Instaurazione del rischio di estinzione
di Jacques Camatte
In un primo approccio, l’importanza eccezionale accordata agli effetti patologici legati all’infezione da coronavirus sembrerebbe un buon modo per mascherare il fenomeno essenziale in atto: la distruzione della natura e la rimessa in discussione del processo di vita organica sulla Terra. Si tratta della scomparsa di migliaia di specie e del blocco di tale processo in atto da quasi quattro miliardi di anni, che conducono ad un’immensa estinzione. Ora la Terra è un corpo celeste eccezionale e nessun altro somigliante è stato scoperto a migliaia di anni luce. Come può la specie escamotare* un tale evento, se non a causa della sua follia, rinchiudimento in un divenire, un’erranza, che la fa incapace d’immaginare qualcosa di diverso, in particolare una via d’uscita. Essa si preoccupa solo di se stessa, ignorando che ciò che subisce è una conseguenza della sua dinamica di separazione dalla natura e della sua inimicizia,1 sia interspecifica, che infraspecifica.
Tale dinamica di mascheramento è vera, evidente, ma questa affermazione non implica una sottovalutazione del fenomeno che stiamo subendo. È ciò su cui vogliamo insistere e non intendiamo separare i due fenomeni, ma al contrario integrare ciò che riguarda la specie nel divenire della totalità del fenomeno vivente.
Il carattere più importante di questa pandemia è il suo contagio fortissimo a causa del virus stesso ma soprattutto a causa della sovrappopolazione e della distruzione della natura che riduce il numero delle specie possibili ospiti. Essa è vissuta come una terribile minaccia.
Ora, in diversi momenti del loro processo di vita uomini e donne si trovano, consciamente o inconsciamente, in presenza della minaccia che in certi casi può manifestarsi come una minaccia ben determinata.
E questo opera tanto a livello individuale quanto a livello di un gruppo più o meno numeroso, a livello di un’etnia, di uno strato sociale, così come a livello di una nazione e, infine, a quello della specie. Quest’ultima si trova ospitata nel suo mondo, nella natura ovvero nel cosmo, come in una matrice dominata dalla minaccia, da essa determinata e strutturata — in relazione a fenomeni naturali distruttivi — nel corso di migliaia di anni, quella del rischio di estinzione.2 E non è solo il contagio a determinare la reinstaurazione del rischio, di un rischio corso più di centomila anni fa,3 ma le misure che vengono adottate per bloccarlo.
Dunque, vengono a sommarsi un rischio per la specie e un rischio per l’insieme del mondo vivente, la sesta estinzione prospettata già diversi anni fa da R. Leakey,4 il che rafforza ulteriormente in Homo sapiens la minaccia inconscia dell’estinzione, con preponderanza soprattutto nell’immediato del fenomeno che la riguarda direttamente, mentre l’altro è più spesso occultato secondo la sopraindicata dinamica di mascheramento.
Che cosa rivela il contagio, che è alla base di questa pandemia, cosí come le misure di protezione che essa induce? Si può parlare a questo soggetto di apocalisse, non foss’altro che per segnalare il rigiocamento, poiché questa parola indica proprio la rivelazione di una possibile distruzione ma anche il mezzo per sfuggirne.
Il fallimento dell’uscita dalla natura, poiché la specie non è arrivata a sfuggire alla minaccia e a raggiungere la sicurezza, nonostante una serie di separazioni per proteggersi.
La fine della negazione totale della comunità originaria a seguito della sua frammentazione nel corso dei millenni con la fase finale del processo di separazione e il dispiegamento dell’iperindividualismo che si manifesta come compensazione all’evanescenza dell’individuo. Ai nostri giorni, i rackets e il gregarismo sono i residui aberranti della comunità.
La fine del ricoprimento e la messa a nudo della derelizione, e anche la manifestazione del numen, del sacro, di ciò che genera fascino e paura, e la rivelazione della vulnerabilità.5
Dato che l’instaurazione del rischio di estinzione — non si è più di fronte semplicemente alla minaccia, ma al rischio stesso — si presenta come la somma dei due fenomeni precedenti sopra citati, non possiamo trattarli separatamente e notiamo, in primo luogo, che affermare che si tratta di un rischio implica che nella normalità l’estinzione non si verificherà. Tuttavia, nel corso delle migliaia di anni che ci separano dall’evento iniziale, dati imprevisti hanno potuto imporsi e far sì che dal rischio si possa passare alla certezza. Il dato imprevisto, il più importante e difficile da padroneggiare è forse la follia della specie che la rende incapace di prospettare uno sviluppo diverso da quello che ha adottato (rinchiudimento). Da cui la necessità di un ascolto sia storico che attuale per essere veramente presenti a quanto avviene, il che permetta di attualizzare un comportamento adeguato.
