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Il programma economico e sociale di Fratelli d’Italia
di Luca Michelini
Non esiste un’ampia letteratura scientifica sul partito di Fratelli d’Italia. Fino agli inciampi politici della Lega, del resto, FdI sembrava essere un partito privo di alcuna centralità politica. Il governo Draghi, riunendo tutti gli altri partiti (esclusa SI, certo, tuttavia marginale sul piano parlamentare e tradizionalmente succube del Pd), ha fatto il gioco di chi stava all’opposizione. Manca, soprattutto, un’indagine sistematica sulla cultura e sul profilo sociale della classe politica di questo partito. Mi concentro, dunque, solo su alcune fonti di informazione: anzitutto sul programma, che è pubblicato sul sito del partito.
La prima cosa che si può evidenziare è una certa continuità storica con una parte della tradizione della destra italiana, che affonda le proprie radici nel Ventennio. Con questo non voglio rispolverare la questione della natura ancora fascista del partito, accodandomi al coro di chi, in vista delle elezioni, sventola il pericolo nero dopo aver fatto di tutto, sul piano politico e sociale, per alimentarlo. Mi limito, invece, a constatare linee di continuità, segnalando anche quelle di discontinuità. Il mio intento non è polemico, ma analitico. In ogni caso, nel simbolo del partito ancora campeggia la fiamma tricolore, segno di una ricercata e ostentata continuità.
La destra fascista appare come il riferimento culturale e soprattutto programmatico del partito. Sì, perché il fascismo ha avuto una destra e una sinistra, che ha avuto un afflato sociale, come sappiamo. La destra fascista aveva come punto di riferimento una cultura economica saldamente ancorata alla tradizione liberale ed esaltava la cosiddetta libertà del lavoro. Negli anni venti questa libertà aveva un connotato esplicitamente e fondamentalmente antisocialista e antidemocratico, avversando qualsivoglia politica economica redistributiva.
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La Dichiarazione di Samarcanda
di Alessandro Visalli
Si è concluso il vertice dei paesi dello SCO (Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, fondata nel 1996) a Samarcanda, con la prima partecipazione in presenza del Presidente cinese XI Jimping dall’inizio della pandemia. Si tratta del 22° vertice del Consiglio dei Capi di Stato e si è concluso con una Dichiarazione e documenti su vari temi, come la salvaguardia della sicurezza alimentare, la sicurezza energetica globale, la lotta ai cambiamenti climatici e il mantenimento di una catena di approvvigionamento sicura, stabile e diversificata.
La Dichiarazione[1] sostiene che il mondo è oggi attraversato da cambiamenti globali in rapido sviluppo e grande trasformazione, e che è in corso di intensificazione la tendenza ad entrare in una era multipolare. Ciò mentre paesi sempre più interdipendenti vedono informatizzazione e digitalizzazione crescenti. Mentre ciò accade le sfide sono sempre maggiori e la situazione internazionale si sta deteriorando.
Gli stati membri (che comprendono Cina, Russia, India, Kazakistan, Kirgizistan, Tagikistan, Uzbekistan, Pakistan, Iran, cui si aggiungono come “stati osservatori” Afghanistan, Bielorussia e Mongolia e come “partner di dialogo” stati importanti come l’Arabia Saudita, l’Egitto, la Turchia, il Quatar, il Nepal, la Cambogia, l’Armenia, lo Sri Lanka e l’Azerbaijan) hanno dichiarato di opporsi ad ogni approccio di parte per risolvere le questioni internazionali e preso l’impegno di coordinarsi di fronte alle minacce ed alle sfide alla sicurezza. La Dichiarazione afferma che è di grande importanza pratica lavorare insieme per costruire un nuovo tipo di relazioni internazionali caratterizzate da rispetto reciproco, equità e giustizia, nonché cooperazione vantaggiosa per tutti e per costruire una ‘comunità con un futuro condiviso per l'umanità’ (formula notoriamente cinese).
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Sequenza e classi: una risposta ai critici della teoria del circuito monetario
di Marco Veronese Passarella*
[M]entre la teoria del processo economico come insieme di scambi simultanei sembra fatta apposta per descrivere una società priva di classi, l’idea del processo economico come circuito conduce immediatamente ad individuare all’interno del processo economico la distinzione di classe.
Graziani 1977, p. 116
[L]a distinzione di classe si impone come dato primigenio del ragionamento: sono i capitalisti imprenditori, e soltanto loro, che possono dare avvio al ciclo impiegando capitale monetario per l’acquisto di forza lavoro, e questa possibilità li differenzia strutturalmente dai lavoratori, i quali altro non possono fare che vendere la propria forza lavoro.
Graziani 1977, p. 117
Descrizione
Quella descritta dallo schema del circuito monetario non è una mera scansione temporale di fatti stilizzati, ma la sequenza necessaria dei rapporti di produzione e di scambio tra classi sociali differenti e contrapposte nello spazio capitalistico.
1. Introduzione
Un recente, pregevole, contributo di Sergio Cesaratto, Sei lezioni sulla moneta (Diarkos Editore, 2021), mi ha offerto l’opportunità di riflettere sul lascito teorico dell’approccio del circuito monetario di Augusto Graziani, sugli stimoli intellettuali che continua ad offrire e soprattutto sui numerosi fraintendimenti di cui è stato oggetto nel tempo. Benché, infatti, l’autore del libro riconosca i meriti della teoria del circuito, in quanto ha contribuito a disvelare la natura endogena della moneta in un’economia capitalistica di mercato, non mancano gli spunti critici nei confronti dell’impostazione di Graziani. In particolare, Cesaratto si spinge a definirla “un po’ complottista” (Cesaratto 2021, p. 297), dato che pretenderebbe di spiegare le relazioni tra banche ed imprese private come se ciascun settore costituisse un tutto omogeneo, dotato di una propria volontà trascendente quella dei singoli agenti individuali.
