cultura marxista era ancora insufficiente, e che ancora più era insufficiente la sua comprensione del leninismo. A posteriori, definisce la sua posizione di allora come “un miscuglio di settarismo e messianesimo” (“credevamo che la rivoluzione mondiale fosse un fatto tanto inevitabile quanto imminente”, racconta). Da un lato, simpatizzava con l’ala sinistra della III Internazionale (di cui facevano parte, fra gli altri, Bordiga e Pannekoek), tanto che fu criticato da Lenin per avere difeso posizioni astensioniste di principio. Ma dall'altro lato, il bagno di concretezza cui era stato costretto dall’esperienza di Commissario della Repubblica ungherese dei Consigli, lo costringeva talvolta a contraddirsi, assumendo posizioni realiste. Come avvenne nel 1928, allorché si trovò di nuovo costretto a fare autocritica per avere scritto le “Tesi di Blum” (uno pseudonimo adottato per l’occasione), nelle quali sosteneva che il Partito avrebbe dovuto opporsi al regime reazionario di Horthy al fianco dei socialdemocratici per instaurare una Repubblica democratica, e solo in un secondo tempo lottare per il socialismo (posizione contraria alla linea sostenuta in quel momento dalla III Internazionale, che di lì a non molto l’avrebbe però cambiata).

Proiettandoci fino al 28 abbiamo tuttavia saltato un passaggio fondamentale: nel 1923, usciva infatti Storia e coscienza di classe, una raccolta di saggi che ancora oggi rappresenta l’opera di Lukàcs più conosciuta (e celebrata) dai marxisti di tutto il mondo. Eppure, nell’intervista autobiografica che sto qui illustrando, come nella Prefazione a una ristampa del 1967 dell’opera in questione (3), e come nei riferimenti che egli le dedica nella Ontologia dell’essere sociale, Lukàcs è a dir poco severo nei confronti del lavoro del 23. Pur riconoscendovi un certo valore, perché in esso venivano affrontati per la prima volta alcuni problemi – come quello dell’estraneazione – fino ad allora evitati dal marxismo, e perché inquadrava la teoria leniniana della rivoluzione nella concezione generale del marxismo, il Lukacs maturo la considerava infatti inficiata da residui idealisti (in quelle pagine ero “più hegeliano di Hegel”).

In particolare, come ho messo in luce in varie occasioni (4), l’ultimo Lukacs punta il dito contro l’ipostatizzazione del ruolo “oggettivamente” rivoluzionario del proletariato (5), ma soprattutto contro la mancata integrazione del ricambio organico fra uomo e natura nell’economia, la quale viene in tal modo ridotta alla forma storicamente determinata che essa assume nella società capitalista, invece di essere concepita come totalità costituiva dell’essere sociale, come prodotto del processo evolutivo che fa derivare dalla natura inorganica la natura organica e da quest'ultima l’essere sociale attraverso il lavoro, che costituisce l’unica manifestazione di un’attività teleologica nell’universo naturale.

Nelle ultime battute dell’intervista Lukacs sintetizza la propria visione più o meno così: “seguendo Marx io mi rappresento l’ontologia come la vera filosofia basata sulla storia. Storicamente è indubbio che l’essere inorganico viene per primo e che da esso viene fuori l’essere organico. Da questo stato biologico viene fuori attraverso molti passaggi l’essere sociale umano la cui essenza è la posizione teleologica, cioè il lavoro. Questa è la categoria più decisiva perché comprende tutto. Quando parliamo della vita umana parliamo con le più diverse categorie di valore. Qual è il primo valore? Il primo prodotto? Un mazzuolo di pietra o corrisponde allo scopo o non corrisponde nel primo caso è valido, nel secondo non ha valore (…) la seconda differenza fondamentale è il dover-essere cioè le cose non si trasformano da sé ma in seguito a posizioni consapevoli, lo scopo precede il risultato”.