Lo studio dell’origine della malattia rivela che ha avuto una «incubazione» piuttosto lunga, fonte di confusione. In effetti è stata preceduta dalla sindrome respiratoria acuta grave SARS sorta in Cina (2002-2003) e che ha colpito 29 Paesi. Il virus Covid-19, il SARS-CoV2, potrebbe derivare da quello che ha causato la SARS. D’altra parte, potrebbe esserci un legame con la Sindrome da Disturbo Respiratorio Acuto, nota da abbastanza tempo e identificata effettivamente nel 1967. Si menziona talvolta anche la Sindrome Respiratoria del Medio Oriente dovuta anch’essa a un coronavirus MERS-CoV, trasmesso dal cammello, e che dal 2012 interesserebbe alcuni Paesi al di fuori dell’Arabia Saudita. Questo suggerisce che la malattia attuale abbia una base profonda e diffusa, tanto più che i coronavirus costituiscono una vasta famiglia di virus che possono causare malattie diverse, che vanno dal comune raffreddore alla sindrome respiratoria acuta grave (SARS). Sta diventando il virus per eccellenza.
Essendo le condizioni di vita quello che sono e similari in tutti i grandi centri urbani, il virus Covid-19 non troverebbe in ciascuno di questi centri la possibilità di emergere a partir da un virus «imparentato» preesistente? Si avrebbe una forma di produzione endogena. Penso a questo a causa della velocità di propagazione della malattia e perché essa rivela lo stato di decadimento6 in cui si trova la specie. Ciò non implica, nel caso in cui questa ipotesi si rivelasse corretta, che si debba abbandonare il confinamento, ma ciò imporrebbe di preoccuparsi simultaneamente e ancor di più delle cause profonde di questa malattia al di là del parassitamento da parte del virus. Esso viene ad essere il supporto di ogni male. Si sente dire spesso: non sto bene, devo aver preso un virus. Ma c’è sempre ambiguità all’interno della specie speciosata.* Così di qualcuno che si dedica con passione ad una data attività, si dice che ha il virus di... L’aspetto maligno di questo essere si ritrova nel campo dell’artificialità con i vari virus informatici. Assai curiosamente Stephen Hawking, fisico e cosmologo, voleva, sembrerebbe, che li si considerasse come esseri viventi, che mostrano un’ambiguità nella formazione, in unione con un’altra che sarebbe naturale, secondo la rappresentazione vigente, che considera il virus vivente o non vivente a seconda del supporto su cui si trova. Ma per il fatto stesso della demonizzazione di cui è il supporto, il suo ruolo essenziale in seno al processo di vita è totalmente escamotato. Per designarlo, si deve rimontare alle origini di questo processo all’epoca di quello che fu chiamato il brodo primordiale, ove regnava un continuum vitale. Non c’era separazione e la continuità era immediata. Quando le cellule apparvero, le loro membrane imposero separazioni opponentisi alla continuità. I virus furono gli elementi viventi, discreti, che permisero di ristabilire la continuità a partire dal discontinuo, permettendo trasferimenti da certi esseri viventi ad altri, e l’intero processo di vita nella sua totalità potè continuare, perché ciò che si evolve non sono solo specie isolate, ma l’insieme del mondo vivente che deve conservare la sua coerenza. I genetisti hanno evidenziato la presenza di un gran numero di virus integrati nel nostro genoma, segnalando il loro contributo alla costruzione di esso. In altre parole, se c’è continuità essi possono operare senza parassitare. In compenso, se questa è rimessa in causa, possono diventare parassiti. E anche in questo caso bisogna tener conto della totalità per poterlo affermare, perchè una miriade di relazioni sono operanti, tra cui in particolare quella che interviene nella dinamica di rivelazione di un dato stato, mentre altre possono sfuggirci. Ora, a causa del suo modo di vita Homo sapiens ha operato varie discontinuità, la più importante delle quali è quella con il resto della natura, da cui la moltiplicazione delle malattie virali. Fare dei virus i supporti del male (le malattie) è ancora sostenere la separazione e l’inimicizia, soprattutto quando li si associa a specie che ne sarebbero i vettori, come nel caso di Covid-19, pipistrelli e pangolini. Ora questi ultimi, come risultato dell’azione umana, sono in via d’estinzione! Ma ciò nasconde un’ambiguità: fare degli altri esseri viventi i responsabili delle nostre malattie implica pensare che siamo passivi, ovvero inessenziali! La specie, virtuosa della manipolazione. si proietta negli altri e considera che il virus la manipoli. Ora, si suppone che la SARS-CoVz, il virus di Covid-19, derivi da una manipolazione in laboratorio, come sostiene Luc Montagner. La stessa affermazione fu fatta per il virus, tuttora sconosciuto, dell’AIDS.
