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Guerra di classe
di Graziella Molonia*
Esiste una guerra che non è combattuta con armi più o meno convenzionali, che non prevede droni né missili intelligenti, che non ricorre a bombardamenti mirati, che uccide nella legalità entro il quadro dell’ordine democratico. E’ la guerra di classe, a cui i lavoratori sono chiamati a partecipare non da una libera scelta ma dal bisogno e dalla necessità che impongono al lavoratore di doversi scegliere il proprio aguzzino.
Nessuno ha scelto di vivere come schiavo del lavoro salariato, né di dedicare la propria esistenza all’arricchimento di parassiti sociali.
“La fame da lupi mannari di pluslavoro”,1 come la chiama Marx, ha bisogno di sacrificare sempre più lavoratori per saziare il bisogno di realizzare profitti.
“L’economizzazione dei mezzi sociali di produzione, che giunge a maturazione come in una serra soltanto nel sistema di fabbrica, diviene allo stesso tempo, nelle mani del capitale, depredazione sistematica delle condizioni di vita dell’operaio durante il lavoro, dello spazio, dell’aria, della luce e dei mezzi personali di difesa contro le circostanze implicanti il pericolo di morte o antiigieniche del processo di produzione, per non parlare dei provvedimenti miranti alla comodità dell’operaio” 2
Ecco perché, dietro i veli delle garanzie dello stato di diritto, e delle costituzioni democratiche che proliferano nei paesi a capitalismo avanzato, resta, nuda e cruda, la guerra a cui proletari sono costretti nel momento stesso in cui diventano parte, tramite il loro lavoro, del ciclo produttivo.
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Abbiamo sconfitto l’estrema destra fascista, guidata dall’imperialismo
Intervista esclusiva per "Cumpanis" al dirigente venezuelano Eduardo Piñate
a cura di Geraldina Colotti
In questo importante momento di transizione per la rivoluzione bolivariana, che sta dialogando in Messico con l’opposizione golpista, e si prepara alle mega-elezioni del 21 novembre, abbiamo intervistato uno dei suoi quadri politici più rappresentativi, l’ex ministro Eduardo Piñate, membro della Direzione nazionale del Partito Socialista Unito del Venezuela, candidato governatore dello Stato Apure, dov’è nato.
* * * *
D. Sei stato tre anni nell’Esecutivo, in vari incarichi di governo. Anni in cui l’attacco al Venezuela si è intensificato, sia internamente che esternamente. Quali sono state le strategie per contrastare questo attacco e come stanno le cose?
R. In effetti, sono stato poco più di tre anni nell’Esecutivo Nazionale; 2 anni e 11 mesi come ministro del potere popolare per il Processo sociale del lavoro e 3 mesi come ministro del potere popolare per l’Istruzione e vicepresidente settoriale per il Socialismo territoriale e sociale. Ora il compagno presidente Nicolás Maduro mi ha affidato nuovi compiti e responsabilità e io li assumo con l’impegno e l’entusiasmo rivoluzionario di sempre.Durante questo periodo, l’aggressione imperialista contro il Venezuela si è intensificata. Una guerra multifattoriale, totale: economica, politica, sociale, culturale, ideologica, psicologica, mediatica e militare.
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Culture e pratiche di sorveglianza. Internet in ogni cosa
di Gioacchino Toni
«La trasformazione di Internet da rete di comunicazione tra persone a rete di controllo, incorporata direttamente nel mondo fisico, potrebbe essere ancora più significativa del passaggio dalla società industriale alla società dell’informazione digitale»1.
Così si esprime Laura DeNardis, Internet in ogni cosa. Libertà, sicurezza e privacy nell’era degli oggetti iperconnessi (Luiss University Press, Roma 2021), a proposito della portata della funzione di controllo permessa dalla connessione alla rete di oggetti e sistemi al di fuori dagli schermi come veicoli per la mobilità, dispositivi indossabili, droni, macchinari industriali, elettrodomestici, attrezzature mediche ecc… Oltre che con le sofisticate forme di controllo esercitate dalle piattaforme di condivisione di contenuti in rete, ad introdursi nell’intimità degli individui concorrono sempre più oggetti di uso quotidiano in grado di raccogliere e condividere dati personali. Oltre a evidenziare come il cyberpazio premei ormai completamente – e non di rado impercettibilmente – l’universo offline dissolvendo sempre più il confine tra mondo materiale e mondo virtuale, tutto ciò induce a domandarsi se nel prossimo futuro esisterà ancora qualche aspetto privato della vita umana o se invece si stia navigando a vele spiegate verso il superamento stesso del concetto di privacy.
Nel volume DeNardis espone alcuni esempi utili a comprendere come il contraltare del controllo esercitato sugli oggetti connessi ad Internet sia la loro vulnerabilità. Un esempio riguarda la possibilità che estranei da remoto possano accedere e manipolare dispositivi medici dotati di radiofrequenza impiantati nel corpo umano e connessi alla rete.
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La riforma del Fiscal Compact è possibile e a chi gioverà?
di Domenico Moro
Nel recente incontro dell’Eurogruppo, l’organismo informale che riunisce i ministri delle finanze dell’area euro, è ripresa la discussione sulla possibile modifica delle regole europee che regolano la gestione del deficit e del debito pubblico, in particolare quelle del Patto di stabilità e del Fiscal compact. Si era cominciato ad affrontare il tema nel 2019, ma lo scoppio della pandemia ha interrotto la discussione, anche perché le regole di bilancio europee sono state sospese per permettere agli Stati nazionali e alla Ue di mettere in campo robuste misure di stimolo fiscale, cioè di spesa statale, per contrastare la crisi. La questione della ridefinizione del Patto di stabilità e soprattutto del Fiscal compact si pone anche perché alla fine del 2022 saranno reintrodotte le regole che impongono agli Stati di tenere sotto controllo il debito pubblico e c’è la preoccupazione che la reintroduzione dei vincoli possa minare la ripresa economica.
