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illatocattivo

Amadeo rimesso sui piedi 

di Il Lato Cattivo 

Amadeo Bordiga.jpgL'itinerario di Amadeo Bordiga va compreso alla luce della convergenza delle sinistre socialdemocratiche europee verso la fine della Prima Guerra mondiale, fino alla scissione con i rispettivi partiti d'origine e alla formazione dei primi partiti comunisti (tra cui il PCd'I in Italia, fondato nel gennaio 1921, quindi piuttosto tardi), e poi della loro divergenza e marginalizzazione nella fase di arretramento delle lotte di classe di quel periodo. La cristallizzazione e l'irrigidimento di correnti particolari come la Sinistra comunista italiana, la Sinistra tedesco-olandese, ecc. fu un prodotto della controrivoluzione, e la pretesa del bordighismo di detenere il monopolio dell'autentica filiazione marxista, o dell'invarianza del programma comunista, il frutto di una ricostruzione a posteriori. Questa non regge a uno studio della storia reale (la frazione guidata da Bordiga stava ancora nel PSI nel 1920), ma non è arbitraria nella misura in cui l'aspirazione a ristabilire la «vera» dottrina di Marx ed Engels contro le «deviazioni» revisioniste e centriste fu allora, se ci affidiamo alla periodizzazione di Karl Korsch (cfr. Marxismo e filosofia), il tratto distintivo del «terzo periodo» del marxismo. L'invarianza del programma è solo una variazione tardiva su un tema molto più diffuso, legata a doppio filo all'esistenza di un sedicente «socialismo realizzato»; qualsiasi critica che si limiti a sottolinearne la falsità è superficiale, poiché né la storia né le teorie evolvono secondo una razionalità astratta e disincarnata. Inoltre, è bene evidenziare che la convergenza di queste correnti, così come il loro successivo divergere, non avvennero «in ambiente sterile», ma a partire da e in seno a contesti nazionali e persino locali storicamente determinati, con le loro specificità e le loro singolari modalità di costituzione. Il contesto italiano, in particolare, continuava a essere segnato, da un lato, dallo sviluppo assai precoce ma travagliato dei rapporti sociali capitalistici1 e, dall'altro, dalla recente unificazione del paese sotto il vessillo del federalismo monarchico (e non sotto quello del repubblicanesimo unitario mazziniano), nella prevalente indifferenza delle masse popolari.

Donde l'anemia congenita di uno Stato centrale italiano privo di tradizione e di apparati preunitari, con l'eccezione assai relativa della monarchia piemontese – anemia solo attenuata dalla svolta industrialista e protezionista del periodo giolittiano. Un fattore, questo, non senza rapporto con il tropismo organizzativo e anti-individualista degli italiani in materia di rivoluzione (il leninismo sistematico dei loro teorici, da Bordiga a Tronti), di controrivoluzione (il movimento fascista, sorto anch'esso dalla sinistra del PSI) e di diverse altre questioni. Di tutto ciò persistono ancora notevoli tracce nella società civile italiana nell'accezione hegeliana del termine: dalla famiglia alle camere di commercio, dalle cooperative ai sindacati2. Non tutti hanno la fortuna di nascere in paesi come l'Inghilterra o la Francia che, già prima della rivoluzione borghese, hanno esperito un processo di costruzione proto-statale durato diversi secoli, e con confini relativamente stabili nel caso dell'esagono francese (mille anni di storia e sessanta re, diceva De Gaulle) – ciò che ha reso e rende tuttora possibili comportamenti più liberali e individualistici in molti ambiti.