I sintomi di Covid-19 sono molto vari e certi si sono manifestati solo recentemente, come i disturbi cardiaci o le reazioni infiammatorie eccessive come le tempeste di citochine che segnalano disfunzioni del sistema immunitario, i disturbi del comportamento legati a danni cerebrali, l’infiammazione endoteliale sistemica7e ancor più recentemente la formazione di coaguli che non possono essere rimossi, obbligando in alcuni casi ad amputazioni.
Questa grande diversità è legata al fatto che la malattia rivela in realtà disfunzioni antecedenti in seno alla specie, cosí come la sua obsolescenza, e quelle causate da essa in seno alla biosfera. È più che una malattia perché, come operatore di rivelazioni, essa s’impone come apocalisse. Ma, ripetiamo, la causa non è il virus, ma lo stato della specie.
A seguito dello sconvolgimento legato al maggio 1968, ho imperniato la mia riflessione e la mia indagine, da una parte sul mantenimento di una prospettiva «emancipatrice» con l’affermazione di un’invarianza, all’interno alla specie, di una corrente portatrice di un progetto di riemergenza della comunità umana, dall’altra sulla messa in evidenza della degenerazione della specie legata allo sviluppo del capitale e all’autonomizzazione della sua forma.8
Dieci anni dopo constatavo: «Si è giunti ad uno stadio di esaurimento dell’umanità e della natura; da cui si apre a noi l’era delle catastrofi.» («Precisazioni a distanza di tempo», Invariance, serie III, n°5-6, p. 35)9
A posteriori si constata che l’inizio di questa era è contemporaneo alla fine del movimento proletario degli anni 80. È stata essa stessa una catastrofe immensa ed è del resto così che l’abbiamo vissuta, contemporanea all’accelerazione della distruzione della natura, in particolare delle foreste. In effetti la scomparsa del proletariato ha avuto un effetto paragonabile alla riduzione estrema delle foreste: perdita di ogni regolazione del sistema economico con la crescita indefinita della produzione, paragonabile alla perdita del fenomeno di compensazione che permetta una regolazione del clima.10 Ecco perché nel corso di questi anni ho studiato come il divenire della società-comunità in atto avesse per effetto una degenerazione sempre più spinta della specie. A tale divenire sono state essenziali tutte le tecniche di manipolazione che utilizzavano persuasione, seduzione, cosi come la comunicazione, l’informazione, la pubblicità con i media corrispondenti, perché esse hanno avuto un impatto fortissimo sul sistema immunitario che può arrivare fino alla sua deficienza, azione completata da quella delle droghe. E questo ha operato anche nella dinamica di assimilazione e d’integrazione, senza dimenticare la sua costante operatività nel corso dei secoli nell’educazione e nell’insegnamento.11
Così possiamo rispondere alla domanda: cos’è che causa la grande pericolosità di questa malattia? È che essa arriva in fine di percorso, come conclusione di un immenso processo d’indebolimento della specie, legato in particolare ad una disfunzione del suo sistema immunitario la cui importanza è notevole, nell’assicurare un processo di conoscenza inconscia complementare a quello cosciente.
Dall’insieme degli articoli di questo numero [de La recherche, n°i77 del maggio 1986 (N.d.T..) ] consacrato a «Le difese del corpo umano», emerge in definitiva che la rete immunitaria non serve unicamente alla difesa dell’organismo, ma sarebbe un sistema d’integrazione, di posizionamento di esso nel continuum vitale, che funzionerebbe del resto in simbiosi con i miliardi di organismi (principalmente i batteri) presenti nel corpo di ogni uomo e di ogni donna.12
Si comprende che attacchi multipli a questo sistema possano tradursi in una grande difficoltà ad essere presenti a se stessi e al mondo, che è una componente della speciosi,13 tanto più che la rottura con il resto della natura ha generato la solitudine della specie e che la distruzione di quella ha per conseguenza l’impossibilità di essere riconosciuti. Per un lungo tempo essa ha potuto diminuire questa solitudine grazie alla sovra-natura ricorrendo ad ogni sorta di divinità e, soprattutto col monoteismo, all’aiuto di Dio. La debolezza di quest’ultimo, la sua evanescenza, rimette la specie in derelizione.
