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Osservazioni ai lucidi del prof. Adriano Paolo Morando* sulla storia e sulla epistemologia delle scienze elettromagnetiche

di Eros Barone

Page1 1 2.jpgLa fisica deve dirigere la sua rotta tra Scilla, l’astratto, e Cariddi, il concreto…

James Clerk Maxwell

I

Circa la categoria storiografica di “rivoluzione scientifica” (d’ora in avanti RS) integrerei l’elenco dei protagonisti aggiungendo a Galilei, Descartes e Newton, per quanto riguarda la biologia, il massimo rappresentante della RS in campo medico, ossia l’inglese William Harvey (1578-1657), il cui merito è stato quello di aver avuto per primo una chiara visione della circolazione del sangue.

Ancora una volta, è Galileo che ha sintetizzato nel binomio delle “sensate esperienze” e delle “certe dimostrazioni” i caratteri del metodo scientifico moderno, che è costituito dall’uso sistematico del cosiddetto “metodo sperimentale” fondato sull’applicazione della matematica e sull’osservazione scrupolosa dell’esperienza. Il problema della conoscenza consisteva dunque nel determinare la via per giungere alla scienza oltrepassando il campo delle mere opinioni e le sole discipline, in cui fu conseguito per giudizio unanime questo scopo, furono la matematica, applicata all’astronomia, e la logica formale. La filosofia della scienza (d’ora in avanti FDS), che mosse i suoi primi passi tra ’600 ed ’800 per iniziativa degli stessi scienziati (Galileo Galilei, Isaac Newton), di alcuni filosofi come Gottfried Leibniz (1646-1716) e Immanuel Kant (1724-1804), protagonista della cosiddetta “rivoluzione copernicana” in filosofia, e del fondatore del positivismo, Auguste Comte (1798-1858), si concentrò pertanto sia sull’analisi dei fondamenti e dei metodi della matematica sia sull’analisi del metodo sperimentale. Il contatto con l’esperienza nelle teorie fisiche fu perciò ritenuto fondamentale, cosicché nei trattati di fisica moderni le proposizioni primitive (assiomi e postulati) devono possedere una loro evidenza, ma anche un aggancio con l’osservazione, come accade nel trattato di A. M. Ampère, Teoria matematica dei fenomeni elettrici unicamente dedotta dall’esperienza (1826).

La concezione entro cui le conoscenze scientifiche furono inquadrate è il meccanicismo, ossia una visione della realtà che riduce i parametri esplicativi a due soli elementi, materia e movimento locale, e la cui origine risale nell’antichità all’atomismo di Democrito e di Epicuro. L’estensione di questa visione all’uomo darà luogo a un materialismo come quello sostenuto da La Mettrie (1709-1751) nell’opera L’uomo macchina. Il modello della macchina, utilizzato per la comprensione della natura (così come viene utilizzato quello odierno del computer per la comprensione della mente umana) fu l’emblema del meccanicismo del ’600 e del ’700.

È inoltre da notare, per quanto concerne le resistenze e le opposizioni levatesi contro la RS (il “compromesso bellarminiano” imposto dalle Chiese, sia cattolica che protestanti, e lo stretto legame dell’osservazione scientifica con la percezione sensibile, fatto valere con intransigenza dai filosofi aristotelici contro certi princìpi fisici che, come quello di inerzia introdotto da Galileo e altri princìpi introdotti da Cartesio, sono in contrasto con l’esperienza), che sin dall’inizio della RS si comprese che l’esperienza non va solo osservata, ma anche interrogata.

Per quanto riguarda il rapporto tra la scienza, la storia della scienza e la filosofia della scienza, l’alternativa è quella fra due differenti visioni dello sviluppo della scienza: continuismo e discontinuismo. Quest’ultima, come hanno dimostrato Bachelard, Koyré e Popper, è una visione che si applica bene alla rivoluzione galileiana, a quella darwiniana e a quella einsteiniana.