Queste determinazioni, che non hanno a che fare con il modo di produzione capitalistico nella sua generalità, ma con quelle che chiameremo le formazioni sociali specifiche (le formazioni capitalistiche nella loro concretezza storica), per quanto trascurate dai comunisti di ogni tendenza, non sono per questo meno essenziali per comprendere le declinazioni del marxismo e le loro implicazioni nelle diverse aree geo-storiche. A causa di queste stesse determinazioni, che non possono essere sviluppate ulteriormente in questa sede, non vi è contraddizione nell'affermare che la Sinistra comunista italiana, per quanto radicalmente internazionalista, fu davvero italiana. La sua traiettoria fu singolare e immensamente più potente di quella delle altre correnti dell’ultrasinistra che, ridotte per lo più a un pugno di individui, subirono un impoverimento teorico e politico accelerato e divennero irrilevanti in poco più di un decennio. Anton Pannekoek, nel 1920, e anche prima del 1914, era una figura di ben altra levatura rispetto a quella del periodo consiliarista più tardo; lo stesso vale a maggior ragione per Herman Gorter, morto diversi anni prima; per Otto Rühle vi fu uno scivolamento irrimediabile verso l'anarchismo; e per quanto riguarda Paul Mattick senior, c'è in lui del buono e del meno buono, ma il minimo che si possa dire è che la sua opera maestra, Marx e Keynes – più una teoria della depressione lunga che non della crisi in senso proprio – ha ignorato diverse cosette sia di Marx che di Keynes. Se dunque è impossibile contenere la Sinistra italiana in uno schema preconcetto secondo il quale essa seguirebbe a grandi linee la stessa traiettoria dell'ultrasinistra, diviene a maggior ragione insostenibile l'idea – oggi predominante nel milieu «radicale» – che l'ultrasinistra sia però andata «oltre», che sia stata cioè più profonda, almeno teoricamente, in particolare per ciò che concerne la critica del leninismo/stalinismo e l'analisi della natura sociale dell'URSS: altra ricostruzione a posteriori che, quand'anche evidenzi le debolezze dell'ideologia ultrasinistra, non coglie la permanenza in essa di temi e atteggiamenti tipicamente socialdemocratici3. Fortunatamente, la Sinistra italiana e lo stesso Bordiga non aspettarono il terzo millennio per capire che il proletariato immaginario dell'ultrasinistra, il proletariato nella sua intangibile purezza, senza differenziazioni interne, scevro da precipue culture nazionali4, privo di istituzioni, di ideologie e perfino di… partiti (eh già!), non è il proletariato rivoluzionario, ma la mera forza-lavoro messa in moto dal capitale.

Il Bordiga più noto, quello degli scritti del Secondo dopoguerra, rappresenta solo una parte della sua opera politica e teorica iniziata negli anni 1910, ed è solo un aspetto della ricchezza della Sinistra comunista italiana nel suo complesso. Questa ricchezza si spiega alla luce di condizioni originali che non hanno equivalenti in Europa e che devono essere studiate da vicino, al di fuori di quadri analitici preconfezionati. Le condizioni di partenza sono quelle tratteggiate in precedenza. Le condizioni di sviluppo possono essere riassunte nella seguente sequenza: Prima Guerra mondiale (caratteristica indecisione della borghesia italiana e neutralismo assoluto inizialmente prevalente nel PSI); Bienno rosso 1919-1920; fascismo, quindi confino, prigione o esilio; diaspora organizzata (la Frazione all'estero)5; poi la guerra civile del 1943-45, con una certa ripresa della lotta di classe, e la ricostituzione di un partito formale che Bordiga riteneva prematuro, ma che fu l'incubatore de facto dell'organizzazione propriamente bordighiana risultante dalla scissione del 1952 (separazione del PC Internazionalista dal PC Internazionale). Bordiga poté quindi tornare nella mischia perché gli eventi avevano provveduto a toglierlo dall'isolamento degli anni Trenta e dei primi anni Quaranta. Durante quegli «anni oscuri», Bordiga era rimasto dov'era, a Napoli o nei dintorni, e non aveva voltato le spalle alla lotta di classe, ma subì le inevitabili conseguenze dell'esclusione dall'Internazionale Comunista e dal Partito, nonché le particolari attenzioni che riceveva dal regime fascista. Sopportò il confino sull'isola di Ustica, i ricorrenti interrogatori di polizia, la costante sorveglianza dell'OVRA, le provocazioni, i tentativi di compromissione con il regime, e persino le calunnie degli stalinisti per distruggerne la reputazione tra i lavoratori italiani. Ma soprattutto sperimentò le difficoltà della sopravvivenza, lui che era ingegnere ma a quarant'anni non aveva ancora un lavoro stabile e faticava a trovarne uno a causa della sua cattiva reputazione. Avrebbe forse preferito conformarsi alla sua etica personale («provvedere a se stessi e alla propria famiglia, primo dovere del rivoluzionario»), anche a costo di rimettersi a rigare dritto, ma ci sono colpe che il sistema non perdona e che, proprio per questo, impediscono qualsiasi abiura. Bordiga aveva bruciato troppi ponti dietro di sé: rimase quindi aperto a ciò che il futuro avrebbe potuto ancora riservargli, e fu in quest'ottica che iniziò un lavoro di approfondimento teorico e di riflessione sulle ragioni della sconfitta, portato avanti in parallelo e in modo non coordinato con quello della Frazione all'estero, soprattutto in Francia e in Belgio. Contrariamente alle sue stesse aspettative, questo lavoro aumentò di volume all'interno dei nuovi raggruppamenti nati nel 1943 e nel 1952 (anche se ufficialmente fu membro solo del secondo). In breve, ci era cascato di nuovo: «Aspirerei a un plus-tempo che porti la giornata a 26 ore, per dormire almeno quelle due» (lettera a Bruno Maffi, 14 gennaio 1953). La passione del comunismo, diceva qualcuno.