Quindi le cause essenziali della pandemia sono la speciosi sovra citata la cui manifestazione più estrema è la perdita della sensibilità, dell’affettività, causa e risultato della perdita della continuità e la regressione dell’empatia, la sovrappopolazione.14
Questa perdita riguarda il rapporto con l’altro in generale, la ripercussione dell’altro su di sé, il che aumenta l’iperindividualismo che esprime bene la rottura di continuità che implica la dimensione della potenza di vita, la scomparsa dell’ascolto.
La diffusione della malattia e le misure volte a ostacolarla, a sradicarla — mettendo in discussione tutto il modo di vita — rivelano tutto ciò che affetta negativamente la specie e mettono in evidenza particolarmente la nocività del separarsi per salvarsi.
Ciò che si rivela prima di tutto e in un modo che si potrebbe dire esplosivo è l’inimicizia, che si presenta nello stesso tempo come un comportamento e come un’affezione, e come un modello di conoscenza.15 Fin dall’inizio è stato proclamato: siamo in guerra. In questa proclamazione sbuca la nostalgia per i tempi guerrieri, in cui l’individuo può dare il cosiddetto meglio di sé e quando la vita acquista un senso perché è allora possibile accedere a se stessi. Inoltre, lo stato di guerra permette ai dominanti di giustificare le diverse misure di repressione, di bloccare le possibilità per i dominati di manifestarsi, come si verifica con l’imposizione del confinamento che, prolungato, porta ad una forma di asfissia. A questo proposito comunicherei la profonda osservazione che mi ha trasmesso Cristina Callegaro sui disturbi causati dal Covid-19:
Tutte queste persone che soffocano, che non riescono più a respirare, che mancano di ossigeno, è come una paura radicale, assoluta. Sembra un rivissuto della nascita, di una nascita pesantemente traumatica che a sua volta riassume il terrore dell’annientamento della specie.
Ciò indica anche la difficoltà, se non l’impossibilità, di operare l’inversione che potrebbe presentarsi ed essere vissuta come una nascita.
Il contagio di Covid-19 e il confinamento che ne segue non riflettono forse il rifiuto inconscio dell’altro, soprattutto in popolazioni che subiscono una troppo grande prossimità forzata, per esempio nei trasporti, nelle strade affollate o anche in appartamenti angusti? Nella normalità non siamo limitati al nostro corpo, ma siamo circondati da una bolla simile a una cavità amniotica limitata, quindi da un’amnios. L’attraversamento ripetuto di questo rende il viverlo assai poco agevole, è come se l’individuo perdesse la sua idiosincrasia, i suoi punti di riferimento e anche la sua traccia. Dove si trova? E si può pensare che i buchi praticati nell’«amnios» siano porte per le quali un virus possa introdursi.
Questa osservazione sull’importanza della cavità amniotica e dell’amnios mi è stata suggerita dalla lettura delle opere di Varenka e Olivier Marc, in particolare Premiers dessins d’enfants Ed. Nathan. Infatti da quanto lei e lui espongono sono giunto alla conclusione che cavità amniotica e amnios sarebbero ricostituiti dalla presenza avvolgente della madre che, nello stesso modo, permetterebbe al bambino di costruire la propria bolla, grazie al cordone ombelicale costituito dalla continuità tra lui e la madre. Si può dire che è un momento importante nella realizzazione dell’aptogestazione.16 * E tutto ciò, occorre metterlo in relazione con la perdita di ogni comunità che rende gli individui estremamente fragili, e aggiungerei che probabilmente la bolla, e dunque l’amnios, sarebbero i resti della dimensione comunitaria a livello dell’individuo.
Tornando alla manifestazione dell’inimicizia, la proclamazione della Union sacrée — complemento a quella della guerra, equivale alla messa in atto di una forma di repressione, completata spesso da un’auto-repressione, che mira a quelli e quelle che non sono d’accordo. Essa tende ad abolire le differenze, sprofondando la popolazione in uno stato di indifferenziazione che è una forma di cancro.17
Ciò permette allo Stato di recuperare una certa importanza facendosi gestore della terapeutica, ovvero terapeuta, il che è logico perché la terapeutica fondamentale è quella che mira a guarire gli uomini e le donne della loro naturalità reprimendola. Ora, le misure che assicurano il confinamento entrano bene in questa dinamica, essendo propizie all’effettuazione di violenze di polizia, come avviene durante le attuali rivolte nelle periferie dovute al confinamento, alla miseria, al non riconoscimento.