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Draghistan: nessuno ha osato disturbare the sound of silence*
di Luca Busca
Che questa sarebbe stata una campagna elettorale anomala lo si era già capito quando, a luglio, Draghi e Mattarella di comune intesa realizzarono il golpe bianco indicendo elezioni a settembre. Normale, quindi, che tra un ombrellone e un trekking la campagna elettorale partisse al rallentatore, molto meno che lo rimanesse anche a settembre.
Il PDF (Partito Democratico Fascista) ha evitato in qualsiasi momento di esprimere contenuti politici puntando tutto sull’esigenza di fermare il fascismo insorgente con la vittoria della Meloni. Fascismo peraltro ampiamente confermato dal rifiuto opposto dalla Pausini alla richiesta di cantare Bella Ciao. La Meloni dal canto suo ha osservato un assoluto silenzio per evitare di passare da fascista, si è prostrata all’altare della Nato mantenendo un profilo basso. Solo due piccoli interventi, frutto dell’utilizzo di sostanze stupefacenti di pessima qualità, sul “diritto a non abortire” e sul lesbismo dilagante di Peppa Pig hanno mostrato la tempra di chi non molla. La Lega sottovoce ha ricordato che gli immigrati ci rubano il lavoro, la corrente elettrica e le barche a Lampedusa. Berlusconi ha solo ceduto i suoi pezzi migliori (Carfagna, Gelmini e Brunetta) al Grande Centro, per poter meglio “inciuciare” con l’Agenda Draghi al fine di continuare ad affossare l’Italia. Il M5S con toni sempre molto pacati ha ricordato al proprio elettorato tutte le stronzate fatte, negando le proprie posizioni in merito a pandemia e guerra. I “cocomeri” finita l’estate, come è normale che sia, sono scomparsi, contenti dell’elemosina di qualche seggio concessa dal PD.
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Prove di internazionalizzazione del renminbi yuan e de-dollarizzazione
di Raffaele Sciortino
“Tutto ciò rimanda, giova ricordarlo, alla complessa strutturazione dell’imperialismo finanziario del dollaro, che ha preso forma all’indomani della crisi degli anni Settanta facendo da base per la cosiddetta globalizzazione (§ 1.1). Base su cui si è incardinato, negli ultimi tre decenni, il rapporto economico e geopolitico tra Stati Uniti e Cina, asimmetrico ma essenziale per entrambe le parti. Ora, sia le necessità oggettive dello sviluppo capitalistico cinese sia la strategia del partito-stato nell’ultimo decennio hanno iniziato a spingere per un percorso di autonomizzazione rispetto all’eccessiva dipendenza dalla finanza a stelle e strisce. Più di recente, il deteriorarsi delle relazioni con Washington nonchè l’uso del dollaro come arma nel conflitto ucraino hanno convinto i vertici cinesi del fatto che l’esposizione al sistema incentrato sul dollaro rappresenta oramai un rischio sempre meno controbilanciato dal vantaggio dell’accesso ai mercati di esportazione occidentali. La Cina, insomma, non può più giocare sempre e comunque alle regole della Federal Reserve. È qui che si inserisce, altro tassello del puzzle, la strategia comunemente definita di internazionalizzazione della moneta cinese, che nelle intenzioni di Pechino dovrebbe essere cauta e regolata ma sempre più pare rappresentare una scelta obbligata.”
Questo testo è parte di un volume più ampio con il titolo Cina e Usa allo scontro nella crisi globale. Il volume è in fase di preparazione e la sua uscita è prevista per il prossimo mese di Ottobre.
* * * *
Strategia interna della doppia circolazione e proiezione esterna, trasformazione del modello di sviluppo fin qui seguito e riconfigurazione della globalizzazione in forme più consone agli interessi cinesi: tutto ciò non può non investire il piano della moneta.
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Salario minimo, reddito minimo ed equo compenso
Come sanare la piaga del lavoro povero in tre mosse
di Giuseppe D'Elia
Dopo la pandemia, la guerra. Dopo anni di inerzia politica, sulle strategie necessarie per mitigare gli effetti del cambiamento climatico in atto, la crisi energetica. Quest’ultima, innescata da meri fattori geopolitici, fin qui ha presentato tratti marcatamente speculativi piuttosto che una effettiva e irrimediabile scarsità delle fonti di approvvigionamento. Proprio per questo, le soluzioni proposte – sempre all’insegna dello scaricabarile colpevolizzante – sono davvero difficili da metabolizzare. Ancora una volta, insomma, ci troviamo ad affrontare sfide epocali, con la trita e ritrita retorica emergenziale che richiede ulteriori sacrifici ai comuni cittadini, con la sola prospettiva di un continuo peggioramento della qualità della vita delle masse, mentre le sacche minoritarie di privilegio consolidato continuano a sprecare l’equivalente dei consumi standard di migliaia di persone.
Questa ennesima emergenza, in realtà, si innesta sullo sfondo di una stagnazione salariale che, nel nostro Paese, si stratifica da decenni per precise scelte ideologiche. La precarizzazione dei rapporti di lavoro, esplosa a inizio millennio, ha amplificato una tendenza che era già in atto da diversi anni. Attualmente, in Italia il rapporto a tempo indeterminato rappresenta meno di un quinto (18,8%) delle nuove assunzioni. Correlativamente, è il contratto a termine la nuova forma di lavoro dominante: circa due nuovi posti di lavoro su tre sono a tempo determinato (64,8%). In ogni caso, se per ogni 100 nuove assunzioni, ben 81 di queste corrispondono a forme contrattuali che non sono minimamente stabili, è del tutto evidente che siamo in presenza di un altro enorme problema, accanto a quello storico dello squilibrio tra occasioni di lavoro effettivamente disponibili e reale consistenza numerica delle persone che hanno bisogno di lavorare per vivere.