Questa visione ha radicali conseguenze sul modo in cui l’ultimo Lukacs tratta concetti come libertà, necessità, oggettivazione, alienazione, ideologia, ecc. Ma questi temi esulano dallo scopo del presente articolo il quale, come chiarivo all’inizio, consiste nel mettere in luce la coerenza personale, politica, ideale e morale dell’uomo di cui stiamo parlando. I cambiamenti di approccio metodologico e di posizione ideologica sin qui descritti, fanno parte della normale dialettica di un percorso biografico. ma le critiche dei detrattori si appuntano in altre direzioni, sollevando interrogativi associati al fatto che il nostro, dopo l’ascesa al potere di Hitler, ha vissuto ininterrottamente a Mosca dal 1933 alla fine della Seconda guerra mondiale senza incappare in qualche “purga”, e che, pur avendo assunto un incarico ministeriale nel governo Nagy nel 1956, dopo l’invasione sovietica se l’è cavata con un paio d’anni di esilio in Romania, dopodiché è potuto rientrare a Budapest e riprendere il proprio lavoro di insegnamento e ricerca.

Opportunismo, mancanza di coraggio, complicità con lo stalinismo e più in generale con i regimi di “socialismo reale”? Queste accuse, esplicite o implicite, sono state usate da destra (ma anche da certi ambienti intellettuali della “Nuova Sinistra”) per svalutare e/o rimuovere il contributo di Lukacs al marxismo, per cui mi pare giusto affrontarle a partire da ciò che lo stesso filosofo ungherese racconta sulla seconda parte della propria vita.

A Mosca Lukacs aderisce al partito comunista russo e lavora all’istituto Marx-Engels. La sua è un’attività prevalentemente se non esclusivamente teorica, mentre sul piano politico mantiene un basso profilo, evitando di impegnarsi nei conflitti di potere interni alla dirigenza bolscevica. Ciò non gli impediva di nutrire le proprie opinioni in merito, opinioni che espone chiaramente rispondendo alle domande dell’intervistatore.

Su Stalin, in particolare, afferma che l’idea diffusasi dopo il XX Congresso del Pcus, secondo cui egli avrebbe detto solo cose sbagliate e antimarxiste è un pregiudizio. Ciò detto, egli è radicalmente critico nei confronti della visione filosofica staliniana, che definisce iper razionalista, anche se, a suo avviso, non priva di precedenti nella tradizione marxista. In particolare, la visione di un processo storico che incorpora un principio di necessità logica (Lukacs cita per esempio il concetto di “negazione della negazione” mutuato da Hegel, che egli considera appunto una categoria puramente logica, priva di consistenza reale: “per Marx, dice, un ente non oggettivo è un non ente, l’essere è identico alla oggettività”) era a suo avviso già presente in Engels e negli esponenti della socialdemocrazia tedesca. La storia, analizzata da tale punto di vista, appare come una successione di tappe di un processo determinato da una ferrea legalità immanente (comunismo primitivo, schiavismo. feudalesimo, capitalismo, socialismo) e non come l’esisto di una serie di trasformazioni concrete rese di volta in volta possibili (e non necessarie) da specifici meccanismi causali (ma anche da fattori contingenti e soggettivi). Il materialismo dialettico (diamat) staliniano concepisce solo soluzioni imposte dalle leggi “oggettive” della storia e non scelte fra possibilità alternative, la sua idea di “socialismo scientifico” è ispirata a una legalità simile a quella delle leggi naturali e non contempla, marxianamente, la complessità dinamica dei concreti processi storici.

Sul piano politico, tuttavia, Lukacs non nasconde di essere stato dalla parte di Stalin – contro Trockij – sulla questione del socialismo in un paese solo e, quanto al ruolo della opposizione di sinistra guidata dallo stesso Trockij e da altri esponenti della vecchia guardia bolscevica, come Zinoviev, Bucharin e Kamenev, dichiara di avere condiviso l’opinione di altri amici e compagni che frequentava in Russia: in primo luogo, rimprovera loro di avere offerto argomenti alla campagna antisovietica delle potenze imperialiste occidentali, ma soprattutto esprime la convinzione che una loro dittatura di partito non sarebbe stata diversa, né migliore, di quella imposta da Stalin. Ricorda che a un certo punto Bucharin cercò di contattarlo per coinvolgerlo nella lotta intestina del partito ma egli si negò (per inciso: Lukacs e Bucharin si erano precedentemente scontrati in una polemica sulla questione del ruolo storico dello sviluppo delle forze produttive che Bucharin, sostiene Lukacs, riduceva allo sviluppo tecnologico. Tuttavia il motivo del rifiuto – che con buona probabilità evitò a Lukacs di finire nella tagliola dei processi di Mosca – fu piuttosto il giudizio negativo sul ruolo dell’opposizione appena ricordato).