Lo stesso vale per altre misure come il distanziamento, che rivela l’inimicizia soggiacente, perché mantenere le proprie distanze è proteggersi. Essa permette anche di evitare la crisi della presenza, la presenza dell’altro che è potenzialmente pericoloso soprattutto se è sconosciuto.
Il distanziamento implica la realizzazione a distanza di processi di vita: telelavoro, teleinsegnamento, videogiochi, cybersesso, e dunque non più tatto. Si deve compiere tutte le funzioni vitali nella separazione, senza alcun contatto, viviamo felici viviamo separati.
Così il Covid-19 apparirebbe come una malattia affettivamente trasmissibile che obbliga a portare la maschera, che implica che mascherarsi crea una certa distanziazione, o conduce ad essa. Così più la specie degenera e più difficilmente può compiere il suo processo di vita senza rischi, l’ultimo dei quali, sommatoria di tutti, è il rischio di estinzione.
Il Covid-19 e le misure per preservarsene rivelano la repressione genitoriale e la esacerbano. Dall’inizio del confinamento c’è stato un incremento di maltrattamenti concernenti i bambini e le donne.
Il fenomeno si ripete nei rapporti di lavoro in cui i datori di lavoro non assicurano le necessarie misure di protezione o approfittano della situazione per aumentare lo sfruttamento, il che ha causato scioperi. Inoltre, all’inizio, certi datori di lavoro hanno negato l’epidemia per non interrompere la produzione.*
Poiché l’attività economica non può essere interrotta, s’impone una separazione tra i confinati e coloro che per cosi dire devono servirli: personale sanitario, ma anche lavoratori e lavoratrici in varie imprese come le Poste, ad esempio, e che spesso non sono adeguatamente protetti e protette per esigenze economiche, o per mancanza di mezzi, la cui causa risiede anch’essa in fattori economici, come le restrizioni di bilancio (il caso degli ospedali e del personale ospedaliero è esemplare).
Le disuguaglianze sociali si manifestano apertamente. Cosí i ricchi han potuto andare in campagna, chi ha una villa con un giardinetto o chi vive in appartamenti abbastanza grandi gode di condizioni di vita molto più favorevoli rispetto a quelli che si trovano in alloggi angusti, luoghi che favoriscono i conflitti.
La sostituzione è il trionfo dell’economia, un approccio caratterizzato dalla predominanza degli oggetti sugli esseri. I primi, grazie all’informatica sono sempre più connessi tra di loro e presto non avranno più bisogno degli uomini per operare. Al limite, uomini e donne appariranno come parassiti che, a causa della loro affettività, turbano gravemente i processi in corso. D’altra parte l’economia assicura il progresso in tutto e deve anche riguardare Homo sapiens nella sua dimensione zoologica, da cui la dinamica dell’uomo aumentato. Inoltre c’è da tener conto del fenomeno dell’oggettivazione, che fa sí che gli esseri umani tendano a comportarsi come oggetti.18
La sostituzione crea un divenire all’estinzione per il fatto del rimpiazzo del vivo col non vivo come i robot, esseri che si comportano come se fossero vivi. È il trionfo del come se, della simulazione, della sostituzione di madre natura con madre informatica-internet.
L’epidemia serve a mascherare la distruzione della natura — a operare uno stornamento — ma rivela anche tutti gli orrori umani, cioè essa fa sorgere e non solo svela. A questo proposito notiamo che il velo è una sorta di maschera che, originariamente nell’area islamica, serviva per proteggere le donne. La maschera serve anche, da qualche anno, per proteggersi contro le conseguenze di questa distruzione: proteggersi dall’inquinamento,19che può essere percepito come una malattia altamente contagiosa e la cui origine è molto antica, poiché comincia con la costruzione delle città, delimitate da mura20 erette in vista di operare una protezione a fronte di altri uomini. Ora, si può considerare che mascherarsi è rinchiudersi in se stessi. È anche esporre un’ambiguità: io non sono pericoloso ma porto una maschera perché sono ambiguo, contengo la possibilità di trasmettere un pericolo. In questo caso, rimuovere la maschera sarebbe escamotare l’ambiguità. Prendendo la pandemia maggiore ampiezza e potendone emergere altre, si può domandarsi se il portare la maschera dovrà entrare nel nostro abbigliamento necessario. Espongo qui la dinamica in atto e ciò che essa implica, e non vuol dire che io sia convinto dell’utilità della maschera o del test.