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Il babau fascista e la (solita) tiritera antifascista
di Sandro Moiso
«Fin da molti anni addietro, noi affermammo senza esitazione che non si doveva ravvisare il nemico ed il pericolo numero uno nel fascismo o peggio ancora nell’uomo Mussolini, ma che il male più grave sarebbe stato rappresentato dall’antifascismo che il fascismo stesso, con le sue infamie e nefandezze, avrebbe provocato; antifascismo che avrebbe dato vita storica al velenoso mostro del grande blocco comprendente tutte le gradazioni dello sfruttamento capitalistico e dei suoi beneficiari, dai grandi plutocrati, giù giù fino alle schiere ridicole dei mezzi-borghesi, intellettuali e laici». (Amadeo Bordiga, intervista a cura di Edek Osser – estate 1970)
A pochi giorni di distanza dalla “fatidica” data del 25 settembre, è difficile dire quanti saranno gli elettori che si presenteranno, convinti e con la tessera elettorale in pugno, ai nastri di partenza dell’ennesima e gaglioffa tornata elettorale.
A giudicare dai risultati degli ultimi anni, pochi. Molto pochi. Considerato soprattutto il fatto che, nell’attuale competizione, a farla da padrone sono stati più i nomi e le poltrone “garantite” dei candidati che non i programmi. Ma se anche così non fosse, vale comunque la pena di sottolineare come l’uso dei termini “fascismo” e “antifascismo” abbia ancora una volta caratterizzato la propaganda di una sinistra sempre più esangue e asservita alle esigenze del capitale nazionale e internazionale.
L’attuale farsa elettorale, infatti, vede le sinistre, più o meno parlamentari di ogni grado e risma, ricorrere ancora una volta all’espediente narrativo, già troppe volte visto in scena sia sui palcoscenici istituzionali più importanti che nei teatrini politici più scadenti, secondo il quale l’elettore “di sinistra” dovrebbe accorrere alla chiamata alle armi per difendere nell’urna la “democrazia” e la costituzione dall’ennesimo e vile assalto “fascista”.
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Astensionismo, democrazia, mercato
di Il Pedante
Come si ripete ovunque, incombe sul prossimo appuntamento elettorale il convitato di pietra dell’astensionismo, il «partito» che negli ultimi tempi raccoglie la maggioranza – spesso anche assoluta – dei consensi. Molti temono l’astensionismo, altrettanti lo auspicano e lo raccomandano: spesso, e in entrambi in casi, per gli opposti motivi. Insomma la democrazia, stanca, delude e perde appeal, ma sarebbe sciocco addebitarne la responsabilità agli elettori, a chi cioè certifica una sofferenza e non a chi la infligge o la ignora.
Il presupposto minimo di una democrazia rappresentativa è che negli organi decisionali siano rappresentati più o meno proporzionalmente i bisogni e le idee di tutti i cittadini. Fallito il presupposto, fallisce il concetto. Ora, dal 2018 a oggi non si sono solo visti gli opposti partiti con i loro opposti programmi approvare le stesse leggi nelle stesse compagini governative, in barba alle collocazioni di chi li aveva eletti. Al di là dei colori, il principio di rappresentanza è stato tradito nei fatti che hanno inciso di più sulle esistenze dei cittadini. La ferita ancora aperta delle discriminazioni sanitarie ha messo in evidenza la marginalizzazione politica pressoché totale degli elettori avversi a queste misure, il cui numero, benché mai seriamente stimato, parte dal 15% di coloro che non hanno mai ricevuto le due dosi del ciclo vaccinale primario, si aggiunge al 17% di chi non ha fatto la terza dose e si estende ai tanti (altrettanti? di più?) che hanno subito la crociata farmaceutica controvoglia o almeno disapprovato i metodi con cui la si è imposta. Qualunque sia il risultato finale, si tratterebbe di percentuali sproporzionatamente alte rispetto al 12-13% dei parlamentari che hanno ad esempio votato contro l’obbligo vaccinale per gli ultracinquantenni, o bocciato l’estensione del «super green pass» nei luoghi di lavoro.
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Servizi segreti Usa: irrompono nelle elezioni italiane e votano PD
di Fosco Giannini
A pochi giorni dalle elezioni politiche nazionali in Italia (25 settembre), di nuovo entrano violentemente in campo, col plateale obiettivo di condizionare fortemente, persino di determinare, l’esito elettorale, i servizi segreti americani.
Il rovesciamento dei ruoli e del senso politico delle cose è da teatro dell’assurdo, un Rhinocéros di Ionesco. L’accusa non dimostrata, rivolta dai servizi segreti Usa alla Russia, è quella di finanziare alcune forze politiche nel mondo al fine di dirigere e decidere i vari passaggi elettorali. L’assurdo è che i servizi segreti americani lancino queste loro accuse durante le fasi elettorali in corso, come le attuali in Italia, divenendo così essi stessi, la Cia, la Space Delta 7 e tutta l’intelligence statunitense, i veri soggetti cinicamente manipolatori degli esiti elettorali.
I servizi segreti Usa utilizzano a piene mani l’“arte” della furbizia, ma non devono aver letto Machiavelli, che sosteneva che il Principe dev’essere sì furbo, ma non troppo se no diviene un imbecille.
A che cosa siamo di fronte, in Italia, in questi giorni? Alla “rivelazione”, da parte dei servizi segreti Usa, che la Russia avrebbe devoluto, dal 2014, 300 milioni di dollari a partiti di diversi Paesi del mondo. Naturalmente, affinché questi partiti facessero gli interessi di Mosca nel loro Paese e, magari, vincessero le elezioni.
Colpisce immediatamente la data d’inizio dei supposti “aiuti russi”: il 2014, secondo la CIA, e cioè lo stesso anno del golpe nazifascista di Kiev, lo stesso anno della controrivoluzione Usa-Nato con la quale si fa violentemente fuori il legittimo presidente ucraino, non certo filo americano, Viktor Janukovic e inizia la nuova era del risorto movimento Bandera, che viaggia sui carri armati del Battaglione Azov.
