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La Russia, dall'Asia all'Europa (e ritorno?)
di Il Lato Cattivo
Introduzione a David B. Rjazanov, Karl Marx e le origini del predominio della Russia in Europa (1909)1
Dallo scorso 24 febbraio, ovvero dal giorno in cui le forze militari russe hanno varcato i confini settentrionali e orientali dell'Ucraina, la retorica dell'Occidente democratico in lotta per la difesa dei propri valori contro la Russia autocratica e perfino «imperialista» (!) è stata promossa al rango di verità ufficiale, di sola ed unica verità ammissibile nella sfera del discorso pubblico – soprattutto nell'Unione Europea. Tacere questo fatto equivarrebbe a sminuire la straordinaria pervasività della guerra psicologica nell'epoca dei social media, e la nostra stessa esposizione ad essa. Triste ma vero, la propaganda e l'infowar fanno presa anche sulle menti meno propense a farne le spese, e ciò non tanto per il loro carattere ubiquo e martellante: «Il segreto che non ha mai smesso di avvolgere tutto ciò che riguarda la guerra sembra essere una condizione intrinseca e necessaria della società attuale. “Ignoriamo ogni cosa della guerra”, questo significa, fra l'altro, che non abbiamo alcun potere su ciò che ignoriamo.» (Karl Korsch, Guerra e rivoluzione)2. Finché si persiste a considerarla come una faccenda di esclusiva competenza dei militari, ciò che in una certa misura avviene sempre fintanto che la società si riproduce normalmente, la guerra – vicina o lontana – ci coglie inevitabilmente di sorpresa (perché non seguiamo con sufficiente attenzione l'insieme dei focolai di tensione suscettibili di esplodere) e ci fa inciampare nelle false evidenze (perché non padroneggiamo gli indicatori che permettono di comprendere l'evoluzione dei conflitti sul campo). L'antimilitarismo di principio non aiuta, se si riduce a tapparsi occhi e orecchie di fronte al fatto militare, o nascondersi dietro a qualche slogan buono per tutte le stagioni. Lo scopo di quest'introduzione, comunque sia, non è di ristabilire il vero, o meglio il verosimile sulla guerra in corso in Ucraina – ciò che viene e continuerà ad esser fatto da altri3 – ma di abbozzare una riflessione più generale sulla traiettoria del capitalismo russo.
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Karl Korsch
di Salvatore Bravo
La filosofia è libertà, è capacità critica che coniuga la teoria con la prassi. La relazione teoria-prassi attraversa la storia della filosofia, essa è concretezza, in quanto la filosofia è implicata nella realtà storica, ma nel contempo la contempla per trasformarla. La pone tra parentesi per leggerla e decodificarla secondo categorie che consentono di coglierne le contraddizioni e le potenzialità del “non ancora”. Metafisica umanistica e relazione teoria-prassi sono un corpo unico e dinamico, poiché pongono al centro del movimento della storia l’essere umano, il quale non è un assoluto, pertanto può emanciparsi ma mai totalmente dalle forze e dalle strutture della reificazione, può pensarle per ridefinirle e può scegliere tra possibilità storicamente condizionate. Si pone in atto, quindi, l’ontologia dell’essere: il soggetto pensa dialetticamente la realtà storica con la mediazione del logos, in tal modo si rende “oggettiva”. Gradualmente pensiero e realtà si approssimano senza coincidere, se vi fosse coincidenza e perfetta corrispondenza il lavoro dello spirito-concetto terminerebbe.
La filosofia non vive all’ombra del potere, perché lo pensa per fluidificarlo e riportarlo alla sua condizione umana e storica. Dove vi è filosofia, non può che esservi uno “sbattere di sciabole” tra pensiero filosofico e potere.
Karl Korsch1 è stato un eretico del marxismo, non si è riscaldato alla corrente fredda del potere, ma ha criticato il marxismo e il suo strutturarsi in scuola di pensiero dogmaticamente ancorata a una lettura del pensiero di Marx organica al partito comunista. Filosofo dialettico ha conservato e innovato l’impianto filosofico marxiano difendendolo dallo scientismo marxista. Filosofi borghesi e marxisti raggiunto il potere hanno cercato di neutralizzare la dialettico con il pensiero adialettico e astratto.
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Democrazia sotto assedio
Recensione di Monica Quirico
Emiliano Brancaccio, Democrazia sotto assedio. La politica economica del nuovo capitalismo oligarchico. 50 brevi lezioni, Piemme, Milano, 2022, pp. 287, Isbn 978-88-566-8378-3
Oltre a insegnare Politica economica presso l’Università degli studi del Sannio (Benevento), Emiliano Brancaccio svolge un’intensa attività di divulgatore e opinionista. Viene spesso presentato come un economista eretico, al quale tuttavia i colleghi mainstream prestano ascolto, dandogli talvolta perfino ragione. Nel suo ultimo libro, l’autore parte dalle ricerche empiriche condotte da lui e da altri studiosi per offrire anche a un pubblico non specialistico una chiave interpretativa del rapporto tra capitalismo e democrazia. L’alternarsi di pagine più per addetti ai lavori (come quelle sulla “Modern Monetary Theory”), riferimenti all’attualità politica e proposte di un’alternativa per il medio-lungo termine suscita a tratti un’impressione di scarsa omogeneità, anche se il filo conduttore è chiaramente individuabile: la riscoperta del Marx “scientifico”.
Nell’Introduzione, Brancaccio sfida la narrazione trionfalistica degli ordinamenti democratici occidentali. Innanzitutto, essi hanno smesso di perseguire una qualche forma di redistribuzione della ricchezza, favorendo anzi l’aumento delle diseguaglianze con ripetuti attacchi ai diritti del lavoro; una situazione che spinge moltə ad allontanarsi dalla politica. In secondo luogo, le democrazie capitaliste non garantiscono più neanche la tutela dei principi liberali; emblematica in tal senso è la normalizzazione della metafora bellica (e ora, potremmo aggiungere, della guerra nella sua drammatica concretezza, purché al di fuori dei confini occidentali). Nell’indagare i processi sottostanti a tale involuzione, Brancaccio, rifiutando teoremi complottisti, guarda, richiamandosi alla tesi althusseriana della storia come processo senza soggetto, alle marxiane “leggi di movimento” del capitalismo.
