La notte della ragione
di Matteo Nucci
Viviamo tempi di una mestizia atroce. Ci siamo collettivamente consegnati a un’interpretazione della realtà così priva del minimo senso critico che davvero mancano le parole. Si tira avanti mettendo da parte l’orrore pur di evitare la rabbia che scava negli intestini. Forse sarebbe anche sano rinchiudersi nella propria fortezza, se non fosse così pericoloso. Se il futuro non si facesse sempre più fosco. Gli episodi di Amsterdam sono un caso di scuola. Torniamoci sopra.
Le vicende degli scontri seguiti alla nota partita di calcio fra Ajax e Maccabi Tel Aviv hanno invaso le prime pagine dei quotidiani europei evocando lo spettro dell’antisemitismo. Ammetto di essere rimasto prima sconcertato, poi turbato dalla rabbia, e infine impaurito. Si tratta di una deriva pericolosissima, un gorgo inerziale a cui temo che non sarà semplice sottrarsi. Un pantano in cui miopia e ignoranza unite a un basso calcolo politico e ideologico, rischiano di riportarci davvero di fronte all’orrore.
La storia di questi giorni, infatti, potrebbe essere lasciata correre come uno dei classici casi in cui la superficialità dei resoconti dominante in questi tempi ha spinto le cose un po’ troppo in là. Purtroppo però si inscrive in un contesto che la rende significativa, anzi appunto esemplare. Ma andiamo con ordine. E cominciamo da quel che è accaduto. Ossia una storia del tutto diversa dai resoconti della stampa dominante. Non sto facendo riferimento a fonti alternative di una presunta controinformazione. Parlo dei rapporti offerti dalle autorità e in particolare dalla polizia di Amsterdam. I fatti sono stati spiegati più volte.
I tifosi israeliani del Maccabi, già noti per le posizioni razziste estremiste, sono sbarcati ad Amsterdam gridando slogan di questo genere “A Gaza non ci sono più scuole perché non ci sono più bambini olé olé olé”, “Let the IDF fuck the Arabs”, “Morte agli Arabi” e via dicendo (circolano testimonianze video esaurienti). Poi, in una città in cui la sensibilità per il genocidio a Gaza è alta, divisi in gruppetti sparsi per le vie, hanno strappato bandiere palestinesi pacificamente appese alle finestre dei palazzi, per distruggerle o bruciarle (in questo caso, almeno due sono i video davvero imbarazzanti).
Di fronte alla furia violenta (di cui i suddetti tifosi avevano già dato dimostrazione il mese passato ad Atene aggredendo e colpendo violentemente un ragazzo con bandiera palestinese in piazza Syntagma), i cittadini si sono ritratti e in un caso, un tassista di origine araba, è stato violentemente aggredito suscitando l’ira dei colleghi. Quando è arrivato il momento della partita, poi, i tifosi israeliani hanno fischiato e gridato insulti durante il minuto di silenzio per le vittime dell’alluvione di Valencia, con chiaro riferimento alla posizione che il governo spagnolo ha preso contro le politiche genocide di Israele (una furia che già era andata in rete nei giorni dell’alluvione: vendetta divina cui incorre chi si mette contro Israele).
Tutto questo è accaduto prima. Testimoniato e raccontato dalle fonti più autorevoli. Ignorato dai principali organi di informazione italiani e in larga parte anche europei, tutti aperti dalla notizia bomba della “caccia all’ebreo”, il “ritorno della Notte dei Cristalli”, i “pogrom” e chi più ne ha più ne metta, tutta la più alta retorica che l’Occidente in oltre mezzo secolo ha forgiato contro l’antisemitismo, perché di questo, secondo i resoconti parziali e superficiali, si è trattato: antisemitismo. Al punto che non sono mancate ovviamente le voci della memoria. Dunque i famosi testimoni dell’orrore della Shoah per riflettere sul pericolo che essa venga dimenticata, come se oggi non fosse un altro il genocidio di fronte a cui siamo silenziosi, inerti e, se possiamo, ci giriamo dall’altra parte, proprio come si disse che accadde in Europa durante l’orrore del genocidio nazista.