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L'aquila e il corvo
Il bivio degli Ottanta e le due vie di Cunhal e Occhetto
di Carlo Formenti
Questo articolo nasce da due suggestioni. La prima è frutto delle impressioni raccolte negli ultimi anni confrontandomi con i militanti delle diverse formazioni neo comuniste nate dalla dissoluzione del PCI, e con gli amici di Cumpanis che, fuorusciti da alcune di tali formazioni, sono impegnati nel difficile – per usare un eufemismo – tentativo di saldare gli spezzoni della diaspora nell'atto fondativo di un nuovo Partito Comunista che meriti di essere definito tale. La seconda è più occasionale: mi è capitato di leggere, a distanza di pochi giorni, Il partito dalle pareti di vetro, un libro dell'ex segretario del Partito Comunista Portoghese, Alvaro Cunhal, uscito nel 1985, ripubblicato in Portogallo nel 2002 e in Italia (dalle Edizioni La Città del Sole) un paio d'anni fa, e Idee e proposte del nuovo corso del PCI, un libercolo in cui “l'Unità” aveva raccolto una serie di interviste e interventi di Achille Occhetto preparatori del 18° Congresso del Partito (marzo 1989), propedeutico alla svolta della Bolognina che si sarebbe celebrata pochi mesi dopo.
Questa duplice lettura ha rafforzato le convinzioni che esprimo in un libro che ho appena consegnato all'Editore Meltemi (uscirà in due volumi nei primi mesi del 2023). In particolare, ha corroborato le mie tesi relative:
1) al fatto che il decennio degli Ottanta (non solo nel finale, che ha visto la caduta del sistema socialista dell'Europa Orientale) rappresenta il punto di non ritorno del processo di separazione fra comunismo occidentale e comunismo orientale, e coincide con il pressoché totale annientamento del primo, già avviato nei Settanta;
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Il silenzio degli innocenti. Come funziona la propaganda
di John Pilger
Negli anni settanta ho incontrato Leni Riefenstahl, una delle principali propagandiste di Hitler, i cui film epici glorificavano il nazismo. Ci capitò di soggiornare nello stesso hotel in Kenya, dove lei si trovava per un incarico fotografico, essendo sfuggita al destino di altri amici del Führer.
Mi disse che i “messaggi patriottici” dei suoi film non dipendevano da “ordini dall’alto” ma da quello che lei definiva il “vuoto sottomesso” del pubblico tedesco.
Questo coinvolgeva la borghesia liberale e istruita? Ho chiesto. “Sì, soprattutto loro”, rispose.
Penso a questo quando mi guardo intorno e osservo la propaganda che sta deteriorando le società occidentali.
Certo, siamo molto diversi dalla Germania degli anni trenta. Viviamo in società dell’informazione. Siamo globalisti. Non siamo mai stati così consapevoli, così in contatto, così connessi.
Lo siamo? Oppure viviamo in una Società Mediatica in cui il lavaggio del cervello è insidioso e implacabile e la percezione è filtrata in base alle esigenze e alle bugie del potere statale e del potere delle imprese?
Gli Stati Uniti dominano i media del mondo occidentale. Tutte le dieci principali società mediatiche, tranne una, hanno sede in Nord America. Internet e i social media – Google, Twitter, Facebook – sono per lo più di proprietà e controllo americano.
Nel corso della mia vita, gli Stati Uniti hanno rovesciato o tentato di rovesciare più di 50 governi, la gran parte democrazie. Hanno interferito nelle elezioni democratiche di 30 Paesi. Hanno sganciato bombe sulla popolazione di 30 paesi, la maggior parte dei quali poveri e indifesi. Hanno tentato di assassinare i dirigenti politici di 50 paesi. Hanno combattuto per reprimere i movimenti di liberazione in 20 paesi.
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Perché la Russia vincerà comunque, nonostante i vantaggi dell’Ucraina
di Scott Ritter*
La Russia non sta più combattendo contro un esercito ucraino equipaggiato dalla NATO, ma contro un esercito della NATO presidiato da ucraini. Tuttavia, la Russia ha ancora il sopravvento nonostante la battuta d'arresto di Kharkiv
Il 1° settembre l’esercito ucraino ha iniziato una grande offensiva contro le forze russe schierate nella regione a nord della città meridionale di Kherson. Dieci giorni dopo, gli ucraini hanno ampliato la portata e l’entità delle operazioni offensive per includere la regione intorno alla città settentrionale di Kharkov.
Mentre l’offensiva di Kherson è stata respinta dai russi, con le forze ucraine che hanno subito pesanti perdite sia in termini di uomini che di materiali, l’offensiva di Kharkov si è rivelata un grande successo, con migliaia di chilometri quadrati di territorio precedentemente occupato dalle truppe russe riportati sotto il controllo del governo ucraino.
Invece di lanciare la propria controffensiva contro gli ucraini che operavano nella regione di Kharkov, il Ministero della Difesa russo (MOD) fece un annuncio che molti trovarono scioccante: “Per raggiungere gli obiettivi dichiarati di un’operazione militare speciale per liberare il Donbass“, hanno annunciato i russi via Telegram, “è stato deciso di raggruppare le truppe russe… per aumentare gli sforzi in direzione di Donetsk“.
Sminuendo l’idea di una ritirata, il Ministero della Difesa russo ha dichiarato che “a tal fine, entro tre giorni, è stata condotta un’operazione per limitare e organizzare il trasferimento delle truppe [russe] nel territorio della Repubblica Popolare di Donetsk”.
“Durante questa operazione“, si legge nel rapporto, “sono state effettuate diverse operazioni diversive e dimostrative, indicando le reali azioni delle truppe” che, hanno dichiarato i russi, hanno portato alla “eliminazione di oltre duemila combattenti ucraini e stranieri, nonché di più di cento unità di veicoli blindati e artiglieria“.
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Un voto per la ricostruzione di una rappresentanza di sinistra in parlamento
di Domenico Moro e Fabio Nobile
Le elezioni del 25 settembre si terranno in un quadro complessivo fortemente deteriorato e in via di peggioramento per quanto riguarda la fase finale del 2022 e soprattutto il 2023. Chiunque vincerà la competizione elettorale si troverà ad affrontare una situazione difficile, caratterizzata da un peggioramento delle condizioni economiche e sociali a livello interno e da un inasprimento delle contraddizioni internazionali.