Mascherare: abbiamo più volte fatto appello a questa parola per indicare il fatto di dissimulare una certa realtà piuttosto che escamotare o scotomizzare che esprimono che si nasconde ma non che si dissimula. Quando ci si maschera si tiene conto di una realtà ma la si nasconde, il che costituisce del resto il contenuto del ricoprimento. Nella situazione attuale, in modo immediato, il portare una maschera permette di proteggersi, ma anche di non contaminare l’altro se egli non ne porta, nel caso in cui si sia portatori di virus senza saperlo. Ma, inconsciamente, altre funzioni possono essere presenti e avere un effetto sulla persona che si maschera, per esempio, cosa è che essa copre? In effetti ci si può mascherare anche per non essere riconosciuti, segnalando ancora la dinamica dell’inimicizia. Da un punto di vista generale, questa pratica è in rapporto con l’incertezza della specie, incertezza di ciò che è e del suo posto nel fenomeno vivente, ma anche con l’insoddisfazione di essere ciò che essa è. Indica anche tutta l’inquietudine e l’immensa perplessità che il rapporto realtà-apparenza genera, contenendo una fondamentale ambiguità.21
Questa è legata alla separazione dal resto della natura: siamo naturali o siamo fuori natura? È la domanda che ci si pone da secoli. Una forma di scamotaggio di essa consiste nel porre che l’uomo sia costantemente nella dinamica di separarsi, o sul punto di farlo. L’ambiguità ha la dimensione della dualità, dell’ambivalenza, dell’equivoco (esistenza di due vie, quale prendere?). Tuttavia essa è spesso inconscia e si svela solo attraverso una transcrescenza attraverso la manifestazione di questi tre fenomeni. Come si verifica con la natura madre o matrigna e la madre amorevole o repressiva.
La nocività dell’ambiguità deriva dal fatto che essa genera l’insicurezza, l’indecisione che può trasformarsi in incoazione, lo sgomento, l’installazione di un blocco che, per uscirne, provoca il dispiegarsi di misure estreme gravide di violenze, e dunque il ricorso all’inimicizia. Nel complesso, l’ambiguità genera la crisi della presenza; è perciò che è in generale repressa.
Le misure prese contro il Covid-19 ci forniscono un importante esempio di ambiguità: sono state preconizzate in vista della salute degli individui o mirano a salvare l’economia? Non dimentichiamo che il residuo di naturalità è causa dell’ambiguità. Le esigenze in partenza si presentano così: occorre ben curare la gente perché possa lavorare e dunque far funzionare l’economia, che a sua volta permette di soddisfare i suoi bisogni. Ora, più la pandemia perdura e con essa le misure che mirano a contenerla, più l’ambiguità si dissolve, come abbiamo già detto parlando della sostituzione. Inoltre, ridurre la naturalità permette di uscire dall’ambiguità, e l’artificializzazione s’impone come modo di eliminarla.
Abbiamo anche già segnalato che le disuguaglianze sociali sono ben evidenti e conclamate, e dunque ogni ambiguità circa l’inesistenza di barriere sociali e su un’eguaglianza tra gli esseri umani, scompare.
È con la messa in atto del confinamento che si rivela con più acutezza l’eliminazione di ogni ambiguità.22 Così Sylvia Duverger utilizzando dei lavori di Natacha Chetcuti Osorovtz ha dichiarato: non siamo in prigione, ma imprigionate.23 È ciò che accade normalmente per tutte le persone che vivono nelle città, soprattutto le grandi città, le megalopoli. È come se scontassero una condanna di cui non conoscono la causa. Essa rivela pure l’esercizio della repressione col pretesto che è per il tuo bene, con il trionfo dell’artificializzazione che si realizza attraverso il telelavoro, il tele-insegnamento già citati a proposito del distanziamento, i quali possono anche essere giustificati in nome della riduzione dell’inquinamento. Provoca una grande disorganizzazione della vita economica e sociale, ma è soprattutto la repressione degli impulsi e dell’affettività degli uomini e delle donne, con escamotaggio delle enormi sofferenze che ciò induce in particolare per gli anziani nelle case di riposo (Ehpad), dunque già isolati dai loro parenti, il che può affrettarne la morte. Confinare è rinchiudere, il che può portare all’asfissia e alla morte come nel Covid-19.