Un’altra importante distinzione è quella tra storia interna e storia esterna. In tal senso, lo sviluppo della tecnica è da considerare, in base alla visione ‘esternista’, inseparabile da quello della scienza, come dimostra l’uso di gigantesche macchine acceleratrici nel campo della fisica subatomica, macchine a loro volta progettate in base a rigorose regole scientifiche: a questo proposito, il concetto di “patrimonio scientifico-tecnico” (quindi non la nozione apologetica di “tecno-scienza”) ci aiuta a comprendere correttamente il rapporto, sottolineato dagli storici esternisti, fra scienza e tecnica, il loro condizionamento reciproco.

Vale la pena di precisare che la dimensione storica dello sviluppo della scienza diviene un fattore condizionante dell’impresa scientifica, allorché si constata che non è possibile sostenere che una teoria possieda un autentico valore oggettivo soltanto sulla base dell’attuale (e in certo senso provvisorio) successo delle sue applicazioni. Da questo punto di vista, va detto pertanto che le spiegazioni scientifiche hanno un valore oggettivo nella storia, non fuori di essa. Del resto, se è giusto distinguere tra ipotesi e verità scientifica, non è meno giusto prendere coscienza del fatto che, in séguito alla svolta determinata dalla scoperta del carattere convenzionale degli assiomi matematici e dei princìpi delle teorie fisiche (svolta avvenuta tra la fine dell’800 e l’inizio del ’900 e nota come “crisi dei fondamenti”), l’immagine tradizionale della scienza come conoscenza di verità assolute, non opinabili, è entrata in crisi, generando dei contraccolpi tutt’altro che secondari sul piano della FDS e dell’epistemologia (dal principio carnapiano di verificazione ‘debole’ al principio popperiano di falsificazione e così via).

Applicando il criterio popperiano della falsificazione alla teoria newtoniana, si può, ad esempio, affermare non solo che per due secoli tale teoria ha mostrato la sua efficacia, nel senso che i tentativi di falsificarla relativi ai nuovi fenomeni da essa previsti si sono rivelati infruttuosi, ma ha portato anche alla scoperta di un nuovo pianeta, Nettuno (1846). È altresì vero che, nonostante i successi, i continui tentativi di falsificarla ebbero infine la meglio in un buon numero di casi (ad esempio, le anomalie dell’orbita del pianeta Mercurio o la massa variabile di un gruppo di elettroni che transitano ad altissime velocità per un tubo catodico). I tempi erano evidentemente maturi per la formulazione di nuove ipotesi teoriche atte a risolvere i problemi lasciati aperti dalla teoria newtoniana.

Come è noto, fu Einstein a raccogliere la sfida: la sua teoria della relatività non solo riuscì a fornire una spiegazione dei fenomeni che falsificavano la teoria newtoniana, ma fu anche in grado di prevedere nuovi e spettacolari fenomeni. La teoria della relatività speciale previde, ad esempio, che la massa è funzione della velocità e che massa ed energia sono trasformabili l’una nell’altra, mentre la teoria della relatività generale previde l’incurvarsi dei raggi di luce in presenza di forti campi gravitazionali. È infine da tener presente che ogni tentativo di confutare la teoria di Einstein mediante il ricorso a nuovi fenomeni è sinora fallito.

Un pieno accordo sussiste, inoltre, con l’affermazione secondo cui la cultura, come peraltro sosteneva anche lo scrittore Elio Vittorini (1908-1966), è sempre basata sulla scienza, ragione per cui un certo tipo di cultura filosofico-letteraria (“umanistica” in senso tradizionale) è in realtà “una cultura vecchio-scientifica”. Ecco perché, come ben sottolinea il professor Morando, il disimpegno filosofico degli scienziati, sia nel caso in cui viene subìto (cfr. Enriques) sia nel caso in cui viene imposto (Croce e Gentile), ha portato a due nefaste conseguenze: gli scienziati diventano sostenitori di una cattiva filosofia e la scienza finisce così con l’emarginarsi dalla cultura, la quale, lo si voglia o no, ha sempre avuto come asse portante la filosofia.