Come Marx ed Engels ai loro tempi, il Bordiga maturo fu un «integrazionista» a 360 gradi: lungi da qualsiasi agnosticismo o imbarazzato silenzio sul posto della storia umana nella storia naturale, o sugli eventi chiave del suo tempo in termini di scoperte scientifiche, tecnologia e politica internazionale, Amadeo faceva sua la massima di Terenzio preferita da Marx (humani nihil a me alienum puto, nulla che sia umano mi è estraneo). Lo faceva senza mai dimenticare di analizzare e commentare i momenti salienti della lotta di classe – compresa quella che si svolgeva al di là della Cortina di ferro (Berlino 1953, in particolare), pur sapendo che non poteva avere sbocchi anticapitalistici nelle condizioni date. Fu un marxista completo, l'ultimo comunista «occidentale» capace di una padronanza teorica generale ed estensiva senza perdersi in questioni di dettaglio e in sviluppi teorici troppo settoriali che finiscono col confondere la parte con il tutto. Teoria del capitale (e della rendita fondiaria), teoria delle crisi (critica della crisi permanente: trotzkisti e altri), teoria della rivoluzione (partito storico e partito formale), visione positiva della società futura. E in subordine: critica del modernismo (le tesi di Socialisme ou Barbarie), valutazione dell'attività delle classi non-proletarie nelle aree periferiche (incompiutezza del ciclo delle rivoluzioni borghesi) e persino nelle aree centrali, raccolta e decifrazione di dati economici di ogni tipo al fine di prevedere l'apertura di una nuova fase rivoluzionaria. Scusate se è poco. Certo, tutto ciò non fu esente da errori e debolezze, ma prima di storcere il naso è bene ricordare che fu l'ultimo tentativo sistematico di tenere insieme tutti i tasselli, e di farlo in maniera collettiva. Già, perché il raggruppamento su cui Bordiga poté fare leva non era di facciata, e gli fornì valorosi collaboratori che contribuirono apportando la loro pietra all'edificio. La dimensione impersonale della teoria non era una mera petizione di principio: Bordiga era, ovviamente, al timone della nave, ma gli altri non erano semplici comparse dal punto di vista dello sviluppo teorico, come del resto sarebbe diventato evidente nel corso delle innumerevoli scissioni successive, in Italia e a livello internazionale. Quando ci si chiede perché Bordiga abbia resistito al passare del tempo, non possiamo trascurare l'esistenza di questa rete organizzativa, per quanto limitata, e le sue conseguenze, anche dal punto di vista della trasmissione teorica. Due millenni di cristianesimo: e se la Chiesa ci avesse messo lo zampino?