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Enzo Traverso, “Rivoluzione”
di Alessandro Visalli
Il libro[1] del 2021 di Enzo Traverso reca come sottotitolo “1789-1989: un’altra storia”, ed è un’ampia ed interessante ricostruzione della logica e della pratica storica dell’età rivoluzionaria nel ciclo aperto dalla Rivoluzione francese e concluso (in occidente) con il crollo dell’Urss. La rivoluzione viene vista come improvvisa interruzione del continuum storico, secondo una nota formula di Walter Benjamin, ed inseguita sia nelle sue determinazioni teoriche, sia nella pratica vicenda e nei protagonisti.
Rivoluzione e leggi storiche
Contrariamente a molte interpretazioni il testo valorizza quell’interpretazione della rivoluzione non determinista che si può ritrovare anche in Marx, nel quale, secondo Traverso se ne trovano anzi due, a combattere una silenziosa battaglia: una determinista ed una non determinista.
La prima è esemplificata nel notissimo passo di “Per la critica dell’economia politica”:
“a un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l’espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l’innanzi s’erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. E allora subentra un’epoca di rivoluzione sociale. Con il cambiamento della base economica si sconvolge più o meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura”[2].
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Rischio stallo
di Enrico Tomaselli
Anche se l’Europa, contro ogni logica, sembra indifferente ad una qualsiasi prospettiva di pace, la guerra ucraina rischia di scivolare lentamente verso una situazione di stallo, che è esattamente lo scenario peggiore per i paesi europei. Trovare una via d’uscita, che salvaguardi gli interessi europei, ma che al contempo possa risultare percorribile per i contendenti, è qualcosa che però richiede non soltanto abilità diplomatica, ma una visione anche militare del conflitto, in modo tale da poter operare affinché la situazione sul terreno non si cronicizzi – premessa indispensabile per qualsivoglia iniziativa di pace.
L’aggressore riluttante
Uno dei tanti paradossi di questa guerra è che, mentre la narrazione occidentale dipinge la Russia come un paese estremamente aggressivo, questa in realtà si rivela essere estremamente riluttante nell’uso della forza.
Se guardiamo alla storia complessiva del conflitto, dal 2014 ad oggi, possiamo rilevare che ogni passo compiuto da Mosca mostra una estrema riluttanza a spingersi oltre, sia sul piano politico-diplomatico che su quello militare. Quando, dopo il golpe di piazza Maidan e l’inizio delle violenze anti-russe nel Donbass, la Russia si attiva rispetto alla nascente guerra civile ucraina, lo fa sul piano diplomatico: gli accordi di Minsk – I e II – di cui continuerà per anni a chiedere l’applicazione, sono infatti il tentativo di risolvere la questione senza intervenire direttamente. Intervento che arriverà solo dopo otto anni di guerra civile, a fronte della crescente minaccia ucraina.
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A proposito de Il Capitale. Il nuovo libro di Paolo Favilli
di Salvatore Tinè
Il libro di Paolo Favilli (A proposito de Il Capitale. Il lungo presente e i miei studenti. Corso di storia contemporanea, FrancoAngeli 2021) è un immaginario corso universitario di storia contemporanea su Il capitale di Marx, rivolto quindi a un pubblico non solo di studenti ma anche di lettori non specialisti. Come lo stesso titolo ci suggerisce, non è il capolavoro di Marx in quanto tale, come opera puramente teorica e scientifica, a costituire il suo tema specifico.
Tuttavia, è pur sempre “a proposito” de Il capitale, ovvero a partire da esso e sempre in strettissima relazione con la sua teoria economica e le sue categorie analitiche, che viene dipanandosi, nel libro di Favilli, una ricostruzione straordinariamente ricca e suggestiva della fortuna e dell’enorme influenza che la principale opera economica di Marx ha avuto sull’intera vicenda storica e politica della nostra contemporaneità, identificata dall’autore con il “lungo presente” della modernità capitalistica, dentro il quale siamo ancora immersi.
E’ dentro questa “lunga” continuità storica destinata ad giungere fino ai nostri giorni che Favilli inscrive la stessa eccezionale ed estrema vicenda del “secolo breve”, pure segnata da una straordinaria capacità di incidenza storica e di egemonia, nella cultura e nella scienza mondiali, sia della teoria marxista in quanto tale che del marxismo politico.
Alla tragica fine dell’Urss e al suo drammatico impatto negativo sulle forme teoriche del marxismo nonché su quelle politiche ed organizzative del suo tradizionale radicamento e della sua egemonia nel movimento operaio si è accompagnata infatti la fine di un lungo ciclo espansivo dell’accumulazione capitalistica e la conseguente imposizione per via legislativa e “giuridico-costituzionale” da parte delle classi dominanti di una politica economica di stampo neo-liberista particolarmente regressiva e sostanzialmente analoga a quella che aveva preceduto la grande crisi del 1929.
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Il progetto strategico della Nato
di Manolo Monereo*
"Cumpanis" ringrazia il compagno Monereo per averci inviato questo articolo, che sarà anche pubblicato dalla prestigiosa rivista spagnola "El Viejo Topo". Traduzione di Liliana Calabrese
L’ottavo Concetto strategico della NATO, approvato a Madrid nel giugno 2022, sostituisce il settimo (Lisbona 2010), chiaramente superato e incapace di raccogliere le sfide di un’Alleanza Atlantica in permanente ricostituzione. Questo documento riprende le raccomandazioni fondamentali del rapporto degli esperti (NATO 2030. Uniti per una nuova era) approvato al Vertice di Bruxelles del 2021 e una serie di iniziative che sono state prese a ritmo accelerato dopo l’intervento russo in Ucraina nel 2014. Come è noto, questo documento è stato approvato quattro mesi dopo l’inizio della guerra in Ucraina. È molto interessante.