Del resto, per rendersi conto dell’arretratezza e del ritardo storico della cultura italiana, giustamente denunciato, sulle orme di Ludovico Geymonat, da Morando, è sufficiente controllare le date delle traduzioni di testi fondamentali (a volte avvenute quando questi erano già stati sottoposti a critica nei paesi d’origine o in paesi meno attardati), quali l’opera di Ayer, Linguaggio, verità e logica, uscita a Londra nel 1936 e a Milano nel 1961; la Logica della scoperta scientifica di Popper, pubblicata per la prima volta in Germania nel 1934 e tradotta in Italia nel 1970; l’opera del francese Bachelard, Il nuovo spirito scientifico, pubblicata a Parigi nel 1934 e tradotta in Italia nel 1978. Un confronto impietoso per noi, che è rivelatore della debolezza e della marginalità della cultura italiana, e che si ripropone ogniqualvolta capita di sfogliare le bibliografie filosofiche e/o scientifiche di opere straniere prodotte nelle aree anglosassoni, francese ecc. (bibliografie dove l’Italia spesso brilla per la sua assenza, a meno che non venga citato Galileo…).

 

II

I temi trattati dall’autore possono essere ricondotti al problema della spiegazione nelle teorie fisiche e, in particolare, al problema della costruzione dei modelli. Questi ultimi hanno un notevole valore euristico, poiché svolgono, sia pure, a seconda dei casi, in differente misura, le tre fondamentali funzioni della scienza: descrivere, spiegare e prevedere, e permettono sostanzialmente di identificare la teoria con il modello.

Nelle scienze naturali e in quelle sociali si parla infatti, solitamente, di “modello di un fenomeno o di un insieme di fenomeni” (modello dell’atomo, modello del cervello, modello del modo di produzione feudale, modello del modo di produzione capitalistico ecc.), per intendere una costruzione più o meno astratta che condivide alcune caratteristiche strutturali del fenomeno o dell’insieme di fenomeni, oggetto di indagine. Così un insieme di palle da biliardo in movimento casuale è il modello di un gas (secondo la teoria dinamica dei gas) se si prescinde dalle caratteristiche (colore, forma, durezza ecc.) possedute dalle palle da biliardo e non, ovviamente, dalle molecole di un gas. Di particolare rilevanza è, come detto in precedenza, il valore euristico del modello, poiché la conoscenza delle proprietà del modello (che è più semplice del fenomeno modellato) consente di formulare previsioni (ad esempio, nel caso del modello marxiano del modo di produzione capitalistico, la legge della concentrazione e centralizzazione del capitale, la legge della caduta tendenziale del saggio medio di profitto ecc.).

Riguardo alla storia della scienza moderna, l’esempio classico, nel campo della descrizione dell’autentica natura di fenomeni quali la luce, il suono ecc., è quello del dualismo tra il modello corpuscolare di Newton e il modello ondulatorio di Huygens e di Fresnel. A tale proposito, è opportuno rilevare che in parecchi manuali di fisica capita di leggere che un dato colore corrisponde a una certa lunghezza d’onda, mentre a rigore dovremmo dire: “accettando di usare per la luce il modello ondulatorio, quel dato colore corrisponde a quella certa lunghezza d’onda…”.

 

III

Dal punto di vista storico-filosofico,l’importanza della teoria maxwelliana risiede nel fatto che essa si presenta come una fisica del “continuo”, contrapposta a quella del discontinuo che aveva dominato per circa due secoli (’600 e ’700) la mente dei ricercatori. Peraltro, già i filosofi antichi avevano intuito la possibilità di concepire la natura in due modi antitetici: la teoria del ‘pneuma’ ( = soffio) ideata dagli stoici era, in embrione, una fisica del continuo, antitetica a quella atomistica di Democrito e degli epicurei che era chiaramente una fisica del discontinuo. La differenza tra le due concezioni consisteva nel fatto che, a differenza della fisica del discontinuo, la fisica del continuo non era riuscita a trovare una soddisfacente traduzione matematica. Perciò, il grande merito di Maxwell è stato proprio quello di avere dimostrato che risulta possibile renderla anch’essa matematicamente rigorosa, e che, così elaborata, la fisica del continuo è in grado di descrivere con esattezza i fenomeni elettrici e magnetici meglio della fisica newtoniana.