Il Fiscal compact fu introdotto nel 2012, all’epoca della crisi dei debiti sovrani, per rendere più stringenti le regole europee, che prevedono il mantenimento del rapporto tra deficit pubblico e Pil ad un livello non superiore al 3% e del rapporto tra debito pubblico e Pil a un livello non superiore al 60%. Questi vincoli non sono il frutto di precise analisi economiche, ma il risultato di calcoli politici. Il limite del 3% al deficit fu adottato sulla falsariga dell’esperienza della Francia, dove era stato frutto di semplice convenienza politica.
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Il vecchio Karl
Nicolas Allen intervista Marcello Musto
Gli ultimi anni di vita di Marx spesso vengono trascurati dai suoi biografi, ridotti a una fase di declino intellettuale e fisico. Invece, spiega Marcello Musto, in quel periodo Marx si è cimentato con questioni ancora attuali
Il lavoro dei suoi ultimi anni di vita, tra il 1881 e il 1883, è uno dei settori meno sviluppati all’interno degli studi su Karl Marx. Questa negligenza è in parte dovuta al fatto che le infermità di Marx in quel periodo gli hanno impedito di scrivere in modo regolare, non ci sono praticamente opere pubblicate risalenti a quella fase.
In mancanza delle pietre miliari che hanno caratterizzato il primo lavoro di Marx, dai suoi primi scritti filosofici ai successivi studi di economia politica, i biografi hanno a lungo considerato quegli ultimi anni come un capitolo minore segnato dal declino della salute e dalla crollo delle capacità intellettuali.
Tuttavia, c’è un numero crescente di ricerche che suggerisce che questa storia non è esaustiva e che gli ultimi anni di Marx potrebbero effettivamente essere una miniera d’oro piena di nuove intuizioni sul suo pensiero. In gran parte contenuti in lettere, quaderni e altri marginalia, gli ultimi scritti di Marx ritraggono un uomo che, lontano da quello che si considerava un declino, ha continuato a lottare con le proprie idee a proposito del capitalismo come modo di produzione globale. Come suggerito dalle sue ultime ricerche sulle cosiddette «società primitive», sulla comune agraria russa del diciannovesimo secolo e sulla «questione nazionale» nelle colonie europee, gli scritti di Marx di quel periodo rivelano in realtà una mente che si interroga sulle implicazioni nel mondo reale e sulla complessità del suo stesso pensiero, in particolare sull’espansione del capitalismo oltre i confini europei.
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Vladimir Il’ič Lenin
Cosa sono gli amici del popolo
di Alberto Lombardo
Lenin ci ha lasciato tre fondamentali contributi nel campo della filosofia.
Il primo è Cosa sono gli amici del popolo e come lottano contro i socialdemocratici? scritto tra la primavera e l’estate del 1894. In quest’opera Lenin difende l’interpretazione materialistica contenuta nel Capitale contro un filosofo soggettivista. Quindi, un’opera che nasce da un intento fortemente polemico ma molto istruttiva per comprendere non solo lo “scheletro” del testo di Marx, ma soprattutto il metodo e la “carne” storica – come si esprime Lenin – che riveste questo scheletro. Questa precisazione fa comprendere alcuni passaggi che possono sembrare in contraddizione con il pensiero di Engels. In particolare il passo seguente, letto senza il giusto inquadramento storico e soprattutto senza tenere conto dell’avversario contro cui è rivolto, può suscitare un equivoco.
L’idea del determinismo, stabilendo la necessità delle azioni umane, rigettando la favola sciocca del libero arbitrio, non sopprime affatto la ragione, né la coscienza dell’uomo, né l’apprezzamento delle sue azioni. All’opposto, soltanto dal punto di vista del determinismo è possibile dare un apprezzamento rigoroso e giusto, invece di attribuire tutto ciò che si vuole al libero arbitrio. Nello stesso modo anche l’idea della necessità storica non compromette per nulla la funzione dell’individuo nella storia: tutta la storia si compone appunto delle azioni di individui che sono indubbiamente dei fattori attivi.
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La chiglia che abbiamo costruito
di Alessandro Baricco
«Stiamo in bilico tra una intelligenza scaduta e un’altra ancora non adulta, che tarda ad arrivare. Anche per questo, oggi, la scelta sul vaccino sta assumendo questi toni drammatici: casca in pieno nel bel mezzo di un solenne crepuscolo degli dei, e diventa così, immediatamente, scena madre di un finale tragico. Difficile mantenere lucidità e misura»
Alla fine, bisogna annotare, questa storia del Vaccino e del Green pass è diventata una faccenda affascinante. Di per sé sarebbe solo una questione tecnica, una certa soluzione a un certo problema. Ma la verità è che in breve tempo ha finito per diventare una sorta di cerchio magico dove molti sono andati a celebrare i propri riti, chiamare a raccolta il proprio pubblico, risvegliare le proprie parole d’ordine, o anche solo ritrovare se stessi. Da ogni parte ci affrettiamo verso quel luogo del vivere portando la nostra dotazione di pensiero e istinto: lì ci risulta più semplice che altrove riconoscere e pronunciare il nostro modo di stare al mondo. Il risultato è che un problema in fondo squisitamente pratico, oggi ce lo ritroviamo come problema, di volta in volta, politico, economico, medico, filosofico, etico, giuridico. Vorrei essere chiaro: quando un problema lievita così al di là della sua lievitazione naturale non è più un problema che si possa risolvere. Lo si può giusto forzare a una soluzione, sacrificandone alcune parti e lasciandole vagare, irrisolte, per il firmamento del nostro vivere. È uno di quei casi in cui un eccesso di informazioni e di riflessioni dà alla domanda uno statuto per così dire quantistico: qualsiasi risposta è giusta e sbagliata allo stesso tempo. È ormai evidente: chiunque disponga oggi di un’opinione certa sul vaccino, si sta sbagliando.