L’inibizione ovvero la negazione della vita affettiva porta all’obsolescenza dell’uomo teorizzata da G. Anders, di cui abbiamo spesso parlato, e alla scomparsa della specie animale Homo sapiens, come ha affermato A. Leroi-Gourhan nel 1965.
Occorre dunque concepire un homo sapiens completamente trasposto e sembra che si assista agli ultimi rapporti liberi dell’uomo e del mondo naturale. Liberato dei suoi strumenti, dei suoi gesti, dei suoi muscoli, della programmazione dei suoi atti, della sua memoria, liberato della sua immaginazione dalla perfezione dei mezzi televisivi, liberato del mondo animale e vegetale, del vento, del freddo, dei microbi, dell’ignoto delle montagne e dei mari, l’homo sapiens della zoologia è probabilmente vicino alla fine della sua carriera (Leroi-Gourhan, Le geste et la parole, t.II, p.266).24
L’altro aspetto non meno pericoloso è, con un controllo costante e più efficiente, una crescente sorveglianza realizzata grazie ai progressi dell’informatica che rendono possibile la tracciabilità — con in un futuro prossimo, la messa a punto dell’identità digitale e l’uso della 5G — a cui sarà difficile sfuggire, e con l’uso dei droni, nonché l’impiego di nuovi mezzi per combattere coloro che si ribellino a questo ordine infernale, impedendo cosi ogni possibilità di scontro con il creare un fenomeno di distanziazione che rivela tutta la sua dimensione d’inimicizia e l’asimmetria nel conflitto: gli uomini al servizio dell’ordine potranno proteggersi e i dimostranti resi incapaci di attaccarli. Insomma la realizzazione di un dispotismo legato a una momentanea riaffermazione dello Stato, che si manifesterà in modo sempre più subdolo grazie all’economia che metterà in atto un’organizzazione repressiva, come del resto è ogni organizzazione sociale, ricercata da millenni. La guerra contro il virus non arriva a mascherare la guerra civile latente.
Il controllo e la sorveglianza, che vanno di pari passo, aumentano in contemporanea alla crescita della quantità della popolazione umana.
Con la dinamica del proteggersi è quindi sempre l’inimicizia a prevalere, come accade in generale nelle relazioni umane, ma finché rimane una certa naturalità, l’ambiguità persiste. Dovrebbe dunque andare fino in fondo per eliminarla, portando l’estinzione della specie.
Questa pandemia è scoppiata in seno ad una crisi economica, che è per cosi dire perpetua con l’instaurazione della forma autonomizzata del capitale, poiché niente fa da ostacolo alla dinamica dell’incremento continuo, e l’ha rafforzata. Da cui il paragone spesso fatto con le crisi storiche come quella del 1929 e anche con le guerre che spesso hanno avuto luogo per risolvere crisi economiche. Si potrebbe anche porsi la questione delle epidemie di guerra, per il fatto stesso che l’epidemia sia vissuta come corrispondente a quella. D’altra parte le misure prese contro la Covid-19 accentuano la crisi mettendo bene in evidenza che uomini e donne sono necessari, il che porterà ancora a tentare di eliminarli, di renderli obsoleti.
Essa ha dato luogo da parte di un gran numero di uomini e donne alla manifestazione di una grande empatia, che per il personale sanitario ha potuto in certi casi portarli alla morte, e di una solidarietà, che indica che la naturalità è ancora operante nella specie ma insufficiente ad eliminare l’ambiguità nella sua totalità. Per questo motivo la specie ne uscirà indebolita e ricettiva ad altre pandemie, artificializzata ad oltranza, iper-controllata, il che ne accrescerà il rischio di estinzione.
Con il confinamento si è rilevata una diminuzione dell’inquinamento atmosferico, del tasso di CO2, un aumento delle manifestazioni di animali che prima erano poco visibili, ma ahimè ancora il mantenimento dei pesticidi e degli insetticidi. Probabilmente ci vorrà un’altra crisi come quella che stiamo vivendo per giungere alla loro soppressione.
Emerge anche che le conseguenze della pandemia e delle misure che essa ha provocato indicano attivamente a Homo sapiens che cosa occorre fare per rigenerare la natura:25 la specie dovrà limitare l’entità della sua popolazione e imporsi un contenimento per lasciare più ampio spazio agli altri esseri viventi.