La NATO è un’organizzazione che ha più di 70 anni e ha un proprio particolare linguaggio. I suoi documenti richiedono un’interpretazione specifica nella consapevolezza – ed è importante sottolinearlo – che si tratta di testi pubblici seguiti da testi più precisi e concreti, specificati. I concetti strategici sono le disposizioni più importanti dell’Alleanza dopo il Trattato istitutivo. Sono oggetto di numerose discussioni in cui si mescolano descrizioni geopolitiche, approcci politico-strategici più o meno elaborati e piani operativi e organizzativi strettamente militari, espressi in un linguaggio diplomatico, in questo caso, eccessivamente espressivo. Il suo scopo ultimo è quello di definire gli elementi peculiari dei rapporti di forza internazionali, le loro conseguenze politiche, economiche e strategiche e i piani operativi alternativi di cui la NATO si dota. Si tratta di un trattato con vocazione alla continuità, militarmente organizzato, che definisce un attore internazionale che non ha più limiti geografici e che – cosa fondamentale – tende a organizzare in un unico piano (strategico, operativo, organizzativo e tecnologico) tutte le forze armate di ciascuno dei Paesi considerati.
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The United States Is Waging a New Cold War: A Socialist Perspective
di Alessandro Visalli
Il Tricontinental Institute for a Social Research[1], insieme alla rivista Monthy Review[2] ed alla piattaforma No Cold War[3], hanno elaborato un importante rapporto dal titolo “The United States Is Waging a New Cold War: A Socialist Perspective”[4]. Il testo contiene un’introduzione di Vijay Prashad, quindi un articolo dal titolo “Che cosa spinge gli Stati Uniti a incrementare l’aggressione militare internazionale?” di John Ross, un altro di Deborah Veneziale dal titolo “Chi sta guidando gli Stati Uniti alla guerra?”, ed infine un articolo del caporedattore dei Monthly Review, John Bellamy Foster, “Note sull’esterminismo, per i movimenti per l’ecologia e la pace del XXI secolo”.
È piuttosto difficile riassumere brevemente i contenuti del testo; all’avvio Prashad ricorda come a maggio del ’22, a Davos, Kissinger ha invitato ad un accordo pace che soddisfi i russi, invece di scivolare in una guerra con loro. Più significativamente ricorda una conversazione del 2003 con un importante esponente del Dipartimento di Stato che candidamente ammetteva che gli Usa fondamentalmente sono disponibili a far sopportare al mondo (ed ai propri lavoratori) un “dolore a breve termine”, se questo ha possibilità di portare ad un “guadagno a lungo termine” (per sé). Tale guadagno si riduce in sostanza a mantenere quel primato che hanno avuto dalla fine della Seconda guerra mondiale. In altre parole, essi cercano di impedire con ogni mezzo una tendenza storica, quella alla integrazione euroasiatica, che minaccia in modo esistenziale il predominio atlantico. Secondo quanto scrive “Le strategie per indebolire Russia e Cina includono un tentativo di isolare questi paesi attraverso l'escalation della guerra ibrida imposta dagli Stati Uniti (come le sanzioni e la guerra dell'informazione) e il desiderio di smembrare questi paesi e poi dominarli in perpetuo”.
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Nelle braccia del Leviatano
Note contro lo Stato
di Un amico di Winston Smith
Dalla rivista anarchica “i giorni e le notti”, numero 14, luglio 2022
La “volontà di potenza” è stata finora uno dei motori più forti nello sviluppo delle forme della società umana. L’idea che tutti gli eventi politici e sociali siano soltanto il risultato di determinate condizioni economiche non resiste ad un’attenta considerazione. Rudolf Rocker
[Il Capitale di Marx è] l’unico grande testo di demonologia che l’età borghese ha prodotto. Roberto Calasso
Mi rifiuto di accettare il declino del nostro ordine mondiale. John McCain (noto “falco” neocon statunitense, alla conferenza sulla sicurezza di Monaco del 2017)
Contro l’eterno presente
Se c’è una questione che la dichiarata pandemia ha rimesso all’ordine del giorno, questa è senz’altro la questione dello Stato. Non potrebbe essere diversamente. Dopo anni in cui, da destra a manca, si è vaneggiato sul suo decadimento o addirittura della sua progressiva scomparsa, lo Stato si è infatti ripresentato nella sua interezza. Se nessuno, di fronte alla sua pretesa di interferire e regolare, autorizzare o negare anche i comportamenti più minuti, ha potuto ignorare il suo carattere sfacciatamente poliziesco (con tanto di tremori e timori di rinascita dello Stato etico che, da sinistra a destra, hanno assalito anche gli statalisti più convinti), stavolta lo Stato non ha fatto sentire la sua mancanza neppure dal lato economico, tra interventi straordinari di riconversione produttiva (come per le fabbriche messe da un giorno all’altro a produrre mascherine) e santificazione del «debito buono», funzionale prima all’affrontamento della Grande Emergenza e poi a una «ripartenza dell’economia» ancora tutta da vedere. Se ai piani alti della società il ritorno dello Stato è stato salutato in pompa magna (con un investimento propagandistico che dovrebbe già bastare a intendere le reali intenzioni della classe dominante), ai piani bassi non ha fatto che dare la stura alle ipotesi più strampalate, soprattutto per quanto riguarda le diverse aree militanti che si richiamano, con varietà di accenti, al pensiero marxista.