Quindi bisognerebbe lasciar perdere e tirare la moneta, vaccino sì, vaccino no? Be’, non esattamente. Vincerà una narrazione piuttosto che un’altra, è inevitabile; sarà imprecisa, parziale e vagamente semplicistica, è inevitabile; ma sarà comunque la narrazione che una nostra inerzia collettiva avrà scelto tra le tante disponibili.
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Lettera dei ferrovieri per il lavoro, l'uguaglianza e il pluralismo
Alla Cortese Attenzione di: Formazioni Politiche Trenitalia S.p.A. Organizzazioni Sindacali
Per conoscenza di: Giornalisti e Stampa
Gentili tutti,
La presente per esprimere innanzitutto solidarietà ai lavoratori e agli studenti colpiti dall'estensione dell'obbligatorietà di certificazione verde avvenuta col D.L. n°111 del 6 agosto 2021.
Vi scriviamo per diffidarVi sin da ora dall'estensione della suddetta certificazione al nostro ambito lavorativo, nonché dall'introduzione di qualsivoglia obbligo vaccinale, invitando le OO.SS. a difendere il lavoro quale valore fondante del nostro sistema giuridico e sociale e il nostro Datore di Lavoro a disapplicare quanto venisse eventualmente stabilito da qualunque norma discriminatoria e lesiva dei diritti naturali degli esseri umani; diritti che secondo una concezione giusnaturalistica del diritto sono da considerarsi pre-politici – ossia acquisiti alla nascita e non tali solo perché riconosciuti e accettati dalle Autorità – e prioritari rispetto alle codificazioni del diritto positivo. Tali principi permeano le Costituzioni nazionali, un documento sovranazionale di estrema importanza come La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, che è a sua volta debitrice alle Dichiarazioni maturate in seno alle rivoluzioni borghesi, anch’esse esiti piuttosto recenti di una tradizione molto più antica, consolidatasi, attraverso l’età antica, medievale e moderna, come un cardine della cultura filosofica e giuridica dell’Occidente.
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Capitale Globale, Sovranità economica e gli insegnamenti di Keynes
di Biagio Bossone
Introduzione[1]
In un recente commento sul tema della globalizzazione, Razin (2021) conclude osservando che la situazione dell’economia mondiale è tale che un’efficace stabilizzazione delle economie nazionali può essere assicurata soltanto dall’uso di adeguate politiche fiscali. Condividendo le conclusioni di Bartsch et al. (2020), aggiungerei al riguardo che una stabilizzazione efficace richiede anche lo sfruttamento delle complementarità tra strumenti monetari e fiscali, a condizione che la credibilità degli impegni verso obiettivi desiderabili a lungo termine (vale a dire una crescita sana in condizioni di stabilità dei prezzi e sostenibilità del debito pubblico) sia preservata e sostenuta da un quadro istituzionale resiliente – una posizione che io stesso avevo difeso in precedenza (Bossone, 2015).
Tuttavia, come discuterò in seguito, le forze della globalizzazione richiedono a ciascun paese di considerare quanto realmente efficaci possano essere le proprie politiche macro, tenuto conto delle caratteristiche e delle circostanze che contraddistinguono le singole economie. La scelta delle politiche di ciascun paese nell’odierno contesto finanziario globale suggerisce di rivisitare alcuni degli insegnamenti lasciatici da John Maynard Keynes (JMK), in particolare in considerazione della sua profonda conoscenza dei mercati finanziari globali e di come i mercati influenzano le economie dei paesi.
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Il paradosso del robot. Confutazione di una confutazione
di Ascanio Bernardeschi
Contrariamente a quanto affermato da “confutatori” che non hanno compreso la teoria di Marx, con l’introduzione dei robot si riduce il lavoro necessario e con ciò il valore delle merci. I limiti del progresso tecnologico nel modo di produzione capitalistico
Sta circolando in rete la descrizione di un paradosso, che chiameremo il paradosso del robot.
Si immagina che un’impresa licenzi tutti gli operai, tranne uno, sostituendoli con dei robot il cui costo è identico a quello degli operai. Pertanto l’imprenditore può portare il proprio prodotto sul mercato allo stesso prezzo del prodotto delle altre imprese che continuano a utilizzare lavoratori ricavandone un uguale profitto. Viene così meno la validità della teoria marxiana secondo cui solo il lavoro produce valore. E questa presunta confutazione è manna per i teorici della fine del lavoro.
Non che questo racconto sia completamente originale. Un suo stretto parente risale almeno al 1898, quando Vladimir Karpovič Dmitriev, un economista neoricardiano – a cui, secondo Gianfranco Pala [1], si era ispirato Sraffa – sempre per confutare la teoria del valore di Marx, aveva ipotizzato un’economia nella quale le macchine facevano tutto, senza l’intervento del lavoro umano, nel qual caso, sosteneva, sarebbe ugualmente esistito un enorme surplus prodotto.
Nel sistema di analisi dmitrieviano (e poi sraffiano) le cose stanno esattamente nel modo dal lui descritto: la produzione parte da input fisici e realizza output fisici in quantità maggiore. È chiaro che il sovrappiù fisico – si parla appunto di sovrappiù e non di plusvalore – è identico sia nel caso della produzione a mezzo di lavoratori sia in quello a mezzo di merci (usando l’espressione impiegata da Sraffa per intitolare il suo più noto lavoro [2]).
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Undici telegrammi sulla scienza, sulla pandemia e sul giusto modo di combatterla
di Claudio Della Volpe ed Eros Barone
«Lo spirito della produzione capitalistica è antitetico alle generazioni che si succedono.»
Karl Marx
“Sinistra in Rete” è uno dei punti di aggregazione, discussione e documentazione ‘a sinistra’. Tuttavia, durante il periodo della pandemia sta dimostrando un po’ tutte le debolezze che questo schieramento politico e intellettuale accusa in mancanza di una egemonia del pensiero comunista. Una numerosa serie di articoli continua a difendere e rispolverare teorie che sono contemporaneamente debolissime dal punto di vista scientifico e incapaci di fornire una guida dal punto di vista politico. Così, in mancanza di un pensiero forte e di una teoria sia scientifica sia storica che ne guidi l’elaborazione, un eccesso di ideologia irrazionalista, in taluni casi con risvolti addirittura esoterici, pervade densamente l’ambiente politico e culturale.