Bordiga fu l'ultimo comunista di sinistra a nutrire non un vago internazionalismo morale, ma una visione veramente globale, dinamica e strategica dell'azione reciproca dei poli capitalistici e delle classi in lotta tra loro (sia nei centri che nelle periferie dell’accumulazione mondiale) e delle condizioni necessarie per l'esplosione e la riuscita di un nuovo assalto al cielo del proletariato. Ciò includeva anche la comprensione di come abbattere non lo Stato borghese in generale (che non esiste), ma il sistema degli Stati, che ovviamente non cadrà mai in un sol colpo, così come non potrà essere smantellato a partire da un punto qualsiasi del pianeta (oggi come ieri, la stoccata non andrà a segno se non abbatterà rapidamente Washington). Fu anche uno dei rari comunisti di sinistra a valutare correttamente l'importanza della decolonizzazione e delle lotte di liberazione nazionale nel Terzo Mondo6, le cui conseguenze indirette – già enormi alla luce del ridispiegamento della produzione a partire dagli anni Ottanta – non hanno smesso di manifestarsi da allora: «Occorre accorgersi che oltremare, nei paesi gialli, neri e olivastri vivono sterminate collettività di uomini che svegliati dal fragore del macchinismo capitalista, sembrano aprire il ciclo di una loro lotta di libertà, indipendenza e patriottismo, come quella che ubriacava i nostri nonni, ma entrano invece come fattore notevole nel conflitto delle classi che la presente società reca nel suo seno, che più e più a lungo sarà soffocato, tanto più ardente divamperà nel futuro» (Pressione «razziale» del contadiname, pressione classista dei popoli colorati, 1953). Cari saluti dal forum di Kazan!

A parte questo, Bordiga ebbe le sue rigidità e le sue idiosincrasie come qualunque altro mortale. Quelle per cui viene più spesso biasimato non ci sembrano le peggiori. In effetti, si rifiutò sempre di sputare su Lenin – anche se quest'ultimo lo aveva preso di mira ne L'estremismo, malattia infantile del comunismo – perché ai suoi occhi incarnava la rottura comunista con la socialdemocrazia così come si era realmente realizzata in termini organizzativi e programmatici, nell'Europa occidentale e centrale, all'indomani della rivoluzione russa del 1917. Bordiga, inoltre, ne conosceva a memoria i testi di battaglia ed era in grado di scovare e valorizzare in Lenin ciò che veniva lasciato da parte dalla vulgata leninista7. Anche le sue critiche ai costruttori di partiti e ai facitori di rivoluzioni provengono da Lenin, cosa che è stata generalmente poco notata: «[…] la rivoluzione non si può “fare” […] le rivoluzioni sorgono dalle crisi e dai rivolgimenti storici obiettivamente maturi (indipendentemente dalla volontà dei partiti e delle classi)» (Lenin, Il fallimento della Seconda Internazionale, 1915). Ciò non gli impedì di rigettare la teoria della coscienza che viene dall'esterno (anche nella versione edulcorata di Luxemburg-Liebknecht: partito-strumento? No, il partito è un organo della classe) e, dopo la scissione con Damen e i suoi nel 1952, di mettere all'ordine del giorno il superamento delle forme organizzative ereditate dalla Terza Internazionale (attuazione integrale del centralismo organico). Se è legittimo considerare questo tentativo come un fallimento, soprattutto alla luce dell'effettivo andamento delle scissioni, che per la maggior parte rimasero caratterizzate dal consueto modus operandi dei gruppuscoli leninisti (mentre il centralismo organico avrebbe dovuto impedirlo), non si può disconoscere l'esigenza fondamentale di un principio operativo non riducibile né alla vecchia disciplina meccanica né all'informalità gassosa oggi dominante, dove lo strapotere di pochi individui prospera tanto più facilmente in quanto non soggetto ad alcuna forma di controllo collettivo.

