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manifesto

 La finanziaria della precarietà

Riccardo Realfonzo

neoliberismo2Quanti auspicavano una sterzata che facesse virare la prua del governo verso lo sviluppo e l'equità restano delusi: il ministro Padoa Schioppa è riuscito a far passare anche quest'anno una finanziaria di «rigore» e «risanamento».

Va da sé che non siamo in presenza di una manovra aggressiva come la precedente, dal momento che ora - grazie all'ampio extragettito - il profilo di abbattimento del debito delineato nel Dpef può essere confermato senza scossoni, anche a dispetto delle minori aspettative di crescita del Pil. Insomma, i conti pubblici vanno bene, ma piuttosto che investire massicciamente sul rilancio economico e sociale la manovra si limita a sedare le contestazioni dei ministri di sinistra mediante qualche marginale e perlopiù circoscritta operazione redistributiva.

Non importa che persino Sarkozy bolli di dogmatismo la Commissione europea e nella sua finanziaria opti per la sola stabilizzazione del debito; non importa che la sinistra lanci l'allarme sulle emergenze sociali; Padoa Schioppa sembra non accorgersi del disastro (anche di consensi) e conduce il governo lungo il sentiero del «risanamento» (un mito politico sulla cui inconsistenza abbiamo insistito: si veda il sito www.appellodeglieconomisti.com).

D'altra parte i falsi miti di Padoa Schioppa, e in generale dei «moderati» dell'Unione, non si limitano alle finanze pubbliche: c'è anche il dogma della «flessibilità» che rischia di determinare i contenuti del collegato alla finanziaria dedicato al protocollo welfare e quindi anche al precariato.

A riguardo, l'impostazione del ministro sta tutta in questa sua convinzione: «Se è vero che senza la legge Biagi ci sarebbero più lavoratori a tempo indeterminato, è vero anche che ci sarebbero più disoccupati» (Il Sole 24 Ore, 25 settembre 2007). Chiariamo una volta per tutte che simili affermazioni sono prive di qualsiasi fondamento.

Non vi è alcuna dimostrazione seria che la precarietà sia un male necessario, che esista in altri termini una relazione di causa-effetto per cui al crescere della flessibilità si ridurrebbe la disoccupazione. La cosa è ormai acclarata, come mostrano simposi e ricerche, e come è emerso anche in un recente dibattito tra Brancaccio, Giavazzi e Ichino su Liberazione. Viceversa, se vi è una relazione chiara e incontrovertibile, questa riguarda gli effetti deprimenti della precarietà sui salari.

Insomma i due miti di Padoa Schioppa - «risanamento» e «flessibilità» - rischiano di caratterizzare anche questa finanziaria. Come due facce della stessa medaglia, essi ci restituiscono l'ambizioso progetto dei cosiddetti «moderati» di fare dell'Italia un'economia della precarietà. Si tratta di una strategia complessiva, cara a Confindustria, che punta a rilanciare la competitività italiana attraverso la deflazione da domanda e il contenimento dei salari e dei costi di produzione. Una strategia che la sinistra non può certo assecondare. Anche perché è concretamente praticabile una politica economica alternativa che, a partire dalla stabilizzazione del debito e dalla lotta alla precarietà, punti al rilancio delle politiche industriali e a un vero e proprio «salto» strutturale del modello economico e sociale. Occorre discuterne, e trovare una convergenza a sinistra su questi punti. Anche per questo abbiamo nuovamente riunito gli economisti della Rive gauche per il convegno del 9 ottobre su «L'economia della precarietà». I bocconiani sono stati invitati. Qualora se la sentissero di misurarsi con noi sul terreno dell'indirizzo di politica economica nazionale sarebbero benvenuti; o preferiscono i comodi salotti televisivi in assenza di contraddittorio?

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