Il dibattito si concentra su aspetti periferici, come per esempio il ‘green pass’ e la presunta offesa recata alla “libertà personale” da questo tipo di provvedimento, mentre si dimenticano o si passano sotto silenzio gli aspetti fondamentali: da dove è venuta questa pandemia? come sta evolvendo? che ruolo può giocare nel presente processo di pre-collasso del capitalismo mondiale? che cosa possono fare i comunisti in questo contesto? che relazione c’è, se ce n’è una, fra questo evento e gli altri numerosi sintomi di decadenza imperialista e di crisi storica di questo modo di produrre? Da una parte, il riscaldamento globale e la crisi delle risorse sono continuati e si sono aggravati, nel mentre sembrano scomparsi dal radar di chi interviene in queste pagine; dall’altra, i meccanismi di espropriazione ed accumulazione hanno cercato di adeguarsi alla nuova situazione e sono continuate le chiusure di stabilimenti, mentre è cresciuta la massa di disoccupati o di occupati precari.
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Sui vaccini e sul green pass*
di Stefano Tenenti, coordinamento USB Ancona
“Green pass e idolatri del vaccino. Una ‘sinistra’ che passa dalla Sierra Lacandona all'ipocondria non ha futuro. L'unità dei comunisti è una necessità”
«L’attentato allo stato di diritto che si sta consumando sotto i nostri occhi in nome della salute pubblica, con uno stato di emergenza che dura ormai da quasi due anni, e ora con l’istituzione del cosiddetto green pass che a detta di numerosi giuristi, e anche agli occhi di chiunque abbia un minimo di discernimento, è un vero e proprio impianto estorsivo e ricattatorio affinché i cittadini facciano ciò che la Costituzione vuole si possa fare solo con una legge, la quale deve tuttavia essere costituzionale». (Luciano Canfora)
«Come avviene ogni volta che si istaura un regime dispotico di emergenza e le garanzie costituzionali vengono sospese il risultato è la discriminazione di una categoria di uomini che diventano automaticamente cittadini di seconda classe. A questo mira la creazione del cosiddetto green pass. Che si tratti di una discriminazione secondo le convinzioni personali e non di una certezza scientifica oggettiva è provato dal fatto che in ambito scientifico il dibattito è tuttora in corso sulla sicurezza ed efficacia dei vaccini». (Giorgio Agamben)
«Guai se il vaccino si trasforma in una sorta di simbolo politico religioso. Ciò non solo rappresenterebbe una deriva antidemocratica intollerabile, ma contrasterebbe con la stessa evidenza scientifica. Una cosa è sostenere l’utilità comunque del vaccino, altra, completamente diversa tacere sul fatto che ci troviamo tuttora in una fase di “sperimentazione di massa”». (Massimo Cacciari, Giorgio Agamben)
Quello che sta accadendo da oltre due anni nel nostro Paese non ha precedenti e, con tutta probabilità, stiamo sperimentando il più grande e organizzato tentativo di ristrutturazione capitalistica che si sia mai verificata nell’Occidente, sempre più “terra del tramonto”.
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A Firenze, la lotta operaia della Gkn
di Silvia Giagnoni
Nelle vite dei 422 lavoratori della Gkn Driveline Firenze, c’è un prima e un dopo e lo spartiacque è la mattina del 9 luglio 2021. La giornata è di sole e alcuni hanno pensato di approfittarne per andare al mare, magari con la famiglia, visto che l’azienda ha messo tutti in permesso collettivo. “Un piccolo calo di lavoro”, la giustificazione; niente di anomalo, vista la crisi in cui versa da tempo il settore automobilistico. Lo stabilimento di via fratelli Cervi a Campi Bisenzio produce materiali (assi e semiassi) di alta qualità e soprattutto è situato in una posizione strategica per il suo principale cliente, Stellantis-FCA, la multinazionale di cui fanno parte Fiat Chrysler Automobiles e il francese PSA Group.
Intorno alle 10, la RSU riceve un’e-mail che annuncia la chiusura dello stabilimento: è un fulmine a ciel sereno. Parte subito il messaggio agli operai, e poi i vocali concitati: non chiamate, per favore. Ci troviamo davanti alla fabbrica!
Nel giro di pochi minuti decine di lavoratori accorrono in via fratelli Cervi. Dentro, gli uomini di Sicuritalia, tutti vestiti di nero, si mettono subito al telefono. Continua ad arrivare gente, ci sono anche amici, mogli, bambini. Poi, una trentina di operai solleva il cancello dalle guide, lo sposta, un centinaio di persone entrano. Arrivano i carabinieri, la Digos, la sicurezza se ne va. L’occupazione dello stabilimento della Gkn comincia prima che rintocchi il mezzogiorno. È assemblea permanente.
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Le regole sbagliate di un mondo che non c’è più
di Carlo Clericetti
Le norme europee sono sospese, ma le ipotesi di modifica non promettono bene. Il testo del mio intervento al seminario “Dopo le crisi – Dialoghi sul futuro dell’Europa”, promosso da Alessandro Somma e Edmondo Mostacci, che è poi diventato un libro per Rogas edizioni
Un fattore importante per il futuro dell’Europa è quello delle regole europee, che a causa della pandemia sono state sospese, ma prima o poi torneranno in vigore. Queste regole hanno fortemente condizionato le politiche economiche, tanto al livello dell’Unione che a quello dei singoli paesi, e un giudizio a posteriori sugli effetti che hanno avuto non può lasciare dubbi: si tratta in gran parte di regole sbagliate, in alcuni casi platealmente sbagliate. A questa conclusione siamo arrivati ormai da molti anni: attenzione, non da molti mesi: da molti anni. Eppure si continua ad applicarle, pur se con qualche attenuazione – la famosa “flessibilità” – che però non è minimamente sufficiente a correggere quelli che sono veri e propri errori di impostazione.