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Tempi storici della lunga accumulazione capitalistica
di Massimiliano Tomba
Da L. BASSO , S. BRACALETTI , M. FARNESI CAMELLONE , F. FROSINI , A. ILLUMINATI , N. MARCUCCI , V. MORFINO, L. PINZOLO , P.D. THOMAS , M. TOMBA: Tempora multa. Il governo del tempo, Mimesis, 2013
Il lavoro che il capitale cerca di appropriarsi direttamente e indirettamente può presentarsi nelle forme più diverse: dal lavoro di cura svolto in famiglia, necessario per riprodurre la forza-lavoro, alla scienza, che, nel Capitale, è presentata come un caso di lavoro altrui appropriato senza pagarlo: «la scienza non costa in genere ‘niente’ al capitalista, il che non gli impedisce affatto di sfruttarla. La scienza ‘altrui’ viene incorporata al capitale, come lavoro altrui»1. Nel modo di produzione capitalistico «tutti i modi per incrementare la forza produttiva sociale del lavoro si attuano a spese del lavoratore individuale; tutti i mezzi per lo sviluppo si capovolgono in mezzi di dominio e di sfruttamento del produttore»2. L’enfasi prometeica sullo sviluppo macchinico, ancora presente nei Grundrisse3, non ha più come esito il passaggio immediato al comunismo. L’«individuo sociale», per quanto suggestivo laboratorio di ricerca su un mutamento antropologico, lascia il posto allo storpiamento del singolo operaio, mettendo così in evidenza l’esito capitalistico di quel possibile mutamento. I mezzi per lo sviluppo della produzione, scrive Marx, «mutilano il lavoratore facendone un uomo parziale, lo avviliscono a insignificante appendice della macchina, distruggono con il tormento del suo lavoro il contenuto del lavoro stesso», e non solo, ma
gli estraniano le potenze intellettuali del processo lavorativo nella stessa misura in cui a quest’ultimo la scienza viene incorporata come potenza au- tonoma; deformano le condizioni nelle quali egli lavora, durante il processo lavorativo lo assoggettano a un dispotismo odioso nella maniera più meschina, trasformano il periodo della sua vita in tempo di lavoro, gli gettano moglie e figli sotto la ruota di Juggernaut del capitale4.
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Sul 24 febbraio
di Enrico Tomaselli
C’è da tempo una narrativa filoucraina e una narrativa filorussa sui fatti che precedono e seguono l’invasione dell’Ucraina del 24 febbraio e di quale fosse la reale strategia russa. Enrico Tomaselli mette in luce i limiti propagandistici di entrambe le versioni e propone una lettura diversa
Tre linee d’attacco
Può sembrare poco rilevante esaminare oggi il senso degli avvenimenti della prima fase dell’operazione speciale, eppure una interpretazione di quegli eventi può essere utile non solo per comprendere meglio le fasi successive, ma anche per mettere tutto in prospettiva e, quindi, provare a comprendere quali potrebbero essere gli sviluppi a breve-medio termine.
È interessante notare, al riguardo, come esistano sostanzialmente due chiavi di lettura di quella fase iniziale, ovviamente opposte e quasi speculari, che potremmo ricondurre a due diverse letture di parte degli avvenimenti.
Esiste una chiave di lettura, diciamo così, filo-ucraina, secondo la quale le operazioni militari russe iniziate il 24 febbraio miravano all’invasione del paese, con l’intento di rovesciarne il governo ed occuparne l’intero territorio. Come si ricorderà, in effetti, le direttrici di attacco russe furono tre, di cui soltanto una riguardava la parte sud-orientale dell’Ucraina: le aree del Donbass ancora sotto il controllo di Kiev e le altre due – da est, verso Kharkiv ed oltre, e da nord verso Kyev – territori rispetto ai quali non vi erano rivendicazioni indipendentiste. In base a questa interpretazione, sarebbe stata la formidabile resistenza delle forze armate ucraine, nonché la determinazione del governo, a fermare prima e a respingere poi le forze russe penetrate da nord e da est, costringendo quindi Mosca a ripiegare entro i propri confini, per poi ridislocare le truppe più a sud e concentrare gli sforzi sui due oblast di Lugansk e Donetsk.
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Frammenti di un discorso su Marx e le teorie novecentesche della dinamica economica
di Alessandro Volponi*
Presentiamo l'intervento svolto dal professor Volponi alla Festa Nazionale di "Cumpanis" tenutasi a Castelferretti (Ancona) dal 2 al 4 settembre scorso
Com’è noto, toccò ad Engels il duro compito di mettere ordine nel vasto lascito di Marx dando veste organica alla massa di appunti che costituirono, tra l’altro, il secondo e il terzo libro del Capitale e proprio nel secondo libro del suo capolavoro Marx espone un’idea che si rivelerà assai feconda: dividere l’apparato produttivo in due grandi settori e descrivere le relazioni che necessariamente intercorrono fra di essi in due situazioni diverse che sono quella di un’economia stagnante e quella di un sistema in crescita (riproduzione semplice e riproduzione allargata).
Proprio questa seconda rappresentazione fornisce la base di una teoria della dinamica che nel ‘900 darà i suoi frutti più maturi, in particolare dopo il terribile ‘29. Si ricordi che nel secolo di Marx il pensiero economico dominante nega la possibilità delle crisi che sarebbero, dunque, sempre prodotte da cause extraeconomiche (cause esogene). Per Marx, le crisi sono non solo possibili ma necessarie, esse producono periodicamente un temporaneo aggiustamento dei rapporti tra le grandezze fondamentali del sistema; da esse, per tutta la durata della giovinezza del capitale, si fuoriesce con rinnovato slancio verso più gloriosi destini del sistema. Egli, però, nei suoi schemi della riproduzione, non descrive la crisi ma, con esempi aritmetici, presenta un percorso ideale in cui tutto il plusvalore è consumato o investito dai capitalisti, tutto il salario è consumato dai lavoratori, i beni di consumo prodotti da un settore equivalgono esattamente alla domanda complessiva e allo stesso modo i beni di investimento prodotti corrispondono esattamente alle necessità di entrambi i settori. Nello schema della riproduzione allargata una quota di questi beni, soprattutto di investimento, è in eccesso e costituisce una base più larga della produzione nel periodo successivo.