Altre critiche ricorrenti hanno rimproverato a Bordiga di aver troppo tergiversato prima di esprimersi in maniera chiara e definitiva sulla natura sociale dell'URSS, o di avere mantenuto una posizione ormai caduca sulla questione sindacale. Attendismo? Conservatorismo? Lo si può pensare, ma non prima di essersi pronunciati su quale sia il peccato più grave, e potenzialmente più dannoso dal punto di vista pratico, quando la situazione è storicamente sfavorevole: esitare su ciò che è certo, o azzardare giudizi perentori su ciò che ancora non lo è? Comunque sia, bisogna guardarsi da una concezione platonica delle umane vicende, ridotte a un'eterna lotta tra il vero e il falso, a cui non sono estranei quei rivoluzionari senza rivoluzione che, a forza di ritrovarsi nel ruolo di outsider della storia, vi si adagiano al punto da diventarne prigionieri. I martiri e i narcisisti possono ben compiacersi di averci visto giusto sempre prima degli altri, soprattutto quando non potevano che essere soli, sconfitti in partenza, esentati dall'onere di commutare le loro ragioni in forza materiale. Che si riconosca ad Amadeo almeno questo merito: di aver lottato contro ogni vanità – quella degli effimeri vincitori, ma anche quella degli eterni perdenti: «La sinistra si deve difendere dalla sciocca accusa di non vedere la storia e biascicare tesi astratte: deve provare che sono gli altri a non aver vista la storia.» (Lettera a Onorato Damen, 9 luglio 1951).

Veniamo infine al delicato nodo della democrazia. Se è vero che, su questo punto più di altri, Bordiga si distanziò tanto da Marx (la democrazia come terreno ultimo dello scontro fra le classi) quanto da Lenin (la democrazia come la cornice politica più adeguata al capitalismo), non è forse oggi la storia stessa ad aver relativizzato il loro punto di vista necessariamente eurocentrico, poiché basato sull'esperienza europeo-occidentale dello sviluppo capitalistico (la sola allora probante)? E nel suo insistere sugli elementi di democrazia sociale inerenti alla forma statuale fascista, Bordiga non ha forse intravisto un fenomeno più fondamentale, ovvero una divergenza fra democrazia formale e democrazia sostanziale, fra sistema rappresentativo e sovranità popolare – divergenza oggi all'opera su scala planetaria, nell'opposizione in divenire fra l'Occidente e il Resto (the West vs. the Rest), dove il secondo elabora sempre più i propri assetti istituzionali sulla base di riferimenti e retroterra storico-culturali distinti da quelli della polis greca o della res publica romana?

Se oggi assistiamo, in un certo numero di paesi occidentali, a una ripresa di interesse (anche discutibile nei suoi esiti) nei confronti di Amadeo Bordiga, dei suoi temi prediletti e delle sue formulazioni8, le buone ragioni non mancano, benché non siano forse quelle che in prima istanza ci si potrebbe aspettare. Innanzitutto, paesi come la Francia o il Regno Unito non si staranno forse «italianizzando»? Semi-periferizzazione, disparità territoriali, sbandamento dello Stato, penetrazione delle mafie sul territorio... gli indizi non mancano. Scherzi a parte, non sarà anche che, nonostante i cambiamenti delle mappe geografiche, i problemi di fondo con cui ci scontriamo oggi non sono poi così diversi da quelli di allora? «Dalle opposte sponde per tutti il problema del mondo di oggi è quello dell'organizzazione dell'Europa, e questo dipende dal problema dell'unità tedesca» (La comune di Berlino: dura e lunga la strada, meta grande e lontana, 1953). Infine, più banalmente, può darsi che i tempi tranquilli siano davvero finiti, che si torni a fare sul serio e che la mancanza di una proposta comunista matura – teorica, certo, ma che includa esplicitamente la preparazione di un intervento politico organizzato – cominci a farsi sentire.

I reduci della generazione «sovversiva» del 1968 possono sbraitare e inveire quanto vogliono. Fatti alla mano, il periodo 1917-1921 rimane una rottura storica ben più profonda di tutte quelle, vere o presunte, che sono seguite, 1968 compreso. Di queste ultime lotte, l'ala più radicale della classe media allora in ascesa conservò solo ciò che le faceva comodo, cioè tutto ciò che minava il suo vero nemico: il «vecchio mondo» dello stalinismo e del cattolicesimo sociale (in Italia, il duopolio senza alternanza fra la DC e il PCI; in Francia, il compromesso gollista-comunista). Al volgere della sua vita, Bordiga intuì la manovra e fu a questa che dedicò le sue ultime cartucce; si veda a questo proposito la sua Nota elementare sugli studenti e il marxismo autentico di sinistra (1968), nonché il suo «testamento» (la lettera a Umberto Terracini del 4 marzo 1969): 

«Io attendo, in posizione sempre cocciuta e settaria che, come ho sempre preveduto, entro il 1975 giunga nel mondo la nostra rivoluzione, plurinazionale, monopartitica e monoclassista, ossia soprattutto senza la peggiore muffa interclassista, quella della gioventù così detta studente». 