In questi giorni, infatti, mentre si discute della caccia all’ebreo (postata e ripostata da tutti i principali politici italiani trasversalmente, in un delirio di mancanza critica che fa venire i brividi) e si invia solidarietà ai leader israeliani e principalmente a Netanyahu, ossia uno che è sul banco degli imputati come criminale di guerra, responsabile di un eccidio infinito; in questi giorni in cui ci si preoccupa di quattro tifosi violenti, nessuno dei quali risulta gravemente ferito, diversamente da quel che accade spesso durante gli scontri fra i cosiddetti hooligan; be’ in questi giorni, di là del Mediterraneo, si va avanti nella più sconvolgente quotidianità del massacro.
Solo pochissimi dati. Innanzitutto ai giornalisti che hanno riportato i fatti di Amsterdam con editoriali indecorosi forse sarebbe utile sapere che a Gaza si sta arrivando velocemente alla sconvolgente cifra di 200 giornalisti morti in 400 giorni di massacri. Ossia, i presunti giornalisti che danno lezioni di morale dovrebbero sapere che poco lontano, ogni due giorni, un “collega” (ma direi che è dura definirli colleghi) viene ucciso (e non per casualità o durante i bombardamenti devastanti cui ci siamo abituati, anzi: in alcuni casi, i cronisti sono stati uccisi nel sonno del loro letto, in casa, senza altre armi accanto oltre alla macchina fotografica, il taccuino, uno smartphone).
Ma certo è forse ancora più interessante sapere che in quel lembo di terra che contava due milioni e trecentomila abitanti, ossia l’equivalente di una città ben più piccola di Roma, ogni giorno vengono uccisi in media cinquanta bambini, ossia l’equivalente di due classi scolastiche. Ecco, ogni giorno, da oltre un anno, due classi di ragazzini uccisi. Senza contare gli innumerevoli mutilati, privi ormai di braccia o gambe, gli ustionati, i ciechi, i cannibalizzati dalla fame.
Non darò altre cifre su Gaza. E tuttavia è giusto ricordare a chi si è occupato dei “pogrom” di Amsterdam (giornalisti, opinionisti, politici) che poco lontano da qui, con armi ed elicotteri da noi forniti, si sta concludendo la completa distruzione di Gaza Nord, un orrore che pochi possono raccontare e testimoniare viste le precauzioni prese da Israele per bloccare informazioni, testimonianze e video. Ma qualcosa arriva e quel qualcosa racconta di deportazioni mostruose, oltre a una furia distruttiva senza precedenti, per radere al suolo uno spazio da ripopolare, ricostruire, rivendere e “colonizzare”.
E tuttavia non è solo a Gaza che in questi giorni continua l’orrore. Nel Libano che Israele ha invaso e che bombarda giorno dopo giorno, la situazione precipita. Il Paese libero e sovrano che ripeto è stato invaso, conta ormai 3.200 morti e 14.000 feriti, oltre un milione e mezzo di sfollati, intere cittadine distrutte, siti archeologici colpiti e danneggiati (interessante che non se ne parli) e proprio in questi giorni, mentre quattro violenti prendevano schiaffi ad Amsterdam, il numero di personale medico e paramedico ucciso ha preso a salire anche in Libano, come ormai ci siamo abituati a vedere a Gaza e nei Territori Occupati, ormai scomparsi dalle cartine geografiche offerte a chi arriva nell’aeroporto Ben Gurion, dove la Grande Israele comincia a prendere le sembianze di quella forma ostentata da mostrine cucite sulla divisa dai soldati dell’ “esercito morale”, l’IDF.