Un altro grande merito di Maxwell è stato quello di aver intuito molto bene la grande importanza della nuova interpretazione dei fenomeni elettrici e magnetici, abbozzata da Faraday. Egli si rese conto, cioè, che essa comportava il totale abbandono dell’interpretazione (di tipo newtoniano), fino a quel momento fatta propria dalla maggioranza dei fisici, che scorgeva in tali fenomeni un caso di “azione a distanza”. Il limite di Faraday, grande fisico sperimentale, era però quello di aver, sì, tentato di descrivere il campo (elettrico o magnetico) come un insieme di linee di forza che si estendono in varie direzioni, ma di non essersi poi preoccupato di fornire un’esatta definizione di queste linee. Lavorando sull’analogia fra la trasmissione dell’energia elettrica e le leggi dell’idrodinamica, Maxwell giungerà poi a costruire un modello meccanico dell’induzione elettromagnetica, che costituirà un importante passo in avanti nella elaborazione rigorosa delle leggi del campo elettromagnetico; ma il passo decisivo sarà quello consistente nello sviluppare una teoria matematica dei fenomeni elettromagnetici, traducendoli in equazioni e ricavando da esse tutte le conseguenze che ne discendono logicamente.

 

IV

Il problema dell’etere ha avuto, come è noto, un posto centrale nello sviluppo della teoria dei fenomeni elettromagnetici elaborata da Maxwell. Si trattava infatti di definire il sistema portante del magnetismo e dell’elettricità, attribuendo ad esso una vera e propria elasticità, grazie alla quale non solo i mutamenti nella forza magnetica producono mutamenti in quella elettrica e viceversa, ma tali mutamenti si propagano dal punto in cui hanno avuto luogo in tutte le direzioni dello spazio circostante. È stato lo studio approfondito di questa propagazione a far sorgere in Maxwell l’idea delle onde elettromagnetiche e della loro trasversalità, analoga a quella della luce, rispetto alla direzione in cui si propagano. Sia nell’un caso che nell’altro si doveva ammettere, secondo Maxwell, l’esistenza dell’etere come di un mezzo le cui vibrazioni sono trasversali rispetto alla direzione delle onde o del raggio luminoso. Maxwell ne concluse pertanto che tra le onde elettromagnetiche e le onde luminose dovesse esistere una stretta affinità. Da qui trasse origine il modello ideale dell’etere, con cui egli riuscì a spiegare l’affinità anzidetta, giungendo all’importantissima conclusione che le onde elettromagnetiche e le onde luminose si propagano con la medesima velocità e compiendo così un passo decisivo verso la scoperta della natura elettromagnetica della luce.

Il principale scopo che Maxwell si propose nelle sue ricerche sull’elettromagnetismo fu pertanto quello di tradurre in forma matematica precisa le idee di Faraday (realizzando in tal modo un esemplare connubio tra la fisica sperimentale e la fisica matematica), dimostrando con ciò ai fisici matematici, seguaci della grande tradizione newtoniana, che anche la fisica del continuo poteva venire elevata al rango di autentica scienza altrettanto bene quanto la fisica del discontinuo.

 

V

La metodologia di Maxwell si situa entro la grande tradizione galileiano-newtoniana della scienza moderna, in base alla quale la ricerca scientifica deve fare simultaneamente appello all’esperienza e alla elaborazione matematica dei dati d’osservazione. Ma per lo scienziato scozzese è altrettanto importante, nel confronto con i fisici meccanicisti dell’800, l’analisi dei rapporti effettivamente esistenti fra il tipo di matematica usato nella teorizzazione dei fenomeni elettrici e magnetici e quello usato in altri settori della fisica da Newton e dai suoi continuatori. Sennonché da questo confronto scaturisce, a giudizio di Ludovico Geymonat (cfr. la Storia del pensiero filosofico e scientifico, Milano 1971, vol. V, p. 179), proprio la loro radicale differenza. In effetti, secondo lo studioso testé citato, le equazioni di Maxwell, che sono equazioni differenziali alle derivate parziali, posseggono una struttura nettamente diversa da quella delle equazioni più caratteristiche della meccanica newtoniana, ed è per l’appunto la loro nuova struttura ciò che ci permette di applicarle con successo allo studio delle “vicende del campo” anziché allo studio delle “vicende di particelle materiali” (ancora una volta emerge la differenza tra la fisica del continuo e la fisica del discontinuo).