Già prima della crisi del Covid si parlava di una riforma, ed erano state elaborate varie proposte. Questa interruzione dovrebbe servire per raggiungere un accordo, in modo che quando si dichiarerà che la sospensione è terminata entri in vigore un “pacchetto” rinnovato. Secondo le più recenti dichiarazioni la sospensione continuerà per tutto il 2022 e finirà – secondo una dichiarazione del vice presidente della Commissione, Valdis Dombrovskis – nel 2023. La data precisa resta indefinita (sarebbe ovviamente diverso se la decisione fosse presa a gennaio o a dicembre di quell’anno) e dipenderà probabilmente da quando si raggiungerà l’accordo sulle modifiche.
Prima però di esaminare di quali proposte si sta parlando è bene ricordare la logica che ha condotto a stabilire le attuali regole.
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Green pass e dintorni: le scelte della politica
di Andrea Zhok
La strategia che stiamo adottando nell’affrontare il Covid, fondata sulla “coercizione morbida” del Green Pass, è inaccettabile sul piano etico e irresponsabile su quello politico. Questo giudizio dipende da tre ordini di ragioni. In primo luogo ci troviamo nel mezzo di una campagna aggressivamente moralistica che ha lacerato il paese. Questa campagna è stata adottata come complemento alla “volontarietà” di sottoporsi alla vaccinazione. Il Green Pass è infatti un’operazione di persuasione obliqua, che si finge una misura per ridurre i contagi, ma che in effetti serve a spingere a vaccinarsi. Si tratta naturalmente di un segreto di Pulcinella.
Quando eminenti politici sostengono pubblicamente che i tamponi (di per sé la miglior garanzia di non essere contagiosi) devono essere nasali e onerosi, perché altrimenti la gente non si vaccinerebbe, non c’è molto da aggiungere. Questo carattere finzionale del Green Pass, giustificato con motivazioni diverse da quelle reali, è una sorta di peccato originale.
Da questa doppiezza discende una tendenza alla distorsione e un avvelenamento generale del discorso pubblico, dove esperti e giornalisti si sentono legittimati ad esercitare forme di “terrorismo psicologico”, mentre uomini di scienza si sentono parimenti giustificati a esprimersi come tifosi e moralisti, omettendo o distorcendo tutto ciò che ritengono utile omettere o distorcere. Quest’operazione di manipolazione si ritiene giustificata in quanto sarebbe fatta “a fin di bene”, laddove il “bene” sarebbe il perseguimento di una vaccinazione universale.
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Padri, figlie e fratelli (d’Italia)
Note sull’autobiografia di Giorgia Meloni
di Franco «Bifo» Berardi
Questo libro mi ha rovinato l’estate. Forse l’estate si era già rovinata da sé, tra caldo intollerabile per settimane, l’angoscia dell’aeroporto di Kabul, lo stillicidio di dati sul COVID19 che non passa, e la scoperta che le due dosi di AstraZeneca che avrebbero dovuto darmi una certa tranquillità non rassicurano affatto, e infatti l’Occidente ricco si sta procurando la terza, la quarta e la quinta dose mentre nel Sud del mondo i vaccinati sono l’1 o il 2 per cento. Ma questo libro ha dato il colpo di grazia alla mia estate perché leggendolo mi rendevo conto che nel futuro prossimo del paese c’è, sicuro come le piogge d’autunno (ma ci saranno ancora le piogge il prossimo autunno?), un ritorno del fascismo.
Fascismo in verità non è la parola giusta. Si usa questa parola per definire una tradizione che discende dall’umiliazione per la vittoria mutilata e dalla truculenza di Benito Mussolini, dalle squadre che andavano a picchiare i braccianti in sciopero, dall’assassinio di Matteotti e di migliaia di sindacalisti e intellettuali tra il 1919 e il 1945. Poi continua attraverso la repubblica sociale, il Movimento sociale di Almirante, l’Alleanza nazionale di Gianfranco Fini eccetera. Il fascismo novecentesco fu un fenomeno barocco, meridionale, padronale e giovanile: violenza, spettacolo, vittimismo e baldanzosa aggressività di colonialisti alla conquista delle terre africane. Siamo ancora lì oppure qualcosa è mutato in modo radicale?
Cerchiamo di capirlo leggendo questo libro che si chiama Io sono Giorgia.
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Crisi pandemica e intellettuali, tra ristrutturazione e disgregazione capitalistica
di Sirio Zolea
Con la pandemia di Covid-19, assistiamo a una crisi profonda che ha investito tutto il mondo globalizzato, sconvolgendone e riscrivendone in vario modo l’economia, la politica, i costumi. Al tempo stesso, anche la capacità di lettura della realtà da parte del ceto intellettuale si è trovata di fronte a grandi sfide, in un momento storico in cui, purtroppo, la mediocrità e il conformismo già avevano in massima parte conquistato i cuori e le menti del vertice culturale del Paese. In effetti, si sono viste ben poche riflessioni serie sulla fase che stiamo vivendo, con l’attenzione sempre catturata dalle problematiche contingenti di volta in volta più pompate dai media e gli intellettuali nel migliore dei casi (anche comprensibilmente) disorientati e nel peggiore ridotti al rango di acquiescenti giullari di corte. Eventi come grandi guerre e grandi epidemie contribuiscono a pari titolo a determinare il corso della storia umana, come un’opera di grande spessore come Armi, acciaio e malattie è lì a rammentarci. Con ogni probabilità, gli storici del futuro studieranno questo convulso momento e cercheranno di raccapezzarcisi, distinguendone gli elementi di contraddizione principali da quelli secondari. Per una valutazione storica fredda ed esauriente, ci si dovrà rassegnare allo sguardo retrospettivo che potrà permettersi l’umanità (speriamo, prospera e felice!) tra qualche generazione. Ma questo non ci impedisce di cercare sin d’ora alcuni spunti che aiutino a gettare qualche sprazzo di luce e di comprensione sul cammino oscuro del mondo occidentale ai tempi del Covid.