Ciò detto, quando l’intervistatore sollecita la sua opinione sui processi di Mosca, Lukacs non si sottrae: “li giudicai una mostruosità”, dice, ma mi consolai dicendomi che in quel momento “stavamo dalla parte di Robespierre” e che il processo contro Danton non era stato meno ignobile. Ma soprattutto afferma che in quel periodo considerava l’annientamento di Hitler come la questione di gran lunga più importante e che gli pareva evidente che solo l’URSS avrebbe potuto garantirlo (6).

Quanto alla rivolta ungherese del 1956, Lukacs afferma di averla interpretata come un grande movimento spontaneo che, sostiene, aveva bisogno di un inquadramento ideologico, per cui non esitò ad accettare l’incarico di ministro anche se Nagy non aveva, a suo avviso, uno straccio di programma politico. In ogni caso, il suo punto di vista non era in alcun modo quello di un rottura con il sistema socialista bensì quello della necessità di riformarlo (vedi la già citata affermazione “meglio vivere nella peggior forma di socialismo che nella miglior forma di capitalismo”), tanto è vero che egli si oppose alla, e votò contro la, proposta di uscire dal Patto di Varsavia. Un atteggiamento che, dopo l’invasione sovietica, lo aiutò a pagare il prezzo relativamente mite di qualche anno di esilio in Romania, prima di tornare a insegnare a Budapest.

Opportunismo, mancanza di coraggio? I primi a formulare l’accusa di non avere esplicitamente condannato il socialismo reale sono stati, ahimè, alcuni suoi allievi, lo si evince dal tono malevolo e insinuante di certe domande rivoltegli da Istvan Eorsi (il curatore dell’intervista appena descritta) , ma soprattutto, lo si evince da quanto scrive Nicolas Tertulian nella Introduzione alla Ontologia, facendoci capire perché il testo di quest'opera fondamentale sia apparso con tanto ritardo dalla stesura definitiva, preceduto da recensioni negative di quegli allievi (fra i quali tale Agnes Heller, poi felicemente approdata sulle sponde del liberalismo occidentale) che avevano fretta di certificare la propria volontà di ripudiare il marxismo e il socialismo.

Lukacs non piace ai comunisti dogmatici, che lo considerano un dissidente filo occidentale camuffato da marxista critico (e lo avrebbero magari volentieri visto sul banco degli imputati dei processi di Mosca). Non piace ai postcomunisti convertiti al liberalismo, che non capiscono la sua ostinazione nel volersi schierare fino alla fine dalla parte del socialismo contro il capitalismo occidentale. Non piace ai marxisti accademici di ogni risma che, dall’alto delle loro cattedre universitarie, si considerano i soli legittimati a interpretare l’autentico lascito di Marx. Non piace agli intellettuali e ai militanti di nuove sinistre e nuovi movimenti, i quali quando leggono affermazioni come “lo sviluppo della società, il suo perenne divenir più sociale , non aumenta affatto la conoscenza che gli uomini hanno circa la vera natura delle reificazioni da essi spontaneamente compiute. Riscontriamo al contrario, una tendenza sempre più netta ad assoggettarsi acriticamente a queste forme di vita, ad appropriarsene con intensità sempre maggiore, sempre più determinante per la personalità, come componenti insopprimibili di ogni vita umana” (Ontologia, vol IV, p. 649), sospettano che le sue parole potrebbero essere usate contro la loro esaltazione acritica della tecnologia, del consumismo santificato come “nuovi bisogni”, del gusto piccolo borghese della trasgressione, del “diritto di avere diritti” (7), ecc.

Credo che tutte queste antipatie rappresentino il miglior attestato dell’integrità politica, morale e intellettuale di Lukacs. Concludo limitandomi ad aggiungere che ignoro in che misura i marxisti non occidentali (cinesi, africani e latinoamericani) abbiano avuto modo di conoscere e studiare l’ultimo Lukacs o se conoscano solo Storia e coscienza di classe, ma penso che i teorici post maoisti lo avrebbero sicuramente apprezzato, così come lui avrebbe guardato con estremo interesse alle riforme cinesi degli anni Settanta.