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Dov’è il fascismo oggi?
di Stefano G. Azzarà (Università di Urbino)*
Processi di concentrazione neoliberale del potere, stato d’eccezione e ricolonizzazione del mondo
1. Antifascismo degradato a propaganda
Non c’è dubbio che in Fratelli d’Italia – il partito di Giorgia Meloni che tutti i sondaggi indicano come vincitore delle prossime elezioni con il 24% circa dei consensi – ci siano forti nostalgie fasciste o fascisteggianti. Diversi suoi esponenti nazionali e locali rappresentano già per la loro biografia la continuità con il MSI, la formazione che dopo la nascita della Repubblica italiana aveva raccolto gli eredi del fascismo sconfitto e che è stato a lungo guidato da Giorgio Almirante (un funzionario della Repubblica di Salò che nel contesto della Guerra Fredda seppe subito riposizionarsi in chiave filoamericana e anti-PCI).
E la stessa Meloni è stata dirigente del Fronte della Gioventù, organizzazione giovanile del MSI incline a un impegno “sociale” e “movimentista” e attiva nelle scuole e nelle Università; un’organizzazione il cui nome venne cambiato in Azione Giovani dopo che quel partito era stato a sua volta ridenominato come Alleanza Nazionale da Gianfranco Fini, allo scopo di essere ammesso al governo, e della quale la Meloni divenne a quel punto leader. Tra l’altro, se Alleanza Nazionale si presentava nel 1994 come un’operazione di fuoriuscita della destra italiana dall’orizzonte della nostalgia e di apertura a un’impostazione dichiaratamente liberalconservatrice, Fratelli d’Italia – che nasce nel 2012 proprio dal fallimento di quell’operazione – ha certamente rappresentato ai suoi esordi un ritorno verso un orizzonte più chiuso. Dobbiamo poi notare un’inquietante ricorrenza storica: il partito che sin dal simbolo si richiama all’eredità del fascismo (la fiamma tricolore che si innalza dalla bara stilizzata del Duce) potrebbe andare al potere esattamente 100 anni dopo la Marcia su Roma di Mussolini.
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Il Metaverso come il migliore dei mondi possibili
di Costantino Ragusa
Là fuori le Big Tech stanno correndo, anzi, al momento ancora la dentro nel chiuso dei loro laboratori, ma non ancora per molto. Si apprestano a fornire soluzioni, ma soprattutto prospettive al dopo emergenza sanitaria. Non tanto come la fine di una fase e la creazione di un’altra, piuttosto è la continuazione della precedente: proprio la dichiarata emergenza sanitaria rinominata pandemia ha permesso quell’accelerazione che sta permettendo inediti tempi e velocità, ma soprattutto possibilità uniche nella possibilità di trasformare il mondo.
I lunghi mesi di chiusure con i vari confinamenti che si sono susseguiti nel tempo sono stati un ottimo campo sperimentale per capire come ideare una completa immersione nel mondo digitale, per capire quali resistenze vi sarebbero state e dove sarebbe subentrata l’abitudine e, soprattutto, negli ambienti di lavoro per comprendere gli effetti del nuovo addestramento che si andava applicando.
Il proseguo dello stato di emergenza dato dalla guerra con il suo continuo rischio atomico paventato continuamente aggiunge nuove paure e inquietudini, aumenta il malessere e la confusione, abitua a costruire e indirizzare odio e rancore dietro indicazione. Come già vi era abitudine a odiare i non inoculati o chi semplicemente metteva dubbi sulla narrazione ufficiale legata alla dichiarata pandemia. Ma, nel mentre, vi è distrazione tra i più e i tecnocrati spingono veloci per nuovi processi digitali, progettano e organizzano il mondo che abbiamo intorno, senza risparmiarsi nessuna possibilità e sfera di intervento, che sia lo spazio o il nostro genoma.
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Il declino economico degli Stati Uniti e l’instabilità globale
di Fabrizio Russo
Le minacce ai pilastri su cui si reggono gli USA
Gli Stati Uniti sono emersi dalla Seconda Guerra Mondiale come la principale potenza economica e militare del mondo. Settanta anni dopo, circa, il potere americano è in declino, una diretta conseguenza di decenni di politiche economiche neoliberiste, che spendono ingenti somme di denaro pubblico per l’esercito e il raggiungimento della “parità” economico/militare con Russia e Cina. Queste politiche hanno eroso la forza economica degli USA e stanno minando il ruolo del dollaro in veste di valuta di riserva mondiale, pilastri chiave del loro potere globale. In realtà, tutti i pilastri che sostengono il potere degli Stati Uniti sono ora minacciati dai decenni di politiche economiche neoliberiste sconsiderate. Il punto nodale è il collegamento tra il continuo declino economico e sociale negli Stati Uniti/UE (collettivamente indicati come “l’Occidente”) ed una politica estera statunitense sempre più sconsiderata, oltre al ruolo svolto dalle Media Corporation nel promuovere queste politiche presso il pubblico americano/UE di fronte all’ascesa di Russia, Cina assieme ad altri paesi del sud del mondo.
Ruolo delle Media Corporation
Primo emendamento della costituzione degli Stati Uniti: «Il Congresso non promulgherà alcuna legge sul rispetto di un’istituzione religiosa, o vietandone il libero esercizio; o abbreviare la libertà di parola o di stampa; o il diritto del popolo di riunirsi pacificamente e di presentare una petizione al governo per una riparazione delle lamentele.’
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«Parole usurate, prospettive aperte»
Massimo Cappitti e Irene Conti intervistano Guido Viale
Massimo Cappitti: Il tuo libro (Slessico familiare. Parole usurate prospettive aperte. Un repertorio per i tempi a venire, ed. Interno4, 2017) si mantiene su un doppio livello: c’è una tesi portante come ipotesi teorica che lo regge, che si compone di più voci – poi le possiamo ovviamente vedere – ma c’è anche un aspetto pragmatico, il tentativo di non chiudersi in una sorta di rifugio, una teoria che ci metta al riparo dai problemi del mondo, perché i problemi del mondo vanno affrontati.
Guido Viale: È quello che cerco sempre di fare quando scrivo un articolo, cioè di mantenere la dimensione operativa, nella misura in cui si riesce a capire che cosa si potrebbe fare o pensare di fare. La teoria pura che non abbia una dimensione operativa a me non interessa, mi sembra un esercizio inutile.