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Afghanistan: come non lasciare un bel ricordo
di Piero Pagliani
Secondo i media e i commentatori mainstream, l'evacuazione degli Stati Uniti dall'Afghanistan è stato un orrendo errore. Ma c'è poco da obiettare alla risposta di Biden: “Those who say that 2 or 5 more years will bring us victory are lying to you”. Un'affermazione piena di saggezza che, confesso, mi ha sorpreso in una persona come Biden a cui io non ho mai dato molto credito, anzi. In venti anni non abbiamo vinto, ma perso terreno. Pensate proprio che in ventidue potremmo vincere? Questo è il (buon) senso dell'inquilino della Casa Bianca.
La cosa a prima vista più stupefacente, fateci caso, è che se un presidente degli Stati Uniti fa un'affermazione sensata, i media e i commentatori occidentali vengono presi dall'isteria. Tanto che la vice Khamala Harris si è data alla fuga, al mutismo metodico: pensa alla sua carriera, quindi non vuole essere coinvolta in queste polemiche in cui si scatenano fissazioni di ogni tipo. Così ha deciso di lasciare da solo il suo capo nella bufera. Io non ci sono per nessuno. Non m'importa se qui, nel bene o nel male, si sta facendo la Storia del mio Paese. Io non esisto. Notevole per una vice presidente.
In realtà la decisione non è stata del quasi ottuagenario signor Joe Biden, ma del “Biden collettivo”, cioè quell'insieme di forze e di interessi che nel corso del tempo fanno la politica degli USA, che ha preso il testimone dal Trump collettivo che a sua volta lo aveva ricevuto dall'Obama collettivo. Tale è la storia della decisione di ritirarsi dall'Afghanistan. Storia dimenticata da commentatori e commentatrici che vivono nel mondo di Papalla.
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Roma: l’attacco del profitto al trasporto pubblico non è finito
di coniarerivolta
Quasi tre anni fa, nel novembre 2018, i cittadini romani vennero chiamati a esprimersi tramite referendum sulla possibile liberalizzazione e privatizzazione dell’azienda del trasporto pubblico locale Atac. Con un’affluenza molto bassa il referendum consultivo non ottenne l’effetto politico voluto dai suoi promotori, ma la spinta liberista che lo aveva animato è viva e vegeta e segnerà, con ogni probabilità, le scelte di politica del trasporto pubblico romano nei prossimi mesi. Da molti anni le politiche di affidamento alla logica del mercato dei servizi pubblici sono divenute un pezzo costitutivo della politica economica di impronta neoliberista. Sotto la scorta della retorica del pubblico inefficiente e delle imprese pubbliche carrozzone indebitate fino al collo, in numerosi ambiti dell’economia si è avanzato a tappe forzate verso forme di parziale o totale privatizzazione, liberalizzazione e deregolamentazione. Dopo aver scientemente sottofinanziato le aziende pubbliche non consentendone una gestione all’altezza dei bisogni dei cittadini e costringendole ad un’elevata esposizione debitoria, si sono potute facilmente montare campagne mediatiche sull’inefficienza delle gestioni pubbliche in quanto tali e la conseguente necessità dell’intervento benefico dei privati.
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La versione del Dragone: oltre la “fine della storia”
di Francesco Giuseppe Laureti
Un ammonimento inequivocabile giunge forte e chiaro dalle celebrazioni del Centenario del Partito comunista cinese e, qualora l’Occidente non vi avesse prestato sufficiente attenzione, dovrebbe porre rimedio alla propria distrazione. Mentre il panorama politico e geopolitico internazionale non lascia dubbi sull’intensificarsi della competizione globale tra “aquila a stelle e strisce” e “dragone rosso”, il discorso pronunciato il primo luglio 2021 dal Segretario del PCC e Presidente della Repubblica Popolare Cinese Xi Jinping ha sciolto più di qualche interrogativo avanzato dagli esperti di relazioni internazionali. Sarà la sua allocuzione a fungere da filo conduttore dell’analisi che segue e che toccherà tematiche di natura storico-politica, economica e culturale sollevate dal Presidente cinese, che per l’occasione indossava la tipica divisa di Mao Zedong.
Alle radici del risveglio dell’orgoglio nazionale
Non si può comprendere il nuovo corso della politica estera cinese senza la consapevolezza di quanto il “secolo della vergogna” e l’imperialismo europeo – che nella versione occidentale corrisponde a un periodo di prepotente sviluppo economico e tecnico-scientifico – rappresentino una ferita aperta nella memoria collettiva della Cina. A grandi linee è lo stesso Xi Xinping a ripercorrere la tremenda pagina storica:
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Legge economica e lotta di classe*
I limiti dell’economia di Mattick
di Ron Rothbart
Introduzione redazionale
Sottraiamo all’oblio e proponiamo ai nostri lettori quest’articolo redatto una quarantina d'anni fa, e in apparenza slegato dalla più immediata attualità, per tre motivi essenziali:
♦ esso testimonia di un confronto fra posizioni che potremmo definire «operaiste» – la cui elaborazione e diffusione fu, nel contesto degli anni 1960-’70, ben più ampia del solo, e tanto celebrato operaismo italiano – e posizioni «ortodosse», lasciate in eredità da una parte delle Sinistre comuniste storiche, in merito alla dinamica dell’accumulazione del capitale e del ruolo che la lotta di classe svolge al suo interno;
♦ esso suggerisce non già la squalifica senza appello delle tesi operaiste in senso lato, accomunate dal postulato (implicito o esplicito) del salario come «variabile indipendente» e direttamente politica, ma la presa in conto della lotta salariale come lotta intorno al saggio di sfruttamento, e dunque come fattore che concorre in permanenza alla determinazione del saggio di profitto reale (è questa, a nostro avviso, la maniera corretta di impostare il problema);
♦ infine, esso evoca la questione, ancora oggi tutta da esplorare, del legame tra inflazione e rivendicazioni salariali.