Note
(1) Vedi, in particolare, Guerra e rivoluzione, 2 voll. Meltemi, Milano 2023; Il socialismo è morto. Viva il socialismo, Meltemi, Milano 2019; Ombre rosse. Saggi sull’ultimo Lukacs e altre eresie, Meltemi, Milano 2022.
(2) G. Lukacs, Ontologia dell’essere sociale, 4 voll. Meltemi, Milano 2023.
(3) Cfr. Prefazione dell’autore a Storia e coscienza di classe, Sugar Editore, Milano 1970.
(4) Vedi in particolare Ombre rosse, op. cit. Vedi anche la mia Prefazione alla seconda edizione della Ontologia.
(5) Nella Prefazione del 1967 (vedi nota 3) Lukacs scrive che in Storia e coscienza di classe il proletariato veniva presentato come l’incarnazione storica della hegeliana unità metafisica soggetto-oggetto descritta nella Fenomenologia dello spirito.
(6) Anche il Patto di non aggressione fra Hitler e Stalin appare giustificato come mossa tattica per sventare il piano delle potenze occidentali di usare la Germania nazista per distruggere l’Unione Sovietica.
(7) Cfr S. Rodotà, Il diritto di avere diritti, Laterza, Roma-Bari 2012. In un libro a due mani del 2019 (Tagliare i rami secchi, DeriveApprodi editore) il sottoscritto e Onofrio Romano hanno criticato l’ideologia della sinistra liberal progressista che rivendica un’estensione illimitata dei diritti individuali, la quale finisce inevitabilmente per alimentare una altrettanto illimitata estensione del mercato delle merci-servizio (maternità assistita, utero in affitto, ecc.).
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AlsOb
Monday, 06 January 2025 10:39
Lukacs, già negli anni sessanta, deluso, si lamentava, sostenendo che non vi era più la minima parvenza di teorici di sinistra, nonostante il grandioso paradigma di Marx, che, con la sua rivoluzione scientifica e culturale, aveva introdotto una ragionata e convincente narrazione e analisi della totalità del capitalismo. (Che, notava, nella sua intelaiatura di fondo permane nel tempo, al di la delle determinazioni storiche).
Al contrario, la classe dominante borghese, con successo aveva imposto un sistema di istruzione e di racconto della realtà basato su astratte frammentazioni, artificiali specialismi e un equivoco e opportunistico neopositivismo, in salsa di apparente neutralità.
Con tutti i suoi limiti, di Lukacs, una apologia, fatta da uno scrittore che gli ha dedicato passione, tempo e studio, presenta una sua giustificazione e interesse.
Sia per il fatto di essere rimasto uno dei pochissimi marxisti e sia per la fedeltà a una personale “metodologia marxiana” praticata una vita intera, senza significativi tentennamenti, e conclusasi nella Ontologia Sociale, opera con la quale volle reclamare a alta voce la vitalità e superiorità di Marx, interpretato secondo la sua prospettiva dinamica, (dialettica), irriducibile al dogmatismo.
Un rilevante ultimo richiamo e insegnamento di Lukacs è stato quello relativo al saper coltivare una robusta teoria, un solido punto di vista, (in ciò rigorosamente marxiano), per evitare di cadere vittime, come poi regolarmente accaduto, dei “giochi linguistici” altrui, dei dominanti borghesi. E a saperne comunicare, mostrare la valenza e la scientificità alla classe dei lavoratori, che non risulterebbe il soggetto rivoluzionario spontaneo atteso, ma che rimarrebbe imprescindibile, per ogni trasformazione progressiva e che, pertanto e a maggior ragione, deve consapevolmente maturare e acquisire gli strumenti culturali e intellettuali, per fissare le scelte politiche e di emancipazione.
Un punto problematico sollevabile si allaccia alla sua posizione nei confronti di Stalin: di fatto sembra che si fabbrichi, in una certa misura, una immagine di Stalin funzionale alla sua speciosa critica. Stalin sarebbe stato un tattico incapace di produrre una adeguata teoria e per questo avrebbe favorito lo scadimento dogmatico e un “anti-marxismo”, al contrario di Lenin.
Solo che Stalin, un cervello superiore, apparentemente aveva una teoria, per esempio espose in modo tecnicamente sofisticato il problema dei rapporti di scambio e loro ruolo nel processo di industrializzazione e crescita- il finanziamento da parte dello stato presentava limiti o quantomeno non chiarite valutazioni politiche sull’uso delle risorse- (oggi l’impero con la forza dell’imperialismo del dollaro non rispetta i rapporti di scambio internazionali e si finanzia a gratis, interpretando il resto del mondo come periferia, che non dovrebbe fiatare), espose il dilemma della persistenza di prezzi e dualismo economico, che a suo parere andava eliminato, mostrandosi, nondimeno, consapevole dei conflitti di interessi che esso celava e trattò la questione della transizione al comunismo, anche qui mostrando consapevolezza in relazione alla complessità dei passi da compiersi e alla evoluzione della contraddittoria natura umana, privilegiando una soluzione di potere irrevocabilmente statalista e di attesa della maturazione di una sospirata condizione ideologica e spirituale, che eliminasse ogni sentimento riconducibile a orientamenti borghesi.
Il giudizio di Mao Zedong su Stalin resta il più equilibrato e tutto sommato saggio.
Mao Zedong si scelse un successore e Deng Xiaoping, a differenza di Stalin, non sospirò una condizione di perfezione, ma consolidò una economia mista (all’italiana) e ampliò il sistema di prezzi, (fino a qualche eccesso, da correggersi).