Viviamo tempi mostruosi, non mesti – sbagliavo. Ma quel che serve è sempre e solo la riflessione. Proverò a farne una, allora. Perché come ho cercato di dire fin dall’inizio quello che sta accadendo apre una deriva non soltanto triste, mesta o orribile, bensì soprattutto pericolosa. Di nuovo, quindi, è necessaria la pazienza della ragione, la “lunga strada” di chi rincorre la verità e la giustizia, come la definiva Platone. Che tuttavia per esigenze legate alla misura necessaria di questo pezzo sarà il più possibile sintetica.
Il giorno degli scontri, mentre in Israele si discuteva di un ponte aereo per riportare i tifosi contusi in patria, lo slogan lanciato e rimbalzato in rete è stato ALL EYES ON AMSTERDAM. Evidentemente, se si sono susseguiti in questi mesi gli slogan ALL EYES ON GAZA e ALL EYES ON LEBANON, ora era la volta di spostarli sui “crimini” di Amsterdam. Fa impressione una simile mancanza di contatto con la realtà, nonché di misura. Ci si aspetterebbe tutt’altro atteggiamento. Visti i fatti, si dovrebbe piuttosto chiedere scusa, non pretenderne. E certo ci si dovrebbe trattenere dal confrontare i contusi di Amsterdam con gli infiniti morti, mutilati, macellati, senza ospedali e senza cibo, a cui si impediscono cure, si impedisce di uscire dal proprio paese, si impedisce qualsiasi prospettiva di vita, altro che ponte aereo. Ma lasciamo stare.
E lasciamo stare anche la completa insensibilità europea e l’incapacità di usare la misura generalmente applicata. Ricordo, per chi non lo sapesse, che nelle competizioni sportive (da cui forse sarebbe il caso di bandire un Paese che invade e distrugge proprio come è stato per la Russia), episodi di razzismo, come canti e grida di insulto, anche davvero estremamente più leggeri di “A Gaza non ci sono più scuole perché non ci sono più bambini” sono puniti con misure drastiche, durissime, esemplari. Ora, in questo caso, non solo nulla del genere è accaduto, ma la repressione si è scatenata in maniera indistinta su chi manifesta contro il genocidio. Ad Amsterdam, all’indomani degli scontri, è stato negato il diritto di scendere in piazza a chiunque manifesti contro il genocidio, e poiché il divieto ha sollevato indignazione e non è stato rispettato, gli arresti e le scene di violenza si sono susseguiti, con ferimenti di anziani, donne, ragazzi. Nel frattempo a Parigi la bandiera palestinese veniva vietata allo Stade de France dove una partita di calcio fra la nazionale francese e quella israeliana si è tenuta in uno stadio pressoché vuoto. Tutto questo accade per una semplice ragione. Che potremmo sintetizzare nello slogan sbandierato digitalmente sui palazzi di Tel Aviv: FREE EUROPE. Ossia, liberiamo l’Europa dall’antisemitismo, perché la memoria della Shoah si sta perdendo pericolosamente e criticare Israele è chiaramente antisemita.
Ora, bisogna guardare alle cose con attenzione. E studiare questa accusa di antisemitismo in tutta la sua portata. Non si tratta, infatti, di una reazione improvvisa e impulsiva, sull’onda di un’emozione suscitata da una lettura ingenua e parziale dei fatti. Si tratta invece di un lungo percorso che attraversa anni e che negli ultimi mesi è precipitato, portando al pericolo di cui sto seriamente parlando.
Tutto ha a che fare con la definizione allargata, vaga, e molto ambigua (nonché ovviamente criticatissima) messa a punto dall’ IHRA, International Holocaust Remembrance Alliance, organizzazione intergovernativa con sede a Stoccolma. Non tratterò la questione che richiederebbe lunghi saggi (peraltro ampiamente presenti in rete). Dico soltanto che essa tende a identificare le critiche mosse contro Israele a manifestazioni antisemite. Si tratta di una mossa sconcertante, perché impedisce la libera critica delle politiche di un Paese che dovrebbe essere considerato come qualsiasi altro Paese (e soprattutto per evitare un occhio di riguardo, in un senso o nell’altro) dunque liberamente criticabile per le sue politiche. Tanto per fare un esempio, stando alle implicazioni adombrate da alcuni casi portati dall’IHRA a chiarire la definizione, sarebbe antisemita sostenere che Israele è un Paese in cui la discriminazione della minoranza palestinese è una forma di apartheid.