MC.: Mi sembra un po’ il filo che attraversa tutti i tuoi lavori, un’attenzione alle esperienze e non solo alle ipotesi teoriche. Questo è già un primo punto, che in qualche maniera riesce a cogliere un tratto comune in una situazione di così difficile interpretazione. Mi sembra comunque un’acquisizione importante.
Poi ero partito da questa riflessione sulla naturalizzazione dell’esistente, ovvero una sorta di insuperabilità del sistema capitalistico, che si presenta come l’incarnazione del senso della storia. Il capitalismo chiude la storia – e noi con lui – e si presenta come una sorta di fenomeno naturale insuperabile. Questo mi sembra che emerga in più voci del tuo libro.
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La Russia è un paese imperialista?
di Leonardo Bargigli (Università di Firenze)
Introduzione
L’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione Russa ha innescato una forte controversia tra partiti comunisti. Il partito comunista greco (KKE) ha accusato il partito comunista della Federazione Russa (PCFR) di avere posizioni filo-imperialiste a causa del sostegno dato all’invasione.
L’accusa del KKE riflette l’opinione, accolta da una parte della sinistra occidentale, che individua nella Russia una potenza imperialista contrapposta all’Occidente. In particolare, alcuni interpretano il conflitto in Ucraina alla luce di un nuovo tipo di scontro inter-imperialista, quello tra debitori e creditori. Secondo questa interpretazione, l’Occidente sarebbe costretto sulla difensiva dalla crescente forza economica della Russia e della Cina, che hanno costituito un nuovo, aggressivo, polo imperialista.
Per argomentare la propria accusa, il KKE si è appoggiato sulla tesi leniniana secondo cui “la rapina imperialista è sempre l’unico contenuto e motivo reale della guerra”. Il PCFR ha ribattuto sottolineando che esistono diversi tipi di guerre e che, nel passo menzionato, Lenin si riferiva specificatamente alla Prima Guerra Mondiale.
Secondo il PCFR, accanto alle guerre imperialiste, l’esperienza storica del Novecento ha evidenziato l’importanza delle guerre di liberazione nazionale e delle guerre contro il fascismo. Spesso queste diverse guerre si sono così strettamente intrecciate da essere combattute, sugli stessi campi di battaglia, per motivazioni contradditorie1. Per questo, ogni guerra ha un carattere specifico e complesso, che deve essere individuato sulla base dei fatti.
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Lo spettro della Germania si rialza
di Diana Johnstone
L’Unione Europea si sta accingendo a una lunga guerra contro la Russia che appare chiaramente contraria agli interessi economici europei e alla stabilità sociale. È un conflitto apparentemente irrazionale – come molti lo sono – ma ha profonde radici emotive e rivendica motivazioni ideologiche. Queste guerre hanno difficoltà a giungere a termine perché sono dilatate fin oltre l’ambito della razionalità.
Per decenni dopo che l’Unione Sovietica era entrata a Berlino e aveva definitivamente sconfitto il Terzo Reich, i leader sovietici si erano preoccupati della minaccia del “revanscismo tedesco”. Dato che la Seconda Guerra mondiale poteva essere vista come la vendetta tedesca per essere stata privata della vittoria nella Prima Guerra mondiale, non si poteva pensare che un nuovo aggressivo Drang nach Osten tedesco potesse ad un certo punto rinascere, soprattutto se avesse potuto godere del supporto anglo-americano ? Nei circoli di potere statunitensi e britannici c’è sempre stata una minoranza cui sarebbe piaciuto portare a termine la guerra di Hitler contro l’Unione Sovietica.
Non fu il desiderio di diffondere il comunismo, ma l’esigenza di poter disporre di una zona cuscinetto per ostacolare questo tipo di pericoli a essere la motivazione primaria per l’esigente controllo politico e militare esercitato dall’Unione Sovietica sulla sequenza di paesi, dalla Polonia alla Bulgaria, che l’Armata Rossa aveva strappato all’occupazione nazista.
Questa preoccupazione in larga parte svanì nei primi anni Ottanta quando giovani generazioni di tedeschi riempirono le strade con dimostrazioni di pace contro lo stazionamento degli “Euromissili” nucleari che potevano aumentare il rischio di un conflitto atomico sul suolo della Germania. Il movimento fu all’origine dell’immagine di una nuova Germania pacifica. Credo che Mikhail Gorbaciov abbia preso sul serio questa trasformazione.
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Il programma economico e sociale di Fratelli d’Italia
di Luca Michelini
Non esiste un’ampia letteratura scientifica sul partito di Fratelli d’Italia. Fino agli inciampi politici della Lega, del resto, FdI sembrava essere un partito privo di alcuna centralità politica. Il governo Draghi, riunendo tutti gli altri partiti (esclusa SI, certo, tuttavia marginale sul piano parlamentare e tradizionalmente succube del Pd), ha fatto il gioco di chi stava all’opposizione. Manca, soprattutto, un’indagine sistematica sulla cultura e sul profilo sociale della classe politica di questo partito. Mi concentro, dunque, solo su alcune fonti di informazione: anzitutto sul programma, che è pubblicato sul sito del partito.
La prima cosa che si può evidenziare è una certa continuità storica con una parte della tradizione della destra italiana, che affonda le proprie radici nel Ventennio. Con questo non voglio rispolverare la questione della natura ancora fascista del partito, accodandomi al coro di chi, in vista delle elezioni, sventola il pericolo nero dopo aver fatto di tutto, sul piano politico e sociale, per alimentarlo. Mi limito, invece, a constatare linee di continuità, segnalando anche quelle di discontinuità. Il mio intento non è polemico, ma analitico. In ogni caso, nel simbolo del partito ancora campeggia la fiamma tricolore, segno di una ricercata e ostentata continuità.
La destra fascista appare come il riferimento culturale e soprattutto programmatico del partito. Sì, perché il fascismo ha avuto una destra e una sinistra, che ha avuto un afflato sociale, come sappiamo. La destra fascista aveva come punto di riferimento una cultura economica saldamente ancorata alla tradizione liberale ed esaltava la cosiddetta libertà del lavoro. Negli anni venti questa libertà aveva un connotato esplicitamente e fondamentalmente antisocialista e antidemocratico, avversando qualsivoglia politica economica redistributiva.