Deng è pure noto per avere sentenziato, dopo un breve incontro con Gorbachev, che il personaggio era un clown e idiota.
Il dopo Stalin è stato una successione di inetti e incapaci fino a Putin, credere che Stalin sia la causa dei fallimenti economici successivi e della incapacità di contrastare la propaganda imperiale costruita sulle falsificazioni degli spot pubblicitari e script hollywoodiani è un poco irrazionale. Senza contare che si sarebbe potuto osservare che l’emergere di una consumistica classe media e di un controllo sulla redistribuzione dei reddit in occidentei fu più un effetto, (della paura), di Stalin e del socialismo reale, che una virtù del capitalismo, tanto che oggi nel capitalismo neoliberale gran parte della popolazione transita verso la condizione “naturale”, se va bene, di sussistenza e schiavismo.
Per concludere Lukacs e l’ontologia sociale mantengono oggi un legittimo vigore ideologico, filosofico e spirituale di cornice, ma a queste, nello spazio della guerra politica, occorre aggiungere coerenti nozioni tecniche, economiche, finanziarie, a definire e spiegare le scelte politiche e a indirizzare costruzioni e percorsi socialisti.
Il neoliberalismo con l’arbitraggio salariale e deriva neofeudale non è stato una fatalità o prodotto di leggi di natura, ma la conseguenza di specifiche scelte a livello politico e parlamentare a vantaggio dei dominanti, in assenza di opposizione. Con la sinistra neoliberale a promuoverle e a cancellare ogni teoria marxiana e possibile comprensione del mondo.
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Michele Castaldo
Sunday, 05 January 2025 16:21
Egregio professor Formenti, a che pro una "apologia su Lukacs" ?
Pongo questa domanda per la convinzione che nel passato non c'è una soluzione per il futuro.
Lukacs fu un personaggio complesso perché molto complessa era la fase che avviava il modo di produzione capitalistico verso il liberalismo. L'Urss, dopo la più straordinaria rivoluzione dell'epoca moderna dovette confrontarsi con un Occidente trionfante che aveva alle spalle 400 anni di dominio imperialista e subordinarsi alle leggi trionfante che il liberalismo incoraggiava e piegarsi fino a sottomettersi all'imperativo di definire la democrazia PROPETEUDICA per il comunismo. In quella macchinosissima questione storica, teorica, politica e pratica il Lukacs cercò di destreggiarsi fra onde di correnti, anche infami, uscendone - gli va riconosciuto - in modo dignitoso.
Ciò detto, però, dobbiamo aggiungere che in lui o chiunque altro del passato storico non possiamo trovare la "famosa leva per sollevare il mondo", ovvero il modo di sconfiggere oggi il capitalismo. Perché questa mia brutale affermazione? Perché la tesi di Lukacs "meglio vivere nella peggior forma di socialismo che nella migliore forma di capitalismo" era sbagliata allora ed è a maggior ragione sbagliata oggi perché il capitalismo o il socialismo non sono modelli che la storia produce e che gli uomini possono decidere di applicare, no, perché la storia è fatta di movimento determinato.
Sarebbe possibile riprodurre oggi una nuova contraddizione sui contadini come si poneva allora da parte di Bucharin cui il bolscevismo fu costretto a relazionarsi? Certamente che no. Allo stesso modo non si potrebbe riprodurre una contraddizione come comparve a Kronstardt. E neppure una contraddizione come il secondo conflitto mondiale e la necessità di dover decidere di appoggiare la democrazia liberale contro il nazismo.
È neanche la necessità di sostenere la tesi di Lenin sulla Polonia nei confronti di Rosa Luxemburg.
Questioni, queste, che si posero allora cui l'ideale comunista si dovette confrontare per come POTETTE.
Anche rispetto all'invasione dell'Ungheria, è tu (indistinto) guarda l'ironia cui ci pone d'avanti la storia: quella stessa Ungheria che subi l'invasione allora non si schiera apertamente con l'Occidente oggi e occhieggia alla Russia. Mentre una Meloni che origina dal fascismo è una servetta degli USA oggi.
Allora, egregio professor Formenti, il dibattito va certamente ripreso ma non rivoltando nella cassetta degli attrezza per cercare l'utensile che ci occorre per combattere OGGI il modo di produzione capitalistico.
Michele Castaldo
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Ascanio Bernardeschi
Sunday, 05 January 2025 11:16
Invece esiste un rapporto fra le vicende personali e "La distruzione della ragione"?
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Ascanio Bernardeschi
Sunday, 05 January 2025 11:14
Invece quali esiste un rapporto fra le vicende personali e "La distruzione della ragione"?
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giorgio casacchia
Sunday, 05 January 2025 00:47
Caro professore, mi permetto di segnalarle che Lukacs è noto in Cina soprattutto negli ambienti di critica letteraria. POliticamente è meno seguito. Giusto l'anno scorso è stato pubblicato Georg Lukács in China: Vom ideologischen Feind zum Zeitgenossen. Un testo recente cinese che affronta la questione glielo ho fatto tradurre (malissimo) dall'IA, tanto per avere unì'idea, se vuole la traduzione gliela rifaccio:

Lukacs per il centro di spedizione
2018-05-31 15:04 Fonte: Scambio accademico

Peng Chengguang

(Università del Sud-Ovest per le nazionalità, Collegio di letteratura e giornalismo e comunicazione, Chengdu 610041, Cina)

[La ricerca cinese sul neomarxismo dell'Europa orientale ha realizzato il processo di passaggio dalla dipendenza all'indipendenza, dal riferimento alla totalità, dalla traduzione e dal commento alla specificità profonda. L'umanitarismo è il fondamento teorico del neomarxismo dell'Europa orientale, per il quale Lukács, un importante fondatore della teoria neomarxista dell'Europa orientale, ha fornito un'esposizione ricca e profonda. Riordinando la storia della ricerca e dell'accettazione dell'umanitarismo di Lukács nel mondo accademico cinese, possiamo evidenziare il valore e l'influenza contemporanei dell'umanitarismo del neomarxismo dell'Europa orientale e del suo pensiero letterario, e quindi fornire alcuni riferimenti per lo sviluppo della teoria letteraria del nuovo periodo cinese.

[Parole chiave] Neomarxismo dell'Europa orientale; Umanitarismo; Lukács; Nuovo periodo; Ricezione.

[中图分类号]G02[文献标志码]A[文章编号]1000-8284(2018)03-0014-07

È necessario delineare l'inizio, l'avvio e lo stato di sviluppo degli studi neomarxisti dell'Europa orientale in Cina nel suo complesso, e solo in questo modo è possibile promuovere gli studi pertinenti in modo più concreto e approfondito. La ricerca degli accademici cinesi sul neomarxismo dell'Europa orientale è passata dalla dipendenza all'indipendenza, dal riferimento all'insieme, dalla traduzione generale e dal commento alla ricerca tematica approfondita, come si può vedere confrontando e facendo riferimento allo stato attuale dell'accettazione e della ricerca sul marxismo sovietico-russo in Cina. Innanzitutto, nella comunità di ricerca cinese, l'iniziale teoria marxista dell'Europa orientale e la sua letteratura non erano un tipo indipendente, ma piuttosto una parte integrante o sussidiaria del marxismo sovietico. Pertanto, c'è sicuramente il problema di ignorare l'unicità del marxismo dell'Europa orientale e di fare solo un'introduzione accennata in studi specifici. In secondo luogo, dopo l'emergere del neomarxismo dell'Europa orientale, esso ha sostenuto una sorta di marxismo umanitario, un punto di vista che è stato a lungo denunciato dal marxismo ortodosso rappresentato dall'Unione Sovietica come “eretico”, e questa situazione ha avuto un certo grado di influenza sulla comunità di ricerca cinese, che ha portato il mondo accademico cinese a minimizzare o rifiutare le teorie rilevanti del neomarxismo dell'Europa orientale per un certo periodo di tempo. Questa situazione ha avuto un certo grado di influenza sulla comunità di ricerca cinese, che ha portato il mondo accademico cinese a mantenere un atteggiamento diluito o negativo nei confronti delle teorie rilevanti del neomarxismo dell'Europa orientale per un certo periodo di tempo. È stato solo dopo la riforma e l'apertura che la teoria del neomarxismo dell'Europa orientale e la sua letteratura umanitaria sono entrate nel campo visivo degli accademici cinesi come forma teorica indipendente.