Negli anni passati, su questa definizione i Paesi europei, tranne isolate critiche, si sono uniti, assieme a USA, Canada, Argentina e Australia. E tuttavia non hanno ancora lasciato che quella definizione abbia valore legislativo come sta accadendo ora in Germania. E qui arriviamo al punto. Non a caso nel Paese del genocidio per eccellenza.
Capofila nella repressione dell’antisemitismo inteso come critica di Israele, la Germania, in questi mesi, sta facendo scuola. Ha iniziato in maniera molto chiara, accerchiando militarmente quel congresso sulla Palestina in cui doveva parlare Yanis Varoufakis, poi si è distinta con l’esempio della sua polizia che tutti abbiamo visto alle prese su donne, vecchi, persino un bambino sventolante bandiera, fino alle prese di posizione più dure degli esponenti governativi, fino alla legge che condannerà chiunque si dedichi attivamente contro le politiche genocide di Israele per antisemitismo. È un’onda che in Europa, con l’eccezione orgogliosa in primis di Spagna e Irlanda, ha mostrato la strada da seguire. Non tornerò a parlarne. Piuttosto, è interessante sottolineare come chiunque, in questi quattrocento giorni, abbia speso energie per combattere il massacro ha visto limitare la sua individuale possibilità di esprimersi, usando i mezzi di comunicazione tipici del nostro tempo.
Si dice che si sa, ma poi quando se ne fa esperienza è un altro discorso. Tutti conoscono le restrizioni che i cosiddetti social applicano. Ma poi farne esperienza nel momento in cui, invece di postare idiozie, si parla di quel che succede a Gaza o nei Territori Occupati o in Libano è davvero deprimente. C’è chi usa numeri, strane lettere e ogni genere di espediente per sfuggire all’algoritmo o chi, come me, si è ormai abituato all’uso di continue perifrasi pur di non fare nomi, di non citare luoghi, non usare verbi sensibili. Fa sorridere il pensiero di se stessi mentre si tenta di eludere la censura del web. Un sorriso amaro. Perché mai, cresciuti dentro alle grandi conquiste occidentali, avremmo pensato di finire così. Costretti ad atteggiamenti da carbonari mentre ci si batte perché uomini e donne, bambini e vecchi, sopravvivano, abbiano un tetto, si assicurino l’accesso a cure decenti. Costretti a cercare spazi per poter dire che il nostro Paese rifornisce di armi ed elicotteri Israele e che no, non siamo d’accordo. Mentre una particolare forma di paura ha spinto moltissimi a tacere, anche quelli in genere abituati a parlare, criticare, gridare. Una forma di paura in cui, di là della dietrologia, del complottismo, dei ricatti, svetta la possibilità della vergogna somma: la vergogna di essere additati come antisemiti mentre stiamo semplicemente facendo quel che ci è stato insegnato: ricordare l’orrore del genocidio per non ripeterlo, non reiterarlo, e fare tutto ciò che è possiamo per fermarlo.
La rabbia è diffusa. Una forma di scoramento si mescola alla consapevolezza dell’inutilità di ogni gesto. E il Male Assoluto che va in onda quotidianamente sconvolge e deprime. Ragionare diventa dura, sempre più dura, fra chi difende un popolo, fra chi la stampa ha ribattezzato con un’espressione disgustosa, “ProPal”, come se si trattasse di una sfida sportiva, di un concerto, un liofilizzato, una medicina. Le parole. Le parole. Le parole si perdono sempre più in un’insensatezza capace di togliere le forze residue. Attenzione, allora. Attenzione. Il pericolo è dietro l’angolo.
Un ultimo sforzo.