Una domanda sorge, a questo punto, spontanea: quale è la teoria generale in cui Maxwell pensava di inquadrare le proprie equazioni? Certamente, non poteva più essere quella accolta, ormai da secoli, da pressoché tutti i fisici moderni (si pensi a Laplace). La risposta più interessante a questa domanda è stata fornita da Heinrich Hertz (1857-1894), uno dei massimi conoscitori delle opere maxwelliane: «La teoria di Maxwell è il sistema delle equazioni di Maxwell». In sostanza, per lui la matematizzazione e la teorizzazione coincidevano. Era questa una tesi importante, poiché non sosteneva più che la teorizzazione e la matematizzazione fossero due momenti diversi della ricerca scientifica. Ciò significava che non si pensava più, per spiegare un fenomeno, di doverlo inquadrare in una concezione filosofica della natura, costruendo ad esempio un modello immediatamente intuitivo di esso, ma si pensava invece che, una volta messa da parte l’esigenza di una conoscenza ‘metafisica’ della natura e ridotti i modelli a semplici ausilii della ricerca (da abbandonare a ricerca compiuta), non aveva più senso pretendere di cercare qualcos’altro, oltre i dati osservativi e la loro traduzione in formule.

Fu così che l’esempio di Maxwell operò, entro lo sviluppo della scienza ottocentesca, come potente stimolo a fare della fisica matematica una disciplina autonoma, sganciandola da ogni vecchio impegno ‘filosofico’ e avviandola alla ricerca di formule generali capaci di sintetizzare in un unico sistema i più ampi insiemi di fenomeni. Il pregio di questa nuova impostazione della fisica matematica fu quello di permetterle un più immediato contatto con la fisica sperimentale elevando la matematica al rango di strumento unico, necessario e sufficiente, per l’elaborazione teorica dei dati osservativi.

 

VI

In calce a questa presentazione della storia e della epistemologia delle scienze elettromagnetiche, curata dal prof. Adriano Morando con appassionata e appassionante competenza ed efficacia, si può soltanto aggiungere che con il passare del tempo il termine “campo” è divenuto di uso comune nei trattati degli astronomi, dei fisici e degli stessi ingegneri, senza però che ci si renda conto, nella maggioranza dei casi, delle profonde innovazioni categoriali implicate da tale nozione: innovazioni che possono essere riassunte nella sostituzione di una fisica del continuo alla vecchia fisica del discontinuo.

Sarà merito di Einstein non fermarsi all’aspetto tecnico della nuova teoria, cioè non limitarsi a cercarne formulazioni matematiche via via più rigorose e più generali. In realtà egli seppe penetrarne a un tempo sia la grande portata filosofica sia la straordinaria fecondità per la descrizione fisica del mondo. Basti ricordare, a conferma di ciò, la sua famosa dichiarazione che senza la nozione di campo sarebbe stato impossibile formulare la teoria della relatività generale.

* * * *

Di seguito i link degli slide delle otto lezioni del professor Morando:

Incontro-1.pdf

Incontro-2.pdf

Incontro-3.pdf

Incontro-4.pdf

Incontro-5.pdf

Incontro-6-(Maxwell_3).pdf

Incontro-7-(I-postmaxwelliani).pdf

Incontro-8-(ultima-lezione).pdf


Nota: nella slide 9/622 il termine “umus” va corretto con il termine “humus”. Nella slide 346/622 tra le ‘disproprietà’ dell’etere in quanto sistema anolonomo compare il termine “incomprensibilità”, che va ovviamente sostituito con il termine “incompressibilità”.

* Adriano Paolo Morando (1949-2013) è stato un ingegnere italiano, appassionato di storia e filosofia della scienza. Ha insegnato prima elettrotecnica ed elettronica applicata presso il Politecnico di Milano, poi anche storia ed epistemologia delle scienze elettromagnetiche. La passione per la storia della scienza lo ha portato ad approfondire lo sviluppo storico delle discipline elettromagnetiche ed a raccogliere testi e scritti originali dei più importanti fisici della materia. E' stato in particolare un grande studioso di storia delle scienze elettriche e dell'opera scientifica di James Clerk Maxwell.
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