Gli accademici cinesi hanno inizialmente considerato la letteratura marxista dell'Europa orientale come un'appendice della letteratura marxista sovietica, e questa situazione di ricerca ha un suo profondo contesto storico. Da un lato, dalla fondazione della Nuova Cina fino al periodo precedente la Rivoluzione culturale, lo studio del marxismo sovietico-russo è sempre stato al centro dell'attenzione degli accademici cinesi, come dimostra il fatto che un gran numero di teorie legate al marxismo sovietico-russo sono state tradotte, parafrasate o direttamente prese in prestito o fatte proprie dagli accademici cinesi dell'epoca. Questo perché il processo sociale della storia moderna della Cina è inestricabilmente legato al socialismo sovietico e le modalità di sviluppo politico, economico e anche sociale dei due Paesi hanno avuto un impatto a tutto tondo sulla Cina. Per quanto riguarda la ricerca relativa alle discipline relativamente astratte dei valori umanistici, come la filosofia, l'arte e l'estetica, la letteratura e così via, la Cina è destinata a rafforzare lo studio del discorso letterario sovietico-russo. Il marxismo, in quanto teoria guida della rivoluzione sociale in Unione Sovietica, in Cina e in altri Paesi socialisti, è inevitabilmente il più degno di essere studiato a fondo. Allo stesso tempo, la Russia sovietica è stata anche uno dei canali più importanti attraverso cui il marxismo è stato introdotto in Cina. D'altra parte, prima dei drammatici cambiamenti nell'Europa orientale, i Paesi dell'Europa orientale, in quanto campo socialista, erano ancora più strettamente legati all'Unione Sovietica, che ha svolto un ruolo centrale nei movimenti di indipendenza e di liberazione nazionale dei Paesi dell'Europa orientale, in particolare nella piena affermazione del “modello stalinista” nei Paesi dell'Europa orientale, e l'influenza dell'Unione Sovietica sui Paesi dell'Europa orientale è stata profonda e approfondita. Anche l'influenza dell'Unione Sovietica sui Paesi dell'Europa orientale fu profonda e capillare. In particolare, in termini di ideologia e cultura, il marxismo dell'Europa orientale è stato profondamente influenzato dal marxismo sovietico. Queste due ragioni storiche hanno determinato lo studio precoce da parte della Cina delle teorie rilevanti del neomarxismo dell'Europa orientale come parte accessoria del marxismo sovietico-russo.

Tuttavia, la storia ha dimostrato che il neomarxismo dell'Europa orientale non ha perso il suo valore di ricerca a causa di cambiamenti storici come la dissoluzione dei campi statali socialisti in Europa orientale e la disintegrazione sociale dell'Unione Sovietica. Al contrario, con il progredire della storia, attraverso la traduzione, il commento e la promozione dell'attenzione di alcuni studiosi per il neomarxismo dell'Europa orientale, la ricerca sul neomarxismo dell'Europa orientale avviata da Yi Junqing dall'inizio degli anni Novanta, in particolare la “Serie di traduzione del neomarxismo dell'Europa orientale” e “Il neomarxismo dell'Europa orientale” presieduta da Yi Junqing, è diventata sempre più popolare
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