Pochi giorni fa, mi sono imbattuto, su Instagram, in una frase estrapolata dall’intervista di Siegmund Ginzberg al Corriere della Sera. Veniva rilanciata per parlare del libro in uscita. Colpiva molto. Suonava così. “La sola cosa che dovrebbe essere chiara a tutti è che un bambino palestinese vale esattamente quanto un bambino ebreo”. Era spontaneo finalmente approvare. E faceva piacere che fosse un intellettuale ebreo come Ginzberg a esporsi. Poi mi sono fermato a ragionare e mi sono detto: possibile essere arrivati a tanto? Possibile che una banalità del genere, o meglio un dato di fatto, una roba scontata, qualcosa di assolutamente evidente per chi sia cresciuto come noi, dentro o fuori il cattolicesimo, possibile che in Occidente si debba sottolinearla, una cosa del genere? E possibile che a dirlo debba essere un ebreo, come se agli altri fosse quasi ormai culturalmente interdetta la possibilità appunto di esporsi? Esporsi poi? Esporsi per dire che uomini e donne sono tutti uguali, non solo i bambini? Ragionavo così e mi è caduto l’occhio su un commento. Vado a memoria. “Sacrosanto. Però l’ebraismo è una religione. Si dovrebbe semmai dire che un bambino palestinese vale quanto un bambino israeliano”.
Eccoci al punto. Ecco dove siamo arrivati. Ecco il pericolo di cui parlo dall’inizio di questo articolo.
Stiamo sacrificando tutto. Il sacrificio è cominciato e prosegue sulla pelle degli altri. Germania insegna. Il Paese responsabile della Shoah, avviluppato nelle spire della colpa, tenta di liberarsi sacrificando un altro popolo e condividendo un ulteriore genocidio, anziché usare la memoria per evitarlo. L’Occidente è al seguito di questo sacrificio. Ma non stiamo uccidendo solo gli altri. Stiamo uccidendo anche noi stessi, la nostra civiltà. E il primo pericolo, quello alimentato innanzitutto da noi, sta proprio nella distruzione di un mondo, a partire dalla libertà di pensiero e di espressione.
L’altro grande pericolo segue a ruota. È generato – direi con consapevolezza – dalla stessa Israele. E si chiama antisemitismo. E qui ci sarà bisogno di tornare a discutere a lungo. Ma è evidente a tutti che la rabbia, quando non trova espressione, diventa cieca, irrazionale. E a furia di dar dell’antisemita a chi condanna un Paese per la sua politica genocida il rischio è proprio quello di alimentarlo, l’antisemitismo. Non tanto per una questione logica, come sostengono alcuni. Certo, viene facile dire: se criticare Israele significa essere antisemita, allora lo sono. Ma non è la logica a essere in ballo in questioni così drammatiche. Bensì la cosiddetta pancia, gli intestini, le viscere. E il pericolo qui dovrebbe essere evidente a tutti. Chi lavora contro il genocidio di un popolo non può essere colpevolizzato da un gruppo di persone che rivendicano superiorità al punto da giustificare ogni efferatezza. E non può essere accusato in nome di una religione. Altrimenti la reazione sarà contro quella religione.
Credo che gli intellettuali ebrei siano chiamati ora definitivamente a fare un passo avanti. Ma non solo su di essi sta il peso dell’azione. Gli intellettuali tutti sono chiamati in campo. È adesso che il bisogno di giudizio e ragione si fa impellente. Adesso più che mai servono capacità di analisi e senso critico. Più tardi potrebbe essere troppo tardi.
Comments
I logicisti (Frege, Russel ecc.) sostenevano che la logica matematica esiste in sè, non ha a che fare con l'esperienza; gli empiriocriticisti, da Mach a Popper, sostenevano che anche la ragione deriva dall'esperienza, ovvero scienza è esperienza, e allora Lenin se la prese con Mach perchè demoliva il "socialismo scientifico".