In effetti, non solo il quasi-pieno impiego, ma anche l’inflazione galoppante – che, erodendo di volta in volta le conquiste salariali, rilanciava le rivendicazioni – si inscrive nella combinazione irripetibile che contraddistinse quel ciclo di accumulazione e di lotte che, nei paesi più industrializzati, raggiunse quasi ovunque il suo picco fra la fine degli anni ‘60 e l’inizio degli anni ‘70.
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Moneta Fiscale: i temi essenziali
di Marco Cattaneo
Il concetto di Moneta Fiscale
Si definisce Moneta Fiscale qualsiasi titolo o attività che possa essere utilizzato dal detentore per compensare obbligazioni finanziarie (di natura fiscale o di qualsiasi altro genere) dovute al settore pubblico. È in altri termini un titolo che dà diritto a uno sconto fiscale, e può essere scambiato ricevendo beni, servizi o un corrispettivo finanziario da soggetti che lo accettino su base volontaria. Il settore pubblico nazionale si impegna da parte sua ad accettarlo in compensazione (come sopra definita) ma non, in nessun modo, ad effettuare pagamenti in cash.
Deficit e debito pubblico non impoveriscono l’economia nazionale
Per comprendere la logica del progetto Moneta Fiscale è necessario sgombrare il campo da alcune affermazioni insensate che purtroppo ancora orientano (anche se per fortuna meno che in passato) il dibattito economico, nel nostro paese e altrove.
In particolare, si sente tuttora dire che il deficit e il debito del settore pubblico costituiscono gravami per l’economia di un paese.
L’affermazione è sbagliata, e la ragione fondamentale è che il deficit del settore pubblico è l’eccesso della spesa del settore pubblico medesimo, rispetto al prelievo fiscale. Questo eccesso di spesa, per evidenti ragioni contabili, si tramuta in un saldo positivo a disposizione del settore privato. Se il pubblico spende più di quanto tassa, il privato riceve più di quanto paga: incrementa, quindi, i suoi redditi e i suoi risparmi.
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Argentina in pandemia...
di Angelo Zaccaria
Riceviamo e pubblichiamo volentieri il seguente articolo inviatoci da Angelo Zaccaria che ci aggiorna nuovamente sulla situazione in Argentina tra pandemia e fase elettorale, dopo il suo precedente contributo del 2019.
Ma le lotte politiche e sociali non le ferma nemmeno il Covid 19, e neppure la “sindrome del governo amico”.
Questo ultimo viaggio in Argentina, quasi 4 mesi fra fine Gennaio e fine Maggio di questo anno 2021 , è stato certamente diverso da tutti gli altri, per le ragioni personali che lo hanno determinato ed accompagnato, per la mini-odissea burocratico-sanitaria che lo ha quindi reso possibile, per il fatto stesso di essere avvenuto mentre l’emisfero nord ed anche quello sud, Argentina inclusa, erano immersi e si dibattevano nella vicenda della nota pandemia da Covid 19.
Per dare un minimo di schema al racconto di questa permanenza a Buenos Aires, procederò per punti.
La piazza a volte rallenta ma non si ferma mai
Nel corso del mese di Febbraio non ci sono state mobilitazioni particolarmente significative. Paradossalmente infatti il primo concentramento di rilievo al quale partecipo, anzi per essere più preciso assisto, avviene il 27 Febbraio in Plaza de Mayo, ed è convocato dalla opposizione di destra. I temi sono quelli soliti della corruzione dei governi peronisti passati e presenti, e le critiche alla gestione attuale della pandemia. In realtà tutto quanto ormai accade nel paese, è influenzato dal prossimo appuntamento elettorale di rilievo, che sono le elezioni parlamentari parziali previste per fine anno.
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Ancora sulla maledizione pandemica che ha colpito la sinistra di classe (I)
di Nicola Casale
Nei precedenti Appunti (https://sinistrainrete.info/societa/21035-nicola-casale-appunti-e-spunti-di-riflessione-sulla-maledizione-pandemica.html) sono state esaminate criticamente alcune posizioni che caratterizzano la postura di gran parte della sinistra di classe dinanzi alla pandemia, alla sua gestione politico-sanitaria, e all’emergere di proteste contro quest’ultima. Lo scopo non era tanto di prendere le distanze dalla sua deriva, quanto di indagare lo stato oggettivo dei rapporti di classe, di cui quelle posture sono solo un riflesso, e, insieme, lo stato del rapporto sociale di capitale nel suo complesso, ciò che è decisivo per cercare di contribuire alla nascita di una nuova sinistra di classe, all’altezza, appunto, dello stato di entrambi, rapporto di capitale e antagonismo di classe.
In seguito alle sollecitazioni e osservazioni ricevute da lettori dei primi appunti si è deciso di estendere gli argomenti trattati affrontando almeno due altre questioni che si sono rivelate importanti nelle argomentazioni di molta sinistra di classe, e che lo sono anche per l’indagine più generale. Una questione sarà trattata in questa sede, l’altra in un prossimo articolo. Entrambi sono anche il frutto di un confronto e di suggerimenti da parte di altri compagni che ne hanno discusso prima della pubblicazione.
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Contro l’islamofobia, arma di guerra – I. L’industria dell’islamofobia
di Il Pungolo Rosso
La macchina dell’islamofobia ha riacceso i motori.
Dopo la bruciante sconfitta patita in Afghanistan dagli Stati Uniti e dalla Nato, era scontato. E il ventesimo anniversario dell’11 settembre è l’occasione d’oro per una ripartenza alla grande, chiamata a nutrire i propositi di rivincita.