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La Dichiarazione di Samarcanda
di Alessandro Visalli
Si è concluso il vertice dei paesi dello SCO (Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, fondata nel 1996) a Samarcanda, con la prima partecipazione in presenza del Presidente cinese XI Jimping dall’inizio della pandemia. Si tratta del 22° vertice del Consiglio dei Capi di Stato e si è concluso con una Dichiarazione e documenti su vari temi, come la salvaguardia della sicurezza alimentare, la sicurezza energetica globale, la lotta ai cambiamenti climatici e il mantenimento di una catena di approvvigionamento sicura, stabile e diversificata.
La Dichiarazione[1] sostiene che il mondo è oggi attraversato da cambiamenti globali in rapido sviluppo e grande trasformazione, e che è in corso di intensificazione la tendenza ad entrare in una era multipolare. Ciò mentre paesi sempre più interdipendenti vedono informatizzazione e digitalizzazione crescenti. Mentre ciò accade le sfide sono sempre maggiori e la situazione internazionale si sta deteriorando.
Gli stati membri (che comprendono Cina, Russia, India, Kazakistan, Kirgizistan, Tagikistan, Uzbekistan, Pakistan, Iran, cui si aggiungono come “stati osservatori” Afghanistan, Bielorussia e Mongolia e come “partner di dialogo” stati importanti come l’Arabia Saudita, l’Egitto, la Turchia, il Quatar, il Nepal, la Cambogia, l’Armenia, lo Sri Lanka e l’Azerbaijan) hanno dichiarato di opporsi ad ogni approccio di parte per risolvere le questioni internazionali e preso l’impegno di coordinarsi di fronte alle minacce ed alle sfide alla sicurezza. La Dichiarazione afferma che è di grande importanza pratica lavorare insieme per costruire un nuovo tipo di relazioni internazionali caratterizzate da rispetto reciproco, equità e giustizia, nonché cooperazione vantaggiosa per tutti e per costruire una ‘comunità con un futuro condiviso per l'umanità’ (formula notoriamente cinese).
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Sequenza e classi: una risposta ai critici della teoria del circuito monetario
di Marco Veronese Passarella*
[M]entre la teoria del processo economico come insieme di scambi simultanei sembra fatta apposta per descrivere una società priva di classi, l’idea del processo economico come circuito conduce immediatamente ad individuare all’interno del processo economico la distinzione di classe.
Graziani 1977, p. 116
[L]a distinzione di classe si impone come dato primigenio del ragionamento: sono i capitalisti imprenditori, e soltanto loro, che possono dare avvio al ciclo impiegando capitale monetario per l’acquisto di forza lavoro, e questa possibilità li differenzia strutturalmente dai lavoratori, i quali altro non possono fare che vendere la propria forza lavoro.
Graziani 1977, p. 117
Descrizione
Quella descritta dallo schema del circuito monetario non è una mera scansione temporale di fatti stilizzati, ma la sequenza necessaria dei rapporti di produzione e di scambio tra classi sociali differenti e contrapposte nello spazio capitalistico.
1. Introduzione
Un recente, pregevole, contributo di Sergio Cesaratto, Sei lezioni sulla moneta (Diarkos Editore, 2021), mi ha offerto l’opportunità di riflettere sul lascito teorico dell’approccio del circuito monetario di Augusto Graziani, sugli stimoli intellettuali che continua ad offrire e soprattutto sui numerosi fraintendimenti di cui è stato oggetto nel tempo. Benché, infatti, l’autore del libro riconosca i meriti della teoria del circuito, in quanto ha contribuito a disvelare la natura endogena della moneta in un’economia capitalistica di mercato, non mancano gli spunti critici nei confronti dell’impostazione di Graziani. In particolare, Cesaratto si spinge a definirla “un po’ complottista” (Cesaratto 2021, p. 297), dato che pretenderebbe di spiegare le relazioni tra banche ed imprese private come se ciascun settore costituisse un tutto omogeneo, dotato di una propria volontà trascendente quella dei singoli agenti individuali.
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Draghistan: nessuno ha osato disturbare the sound of silence*
di Luca Busca
Che questa sarebbe stata una campagna elettorale anomala lo si era già capito quando, a luglio, Draghi e Mattarella di comune intesa realizzarono il golpe bianco indicendo elezioni a settembre. Normale, quindi, che tra un ombrellone e un trekking la campagna elettorale partisse al rallentatore, molto meno che lo rimanesse anche a settembre.
Il PDF (Partito Democratico Fascista) ha evitato in qualsiasi momento di esprimere contenuti politici puntando tutto sull’esigenza di fermare il fascismo insorgente con la vittoria della Meloni. Fascismo peraltro ampiamente confermato dal rifiuto opposto dalla Pausini alla richiesta di cantare Bella Ciao. La Meloni dal canto suo ha osservato un assoluto silenzio per evitare di passare da fascista, si è prostrata all’altare della Nato mantenendo un profilo basso. Solo due piccoli interventi, frutto dell’utilizzo di sostanze stupefacenti di pessima qualità, sul “diritto a non abortire” e sul lesbismo dilagante di Peppa Pig hanno mostrato la tempra di chi non molla. La Lega sottovoce ha ricordato che gli immigrati ci rubano il lavoro, la corrente elettrica e le barche a Lampedusa. Berlusconi ha solo ceduto i suoi pezzi migliori (Carfagna, Gelmini e Brunetta) al Grande Centro, per poter meglio “inciuciare” con l’Agenda Draghi al fine di continuare ad affossare l’Italia. Il M5S con toni sempre molto pacati ha ricordato al proprio elettorato tutte le stronzate fatte, negando le proprie posizioni in merito a pandemia e guerra. I “cocomeri” finita l’estate, come è normale che sia, sono scomparsi, contenti dell’elemosina di qualche seggio concessa dal PD.