Per quanto relative alla forza dei postulati che le sostengono, le argomentazioni di Marx, Nietzsche, Lukacs o Le Bon valgono per la loro coerenza logica, e sono ben altro che le "affabulazioni" destinate alle anime belle e ingenue, tra le quali è da mettere questo post dove l'irrazionalità abbonda quanto la fantasia verbale.
Le comunità umane vivono di narrative unificanti, e tanto più queste sono fantasiose - osservava Le Bon - tanto più galvanizzano gl'istinti gregari delle scimmie glabre. Ci sarà un motivo se per duemila anni l'Europa è vissuta in regime immaginale cristiano, fra Lazzaro risorto e il dio antropomorfico che impregna una donna mortale.
L'avversione dell'autore nei confronti delle affabulazioni sioniste e filogiudaiche prevalenti nei Paesi ad egemonia statunitense non deriva dalla loro irrazionalità, bensì dalla loro incompatibilità coll'altrettanto irrazionale religione specista dell'Umanità.
Condivido il pessimismo e credo che questa devastante perdita del senso della ragione sia la dimostrazione ulteriore che si sta combattendo una guerra e come in ogni guerra l'informazione lascia il posto alla propaganda e alla censura. Mentre i popoli dell'occidente (e non solo quelli) si apprestano a celebrare la sbornia natalizia, i governi e i loro comunicatori sanno che, nella guerra globale in corso, Israele è uno dei nostri e quindi va difeso a qualunque costo. E il costo evidentemente si sta facendo altissimo.
I fatti incongruenti dello scorso fine settimana a Amsterdam hanno probabilmente un filo che riconduce all’intervento del Mossad e in relazione al genocidio in Palestina. La popolarità' di Israele nei Paesi Bassi e’ stata sempre molto alta dalla fine della 2a guerra. Popolarità necessitata dal fatto che durante la occupazione nazista la delazione di ebrei alle forze di occupazione fu molto alta tra la popolazione. La conseguente complicità con Israele divenne dunque parte fondante dei governi postguerra e quindi di tutte le amministrazioni.
L’attivita’ del governo israeliano nell’ultimo anno di massacri quotidiani della popolazione palestinese ha tuttavia sconvolto lo sguardo della popolazione nei confronti di Israele e del sionismo. Non però del governo e delle amministrazioni locali, che hanno mantenuto la posizione di difesa a oltranza di Israele.
L’ipotesi e’ che Il governo israeliano mediante il Mossad abbia tramato per cercare di rimediare alla situazione di perdita di appoggio internazionale. Non a caso ha scelto Amsterdam perche’ li’ si trova un nervo scoperto sulla relazione Israele-ebrei-olocausto-Palestina.
L’intervento del Mossad ha avuto un suo percorso tattico: mobilitare la feccia dei tifosi del Maccabi, creare disordini, provocare i passanti, distruggere i simboli di appoggio alla Palestina. Ma la citta di Amsterdam non e’ rimasta passiva e ha reagito contro le provocazioni dei tifosi del Maccabi, i quali nelle loro grida inneggiavano lo stupro delle donne arabe, il massacro dei bambini di Gaza, (hanno una canzone che inneggia a cio’).
Le autorità non si sono fatte pregare e hanno cominciato ad attaccare i dimostranti pro Palestina, arrestandone diverse decine.
Ma tutta questa situazione ha provocato uno scompiglio dell'establishment: molte informazioni sul comportamento degli ultras del Maccabi, sul ruolo del Mossad in tutta la situazione sono trapelate e si e’ sviluppata una posizione scettica nei confronti delle autorita’ e soprattutto nei confronti del governo che e’ dichiaratamente favorevole a Netanyahu e i suoi massacri.
Lo scopo dunque del Mossad e del governo sionista non ha dunque sortito lo scopo che era quello di riguadagnare simpatia tra il popolo olandese e additare per la colpa gli olandesi di origine araba. Sebbene le autorità, a cominciare dalla sindaca di Amsterdam fino al governo hanno cercato fino all’ultimo di salvare la versione dell’antisemitismo, i media,un po’ piu’ responsabili delle autorita’ hanno cercato di distribuire le responsabilita proprio per evitare una radicalizzazione della societa’ il cui risultato non sarebbe stato controllabile.