Il quadro economico
Cominciamo dal quadro economico. L’Italia viene fuori da una recessione, durante la fase del Covid 19, che era stata tra le più profonde tra i Paesi avanzati. Nel 2021 la crescita è stata forte, ma non tale da permettere una ripresa completa fino ai livelli economici pre-pandemia. Il 2022, secondo l’Ufficio Parlamentare di bilancio (Upb), dovrebbe chiudersi con una crescita del Pil del 3,2%. I problemi emergeranno nel 2023. Infatti, le sanzioni economiche contro la Russia stanno realizzando lo scenario peggiore tra quelli ipotizzati dagli analisti. I tagli all’esportazione di gas verso l’Europa operati dalla Russia come risposta alle sanzioni e all’invio di armi all’Ucraina, unitamente alla siccità che ha ridotto la produzione idroelettrica e alla fermata delle centrali nucleari in Francia, hanno accentuato la crescita dei prezzi delle materie prime energetiche. L’inflazione in Italia ad agosto ha raggiunto l’8,4%, un livello mai così alto dal dicembre 1985.
Si tratta di un fatto estremamente grave per economie, come quelle italiana e tedesca, che sono basate sulla trasformazione manifatturiera orientata all’export.
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CDC Intervista aperta: le risposte di Marco Rizzo di Italia Sovrana e Popolare
Le risposte di Marco Rizzo di Italia Sovrana e Popolare, all'intervista aperta di CDC ai partiti, per le elezioni politiche del 25 Settembre 2022
Come avevamo annunciato, pubblichiamo integralmente le risposte all’intervista aperta che abbiamo inviato ai partiti che concorrono alle elezioni politiche del 25 settembre. La pubblicazione è fatta in base all’ordine di arrivo delle risposte alla nostra Redazione. In fondo all’articolo è riportato il collegamento al sito ufficiale e al programma del partito.
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25 domande dalla Redazione di Comedonchisciotte.org ai partiti. Risposte di MARCO RIZZO di ITALIA SOVRANA e POPOLARE.
1) CDC: La moneta è elemento essenziale per uno Stato democratico moderno. I dati mondiali dimostrano chiaramente come lo 0,3% della popolazione detenga il 50% della ricchezza totale: ritenete sia necessario invertire in modo drastico tale tendenza? Intendete far tornare il popolo sovrano gestore e beneficiario della propria moneta? E se si, come?
ISP: La concentrazione finanziaria è la base materiale del potere politico delle classi dominanti, per questo serve un cambiamento radicale dei meccanismi politici. La soluzione monetaria che noi proponiamo -il ritorno alla Lira- deve essere affiancata ad un ripensamento generale su come è organizzata politicamente la società. E la prima cosa che la nuova società diretta da chi lavora (lavoro dipendente ed autonomo, artigiani, commercianti e piccola impresa) e non dalle élite finanziarie deve fare è prendere il controllo delle grandi concentrazioni finanziarie-militari-industriali. Una generale rinazionalizzazione dei mezzi di produzione strategici e più grandi. Questo è uno dei nostri punti caratterizzanti che ci differenzia forse da tutti gli altri.
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Cavalcare il nemico
di Matteo Minetti
Da Carl Schmitt a guanciale vs. pancetta: la costruzione dell’identità politica ai tempi dei social
“Il nemico marcia in testa a te
ma anche alle tue spalle.
Il nemico marcia con i piedi
nelle tue stesse scarpe.
Quindi anche se le tracce non le vedi
è sempre dalla tua parte.”
Claudio Lolli
Il partito degli algoritmi
Posso forse affermare, senza scandalizzare nessuno, che viviamo nella società dell’informazione, come in passato vivevamo nella società del valore. Ciò significa che, mentre in gran parte del secolo scorso la società si divideva, grossolanamente, per chi utilizza un paradigma del conflitto fra classi, in proprietari di capitale e non proprietari, oggi si divide in produttori di informazioni e consumatori di informazioni. Le categorie quasi coincidono per estensione ma si differenziano per la loro relazione. Coloro che possiedono le informazioni sono anche ricchi, coloro che non le hanno sono irrimediabilmente anche poveri.
Visto che non frequento i ricchi, i veramente ricchi che detengono il monopolio della conoscenza, posso solo immaginare come e dove la scambiano ma, frequentando i poveri, so dove si scambiano le loro poche (e spesso errate) informazioni, ovvero nei mezzi che hanno a disposizione:dal vivo, al telefono, su internet e i social network. In special modo quelli di Mr. Zuckerberg: Facebook, Instagram e WhatsApp. 3,5 Mld di utenti nel 2021 con 114,9 Mln di dollari di ricavi pubblicitari, circa 40 dollari all’anno per utente.
Gran parte dei contenuti che vengono veicolati attraverso i social network sono diffusi da centri di produzione strategica di informazioni come redazioni, uffici stampa, agenzie di comunicazione, giornalistiche o di immagini, influencer professionali o amatoriali, content media manager inseriti in relazioni di mercato.
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Il gorgo: globalizzazione, guerra, USA, Cina ed Europa nell'incerto presente
Alberto Deambrogio intervista Raffaele Sciortino
Raffaele Sciortino, già attivista nel movimento no global e no Tav e dottore di ricerca in studi politici alla Statale di Milano, è oggi ricercatore indipendente autore di studi critici sulla globalizzazione e sulle relazioni sino-americane. Ha pubblicato, con Asterios, Obama nella crisi globale (2010), I dieci anni che sconvolsero il mondo. Crisi globale e geopolitica dei neopopulismi (2019) e, sul rapporto sino- americano, Un passaggio oltre il bipolarismo. Il rapprochement sino-americano 1969-1972 (2011). A fine settembre per Asterios pubblicherà un nuovo saggio dal titolo: Stati Uniti e Cina allo scontro globale. Strutture, strategie, contingenze.