A reti unificate tv, giornali e social presentano i talebani e gli attentatori suicidi dell’11 settembre come il prototipo di tutti gli “islamici”. E attraverso questa mossa propagandistica le popolazioni dei paesi a tradizione islamica vengono additate nella loro totalità come i nostri irriducibili nemici – a meno che non prendano apertamente posizione a favore dei “nostri valori” (di borsa), e pieghino la schiena davanti alla pretesa occidentale di dominare e spogliare il mondo “islamico” per diritto divino. Il “diritto” acquisito con il colonialismo storico.
L’islamofobia è un’arma di guerra: verso l’esterno, e all’interno delle “nostre” società. E per tale va denunciata e combattuta.
Un’arma per legittimare la guerra infinita che la gang degli stati imperialisti occidentali, l’Italia intruppata in essi, ha scatenato (da secoli) contro il mondo arabo e islamico per finalità che nulla hanno a che vedere con la civiltà, la democrazia, la libertà delle donne, e che non finirà certo con l’ingloriosa cacciata dall’Afghanistan. In questa guerra i poteri coloniali sono sempre riusciti – accade ora più che mai – a trovare collaborazione nelle classi proprietarie e negli strati privilegiati dei paesi arabi e islamici per torchiare a sangue, con il loro aiuto, i malcapitati contadini, minatori, braccianti, operai, diseredati, senza il minimo riguardo per la loro esistenza, tanto più se donne. E, in caso di loro ribellioni, sollevazioni o tentativi rivoluzionari, per usare il pugno di ferro per schiacciarli, o l’accerchiamento per soffocarli.
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Gli articoli più letti degli ultimi tre mesi
Carlo Di Mascio: Diritto penale, carcere e marxismo. Ventuno tesi provvisorie
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Domenico Moro: La prospettiva di default del debito USA e l'imperialismo valutario
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Giorgio Lonardi: Il Mainstream e l’omeopatia dell’orrore
Il Pungolo Rosso: Una notevole dichiarazione delle Brigate Al-Qassam
comidad: Sono gli israeliani a spiegarci come manipolano Trump
Alessandro Volpi: Cosa non torna nella narrazione sulla forza dell’economia statunitense
Leo Essen: Provaci ancora, Stalin!
Alessio Mannino: Contro la “comunità gentile” di Serra: not war, but social war
Sonia Savioli: Cos’è rimasto di umano?
L'eterno "Drang nach Osten" europeo
Gianni Giovannelli: La NATO in guerra
BankTrack - PAX - Profundo: Obbligazioni di guerra a sostegno di Israele
Alessandro Volpi: Come i dazi di Trump mettono a rischio l’Unione europea
Marco Savelli: Padroni del mondo e servitù volontaria
Fulvio Grimaldi: Siria, gli avvoltoi si scannano sui bocconi
Mario Colonna: Il popolo ucraino batte un colpo. Migliaia in piazza contro Zelensky
Enrico Tomaselli: Sulla situazione in Medio Oriente
Gianandrea Gaiani: Il Piano Marshall si fa a guerra finita
Medea Benjamin: Fermiamo il distopico piano “migliorato” di Israele per i campi di concentramento
Gioacchino Toni: Dell’intelligenza artificiale generativa e del mondo in cui si vuole vivere
Fulvio Grimaldi: Ebrei, sionismo, Israele, antisemitismo… Caro Travaglio
Elena Basile: Maschere e simulacri: la politica al suo grado zero
Emiliano Brancaccio: Il neo imperialismo dell’Unione creditrice
Gli articoli più letti dell'ultimo anno
Carlo Di Mascio: Hegel con Pashukanis. Una lettura marxista-leninista
Giovanna Melia: Stalin e le quattro leggi generali della dialettica
Emmanuel Todd: «Non sono filorusso, ma se l’Ucraina perde la guerra a vincere è l’Europa»
Andrea Del Monaco: Landini contro le due destre descritte da Revelli
Riccardo Paccosi: La sconfitta dell'Occidente di Emmanuel Todd
Andrea Zhok: La violenza nella società contemporanea
Carlo Di Mascio: Il soggetto moderno tra Kant e Sacher-Masoch
Jeffrey D. Sachs: Come Stati Uniti e Israele hanno distrutto la Siria (e lo hanno chiamato "pace")
Jeffrey D. Sachs: La geopolitica della pace. Discorso al Parlamento europeo il 19 febbraio 2025
Salvatore Bravo: "Sul compagno Stalin"
Andrea Zhok: "Amiamo la Guerra"
Alessio Mannino: Il Manifesto di Ventotene è una ca***a pazzesca
Eric Gobetti: La storia calpestata, dalle Foibe in poi
S.C.: Adulti nella stanza. Il vero volto dell’Europa
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Andrea Zhok: "Io non so come fate a dormire..."
Fabrizio Marchi: Gaza. L’oscena ipocrisia del PD
Massimiliano Ay: Smascherare i sionisti che iniziano a sventolare le bandiere palestinesi!
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Alessandro Mariani: Quorum referendario: e se….?
Michelangelo Severgnini: Le nozze tra Meloni ed Erdogan che non piacciono a (quasi) nessuno
Michelangelo Severgnini: La Libia e le narrazioni fiabesche della stampa italiana
E.Bertinato - F. Mazzoli: Aquiloni nella tempesta
Autori Vari: Sul compagno Stalin
Qui è possibile scaricare l'intero volume in formato PDF
A cura di Aldo Zanchetta: Speranza
Tutti i colori del rosso
Michele Castaldo: Occhi di ghiaccio
Qui la premessa e l'indice del volume
A cura di Daniela Danna: Il nuovo volto del patriarcato
Qui il volume in formato PDF
Luca Busca: La scienza negata
Alessandro Barile: Una disciplinata guerra di posizione
Salvatore Bravo: La contraddizione come problema e la filosofia in Mao Tse-tung
Daniela Danna: Covidismo
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Franco Romanò, Paolo Di Marco: La dissoluzione dell'economia politica
Qui una anteprima del libro
Giorgio Monestarolo:Ucraina, Europa, mond
Moreno Biagioni: Se vuoi la pace prepara la pace
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Qui una recensione di Giovanni Di Benedetto