Dopo la fine del confinamento gli individui cercheranno di trovare un posto nel corpo sociale, ma potranno difficilmente ritrovare quello precedente. È quello che in modo analogo si produsse per la specie con la rottura con il resto della natura.
Ciò significa anche che viviamo l’instaurarsi di una grande discontinuità.
Per metterla in evidenza, si può prospettare in modo diverso l’intero fenomeno in corso, in complementarità con quanto detto sopra. Tenendo conto di ciò che abbiamo scritto sulla rivolta della vita col movimento del maggio-giugno 1968 facente seguito al movimento hippie, e tenendo presente che ciò che è fondamentale nel caso della pandemia non è il virus ma lo stato di decadimento in cui la specie si trova dopo migliaia di anni di uscita dalla natura, di conflitti con essa e sua distruzione, che è pure distruzione della naturalità di ognuno, fenomeno accelerato da due secoli e come autonomizzatosi a partire dagli anni 80 del secolo scorso, si può affermare che è come se il corpo della specie significasse che non ne può piu, che non è più in grado di sopportare ciò che gli viene inflitto, che non può più assicurare la guerra, che entra in depressione, che non può più sopportare l’artificializzazione.
È come se uomini, donne e persino bambini fossero entrati «in sciopero» per rifiutare il diktat del meccanismo infernale che li opprime, uno sciopero che ha colto impreparati, sorprende tutti, compresi i dominanti, che, anch’essi, a un grado minore, soffrono della stessa situazione, e come tutti hanno paura della morte (residuo di naturalità comune a tutti). Si tratta, in forma passiva, di un immenso rifiuto. Ora, è a partire da li che si può avviare un’altra dinamica di vita.26
Di conseguenza, all’inizio non hanno potuto fare niente, ma appena lo shock iniziale è stato assorbito, si sono dedicati alla manipolazione e ora cercano di far cessare la pandemia con il confinamento ed altre misure dette di protezione — tutte opinabili — perché ciò che è essenziale per loro è procedere nella virtualità che sussegue alla dinamica dell’economia (il dominio del capitale essendo stato rimpiazzato da quello della sua forma autonomizzata), poiché è con questo che essi pensano di poter salvare se stessi e l’umanità. Ora, ciò richiede un controllo e una sorveglianza sempre crescenti sugli uomini e sulle donne che, da se stessi, dato il loro resto di naturalità, non sarebbero in grado di «liberarsi». Si deve reprimerli per salvarli. Inoltre, per controllare gli uomini, si deve controllare la loro salute e anche creargliela artificialmente, ad esempio coi vaccini.
A partire da ciò si può supporre che la pandemia diventi un’entità psichica proprio come la peste per Antonin Artaud: «una specie di entità psichica e non sarebbe collegata a un virus».27 Non posso negare l’esistenza del virus, ma direi che esso riveli l’esistenza di un’entità psichica, manifestantesi inconsciamente, un male interno alla specie da cui essa cerca altrettanto inconsciamente di liberarsi. Questo male include l’insoddisfazione legata al senso di un’incompletezza, l’odio di sé determinato da tale senso d’incompletezza, la messa in dipendenza, l’ambiguità perché parallelamente manifesta una grande megalomania, la solitudine, il tutto determinato dalla separazione dal resto della natura che genera un inconscio senso di colpa.
Questa entità deriva probabilmente anche dalla scissione tra il gesto e la parola e dal fatto che il primo è sempre più assicurato dalle macchine e che la seconda si è autonomizzata in una sorta di compensazione ma non riesce ad eliminare la sofferenza causata dall’obsolescenza che rafforza il male di cui parliamo.
Tale depressione generalizzata può essere il preludio ad un ritorno del rimosso suscitato a causa di questa discontinuità che crea un blocco e favorisce un ritorno del passato. È su quanto noi ci basiamo perché si avvii un’inversione (vedi Inversione e di.svelamento) che permetta di abolire ogni estinzione, soprattutto se simultaneamente si abbandona la dinamica dell’inimicizia che potrebbe sorgere tra i partigiani dell’artificialità e quelli della naturalità.
È solo se si sente, se si vive a fondo il rischio di estinzione, che se ne diventa pienamente consapevoli senza colpevolizzarsi per gli orrori che si è commesso durante la nostra erranza, che si può finirla con essa, operare un’elevazione della vita, e iniziare l’inversione salutare per noi e per la natura, per tutti gli esseri viventi (virus compresi), e proseguire il nostro cammino nel cosmo.