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Alberto Deambrogio: La situazione che stiamo vivendo è caratterizzata sicuramente da alcuni punti fermi, visibili e da alcune tendenze la cui traiettoria finale è difficile da individuare. Siamo in guerra, in presenza di uno shock energetico e della scarsità di materie prime, l’inflazione si sta accoppiando con la recessione mentre si è aperta una nuova imponente stagione di riarmo. Quali sono, secondo te, le caratteristiche salienti del conflitto in atto?
Raffaele Sciortino: Sull’Ucraina è necessario un breve résumée delle puntate precedenti. Dopo la fine dell’Unione Sovietica la Nato si è allargata fino ai confini russi; nel dicembre 2001, sotto l’amministrazione Bush jr., Washington si è ritirata dal più importante trattato sulle forze strategiche, l’Abm, firmato nel lontano 1972; intanto, dopo il lungo e sanguinoso conflitto in Cecenia degli anni Novanta, con ingerenza statunitense, negli anni Duemila hanno iniziato il loro corso le rivoluzioni colorate filo- occidentali in Georgia (2003), Ucraina (2004), Kirghizistan (2005); è poi arrivato nel 2008 il conflitto aperto provocato dalla Georgia.
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L’errore fatale del potere
di Domenico De Simone
Ci sono momenti nella storia in cui gli uomini al potere commettono degli errori tattici che si rivelano a posteriori essere tragici errori strategici. In genere questo accade quando il potere è più forte e dominante, e la causa è spesso l’arroganza, la presunzione e la superficialità degli uomini di potere. Un esempio classico è quello commesso da Augusto quando affidò a Publio Quintilio Varo le province germaniche appena conquistate e presuntuosamente ritenute già pacificamente romane. Varo era un burocrate che sapeva poco o nulla di guerra e tanto meno dei Germani e dei Cherusci, la tribù alla quale apparteneva Arminio. Si fidò completamente di lui allontanando gli ufficiali romani che cercarono di metterlo in guardia, e finì nella trappola di Teutoburgo nella quale perì insieme a due legioni e alle speranze romane di una rapida espansione nell’est europeo. L’errore tattico fu fatale per le mire espansionistiche romane, e si trasformò in un limite strategico, poiché da quel momento il fiume Reno rappresentò il limite invalicabile all’espansione romana ad est.
Quel limite all’espansione territoriale segnò anche l’inizio del declino dell’impero, la cui economia si fondava essenzialmente sulla tratta degli schiavi che rappresentavano il motore dell’economia romana e consentivano agli imperatori di tenere bassa la pressione fiscale interna e alimentare le legioni con nuova linfa vitale. Commentando le imprese di Giulio Cesare in Gallia notai che durante i nove anni di campagne militari, la resa di gran lunga maggiore fu la vendita del milione circa di schiavi che Cesare mandò a Roma, e che rappresentò i nove decimi di tutti i ricavi delle sue campagne in Gallia. Il rimanente, era costituito dai tributi che tutte le tribù della Gallia furono costrette a mandare a Roma durante lo stesso periodo.
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L’individualizzazione del lavoro da remoto nel capitalismo delle piattaforme
di Andrea Fumagalli
Ripetutamente, nell’ultimo anno, abbiamo dedicato spazio e contributi della rubrica ad analisi, opinioni, approfondimenti all’esplosione del cosiddetto «smart working», che l’autore del contributo che segue, opportunamente e in accordo con la maggioranza degli studiosi che hanno esplorato l’argomento, preferisce definire «remote working». Sullo stesso tema pubblichiamo la trascrizione di un intervento di Andrea Fumagalli, economista e militante politico, che in queste pagine non richiede ulteriori presentazioni, autore da almeno tre decenni di saggi e articoli sulle trasformazioni del capitalismo e del lavoro contemporanei, e tra i principali promotori di sperimentazioni politiche e iniziative editoriali. Fumagalli rilegge i risultati di alcune delle numerose inchieste «ufficiali» realizzate nell’ultimo anno sul tema, inquadrando la svolta del remote working nelle trasformazioni più complessive dell’organizzazione produttiva e dell’accumulazione, con l’emergere del «platform capitalism» e dei nuovi livelli consentiti dall’impiego delle nuove tecnologie nella cooperazione tra macchine digitali e capacità umana viva.
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Parto dicendo che il termine «smart working», diventato ormai di uso comune, secondo me è un abuso, perché in questo tipo di lavoro di «smart» c’è ben poco. Se dovessimo utilizzare una definizione corretta, dovremmo utilizzare «remote working». Il termine «smart», infatti, implica una suggestione di benessere che non sempre cattura la condizione effettiva di chi lo svolge.
Fatto questo breve inciso, queste brevi considerazioni che propongo si svilupperanno su tre livelli per poi concludere con la discussione di alcuni risultati di una ricerca svolta dal «Laboratorio Futuro» dell’Istituto Toniolo dell’Università Cattolica, intitolata Il futuro delle città. Smart working nelle imprese milanesi al tempo del Covid-19 da cui emergono dati empirici particolarmente interessanti.
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Emergenza pandemica. Un’analisi epistemologica
di Tommaso Palmieri
Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Introduzione
A marzo 2022 si è istituzionalmente conclusa l’emergenza pandemica dichiarata a marzo 2020, la cui gestione (e il meccanismo emergenziale in generale) non ha sicuramente concluso le sue istanze, dato che evidentemente e per ammissione delle stesse istituzioni i procedimenti di allerta e in generale tutta una serie di misure e pratiche persevereranno, mostrando fin da ora le ampie istanze di “normalizzazione” sviluppatesi. Nonché le perduranti modalità di “emergenza permanete” che trapassano prontamente dall’ambito medico, a quello bellico, terrorista, energetico o ambientale, con ampie possibilità di applicazione. In tutto questo le criticità in ballo durante la gestione sono molte. Due anni in cui si è pubblicamente evitato di affrontare qualsiasi argomento di critica, mostrando disinteresse o andando a screditarne la fonte, tramite l’utilizzo di pregiudizievoli etichette.