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Prove di internazionalizzazione del renminbi yuan e de-dollarizzazione
di Raffaele Sciortino
“Tutto ciò rimanda, giova ricordarlo, alla complessa strutturazione dell’imperialismo finanziario del dollaro, che ha preso forma all’indomani della crisi degli anni Settanta facendo da base per la cosiddetta globalizzazione (§ 1.1). Base su cui si è incardinato, negli ultimi tre decenni, il rapporto economico e geopolitico tra Stati Uniti e Cina, asimmetrico ma essenziale per entrambe le parti. Ora, sia le necessità oggettive dello sviluppo capitalistico cinese sia la strategia del partito-stato nell’ultimo decennio hanno iniziato a spingere per un percorso di autonomizzazione rispetto all’eccessiva dipendenza dalla finanza a stelle e strisce. Più di recente, il deteriorarsi delle relazioni con Washington nonchè l’uso del dollaro come arma nel conflitto ucraino hanno convinto i vertici cinesi del fatto che l’esposizione al sistema incentrato sul dollaro rappresenta oramai un rischio sempre meno controbilanciato dal vantaggio dell’accesso ai mercati di esportazione occidentali. La Cina, insomma, non può più giocare sempre e comunque alle regole della Federal Reserve. È qui che si inserisce, altro tassello del puzzle, la strategia comunemente definita di internazionalizzazione della moneta cinese, che nelle intenzioni di Pechino dovrebbe essere cauta e regolata ma sempre più pare rappresentare una scelta obbligata.”
Questo testo è parte di un volume più ampio con il titolo Cina e Usa allo scontro nella crisi globale. Il volume è in fase di preparazione e la sua uscita è prevista per il prossimo mese di Ottobre.
* * * *
Strategia interna della doppia circolazione e proiezione esterna, trasformazione del modello di sviluppo fin qui seguito e riconfigurazione della globalizzazione in forme più consone agli interessi cinesi: tutto ciò non può non investire il piano della moneta.
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Salario minimo, reddito minimo ed equo compenso
Come sanare la piaga del lavoro povero in tre mosse
di Giuseppe D'Elia
Dopo la pandemia, la guerra. Dopo anni di inerzia politica, sulle strategie necessarie per mitigare gli effetti del cambiamento climatico in atto, la crisi energetica. Quest’ultima, innescata da meri fattori geopolitici, fin qui ha presentato tratti marcatamente speculativi piuttosto che una effettiva e irrimediabile scarsità delle fonti di approvvigionamento. Proprio per questo, le soluzioni proposte – sempre all’insegna dello scaricabarile colpevolizzante – sono davvero difficili da metabolizzare. Ancora una volta, insomma, ci troviamo ad affrontare sfide epocali, con la trita e ritrita retorica emergenziale che richiede ulteriori sacrifici ai comuni cittadini, con la sola prospettiva di un continuo peggioramento della qualità della vita delle masse, mentre le sacche minoritarie di privilegio consolidato continuano a sprecare l’equivalente dei consumi standard di migliaia di persone.
Questa ennesima emergenza, in realtà, si innesta sullo sfondo di una stagnazione salariale che, nel nostro Paese, si stratifica da decenni per precise scelte ideologiche. La precarizzazione dei rapporti di lavoro, esplosa a inizio millennio, ha amplificato una tendenza che era già in atto da diversi anni. Attualmente, in Italia il rapporto a tempo indeterminato rappresenta meno di un quinto (18,8%) delle nuove assunzioni. Correlativamente, è il contratto a termine la nuova forma di lavoro dominante: circa due nuovi posti di lavoro su tre sono a tempo determinato (64,8%). In ogni caso, se per ogni 100 nuove assunzioni, ben 81 di queste corrispondono a forme contrattuali che non sono minimamente stabili, è del tutto evidente che siamo in presenza di un altro enorme problema, accanto a quello storico dello squilibrio tra occasioni di lavoro effettivamente disponibili e reale consistenza numerica delle persone che hanno bisogno di lavorare per vivere.
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Il babau fascista e la (solita) tiritera antifascista
di Sandro Moiso
«Fin da molti anni addietro, noi affermammo senza esitazione che non si doveva ravvisare il nemico ed il pericolo numero uno nel fascismo o peggio ancora nell’uomo Mussolini, ma che il male più grave sarebbe stato rappresentato dall’antifascismo che il fascismo stesso, con le sue infamie e nefandezze, avrebbe provocato; antifascismo che avrebbe dato vita storica al velenoso mostro del grande blocco comprendente tutte le gradazioni dello sfruttamento capitalistico e dei suoi beneficiari, dai grandi plutocrati, giù giù fino alle schiere ridicole dei mezzi-borghesi, intellettuali e laici». (Amadeo Bordiga, intervista a cura di Edek Osser – estate 1970)
A pochi giorni di distanza dalla “fatidica” data del 25 settembre, è difficile dire quanti saranno gli elettori che si presenteranno, convinti e con la tessera elettorale in pugno, ai nastri di partenza dell’ennesima e gaglioffa tornata elettorale.
A giudicare dai risultati degli ultimi anni, pochi. Molto pochi. Considerato soprattutto il fatto che, nell’attuale competizione, a farla da padrone sono stati più i nomi e le poltrone “garantite” dei candidati che non i programmi. Ma se anche così non fosse, vale comunque la pena di sottolineare come l’uso dei termini “fascismo” e “antifascismo” abbia ancora una volta caratterizzato la propaganda di una sinistra sempre più esangue e asservita alle esigenze del capitale nazionale e internazionale.
L’attuale farsa elettorale, infatti, vede le sinistre, più o meno parlamentari di ogni grado e risma, ricorrere ancora una volta all’espediente narrativo, già troppe volte visto in scena sia sui palcoscenici istituzionali più importanti che nei teatrini politici più scadenti, secondo il quale l’elettore “di sinistra” dovrebbe accorrere alla chiamata alle armi per difendere nell’urna la “democrazia” e la costituzione dall’ennesimo e vile assalto “fascista”.
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