A mezzo secolo esatto dalla scadenza bordighiana, le ramificazioni teoriche dipanatesi dalla svolta del lungo '68 occidentale (la critica del valore nell'area germanica, la comunizzazione in quella francese, il filone post-operaista in Italia, ecc.), globalmente caratterizzate dall'intento di superare il marxismo su un certo numero di punti qualificanti, hanno tutte dimostrato, senza eccezione, di non essere all'altezza della realtà. Magagna ancor più cocente, le loro scintillanti innovazioni teoriche non hanno permesso una migliore comprensione dell'evoluzione dei rapporti sociali capitalistici, né in termini di andamento dei fatti economici né di evoluzione della lotta di classe e della società nel suo insieme. Quando colpiscono nel segno, non è tanto in virtù dei loro apporti peculiari, quanto dell'eredità storica che si portano appresso, anche involontariamente e con una variabile dose di cattiva coscienza. Old is the new «new». Rivincita del napoletano dal regno dei morti? In ogni caso, il tempo di tirare le somme è probabilmente venuto. Bilancio: altro tema tipicamente bordighiano. Nessuno dei grandi tentativi di rifondazione teorica post-sessantottini ha mantenuto le sue promesse. Resta da vedere se, nonostante tutto, possiamo trarre qualcosa dal lavoro effettuato.