Un (non-)dibattito pubblico che vorrebbe negare una enorme serie di contraddizioni manifeste nella gestione pandemica, dove il complesso scientifico appare diviso, lontano dalla narrazione di un sistema mediatico e istituzionale che batte senza sosta la campana del “lo dice La Scienza”. Il fatto è che “La” scienza non esiste, esistono semmai il metodo scientifico e le teorie scientifiche: sempre rivedibili e dipendenti dal contesto nel quale sono calate e si sono sviluppate e che più volte hanno fatto danni.
Il (non)dibattito scientifico: La scienza non come metodo ma come istituzione
Sarebbe sciocco considerare il sistema scienza come avulso dal complesso storico-sociale; in tal senso l’interdisciplinarietà e la valutazione dubbiosa sarebbero sempre d’obbligo.
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Schedare per dominare
di Mediapart
Una storia critica della schedatura di polizia in particolare in Francia
La campagna di azione collettiva contro la tecnopolizia si conclude tra poche settimane. La nostra denuncia contro il Ministero dell’Interno prende di mira in particolare due enormi fascicoli statali: il fascicolo TAJ e il fascicolo TES. Attraverso di loro, attacchiamo gli strumenti onnipresenti e strutturanti di sorveglianza della polizia. Perché archiviare è organizzare il controllo e il dominio dello Stato sulla sua popolazione. Come si spiega che queste pratiche hanno potuto emergere, persistere e radicarsi così profondamente nel funzionamento dell’amministrazione francese al punto da sfuggire ora a qualsiasi controllo reale?
Se possiamo ovviamente trovare una moltitudine di spiegazioni, proponiamo di tornare qui, senza pretendere di essere esaustivi, sull’evoluzione nel tempo della registrazione in Francia.
La creazione della conoscenza statale
Il desiderio dello Stato francese di identificare formalmente la sua popolazione iniziò nel XVIII secolo[1]. Lo scopo originario era formalmente quello di “combattere contro la criminalità, l’accattonaggio o il vagabondaggio” richiedendo ad alcune persone la registrazione e il possesso di “carte” contenenti il loro cognome[2]. Molto rapidamente, questa pratica è stata utilizzata principalmente in ambito giudiziario al fine di identificare le persone accusate che avrebbero fornito false identità, impedendo così al sistema giudiziario di ripristinare la loro precedenti penali. È quindi il perseguimento e il riconoscimento dei recidivi – una giustificazione che si troverà molte volte nel corso della storia – che incoraggia il miglioramento delle pratiche di identificazione e in particolare la creazione di polizie scientifiche[3].
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Qiao Liang: Il dominio finanziario degli Stati Uniti sul mondo
di Giordano Sivini*
Per Qiao Liang in L’arco dell’Impero (Leg 2021) gli Stati Uniti sono un impero finanziario egemone. Ne traccia la parabola dal periodo in cui il dollaro viene condiviso dal mondo in quanto strumento di sviluppo della produzione e del commercio manifatturiero, a quello in cui il centro dell’impero lo utilizza per appropriarsi delle ricchezze del mondo, fino al loro esaurimento e persino dei “dividendi” su quelle già appropriate (p. 67).
Secondo i “discorsi cinesi” (p.75), il termine ‘egemonia’ qualifica tutto questo percorso storico, non solo quello dello sviluppo produttivo e commerciale in cui, nel contesto della guerra fredda, gli Stati Uniti hanno coinvolto l’Occidente nella ricostruzione postbellica. Qualifica anche il periodo successivo dell’espansione finanziaria, ma è riferito non agli Stati Uniti bensì al dollaro, che gli Stati Uniti utilizzano per esercitare un dominio espropriativo sul mondo. Questa egemonia “negli ultimi quarant’anni è riuscita a trasformare tutte le valute del mondo in accessori del dollaro, gestendo le transazioni tramite la creazione di credito negli Stati Uniti, e allo stesso tempo, controllando tutta la produzione (tutta la produzione è espressa in dollari e, in definitiva, prodotta per i dollari). E questo risultato ha profondamente cambiato e ricostruito la nostra attuale civiltà” (p.78).
In questa ‘civiltà finanziaria’ la funzione egemonica del dollaro è di coprire il dominio degli Stati Uniti: si guarda al movimento del dollaro quando si analizzano le crisi, non ha chi produce questo movimento. “Quando si tratta dei misteri dell’egemonia e della realtà degli Stati Uniti, ‘meglio non rivelare gli arcani del cielo’. Questo antico detto cinese sembra essere diventato un tabù per gli esperti e per gli studiosi di tutto il mondo. Una specie di falla collettiva nel discorso.
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Ma quale “green deal”, qui casca l’asino neoliberista
di Claudio Conti - Guido Salerno Aletta
La comunicazione imperiale, di questi tempi, è decisamente schizofrenica. Da un lato c’è l’esibizione di forza incontrastabile (sanzioni alla Russia, minacce alla Cina, fiducia nella “vittoria Ucraina”, pretesa che il resto del mondo segua – come negli ultimi 30 anni – i propri ordini, ecc).
Dall’altra la corsa all’accaparramento di nuove forniture per le materie prime energetiche che dalla Russia arrivano sempre meno, con piani di razionamento per i consumi della popolazione (sorpassando la “delicatezza” dei “consigli per consumare meno”).
Per capirci qualcosa di più, come spesso facciamo, andiamo a vedere come la stanno prendendo gli specialisti dell’economia, dato che dei fogliacci di propaganda euro-atlantica (Corriere e Repubblica su tutti) non c’è proprio da fidarsi.
Un disperato editoriale di TeleBorsa – non proprio un foglio bolscevico – chiarisce molto.
Intanto che modo di produzione capitalistico e ambientalismo non possono proprio “coesistere”. Tutta la retorica della “transizione ecologica”, tra eventi come il Cop26 e il Recovery Fund, viene smontata come una follia (capitalisticamente parlando).