Nicolai Caiazza
12/11/24
https://www.sinistrainrete.info/sinistra-radicale/14499-karlo-raveli-proprieta-patriarcato-e-criminalita-ecologica-cop24.html
Non solo la politica dello struzzo, pure il compiacimento per la distruzione dei "terroristi" o dei loro familiari, lo sberleffo ai morti, il vanto della ferocia, il disprezzo per chi deplora e così via.
Comprensibile quindi che anche l'antisemitismo rinasca, e in fondo non è che una forma di antirazzismo giustificato dal delirio sionista del "popolo eletto".
Quali siano i legami delle potenze (impotenze comprese, stile Italia) occidentali / G7 con i suddetti deliri non è del tutto chiaro, ma questa è l'evidenza. Dovrebbe essere lo spartiacque di qualsiasi futuro discorso politico.
"E lasciamo stare anche la completa insensibilità europea e l’incapacità di usare la misura generalmente applicata"
"E il Male Assoluto che va in onda quotidianamente sconvolge e deprime"
"Germania insegna ... condividendo un ulteriore genocidio, anziché usare la memoria per evitarlo ... E il primo pericolo, quello alimentato innanzitutto da noi"
Gentile Matteo, condivido la tua preoccupazione che è vera anche in me, proprio tangibile, fisica, corporale per questo efferato genocidio che viene contrabbandato come dovere morale del "bravo-israeliano-e-chi-non-è-con-te-va-arrestato".
Tra l'altro, consiglio di leggere (se hai lo stomaco forte) l'articolo di Chris Hedges ospitato qui su Sinistra_in_rete: agghiacciante, come è agghiacciante anche la nostra inerzia.
Tuttavia, nel mio piccolo e per quel che vale, avrei individuato il vettore con il quale viene propagata tale drammatica condizione, essendo esso il MAINSTREAM MEDIATICO.
Il mainstream mediatico serve ad ammaestrare LE MASSE (e funziona alla grande!) a tutto ciò che vuole il gruppo che ne detiene il possesso.
Due cose faccio notare: una è LE MASSE, cioè il numero di gran lunga maggiore di persone di una società. Tale quantità è stata del tutto sottratta a qualunque altra forma di ragionamento, tramite subdole (ma studiate ed efficacissime) forme che propinano solo pseudoragionamenti, i quali si reggono perchè viene vietata la presenza e la parola a chi veramente non è d'accordo. Ma tali condizioni vigono, e quindi gli pseudoragionamenti sono incontrastabili (in realtà anche per l'esistenza di altre tecniche secondarie ma voglio essere breve).
La "massa" pertanto è, allo stato attuale, irraggiungibile: gli unici discorsi vincenti sono quelli delle forze che si sono affiliate a questa "Società dello spettacolo", in quanto sono gli unici cui viene accordato il transito.
L'altra, in larga parte già descritta sopra, è la capacità di trasformare la realtà: esiste solo ciò di cui il mainstream parla (mainstream perfezionato in molteplici emittenti le quali sfruttando l'immagine del pluralismo, funzionano come molteplice cassa di risonanza per lo stesso messaggio, altrimenti revoca della concessione) e se ne può parlare solo nel modo in cui esso ne parla.
Il mainstream possiede la massa, possiede ciò che la massa deve sapere o non sapere, e soprattutto possiede l'opiniome della massa. Cose da depressione pesante anni prima, da incubo adesso.
Le frasi che ho riportato in apertura di commento sono rappresentative di come il Mainstream 1) decide la versione (cioè la realtà conoscibile dalla gente), e 2) l'opinione che la gente deve farsi al riguardo facendola sembrare pluralista e civile in quanto viene ripetuta tal quale da rai, mediase, la7, corriere, repubblica, eccetera.
Rispetto alla propaganda di regime di 80 anni fa, la tecnologia del consenso si è affinata, eccome!