Note
1 «In Italia dove la produzione capitalistica si sviluppa prima che altrove anche il dissolvimento dei rapporti di servitù della gleba ha luogo prima che altrove. Quivi il servo della gleba viene emancipato prima di essersi assicurato un diritto di usucapione sulla terra. Quindi la sua emancipazione lo trasforma subito in proletario eslege, che per di più trova pronti i nuovi padroni nelle città, tramandate nella maggior parte fin dall’età romana. Quando la rivoluzione del mercato mondiale dopo la fine del secolo XV distrusse la supremazia commerciale dell’Italia settentrionale, sorse un movimento in direzione opposta. Gli operai delle città furono spinti in massa nelle campagne e vi dettero un impulso mai veduto alla piccola coltura, condotta sul tipo dell’orticoltura» (Karl Marx, Il Capitale, Libro I, Einaudi, Torino, 1975, p. 882-3, in nota). Per quanto ne sappiamo, solo Roger Dangeville, nella vecchiaia, accarezzò il progetto di mettere in rapporto l'apparizione della Sinistra comunista italiana con la genesi e lo sviluppo dei rapporti capitalistici in Italia.
2 Si veda, ad esempio, l'alto tasso di sindacalizzazione dei lavoratori dipendenti regolari in Italia: 32,5% (dati del 2019), che è il settimo più alto tra i Paesi dell'OCSE, subito dopo i Paesi scandinavi, dove la sindacalizzazione è spesso obbligatoria, e il Belgio. La differenza è notevole rispetto alla Francia (8,8%), dove il tasso è inferiore a quello degli Stati Uniti (9,9%).
3 Ciò risulta particolarmente evidente a proposito della questione nazionale e coloniale, oltre che dell'analisi della controrivoluzione in Russia. In Amadeo Bordiga. Una presentazione (Punto Rosso, Milano, 2021, p. 31), Pietro Basso ha ragione allorché legge in questi termini lo scarto fra le posizioni genericamente anti-nazionali del «primo» Bordiga e quelle del «secondo» (dopo il 1945).
4 «La formazione in Italia di uno Stato unitario e la costituzione del potere della borghesia, pur inquadrandosi nella concezione generale di tali processi stabilita dal marxismo, presentano aspetti particolari e speciali, che soprattutto ne hanno ritardato il processo rispetto a quello presentato dalle grandi nazioni europee, dissimulando in parte la schietta manifestazione delle forze classiste […] tale realizzazione fu più che in ogni altro paese infelice e contorta, e la sua fama riposa sull'immenso uso di falsa retorica, di cui fu infarcito tutto il cammino obliquo e opportunista del sorgere dello Stato borghese italiano. […] Lo staterello piemontese, gonfiatosi a nazione italiana, non era che un servo sciocco dei grandi poteri europei e la sua monarchia dalle pretese glorie militari una ditta per affittare capitani di ventura e noleggiare, a vicenda, carne da cannone a francesi, spagnoli, austriaci; in ogni caso, al militarismo più prepotente o al miglior pagatore. Solo a questi patti un paese posto in così critica posizione poteva esibire per molti secoli una apparente continuità politica.» (La classe dominante italiana e il suo stato nazionale, «Prometeo», n. 2, 1946). Sul contesto francese, non privo di spunti ancora attuali è l'articolo Caractères du mouvement ouvrier français, «Invariance», I serie, anno IV, n. 10, 1971, pp. 1-40, poi tradotto e pubblicato in italiano nell'antologia di Jacques Camatte, Verso la comunità umana. Scritti dal 1968 al 1977, Jaca Book, Milano 1978, pp. 173-231. Sulla Cina, vedi Peculiarità dell'evoluzione storica cinese, «Il programma comunista», nn. 23 e 24, 1957, nn. 7 e 8, 1958.
5 La Frazione di sinistra del PCd’I (poi Frazione italiana della Sinistra Comunista Internazionale) fu fondata a Pantin, presso Parigi, nel 1928, da esuli italiani espulsi o usciti dal PCd’I ormai «bolscevizzato». Pubblicò, tra il 1928 e il 1937, il quindicinale in lingua italiana «Prometeo» e, tra il 1933 e il 1938, la rivista teorica mensile «Bilan».
6 «Fra il 1945 e il 1960 si rivoltarono al colonialismo e conquistarono l'indipendenza non meno di quaranta paesi, con una popolazione di 800 milioni, più di un quarto della popolazione mondiale. Non era successo mai, durante tutte la storia dell'umanità, un rovesciamento così rivoluzionario in un tempo così breve. Questo cambiamento di posizione dei popoli asiatici e africani nei confronti dell'Europa fu il sintomo più sicuro del sorgere di una nuova era, e quando la storia della prima metà del XX secolo […] verrà scritta in una più ampia prospettiva, è difficile che un solo tema si riveli più importante della rivolta contro l'occidente» (Geoffrey Barraclough, Guida alla storia contemporanea, Laterza, Roma-Bari, 2004, pp. 157-158). Opera datata – la prima edizione inglese è del 1964 – ma quanto mai utile per mettere a fuoco gli sviluppi attuali relativi al cosiddetto Sud globale (BRICS+, etc.). Si veda in particolare il sesto capitolo, «La rivolta contro l'Occidente».
7 Bordiga cercò sempre conforto presso gli «avi» per trovare risposte ai problemi più attuali, e non solo in Marx o in Lenin, ma anche presso numerose altre figure dimenticate, raramente citate, per le quali nutriva la massima ammirazione. Ad esempio, il patriota socialista Carlo Pisacane, di cui riprendeva la critica del capo provvidenziale e la preferenza per la solidità del programma: «Guai allorché le masse giungono a credere all’infallibilità ed inviolabilità d’un uomo! [...] Indisciplina in pace e disciplina in guerra è la divisa di ogni rivoluzione, quella genera la discussione e crea il concetto ovvero la bandiera; questa unifica gli sforzi, ed invita il soldato a tener li sguardi fissi sul vessillo e non già sul capitano. Poco monta che la mitraglia distrugga un generale: un altro lo rimpiazza ma la bandiera non cambia, ogni milite deve averla scolpita nel cuore» (Carlo Pisacane, Guerra combattuta in Italia negli anni 1848-1849, Edizioni Avanti!, Milano, 1961, p. 335).
8 Vedi ad es. il testo del collettivo «Endnotes», Onward Barbarians, maggio 2020. Disponibile su internet: https://endnotes.org.uk/posts/endnotes-onward-barbarians.
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