In effetti, già l’Unione Europea aveva fatto robustissime marce indietro già prima dell’inizio della guerra in Ucraina. La revisione della “tassonomia” relativa alle varie fonti energetiche aveva chiarito che gas, nuceare e perino il carbone sono “ecologici”. E quindi che nulla, in realtà, doveva cambiare, tranne qualche robusto finanziamento alle infrastrutture con tecnologie “innovative”.
In secondo luogo, che la dimensione della riduzione dei consumi dovuti alla carenza di rifornimenti energetici (sbrigativamente chiamati “gas russo”) sarà di dimensioni drammatiche, che fanno impallidire il ricordo della crisi petrolifera del 1973.
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La finanza e il mercato dell'energia
di Raffaele Picarelli
Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Premessa
L’articolo che segue vorrebbe dare una risposta (o cercare di farlo) ad alcune domande che sorgono spontanee in ordine alle ragioni dell’andamento fuori controllo del mercato dell’energia europeo, che si traduce, per la stragrande maggioranza delle popolazioni, in aumenti sproporzionati delle bollette energetiche (gas e luce) e, quindi, in un cospicuo immiserimento delle loro condizioni di vita.
Come è possibile che una materia prima come il gas naturale, che ha un costo di produzione per le aziende produttrici da 2 a 5 euro per megawattora (MWh), arrivi a raggiungere sul mercato un prezzo da 40 a 80 volte tanto?
I prezzi del gas, da oltre sei settimane, si sono stabilizzati oltre 200 euro a MWh, fino a toccare punte di 340. Ci si potrebbe chiedere: il fenomeno è dovuto a un aumento reale della domanda e/o a una riduzione reale dell’offerta? Di questo sono certi i molti commentatori economici e politici che affollano i talk show e scrivono sui giornali.
Ma come è possibile questo se la domanda industriale di gas è calata di oltre il 9% tra la seconda metà del 2021 e la prima del 2022, e se la riduzione dell’offerta russa causata dalle sanzioni occidentali sarebbe compensata, come dicono, da offerte di gas di altra provenienza?
Per “considerazione del rischio geopolitico”, dichiara solennemente Francesco Starace, amministratore delegato di Enel (Il Sole – 24 Ore del 4 settembre).
Per la guerra in Ucraina, blaterano maldestramente i tanti sicofanti di mainstream.
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La Filosofia imperfetta di Costanzo Preve
di Salvatore Bravo
La Filosofia imperfetta è un’opera di Costanzo Preve del 1984, è un testo introvabile nelle librerie e online, la qualità è una categoria che il tempo del totalitarismo della merce non conosce.
È il libro della svolta, in cui Costanzo Preve liquida il materialismo dialettico per fondare la metafisica umanistica. La stesura della Filosofia imperfetta nel prologo di Una nuova storia alternativa della filosofia è definita dal filosofo “liberatoria1”, benché a correzione del titolo dell’opera del 1984 Costanzo Preve affermi e chiarisca che le filosofie sono imperfette, in quanto non esiste e, mai vi potrà essere, la fine della storia della filosofia per perfezione raggiunta.
La filosofia marxiana non ha fondazione filosofica forte, per cui il materialismo storico e la prospettiva comunista sono state irrigidite dalla camicia di forza, l’immagine è di Costanzo Preve, delle leggi scientifiche della storia del marxismo che ha, così, risolto le “contraddizioni filosofiche” presenti nella filosofia marxiana.
Karl Marx è filosofo del possibile, all’interno della sua opera vi sono fessure ed ipotesi che lasciano intravedere percorsi differenti per giungere al comunismo, sono presenti categorie interpretative che oscillano tra la necessità e la possibilità. Costanzo Preve osa deviare il percorso dalle certezze granitiche del marxismo ufficiale e per rifondarlo è opportuno ripercorrere il cammino dei marxisti eretici: Karl Kautsky, Ernst Bloch e Gyorgy Lukàcs. Nel saggio l’obiettivo è liberare il pensiero marxiano dalla trappola dell’economicismo e della dialettica unidirezionale.
Costanzo Preve riattiva le potenzialità non pensate di taluni plessi in Marx. Il testo La filosofia imperfetta con il suo sottotitolo Una proposta di ricostruzione del marxismo contemporaneo ripercorre gli eretici del marxismo per dimostrare e condividere le possibilità celate ed ostracizzate dal marxismo ufficiale.
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Il grande ircocervo e la mutazione genetica dello Stato
di Guido Cappelli
In principio è stata l’emergenza. Emergenza percettiva, interiore e interiorizzata, emergenza come Weltanschauung, come profezia che si autoavvera saldando il percepito col reale.
L’emergenza è legata all’Eccezione, e l’attesa della catastrofe offre il campo – logico e psicologico, cioè politico – ai salvatori, ai messia, agli illuminati da qualche ragione superiore e qualche tecnica salvifica. Ne sono apparsi a bizzeffe, in questo tempo bisognoso di promesse: i più risibili sono quelli dell’astensione rivoluzionaria, ma questa è un’altra storia su cui prima o poi dovremo tornare.
Intanto, gli ingredienti della distopia sono belli e serviti. Bastava un nulla, l’annuncio di un pericolo, qualche immagine convenientemente manipolata, un po’ di ammuina mediatica, la goccia che ha fatto traboccare il vaso dell’ossessione securitaria che ha invaso la nostra opulenza ormai da mezzo secolo – proprio in concomitanza, guarda caso, con l’esplosione del consumismo compulsivo di massa, con l’illusione di un benessere per default, di una felicità in servizio permanente effettivo.
E così, eccezione dopo eccezione, uno shock dopo l’altro, il cittadino medio sembra aver dimenticato i fondamenti elementari della convivenza democratica, per lasciarsi condurre a precipizio dai nuovi conducatores, siano il truce super Mario, l’esaltata britannica, il transumanista francese o qualche altro umanoide formato alla scuola di zio Klaus (Schwab).
Non sappiamo che cosa ci sia esattamente in fondo al precipizio, ma nella discesa abbiamo già incontrato alcuni “amici” di cui difficilmente ci libereremo nei prossimi secoli, a meno di uno scatto deciso e collettivo che non si sa se sia all’orizzonte.
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